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Dopo aver evidenziato che in equilibrio ogni investitore detiene il portafoglio di mercato, per importi diversi in funzione dell’effettiva ricchezza e con diverse combinazioni rispetto al titolo risk free a seconda del soggettivo grado di avversione al rischio, nel corso del presente paragrafo si vuole analizzare il contributo fornito dal singolo titolo al rischio generale del portafoglio di mercato.

Si ipotizzi di considerare un portafoglio di mercato composto da soli tre titoli, la cui matrice varianza-covarianza è rappresentata graficamente dalla FIG. (1.12).

Come già evidenziato per il caso di due titoli, la varianza di un portafoglio è data dalla sommatoria delle varianze dei tre titoli che compongono il portafoglio (disposte lungo la diagonale principale nella matrice) e la somma delle covarianze tra i titoli ponderate per il prodotto dei pesi con cui gli stessi titoli sono assunti nel portafoglio.

Ipotizzando che i titoli siano immessi nel portafoglio con lo stesso peso, è possibile scindere la varianza del portafoglio in N2 componenti, delle quali N sono attribuite alle varianze dei singoli titoli (le varianze sono disposte lungo la diagonale principale, evidenziata in giallo) ed N2-N alle covarianze.

1 2 3 1 2 3

16 “Introduzione al rischio”, nota didattica di Gian Marco Chiesi, Università degli studi di Parma, Facoltà

di economia. w2 ⋅ο2 1 1 w1w2ο1 ο2 θ12 w1w3ο1 ο3 θ13 w2 w1ο2ο1 θ21 w2 2 ⋅ο2 2 w2 w3ο2ο3 θ23 w3w1ο ο θ31 3 1 w3 w2οi ο2 θ32 w2 ⋅ο 2 3 3

31 FIG (1.12) La composizione della varianza di un portafoglio formato da tre titoli

Nel caso di 3 titoli, la varianza del portafoglio è scindibile in 9 componenti, delle quali 3 sono attribuibili alle varianze e 6 alle covarianze.

Il ruolo del titolo1 rispetto al rischio complessivo del portafoglio si estrinseca nelle componenti lungo la colonna e la riga 1.

Aumentando ulteriormente il numero di titoli aumenta sempre più peso delle covarianze, mentre si riduce il contributo fornito dalla varianza del singolo titolo, che assume un peso sul totale pari ad 1/ N2.

Ipotizzando che i titoli siano stati considerati all’interno del portafoglio con lo stesso peso, al crescere del numero di titoli, il contributo che il singolo titolo fornisce alla varianza del portafoglio è dato soprattutto dalle covarianze rispetto agli altri titoli più che dalla propria varianza.

La generalizzazione ad N titoli della (8) consente di arrivare alla seguente formulazione, che definisce la varianza di un portafoglio come somma di N varianze e di N2-N covarianze:

(17)

Raccogliendo la sommatoria esterna si ottiene la seguente formula, che evidenzia come il rischio del portafoglio P sia dato dalla somma, ponderata per i rispettivi pesi assunti all’ interno del portafoglio, dei contributi degli N titoli.

(18)

Il contributo alla varianza totale del portafoglio portata dal singolo titolo può essere scisso in due componenti, cioè i due addendi all’interno della parentesi quadra. La prima è data dalla volatilità del titolo considerata in modo specifico, cioè la sua varianza; la seconda è la volatilità dovuta ai movimenti rispetto agli altri titoli contenuti

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nel portafoglio. In un portafoglio diversificato, l’incidenza della varianza del singolo titolo è una componente minima rispetto alla somme delle covarianze con gli altri titoli. Da questo si deduce che all’aumentare del numero di titoli nel portafoglio, il contributo fornito dal singolo titolo deve essere letto solo in termini di covarianze con gli altri titoli.

All’aumentare dell’incidenza delle covarianze, tende ad annullarsi la componente di rischio legata alle vicende del singolo titolo, rappresentata dalla varianza, e il rischio del portafoglio viene ad essere descritto dalla sommatoria delle covarianze cioè dal modo in cui i diversi titoli si muovono congiuntamente. Se tutti i titoli fossero caratterizzati da coefficiente di correlazione nullo si riuscirebbe ad eliminare quasi completamente il rischio, tuttavia questa è una situazione ipotetica poiché i titoli in realtà non sono caratterizzati da correlazione nulla.

Partendo dalla (17) ed ipotizzando di costruire un portafoglio con N titoli assegnando loro il medesimo peso wi (dove wi=1/N), si arriva, con una serie di passaggi algebrici17, a definire la varianza di un portafoglio con la seguente

equazione:

σ2P = covarianza media + 1/N (varianza media – covarianza media) (19)

La (19) evidenzia che al crescere del numero dei titoli, la varianza del portafoglio è sempre più determinata dalla covarianza media dei titoli che ne fanno parte mentre si riduce il contributo fornito dal differenziale tra la varianza media e la covarianza media. In tal senso l’importanza della varianza dei titoli nella determinazione della varianza del portafoglio assume un peso inferiore al crescere dei titoli che la compongono.

Ciò che conta, all’interno di un portafoglio diversificato, è il rischio sistematico, rappresentato dalla sommatoria delle covarianze dei singoli titoli rispetto agli altri titoli del portafoglio.

La (19) indica che, oltre ad una certa soglia, il rischio del portafoglio è dato solo dalla covarianza media dei titoli. Se i titoli presentano un elevato coefficiente di correlazione alto, pur diversificando, non è possibile ridurre ulteriormente il rischio. La FIG (1.13)

17 Per la dimostrazione dei passaggi algebrici si veda Brealey R.A., Myers Steward C., Sandri S.,

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sintetizza graficamente quanto riportato dalle formule: al crescere del numero dei titoli si riduce la componente derivante dalle varianze (il rischio non sistematico) e il rischio del portafoglio è dato dal solo rischio sistematico, che la (19) indica pari alla covarianza media.

σP

N

FIG. (1.13) Contributo del rischio sistematico e del rischio non sistematico alla varianza di un portafoglio al crescere del numero dei titoli.

Il rischio specifico è eliminabile perché “molti dei pericoli che circondano una singola impresa sono peculiari di quell’impresa e forse dei diretti concorrenti”18. E’ tuttavia

un rischio che non è possibile evitare poiché “deriva dalla constatazione che ci sono problemi e pericoli che interessano l’intera economia, rappresentando una minaccia per tutte le attività”.

Questo spiega perché le azioni hanno la tendenza a “muoversi insieme” esponendo gli investitori alle “incertezze del mercato” a prescindere dal numero di azioni detenute. Per un portafoglio non diversificato (al limite composto da una sola azione) il rischio specifico impatta molto. Per un portafoglio ben diversificato le vicende dei singoli titoli contano poco; l’unica fonte di rischio è data dal movimento congiunto dei diversi titoli

18 Cfr.: Brealey R.A., Myers Steward C., Sandri S., “Principi di Finanza Aziendale”, quarta edizione,

McGraw Hill, 2003

Rischio non sistematico

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che li compongono. Questo rischio, dato dalle covarianze è ineliminabile anche con la diversificazione.

Il modo con cui determinare la misura di rischio sistematico del singolo titolo è stato proposto da diversi autori19 con un modello che prende il nome di CAPM (Capital

Asset Pricing Model). La dimostrazione esposta in seguito è stata elaborata da Sharpe.

Facendo riferimento alla F I G . ( 1 . 1 4 ) , si ipotizzi un generico titolo I, compreso in una certa percentuale nel portafoglio di mercato M, caratterizzato da scarto quadratico medio superiore al portafoglio di mercato ma rendimento atteso inferiore. Naturalmente, la scelta di investire nel solo titolo I è inefficiente ma, in virtù delle correlazioni non perfette con gli altri titoli, comunque contribuisce alla riduzione del rischio complessivo del mercato. Il titolo I è quindi compreso nel portafoglio di mercato con una percentuale “efficiente”.

E’ possibile costruire una serie di portafogli P combinando, con diverse proporzioni, il titolo I e il portafoglio di mercato nel quale, si sottolinea, è già compresa la quota “efficiente” del titolo I.

In base alla (6) e alla (8), queste combinazioni hanno rendimento atteso pari a: E(RP) = xiE(Ri) + (1-xi)E(Rm)

e scarto quadratico medio pari a:

σP = [x2iσ2i + (1-xi)2 σ2m + 2xi (1-xi)σim]1/2

Il portafoglio P, nel punto I della FIG. (1.14) è composto dal solo titolo I, (xi = 1)

mentre non è presente il portafoglio di mercato. Aggiungendo a questa combinazione una quantità superiore del portafoglio M, il portafoglio si muove lungo la curva I-M giungendo al punto M, ove è presente il solo portafoglio di mercato. Le combinazioni su questo tratto di curva, caratterizzate da una quota del titolo I superiore a quella ottimale, sono inefficienti e quindi si pongono al di sotto della CML.

19 Lintner J., “The Valuation of Risk Assets and the Selection of Risky Investments in Stock

Portfolios and Capital Budgets”, Review of Economics and Statistics, Febbraio 1965; Mossin J., “Equilibrium in a Capital Asset Market“, Econometrica, Ottobre 1966; Sharpe W., “A simplified Model of Portfolio Analysis”, Management Science, Gennaio 1963; Sharpe W., “Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium”, Journal of Finance, Settembre 1964

35 M  I I’  E(RP)

σP FIG. (1.14) La capital market line e la curva del portafoglio inefficiente

Il portafoglio P contiene, nel punto M, la quantità ottimale del titolo I e quindi assume le caratteristiche di rischio e rendimento del portafoglio di mercato.

Se la quantità del titolo I scende al di sotto del livello ottimale, si ottengono combinazioni sub ottimali arrivando al punto I’, caratterizzato dalla completa assenza del titolo I. Anche questa combinazione è inefficiente poiché non consente di sfruttare le correlazioni imperfette del titolo I. Queste combinazioni, che si collocano lungo la curva I-I’, sono inefficienti poiché assegnano un peso superiore o inferiore al titolo I rispetto alla proporzione contenuta nel portafoglio di mercato.

E’ importante sottolineare che nel punto M, la pendenza della curva I-I’ è uguale alla pendenza della CML, data dal coefficiente angolare della (14), cioè dal premio di mercato per il rischio.

E’possibile calcolare la pendenza della curva I-I’ nel punto M derivando opportunamente le funzioni che consentono di calcolare il rendimento atteso e lo scarto quadratico medio del generico portafoglio P, nel quale la quantità xi assume peso nullo. Poiché nel punto M le pendenze della curva I-I’ e della CML sono le medesime, è possibile uguagliarle ottenendo una nuova equazione. Ponendo, nell’equazione appena ottenuta, come variabile dipendente E(Ri), vale a dire il rendimento atteso del titolo i- esimo si ottiene la seguente espressione:

36 E(Ri) = Rf + [E(RM) – Rf] βi (24) Ove : βi = σiM / σ2M (25)

La (24) consente di leggere il rendimento atteso del titolo i-esimo in funzione non del rischio totale, ma del solo rischio sistematico, rappresentato dal coefficiente âi. Infatti, dalla (25) si deduce che âi è la covarianza dei rendimenti del titolo i-esimo rispetto al rendimento di mercato, rapportata alla varianza del mercato.

Questa è una misura che considera solo il rischio sistematico, dato dalla covarianza del titolo rispetto a tutti gli altri titoli presenti sul mercato, vale a dire con il portafoglio di mercato.

La (24), che consente di leggere il rendimento atteso del singolo titolo in funzione del contributo fornito al portafoglio di mercato è l’equazione di una retta. Diversamente dalla CML, che evidenzia la retta dei portafogli efficienti, la (24) rappresenta la relazione rischio-rendimento del singolo titolo. Occorre inoltre rimarcare che la CML ha come variabile indipendente lo scarto quadratico medio del portafoglio P, mentre la (24) esprime il rendimento atteso del titolo i-esimo in funzione del Beta.

La FIG. (1.15) rappresenta graficamente la (24) sul piano cartesiano, ponendo in ascissa il â del titolo i-esimo ed in ordinata il rendimento atteso.

La retta assume il nome di Security Market Line (SML) ed evidenzia la relazione positiva tra il contributo fornito al rischio del portafoglio di mercato dal titolo i-esimo e il rendimento che è lecito attendersi dal titolo stesso.

E(R)

E(Rm)

âM â FIG.(1.15) La security market line

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rendimento atteso dall’investimento nel portafoglio di mercato.

Per definizione, il Beta del mercato è uguale ad uno, poiché la covarianza tra il mercato e se stesso altro non è che la varianza del mercato stesso20

Se un titolo ha Beta inferiore a quello del mercato, cioè ha Beta inferiore ad uno, il rendimento che è lecito attendersi è inferiore a quello del mercato. Parimenti, se il Beta è maggiore di uno, il rendimento atteso è superiore a quello atteso per il portafoglio di mercato.

L’investitore che alloca l’intera ricchezza in un solo titolo opera una scelta inefficiente poiché il rendimento che è lecito attendersi è comunque quello definito dal CAPM indipendentemente dal fatto che il soggetto, non diversificando, assuma il rischio totale.

Il CAPM consente di distinguere quali titoli sono più rischiosi del mercato, cioè quali titoli forniscono un contributo superiore alla media dei movimenti del mercato e quali titoli sono meno rischiosi poiché caratterizzati da un contributo modesto al rischio generale.

Poiché il Beta è dato dalla covarianza tra i rendimenti del mercato e i rendimenti del titolo i – esimo rapportata alla varianza del mercato, cioè alla covarianza media dei titoli, gli strumenti finanziari che ad incrementi positivi del rendimenti del portafoglio di mercato registrano incrementi di rendimento più elevati hanno Beta superiore ad uno, mentre i titoli che hanno Beta inferiore ad uno si muovono meno del mercato in risposta ai medesimi comuni fattori di rischio.

Il CAPM consente quindi di determinare il rendimento atteso da un soggetto che investe in un certo titolo, tenendo conto del grado di rischio dell’investimento, misurato in riferimento al solo rischio sistematico, che è la sola componente di rischio cui il mercato finanziario riconduce i rendimenti.

20 β

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