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L'ottimizzazione di portafoglio nello stress testing con un modello di simulazione stocastica

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

BANCA, FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

L’OTTIZZAZIONE DI PORTFOLIO NELLO STRESS TESTING

TRAMITE UN MODELLO DI SIMULAZIONE STOCASTICO

Relatore: Chiar.mo Prof. Riccardo CAMBINI

Candidato:

Andrea MICCOLI

(3)

Per incoraggiare un fratello,

ancor più che un amico.

Forza Alessandro!

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1

INDICE

Introduzione ………... p. 2

Capitolo 1: Analisi delle scelte in condizioni di incertezza

Premessa ……….. p. 4 1.1 Decisioni in condizioni di incertezza ……….… p. 5 1.2 La teoria di portafoglio: la diversificazione di Markowitz ….p. 11 1.3 Il teorema della separazione di Tobin ……… p. 22 1.4 Il Capital Asset Pricing Model ………... p. 30

Capitolo 2: Modello stocastico multivariato negli stress testing bancari

Premessa ……….. p. 38

2.1 Interventi normativi dell’autorità di vigilanza per il rischio di mercato ……….. p. 39

2.2 Caratteristiche e limiti delle attuali metodologie di stress testing ……….. p. 51 2.3 Modello analitico: simulazione stocastica multivariata (generata con il Metodo Monte Carlo)………... p. 59

Capitolo 3: Analisi empirica dei risultati dello stress test

Premessa ……….. p.64 3.1 Assunzioni principali nell’esercizio di stress test …………. p. 65

3.2 Analisi empirica dei risultati del campione di banche considerato ……….. p. 68

3.3 I risultati del modello stocastico a confronto con lo stress test condotto dall’Eba/Bce per il rafforzamento della resilienza in capo agli intermediari ……….. p. 76

Conclusioni ……….. p. 82 Ringraziamenti ………... p. 84

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2

INTRODUZIONE

Questo elaborato intende affrontare il tema dell’ottimizzazione di portafoglio negli stress test per rafforzare la resilienza e la trasparenza degli intermediari a livello sistemico.

L’argomento scelto è quanto mai attuale: il periodo di pesante turbolenza finanziaria, iniziato con la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti e culminato nel fallimento di Lehman Brothers, ha stimolato una serie di profonde riflessioni sulle debolezze degli schemi regolamentari in vigore. Tutti i principali organi di controllo attivi a livello nazionale e internazionale sono stati coinvolti e impegnati in una revisione critica dell'architettura di vigilanza sul sistema finanziario, al fine di capire che cosa sia andato storto e che cosa fare per evitare che problematiche simili possano insorgere in futuro. Un importante approdo di queste riflessioni è stato la decisione di individuare le banche e gli altri intermediari caratterizzati da una importanza sistemica a livello internazionale (Global Systemically Important Financial Institutions – G-SIFI), al fine di sottoporli ad un regime di vigilanza rafforzato. L'idea è abbastanza semplice: se un’istituzione finanziaria è così grande e così interconnessa ad altri intermediari che il suo fallimento possa presentare un effetto dirompente sul sistema finanziario internazionale, allora la probabilità di tale fallimento deve essere ridotta attraverso l'imposizione di maggiori requisiti patrimoniali e attraverso un'azione di controllo più stringente da parte degli organi deputati.

Nel primo capitolo si propone innanzitutto una panoramica sull’analisi del rischio e dell’incertezza: dopo aver definito queste due voci si procede nella dissertazione facendo riferimento all’impossibilità di fare previsioni certe sulle condizioni economiche e finanziarie, e alla conseguente difficoltà nel prendere decisioni che nel futuro potrebbero avere anche risvolti negativi per un intermediario. Le discipline del Risk Management e dell’analisi del rischio sono state introdotte per trattare in modo rigoroso questi aspetti.

Una carrellata delle tecniche utilizzate consente di valutare quali decisioni prendere in condizioni di incertezza, ad esempio quelle che considerano una

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3

descrizione di possibili scenari futuri e dei risultati economici conseguenti all’accadimento di ciascun scenario. Con particolare cura vengono invece analizzate le tecniche di analisi probabilistica del rischio, sia illustrando le tecniche statistiche di base sia i metodi maggiormente utilizzati in fase di analisi degli investimenti, come il modello di Markowitz e la teoria del Capital Asset Pricing Model.

Gli interventi dell’autorità di vigilanza per il rischio di mercato e le metodologie previste per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte di tale rischio sono oggetto del secondo capitolo, in cui inoltre, viene presentato un modello stocastico in grado di sviluppare analisi previsionali su base multi-periodale. Questo modello è finalizzato a condurre degli stress test sull’adeguatezza patrimoniale delle banche e mostra come sia possibile configurare possibili soluzioni per la stima del grado di fragilità delle istituzioni bancarie, rappresentate in particolare dalla previsione della probabilità di default e dalla violazione dei ratios patrimoniali stabiliti dell’autorità di vigilanza.

Nel prosieguo, vengono formalizzate alcune linee guida da seguire nella strutturazione del modello previsionale e nella modellizzazione dei fattori rischio (stress). Si considera un’analisi empirica di stress test su un campione di nove banche dell’area Euro appartenenti al gruppo G-sib del Financial Stability Bord. L’orizzonte previsionale dell’analisi è di tre anni (2014-2016), partendo dal bilancio storico del 2013. Alla fine dell’elaborato si confronta il modello stocastico di stress test con il modello di stress test previsto dall’Eba/Bce.

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Capitolo 1: analisi delle scelte in condizioni di incertezza

Premessa

Gli intermediari finanziari, al pari di ogni altra azienda, svolgono la propria attività in condizioni di incertezza in quanto i manager sono tenuti ad effettuare scelte, tra diverse possibili alternative, senza avere la possibilità di conoscere le conseguenze delle decisioni assunte: i risultati, infatti, dipendono sia dalla decisione intrapresa, sia da una serie di eventi indipendenti dai comportamenti dei manager.

Per comprendere i comportamenti dei soggetti e i fenomeni che si osservano sui mercati finanziari è innanzitutto necessario dotarsi, dunque, di un apparato teorico che consenta di analizzare le decisioni dei soggetti in condizioni di incertezza. Il presente capitolo ha lo scopo di introdurre modelli fondamentali di analisi degli investimenti finanziari e della teoria di portafoglio per la risoluzione razionale dei problemi di scelta in condizioni di incertezza.

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1.1 Decisioni in condizioni di incertezza1

La scelta di investire in un titolo mobiliare avviene in un contesto di incertezza poichè non è possibile prevedere quale sarà la futura evoluzione dei prezzi dello strumento e quindi quale sarà il profitto ottenibile da un’operazione di acquisto e successiva vendita.

I modelli finanziari adottano, in sostituzione del concetto di incertezza, quello di rischio, benché i due termini possano sembrare sinonimi2.

L’acquisto di un valore mobiliare è effettuato con l’aspettativa di ricevere in futuro un flusso di cassa maggiore rispetto a quello originariamente versato. Il differenziale fra quanto ricevuto e quanto versato è il rendimento assoluto di un titolo ed è misurato come somma di due elementi:

RA = P'−P + D (1)

La differenza tra P’ (prezzo di vendita del titolo) e P (prezzo di acquisto del titolo) rappresenta il guadagno in conto capitale per l’investitore (capital gain). D è l’insieme di eventuali pagamenti (in contanti o in altra forma) legati al possesso del titolo: nel caso di un’azione possono essere dividendi o diritti di opzione, mentre per un’obbligazione possono concretizzarsi in cedole o altre forme di remunerazione periodica di natura certa od incerta.

Una misura sintetica di rendimento che consente il confronto con alternative di investimento, indipendentemente dall’entità del capitale impiegato, è il rendimento

relativo, ottenuto rapportando al rendimento assoluto il prezzo di acquisto del titolo:

RR = P'−P + D (2)

P

1 Il seguente paragrafo è tratto dall’indirizzo http://www.unipr.it

2 E’ importante sottolineare come nell’ ambito della teoria economica i concetti di rischio e incertezza

abbiano spesso assunto connotati ben distinti. In particolare, nella sua opera del 1920 Risk, Uncertainty

and Profit, l’economista americano Frank Knight per primo fece riferimento al concetto di “rischio” in

relazione ad eventi non certi, ma alle cui possibili realizzazioni è sensato assegnare delle probabilità, mentre accostò il concetto di “incertezza” a eventi talmente imprevedibili per cui non è in alcun modo possibile associare delle probabilità alle loro realizzazioni.

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6

Come affermato in precedenza, l’investimento è effettuato per ottenere un differenziale positivo lungo un certo orizzonte temporale; tuttavia, agendo in un contesto di incertezza, l’investitore conosce solo una delle variabili che determinano il rendimento, cioè il prezzo di acquisto del titolo, mentre non ha alcuna certezza in merito al prezzo finale e all’entità delle remunerazioni periodiche.

Gli unici titoli che possono consentire un rendimento certo sono i titoli di Stato con durata pari all’orizzonte temporale di investimento e senza remunerazioni periodiche, come gli Zero Coupon Bond3. Infatti lo Stato, in virtù del potere di emettere

cartamoneta è, almeno teoricamente, sempre in rado di rimborsare i propri debiti. Affinché il titolo sia effettivamente privo di rischio occorre che la durata dell’investimento coincida con l’orizzonte temporale dell’investitore. Se l’holding period fosse superiore, l’investitore si troverebbe nella situazione di dover reinvestire quanto ottenuto ad un tasso futuro incerto. Diversamente, se la durata del titolo fosse superiore all’holding period, l’investitore sarebbe sottoposto ad un rischio di volatilità poiché, a seconda dell’andamento dei tassi del mercato, il titolo può subire un incremento di valore (in presenza di un ribasso generale dei tassi) o un decremento nel caso inverso.

Per tutti gli altri titoli, gli elementi di incertezza possono determinare un rendimento effettivo a scadenza assai diverso da quello atteso al momento della decisione di investimento, pur in presenza di coincidenza tra durata dello strumento ed holding period. Tale diversità può essere il risultato sia del rischio legato alla solvibilità dell’emittente, cioè della capacità futura del debitore di rimborsare quanto ottenuto in prestito, sia della specifica forma contrattuale adottata.

3Un'obbligazione zero-coupon (ZCB) è un’obbligazione il cui rendimento è calcolato come differenza tra la somma che il sottoscrittore riceve alla scadenza e la somma che versa al momento della sottoscrizione.

Il rendimento è pari a r = (SR – SV) / SV,dove SR è la somma rimborsata al sottoscrittore e SV è la somma versata dal sottoscrittore. L'esempio tipico di un titolo zero-coupon è, inItalia, il buono ordinario del tesoro (BOT). Anche se non esiste un limite alla durata di tale tipo di obbligazioni, di solito esse vengono usate quando la durata è pari o superiore all'anno. Questo perché in caso di obbligazioni di durata superiore all'anno, il sottoscrittore rinuncia al periodico incasso degli interessi maturati nel periodo precedente, potendo incassare il capitale versato e gli interessi maturati (sotto forma di guadagno in conto capitale) solo alla scadenza dell'obbligazione. Gli zero coupon da 3 a 24 mesi sono tipicamente emessi da emittenti statali; quelli a durata superiore, decennale o anche trentennale, sono invece prerogativa di organismi sovranazionali o banche d'affari di levatura mondiale.

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In carenza di un rendimento certo, gli operatori prendono le proprie decisioni di investimento in funzione del rendimento atteso del titolo, cioè del risultato medio che è possibile attendersi da quello stesso strumento finanziario.

Il concetto di rendimento medio atteso fa riferimento alla probabilità che l’investitore associa ai possibili risultati effettivi, che potranno essere conseguiti in virtù dei diritti attribuiti dal titolo.

Il rendimento atteso è la media ponderata dei possibili risultati futuri, assegnando ad ognuno di essi una certa probabilità di accadimento.

Da questa definizione emerge la necessità di superare il concetto di incertezza data la necessità di individuare i possibili risultati futuri e di assegnare loro una probabilità. E ciò malgrado l’incertezza rappresenti effettivamente la realtà dell’investitore e malgrado le difficoltà di ipotizzare le possibili circostanze future e di assegnare loro una probabilità.

Il rendimento atteso del k-esimo titolo si indica con la seguente notazione:

n

E

[

Rk

]

=

pi Ri (3)

i=1

ove n è il numero di possibili risultati futuri, Ri è il singolo risultato e pi è la probabilità ad esso associata.

La volatilità dei risultati previsti intorno al rendimento atteso è proprio la nozione di rischio adottata nell’analisi degli investimenti finanziari. Da questo indicatore gli investitori traggono conclusioni in merito alla misura di quanto possono essere diversi i risultati previsti rispetto a quello atteso.

La misura di dispersione utilizzata è la varianza dei rendimenti oppure la sua radice quadrata, cioè lo scarto quadratico medio, che, in particolare, ha il pregio di essere espresso nella stessa unità di misura dei rendimenti. Poiché la varianza è la media degli scarti, rispetto al valore medio, elevati al quadrato, maggiore è il suo valore, maggiore è la dispersione dei rendimenti intorno al risultato atteso. Le formule con cui calcolare queste misure di volatilità sono le seguenti:

n ο2 =

(

Ri − E

[

Ri

]

)

2 ⋅ pi

(4)

ο

= (5)

i=1 n

(

Ri − E

[

Ri

]

)

2 ⋅ pi

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La letteratura finanziaria ipotizza, in genere, una distribuzione dei rendimenti previsti intorno a quello atteso, modellizzata dalla distribuzione normale. Un titolo può quindi assumere rendimenti inferiori o superiori al proprio valore atteso con probabilità4 di

accadimento sintetizzate dalla distribuzione normale.

La FIG.(1.1) rappresenta graficamente la distribuzione normale dei rendimenti, riportando in ascissa i rendimenti ottenibili dal titolo i-esimo ed in ordinata la probabilità di accadimento associata ad ognuno di essi.

La normale è una distribuzione simmetrica poiché la probabilità che il titolo abbia un rendimento inferiore o superiore a quello atteso (E[Ri]) è la medesima. Questa caratteristica si traduce nella simmetria tra le aree a sinistra e a destra del valore atteso.

Probabilità

FIG. (1.1) . Forma di distribuzione normale dei rendimenti di un titolo finanziario

Se i rendimenti di un titolo azionario sono distribuiti secondo la normale, ogni investimento può essere valutato solo sulla base del rendimento atteso e della varianza (o dello scarto quadratico medio). A fronte di due titoli caratterizzati dallo stesso rendimento atteso, l’investitore razionale sceglie quello con minor rischio, misurato dallo scarto quadratico medio.

Facendo riferimento alla FIG. (1.2) è possibile evidenziare il titolo e dividere il piano in quattro quadranti, all’interno dei quali sono compresi altri titoli, dalle caratteristiche differenti rispetto ad Alfa. La figura riporta in ascissa il rischio, rappresentato dallo scarto medio e in ordinata il rendimento atteso.

4 In realtà, poiché la variabile aleatoria è continua, è una funzione di densità di probabilità.

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9 FIG. (1.2) Rischio e rendimento nel piano cartesiano.

Utilizzando un criterio di scelta che considera solo media e varianza, è possibile affermare che nel quarto quadrante sono contenuti titoli peggiori di Alfa poiché caratterizzati da minor rendimento atteso e volatilità. Diversamente, il secondo quadrante contiene titoli migliori di Alfa poiché presentano un più elevato rendimento atteso a fronte di una minor volatilità.

Rispetto ad Alfa non è possibile effettuare scelta, sulla base del criterio media-varianza, per i titoli contenuti nel primo e terzo quadrante poiché mentre i primi consentono un maggior rendimento atteso a fronte del maggior rischio sostenuto, i secondi forniscono un minor rendimento a fronte di un minor rischio. Rispetto ai titoli contenuti nel primo e terzo quadrante, non è possibile adottare il criterio media-varianza per la scelta dell’investimento migliore, poiché la scelta dipende dal grado di avversione al rischio del singolo investitore. Soggetti propensi al rischio sono disposti, per ottenere un guadagno atteso maggiore, a sopportare rischi maggiori. Soggetti poco propensi al rischio temono le possibili perdite che possono subire in virtù dell’andamento aleatorio dei titoli e preferiscono investimenti che, a fronte del minor rischio, sostenuto consentano un guadagno atteso minore. La scelta in senso non è oggettiva come avviene col criterio media-varianza poiché occorre introdurre la soggettiva propensione al rischio dell’investitore misurata, nel piano cartesiano, dalle curve di indifferenza. Gli investitori avversi al rischio preferiscono, rispetto ad Alfa,

E (Ri) II I Alfa E (RAlfa)  III IV ο οο ο ο οο οοοοοAlfa οοοοοοοοοοοοi

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titoli che giacciono nel terzo quadrante mentre i più propensi al rischio ad Alfa preferiscono titoli collocati nel primo.

Il criterio media-varianza può essere utilizzato solo presupponendo una distribuzione normale dei rendimenti dei titoli finanziari poiché, diversamente, gli investitori dovrebbero valutare il grado di asimmetria e di curtosi. Ipotizzando la normalità della distribuzione dei rendimenti, le uniche caratteristiche dello strumento valutate dall’investitore sono il rendimento atteso e la varianza.

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1.2 La teoria di portafoglio: la diversificazione di Markowitz.

La storia della finanza può essere divisa in due ere, prima e dopo il 1952. Questo fu l’anno in cui un giovane studente dell’università di Chicago pubblicò la rivoluzionaria teoria denominata “Portfolio selection”.

Harry Markowitz per primo dimostrò che, inserendo un diverso mix di asset classes all’interno di uno stesso portafoglio di investimento, è possibile ridurre notevolmente il rischio e ottenere migliori performance. Nel 1990 Markowitz riceve il premio Nobel per l’economia grazie alla “Modern Portfolio Theory”.

In un’intervista del 1992 Markowitz affermò che “Un portafoglio sufficientemente diversificato non potrà subire perdite catastrofiche anche con un crollo del sistema finanziario. Chiunque si avventura all’interno dei mercati finanziari senza la cintura di sicurezza ben allacciata rischia di subire grosse perdite. L’obiettivo è quello di ottenere un coefficiente di correlazione vicino a zero utilizzando tecniche long short5 senza

l’ausilio della leva finanziaria”.

La portfolio selection di Markowitz6 si pone come elemento introduttivo per giungere

alle logiche di formazione dei prezzi in un’ottica di portafoglio sviluppate dal CAPM (Capital Asset Princing Model).

Il modello di Markowitz presuppone le seguenti ipotesi di partenza:

1. Gli investitori selezionano i portafogli sulla base di due parametri, il rendimento medio atteso E(r) e il rischio atteso, misurabile quest’ultimo mediante la deviazione standard dei rendimenti σ (o alternativamente, come in effetti previsto dall’articolo originario di Markowitz7, dalla varianza dei

rendimenti σ2, che è semplicemente il quadrato della deviazione standard)8;

5 Posizioni Long e Short vengono assunte nei mercati finanziari dagli speculatori che cercano di

guadagnare seguendo l’andamento dei mercati, in particolare le posizioni short sono rappresentate da vendite allo scoperto e vengono assunte da speculatori al ribasso, mentre le posizioni long sono assunte da speculatori al rialzo.

Per approfondimenti sul tema si veda capitolo 1 di John Hull “Opzioni,futures e altri derivati” VII edizione.

6 Fonte: Fabrizi P.L., “L' Economia del Mercato Mobiliare”, Milano, Egea, 2003 (1 edizione) 7 Markowitz, H.M, “Portfolio Selection”, Journal of Finance, n.7, pag 77-91, marzo 1952

8 Anche se nell’articolo originario di Markowitz la misura di rischio utilizzata è rappresentata dalla

varianza dei rendimenti, nell’esposizione del modello si farà riferimento alla deviazione standard dei rendimenti, che è la misura tipicamente utilizzata nelle applicazioni pratiche del modello di Markowitz ai fini dell’ottimizzazione del portafoglio

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2. L’orizzonte temporale è uni periodale;

3. Gli investitori sono avversi al rischio e massimizzano l’utilità attesa.

4. I titoli sono perfettamente divisibili, ossia è possibile comprare e vendere quantità ridotte dei singoli titoli, senza la presenza di lotti minimi.

5. Non esistono imposte e costi di transazione.

6. Non esistono attività correlate negativamente in modo perfetto. 7. Non esistono attività prive di rischio.

Tali ipotesi meritano un approfondimento.

La prima delle ipotesi elencate intende sottolineare che, al fine di effettuare le scelte di investimento, gli investitori considerano solo due parametri: il rischio e il rendimento; qualsiasi altra variabile è da considerarsi trascurabile. Le misure di rendimento e rischio sono di tipo «attese»; rappresentano quindi una stima per il futuro. Il rischio invece, in linea teorica, si presenta a essere stimato mediante varie misure statistiche; nel modello di Markowitz il parametro utilizzato è, come detto, la deviazione standard9.

La seconda ipotesi permette invece di riconoscere la natura statica del modello in esame. Markowitz non prende infatti in considerazione il tempo come variabile rilevante: egli si limita a definire ex-ante un certo orizzonte temporale (per esempio, un mese, un semestre, un anno) che non viene mai modificato. Una volta selezionato un certo arco di tempo (si ipotizza annuale), l’investimento deve avere questo orizzonte temporale, e tanto il rendimento quanto il rischio dei portafogli (le sole variabili rilevanti per la scelta dell’investitore) sono stimati su tale periodo di tempo.

La terza ipotesi richiama il concetto di avversione al rischio. Gli investitori, ipotizzati razionali, considererebbero il rischio come una «variabile negativa»; essi sarebbero quindi mossi dall’obiettivo di massimizzare il rendimento atteso, sopportando livelli di rischio «accettabili».

Dalla prima ipotesi (gli investitori selezionano i portafogli sulla base di due parametri, il rendimento medio atteso e la varianza) e dalla terza (che sancisce appunto l’avversione al rischio degli investitori) si ricava il principio fondamentale, noto come principio

9 L’ utilizzo della deviazione standard (o della varianza) quale misura di rischio di un portafoglio non è

esente da vizi; lo stesso Markowitz espresse dubbi circa la bontà di questa misura, che egli comunque impiegò per la sua semplicità di calcolo e la grande maneggevolezza.

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varianza, il quale sancisce che tra due strategie di investimento è da considerarsi preferibile quella che presenta un rendimento atteso medio maggiore e una deviazione standard (e quindi anche varianza)10 minore. In simboli se:

E(Rx ) ≥ E(Ry)

e

σx ≤ σy

con una disuguaglianza forte, allora il portafoglio X domina il portafoglio Y.

Si ipotizzi che un investitore debba effettuare, con un orizzonte uni periodale annuale, un investimento e possa scegliere tra due strategie;

Portafoglio A: E(RA) = 15% σA = 16%

Portafoglio B: E(RB) = 13% σB = 18%

In ottemperanza alle ipotesi alla base del modello di Markowitz, le uniche variabili prese in considerazione ai fini della scelta sono il rendimento e il rischio; pertanto, sulla base del modello media-varianza, si può affermare che il portafoglio A presenta rendimento atteso superiore e rischio inferiore a B:

E(RA) > E(RB) σA < σB

Il portafoglio A domina il portafoglio B.

Si immagini che un investitore debba effettuare, con lo stesso orizzonte uniperiodale, un investimento e possa scegliere tra due strategie, portafoglio A e portafoglio C.

Se E(RA) = E(RC) e σA < σC ; il portafoglio A domina in portafoglio C.

Un ragionamento analogo vale nel caso in cui si abbia l’uguaglianza tra la deviazione standard attesa dei rendimenti dei due portafogli.

Se E(RA) > E(RD) e σA = σD il principio della media-varianza permette di affermare

che il portafoglio A domina anche il portafoglio D.

Il primo e principale problema della selezione di portafoglio è quello di identificare tutti i portafogli non dominati da nessun altro; tali portafogli sono detti portafogli efficienti.

10 La ragione per cui il principio è noto come «principio media-varianza» e non come «principio della

media-deviazione standard» deriva solo dal fatto che Markowitz, nel suo articolo originario del 1952, preferì utilizzare come misura di rischio la varianza.

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Se infatti alcuni portafogli, come B, C e D degli esempi precedenti, fossero dominati da qualche altro (il portafoglio A), l’ipotesi di avversione al rischio renderebbe la loro scelta insensata in quanto non ottimale.

Se ipotizzi che un investitore debba effettuare, con un orizzonte uni periodale annuale, un investimento e possa scegliere tra due strategie, rappresentate dai portafogli A e B. Il rendimento e il rischio dei due portafogli sono i seguenti;

Portafoglio A: E(RA) = 15% σA = 16%

Portafoglio B: E(RB) = 13% σB = 18%

In tal caso l’ipotesi di avversione al rischio e il principio della media-varianza non permettono di identificare un portafoglio efficiente e uno dominato, in quanto il portafoglio più rischioso è anche caratterizzato da un maggior livello i rendimento atteso. La scelta tra uno dei due portafogli non è quindi oggettiva né estrapolabile dalle ipotesi alla base del principio di Markowitz. E(RP) è il rendimento atteso del portafoglio P composto dai titoli A e B, presenti all’interno del portafoglio con pesi a e b (con a+b =1) e rendimenti attesi pari E(RA) ed E(RB). La formulazione del rendimento atteso è la

seguente:

E(RP) = a · E(RA) + b · E(RB) (6)

Il rendimento atteso di un portafoglio è quindi pari alla media ponderata dei rendimenti attesi dei titoli che lo compongono pesati per le rispettive quantità.

La varianza di un portafoglio composto da due titoli è data dalla somma degli elementi che compongono la matrice rappresentata graficamente dalla FIG. (1.3), formata dalle covarianze che ogni titolo presenta con gli altri titoli che compongono il portafoglio. La covarianza tra i rendimenti del titolo A e quelli del titolo B è data dalla seguente espressione:

Cov (RA, RB) = σAB = E[(RA – E[RA]) · (RB – E[RB])] = σA · σBρAB (7)

Essa esprime il grado con cui due titoli si muovono congiuntamente.

Dalla (7) si evince che la covarianza è il valore atteso della variabile aleatoria ottenuta moltiplicando gli scarti, rispetto ai rispettivi valori attesi, dei rendimenti dei titoli che compongono il portafoglio. Poiché è il risultato del prodotto degli scarti dei rendimenti rispetto al proprio valore atteso, la covarianza è espressa in termini di rendimenti al quadrato.

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A B

A

B

FIG. (1.3) La matrice varianza-covarianza di un portafoglio formato da due titoli.

Un indice, comunque derivato dalla covarianza per la misura sintetica del legame tra due titoli, è il coefficiente di correlazione, che assume valori tra +1 e –1. In particolare, se il coefficiente di correlazione ρ è pari ad uno, i titoli si muovono in modo perfettamente sincrono, e quindi ad un aumento del titolo A corrisponde un incremento del titolo B. Se il coefficiente di correlazione è pari a –1, i titoli si muovono in modo opposto, nel senso che agli incrementi del primo corrispondono decrementi del secondo e viceversa.

La (7) evidenzia che la covarianza tra i rendimenti di A e B può essere espressa come il prodotto tra i rispettivi scarti quadratici medi e il coefficiente di correlazione esistente tra i due titoli.

Data la positività degli scarti quadratici medi, dalla (7) si evince che la covarianza è solo in presenza di un coefficiente di correlazione pari a zero, cioè quando gli andamenti dei titoli sono svincolati, ossia non è ipotizzabile un andamento comune. La covarianza può inoltre assumere valori negativi, quando i titoli sono caratterizzati da coefficiente di correlazione negativo.

La varianza di un portafoglio è data dalla somma delle covarianze tra un titolo e gli altri titoli che compongono il portafoglio, ponderate per il prodotto delle percentuali rispettivamente assunte dai titoli nel portafoglio, cioè dalla somma degli elementi che compongono la matrice delle covarianze, raffigurata nella FIG. (1.3).

wawaο aο a θaa wa wbοaοb θab

(19)

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Dalla (7) è possibile notare che la covarianza tra i rendimenti del titolo A e quelli del titolo B è pari alla covarianza tra i rendimenti del titolo B rispetto a quelli del titolo A. In virtù della simmetria rispetto alla diagonale principale della matrice delle covarianze (evidenziata in giallo nella FIG. 1.3) la sommatoria delle covarianze tra A e B e tra B ed A può essere ridotta alla covarianza doppia tra A e B. Inoltre, poiché la covarianza tra i rendimenti del titolo A e quelli del titolo A, altro non è che la varianza11 dei rendimenti di A, la varianza di un portafoglio si riduce alla seguente

formula:

σ2P = a2 · σ2A + b2 · σ2B + 2 · a · b ·σA ·σBρAB (8)

La varianza di P è quindi data dalla somma, ponderata per i pesi al quadrato, delle varianze dei singoli titoli e dalla somma delle covarianze doppie dei titoli ponderate per il prodotto dei rispettivi pesi all’interno del portafoglio.

Ipotizzando una correlazione tra i due titoli pari ad uno, è possibile rappresentare nel piano cartesiano della FIG. (1.4) i titoli A e B e gli infiniti portafogli, disposti lungo il segmento A-B, che è possibile costruire combinando, con pesi diversi, i due titoli data l’ipotesi di perfetta divisibilità. Maggiore è il peso assunto, dal titolo A, tanto più le caratteristiche del portafoglio si avvicinano a quelle del titolo A.

E’ importante sottolineare che il segmento A-B comprende portafogli per i quali non è possibile scegliere secondo il criterio media-varianza. In particolare, rispetto alla FIG. (1.1), è possibile considerare i portafogli composti soprattutto dal titolo A come all’interno del terzo quadrante, mentre quelli composti dal titolo B, come appartenenti al primo quadrante. Il segmento A-B costituisce la frontiera efficiente di quel mercato finanziario, poiché tutti gli investitori si collocano, a seconda della soggettiva propensione al rischio, su uno dei punti del segmento. La frontiera è efficiente poiché non è possibile scegliere combinazioni migliori utilizzando il criterio media-varianza.

In particolare, i portafogli composti soprattutto dal titolo A sono scelti da soggetti avversi al rischio, mentre combinazioni con una maggiore quantità del portafoglio B sono scelti da soggetti maggiormente propensi al rischio.

11 Infatti, il coefficiente di correlazione tra una variabile e se stessa è per definizione pari ad uno, e quindi

la covarianza tra A ed A è pari alla varianza di A: σA·σAρAA = σA· σA = σ2A

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B A

E(RP) E(RB) E(RA) σA σB σP

FIG. (1.4). I portafogli possibili combinando due titoli con coefficiente di correlazione pari ad uno.

Nella FIG. (1.5) si è ipotizzata la presenza di due investitori X ed Y. Il primo è avverso al rischio ed è quindi caratterizzato da una curva di indifferenza molto ripida. Il portafoglio che consente la massimizzazione della sua utilità è di tangenza tra la frontiera efficiente e la curva di indifferenza. Questo punto, data l’avversione al rischio dell’investitore, si trova su bassi livelli di rischio-rendimento. Occorre rilevare che la possibilità di investire il proprio patrimonio in una combinazione dei due titoli consente ad X di raggiungere più elevati livelli di utilità rispetto a quelli raggiungibili investendo in un solo titolo. In tale situazione, egli avrebbe ottenuto un livello di utilità misurato dalla curva di indifferenza passante dal punto A, parallela, ma situata più in basso a quella del caso con due titoli.

Anche l’investitore Y, caratterizzato da maggior propensione al rischio, e quindi da una curva di indifferenza più piatta, riesce a raggiungere una combinazione rischio rendimento migliore di quella ottenibile dall’investimento in un solo titolo.

Infatti, coerentemente con la maggior propensione al rischio, Y sceglie il portafoglio cui corrisponde la tangenza tra la frontiera efficiente e la curva di indifferenza, portafoglio caratterizzato da una combinazione rischio-rendimento più elevata rispetto

(21)

18

B Y X A a quella scelta da X.

Se non fosse stato possibile l’investimento in un portafoglio di titoli, il punto che avrebbe consentito ad Y di raggiungere l’utilità più elevata sarebbe stato in corrispondenza del titolo B, cui avrebbe corrisposto una curva di indifferenza parallela, ma su livelli inferiori di utilità, rispetto a quella conseguibile investendo in portafogli composti da due titoli.

E(RP)

E(RB)

E(RA)

σA σ B σP

FIG. (1.5). La frontiera efficiente e le scelte soggettive di X, avverso ed Y propenso al rischio.

Si ipotizzi ora che i due titoli abbiano un andamento non perfettamente sincrono, vale a dire un coefficiente di correlazione minore di uno.

Il coefficiente di correlazione non compare nella (6), cioè nella formula del rendimento atteso del portafoglio: questo, infatti, dipende dai pesi assunti dai due titoli e dai rispettivi rendimenti attesi.

L’introduzione di un coefficiente di correlazione inferiore ad uno non muta quindi il rendimento atteso dei portafogli costruiti combinando, con diverse proporzioni, i titoli A e B.

Il coefficiente compare invece nell’ultimo addendo della (8), essendo uno dei fattori che determinano la covarianza tra il titolo A e B. Poiché i pesi e le deviazioni standard assumono, per definizione, valore positivo, la riduzione del coefficiente di correlazione riduce il valore dell’ultimo addendo, determinando la diminuzione della deviazione

(22)

19

standard per ogni portafoglio situato lungo il segmento A-B, ad eccezione di quelli caratterizzati dalla presenza di un solo titolo. Mentre il rendimento atteso non subisce mutamenti, il rischio del portafoglio diminuisce poiché si riduce il contributo fornito dalla covarianza alla determinazione della varianza del portafoglio.

Se i due titoli si muovono in maniera non perfettamente sincrona è possibile ridurre il rischio a parità di rendimento, determinando uno spostamento verso sinistra della frontiera efficiente per ognuno dei portafogli disposti lungo la frontiera efficiente, come raffigurato dalla FIG (1.6).

Per ogni livello di rendimento reso possibile dalla combinazione dei due titoli, la curva si sposta verso sinistra, poiché è possibile ottenere il medesimo rendimento sostenendo minor rischio, oppure a parità di rischio avere un maggior rendimento atteso.

Analizzando la curva che ora congiunge i punti A e B e che rappresenta le combinazioni rischio-rendimento possibili, occorre osservare la presenza di criterio media-varianza. Ad esempio, nessun investitore sceglie il portafoglio composto dal solo titolo A poiché il portafoglio C fornisce un rendimento superiore a parità di rischio.

La nuova frontiera efficiente, formata da tutti i portafogli per i quali non è possibile stabilire un ordinamento di preferenza secondo il criterio media-varianza, è data dal tratto di curva compreso tra il punto B e il punto J che diventa il nuovo portafoglio di minima varianza.

La FIG. (1.7) evidenzia il mutamento nelle scelte operate dai due investitori, X ed Y, dei quali il primo è avverso e il secondo propenso al rischio, per effetto dello spostamento della frontiera efficiente. I soggetti possono ora scegliere combinazioni rischio-rendimento che consentono di ottenere una maggiore utilità, evidenziata dallo spostamento verso l’alto delle rispettive curve di indifferenza. In particolare, l’incremento di utilità è cospicuo per il soggetto avverso al rischio che passa dal portafoglio X al portafoglio X’, scegliendo una combinazione meno rischiosa ma che consente ugualmente un aumento del rendimento atteso.

Anche Y sceglie un portafoglio meno rischioso, passando da Y ad Y’, tuttavia l’innalzamento della curva di indifferenza è minore rispetto a quello registrato da X, poiché, data la maggior preferenza verso il rendimento rispetto al rischio, avrebbe avuto un maggior incremento di utilità avendo la possibilità di incrementare il rendimento

(23)

20

B C

J A

atteso rispetto alla riduzione del rischio. Se esistessero attività correlate in modo perfettamente negativo sarebbe possibile costruire portafogli di rischio, poiché la frontiera efficiente sarebbe formata anche da portafogli caratterizzati da scarto quadratico medio nullo. Tuttavia, Markowitz ipotizza l’assenza di attività perfettamente non correlate proprio perché la loro presenza consentirebbe la costruzione di portafogli privi di rischio. Markowitz introdusse la formalizzazione della diversificazione: combinando titoli tra loro non perfettamente correlati è possibile ridurre il rischio a parità di rendimento. Maggiore è il numero di titoli, maggiore è il vantaggio della diversificazione poiché è possibile ridurre la varianza del portafoglio sfruttando le correlazioni non perfette tra i titoli che riducono le covarianze.

E(RP) E(RB) E(RB) E(RJ) E(RA) σ J σA σB σP

FIG. (1.6). Frontiera efficiente composta da due titoli con correlazione non perfetta

(24)

21 Y’

B X’    Y

J A

X E(RP) E(RB) E(RJ) E(RA) σ J σA σB σP FIG.(1.7). Lo spostamento della frontiera efficiente e delle curve di indifferenza.

(25)

22

1.3 Il teorema della separazione di Tobin12

Rispetto alle ipotesi della portafoglio selection di Markowitz, Tobin13 introduce la

possibilità di investire in titoli che garantiscono rendimenti privi di rischio.

Per un investitore è quindi possibile combinare un titolo avente volatilità nulla rispetto al proprio valore atteso con un portafoglio composto da soli titoli rischiosi, posto lungo la frontiera efficiente di Markowitz.

Riprendendo la (6), si ottiene che il rendimento del portafoglio P, composto per una percentuale pari ad a da un generico portafoglio rischioso A e per una percentuale pari ad (1-a) dal titolo privo di rischio, è pari alla media ponderata dei rendimenti che lo compongono:

E(R p ) = a · E(R A ) +(1 − a) · R f (9) Il titolo privo di rischio ha varianza nulla e presenta coefficiente di correlazione nullo rispetto al portafoglio rischioso. Riprendendo la (8), la varianza del portafoglio si riduce quindi alla seguente espressione:

σ2P = a2· σ2A (10)

e quindi al seguente scarto quadratico medio:

σP = a· σA (11)

La deviazione standard del portafoglio “misto” P, composto da un titolo risk free e da un portafoglio di titoli rischiosi dipende solo dalla varianza di quest’ultimo, ponderata rispetto alla quota assunta dal portafoglio rischioso. Sostituendo, nella (9), ad a la sua espressione data dalla (11) cioè σP/σA , si ottiene:

E(RP) = σP / σA · E(R A ) + (1 − σP / σA ) · R f (12)

Arrivando, con alcuni semplici passaggi14, alla seguente espressione:

E(RP) = Rf + [E(RA) – RF]· σP / σA (13)

12 Il seguente paragrafo è tratto dall’ indirizzo http: //www.unipr.it

13 Tobin, J., “Liquidity Preference as Behavior Toward Risk”, in Review of Economic Studies, 25,

pag.65-86, febbraio 1958

14 Questi i passaggi per giungere dalla (12) alla (13):

E(RP) = σP / σA · E(R A ) + (1 - σP /σA ) · R f

E(RP) = Rf - Rf σP/σA + σP/σA · E(RA)

(26)

23  M  K  

La (13) è l’equazione che determina il rendimento del portafoglio “misto” in funzione del proprio livello di rischio, misurato dalla deviazione standard del portafoglio stesso, la cui espressione, data dalla (11), dipende dalla quota e dalle caratteristiche del portafoglio composto da soli titoli rischiosi.

La FIG. (1.8) evidenzia, nel piano cartesiano, la frontiera delineata da Markowitz. Ipotizzando che il generico portafoglio rischioso A nella (13) sia il portafoglio K presente sulla frontiera efficiente, è possibile costruire, combinando il titolo privo di rischio e il portafoglio rischioso K, una serie di portafogli, in precedenza non ottenibili, che si dispongono lungo il segmento Rf-K. Quanto maggiore è la quota del titolo privo di rischio nel portafoglio “misto”, tanto minore è la sua varianza. Questo paniere di portafogli estende la frontiera efficiente, poichè consente combinazioni rischio-rendimento per le quali non è possibile istituire un ordine di preferenza basato sull’utilizzo del criterio media-varianza

E(RP) .

Rf

σP

FIG. (1.8). La modifica della frontiera efficiente a seguito dell’introduzione del tasso privo di rischio.

Soggetti avversi al rischio, che in precedenza si posizionavano su punti bassi della frontiera efficiente, possono in tal modo usufruire di una combinazione rischio rendimento che incrementa la loro utilità.

(27)

24

La nuova frontiera efficiente è quindi data dal segmento Rf-K e dalla frontiera efficiente di Markowitz a partire dal punto K.

Tuttavia è possibile combinare il titolo privo di rischio anche con il portafoglio K’, ottenendo in tal modo un nuovo segmento che comprende le combinazioni tra il portafoglio rischioso K’ e il titolo avente tasso privo di rischio. I portafogli appartenenti a questo segmento dominano, secondo il criterio media-varianza, quelli del segmento Rf-K poiché è possibile ottenere, a parità di rischio, un maggior rendimento. Muovendosi lungo la frontiera efficiente è possibile scegliere portafogli sempre più rischiosi da combinare con il titolo avente tasso privo di rischio, ottenendo combinazioni rischio-rendimento migliori.

Il processo si arresta al portafoglio M, poiché oltre quel punto non è possibile costruire combinazioni rischio-rendimento che dominino il segmento Rf-M. Il portafoglio M è quindi quello che consente le migliori combinazioni rischio-rendimento.

Mentre nei punti K e K’ il segmento che ha origine in Rf interseca la frontiera efficiente, nel punto M il segmento è tangente alla frontiera efficiente che risulta essere formata dal segmento Rf-M per poi continuare sulla frontiera efficiente formata da soli titoli rischiosi.

Sostituendo nella (13) al generico portafoglio rischioso A, il portafoglio M, cioè quello che consente le combinazioni migliori secondo il criterio media-varianza si ottiene:

E(RP) = Rf + [E(RM) – RF]· σP / σM (14)

Che rappresenta l’equazione frontiera efficiente fino al punto M. La (14) è l’equazione di una retta15 la cui intercetta è il tasso privo di rischio e il cui

coefficiente angolare è il sovrarendimento atteso, rispetto al tasso di rischio, del portafoglio M, rapportato allo scarto quadratico medio del portafoglio M.

I soggetti che vogliono assumere un rischio inferiore a quello del portafoglio M scelgono portafogli derivanti da combinazioni del titolo privo di rischio e del

15 L’equazione è del tipo y= a+ bx Dove y è la variabile dipendente (i cui valori dono misurati sull’asse

delle ordinate), x la variabile indipendente (i cui valori sono misurati sull’asse delle ascisse), a è l’intercetta, ossia il valore della variabile dipendente quando l’indipendente ha valore pari a zero, b è il coefficiente angolare che misura l’inclinazione della retta. Se b è positivo la retta crescente, se inferiore a zero decrescente. Maggiore è, in valore assoluto, il valore di b, maggiore è la pendenza della retta.

(28)

25  X’ Y  X 

portafoglio M. Maggiore è l’avversione al rischio, maggiore è il peso attribuito al titolo avente tasso privo di rischio. E’ importante sottolineare che tutti i soggetti che scelgono un portafoglio caratterizzato da rischio inferiore ad M, costruiscono combinazioni ove quest’ultimo portafoglio è presente. La percentuale con cui il portafoglio M compare nel portafoglio “misto” è invece funzione del singolo grado soggettivo di avversione al rischio.

La FIG. (1.9) evidenzia l’incremento di utilità, ottenuto in virtù dell’introduzione dell’investimento al tasso privo di rischio, per il soggetto X che passa dalla scelta del portafoglio X a quello X’.

Coerentemente con la propria avversione al rischio, X è ora in grado di selezionare una combinazione che gli consente di ridurre notevolmente il rischio, rinunciando ad una modesta quota di rendimento atteso. L’introduzione del titolo avente tasso privo di rischio non muta la situazione di Y poiché la massimizzazione della propria utilità avviene scegliendo una combinazione formata da soli titoli rischiosi posta sulla parte più elevata della frontiera efficiente di Markowitz

E(RP) Rf σP

FIG.(1.9) L’ incremento di utilità X in virtù dell’introduzione del titolo avente tasso privo di rischio

Mentre in precedenza è stato introdotto l’investimento al tasso privo di rischio, si ipotizzi ora che sia possibile indebitarsi a quel tasso. In tal senso diventa realizzabile,

(29)

26 

M



una strategia di investimento che prevede di ricevere denaro in prestito pagando il tasso privo di rischio e il successivo investimento di quanto ottenuto nell’acquisto di quote di portafogli rischiosi, salvo restituire a scadenza il prestito.

L’introduzione della possibilità di indebitarsi consente di raggiungere livelli molto elevati di rendimento atteso benché questo sia controbilanciato da un incremento del rischio. La FIG.(1.10) mostra il prolungamento della retta oltre il punto M, su cui si posizionano combinazioni rischio rendimento simili a quella illustrata in precedenza. Poiché il punto di tangenza M è quello caratterizzato dalla massima pendenza della frontiera efficiente di Markowitz, le combinazioni rischio-rendimento descritte dalla (14) sono migliori, secondo il criterio media-varianza, di quelle ottenibili lungo la curva della frontiera efficiente di Markowitz. Questo determina un ulteriore spostamento della frontiera efficiente che quindi è rappresentata da tutte le combinazioni situate lungo la retta definita dalla (14)

E(RP)

Rf

σ

P

FIG.(1.10) L’ allungamento della frontiera efficiente in virtù della possibilità di indebitarsi al tasso privo di rischio

La FIG. (1.11) mostra, attraverso le curve di indifferenza, l’incremento di utilità per il soggetto Y che passa dal portafoglio Y al portafoglio Y’. Questi è ora in grado di ottenere una combinazione migliore poiché ne aumenta il rendimento atteso a parità di rischio.

(30)

27 Y’   X’ Y  X  E(RP)

Rf

σ

P

FIG. (1.11) L’incremento di utilità per Y in virtù dell’introduzione della possibilità di finanziarsi al tasso privo di rischio

L’introduzione del tasso privo di rischio consente di arrivare al teorema della separazione di Tobin: il portafoglio ottimale composto da sole attività rischiose può essere determinato senza alcuna informazione in merito alle preferenze dell’investitore (vale a dire concernente la conformazione delle funzioni di utilità e delle curve di indifferenza).

Introducendo la possibilità di investire o di farsi finanziare ad un tasso privo di rischio, ogni investitore detiene nel proprio portafoglio “misto”, con una percentuale più o meno rilevante a seconda della soggettiva propensione al rischio, il portafoglio M, cioè quel portafoglio, composto da soli titoli rischiosi, che consente le combinazioni più efficienti in termini di rischio-rendimento.

Giova sottolineare che M è il portafoglio cui corrisponde la tangenza tra la semiretta che si origina dall’asse delle ordinate in corrispondenza del tasso privo di rischio e la frontiera efficiente dei portafogli formati da soli titoli rischiosi.

(31)

28

al rischio investono nel portafoglio M: ciò che muta è la percentuale con cui ogni soggetto ripartisce la propria tra titolo privo di rischio e il portafoglio rischioso.

Il teorema di Tobin sottolinea la separazione tra i due momenti di scelta: l’individuazione del portafoglio efficiente formato da soli titoli rischiosi rispetto alla combinazione tra titolo privo di rischio e portafoglio rischioso.

La prima scelta è oggettiva. Avendo ipotizzato la razionalità degli investitori, e considerando che il portafoglio rischioso M consente le combinazioni rischio-rendimento più efficienti, tutti gli investitori “efficienti” detengono, nei rispettivi portafogli “misti”, il portafoglio M.

Poiché tutti gli investitori detengono un portafoglio formato da titoli rischiosi con percentuali tali da rispecchiare il portafoglio M, significa che l’intero mercato finanziario detiene la medesima combinazione.

Ciò deriva dalla considerazione che il mercato è formato dalle composizioni aggregate dei singoli investitori, che, in quanto razionali, scelgono la combinazione del portafoglio M, cioè quella che consente di raggiungere i più elevati livelli di rischio-rendimento in combinazione col tasso privo di rischio. Ad un certo istante temporale la composizione del portafoglio di mercato rappresenta quindi la composizione ottimale di tutti i titoli poiché è data dall’aggregazione dei singoli portafogli rischiosi (tra loro identici in termini di composizione percentuale) detenuti dagli investitori “efficienti”.

Il portafoglio di mercato, che comprende tutte le attività rischiose esistenti, in una proporzione tale da rispecchiarne il loro effettivo valore, ha quindi la medesima composizione percentuale del portafoglio M che diventa quindi la composizione di equilibrio.

La seconda è scelta è invece soggettiva, poiché la combinazione tra il portafoglio di mercato e il titolo Risk free dipende dal grado di rischio che l’investitore desidera assumere, cioè dalla propria funzione di utilità, rispecchiata nella conformazione delle curve di indifferenza.

La (14) mostra che il rendimento atteso del portafoglio “misto”, composto da titolo privo di rischio e portafoglio di mercato, dipende dal livello di rischio del portafoglio stesso, misurato dato dallo scarto quadratico medio del portafoglio, moltiplicato per il

(32)

29

fattore evidenziato dalla (16), vale a dire per il prezzo di mercato del rischio (Market Risk Premium). Questo fattore è dato dal sovrarendimento, rispetto al tasso privo di rischio, che è possibile attendersi investendo nel portafoglio di mercato, rapportato alla deviazione standard del mercato.

E(RP) = Rf + [E(RM) – RF]· σP / σM (14)

MRP = [E(RM) – RF] / σM (16)

Il MRP indica quante unità di rendimento è possibile ottenere assumendo un’unità addizionale di rischio, misurata dallo scarto quadratico medio del portafoglio “misto”. La semiretta che individua tutte le combinazioni rischio-rendimento “efficienti”, in sostituzione della frontiera delineata da Markowitz, è la Capital Market Line (CML), raffigurata nella FIG(1.8). La sua equazione è data dalla (14) che, in modo coerente alle ipotesi del modello, stabilisce una relazione lineare e positiva tra rischio e rendimento.

(33)

30

1.4 Il Capital Asset Princing Model16

Dopo aver evidenziato che in equilibrio ogni investitore detiene il portafoglio di mercato, per importi diversi in funzione dell’effettiva ricchezza e con diverse combinazioni rispetto al titolo risk free a seconda del soggettivo grado di avversione al rischio, nel corso del presente paragrafo si vuole analizzare il contributo fornito dal singolo titolo al rischio generale del portafoglio di mercato.

Si ipotizzi di considerare un portafoglio di mercato composto da soli tre titoli, la cui matrice varianza-covarianza è rappresentata graficamente dalla FIG. (1.12).

Come già evidenziato per il caso di due titoli, la varianza di un portafoglio è data dalla sommatoria delle varianze dei tre titoli che compongono il portafoglio (disposte lungo la diagonale principale nella matrice) e la somma delle covarianze tra i titoli ponderate per il prodotto dei pesi con cui gli stessi titoli sono assunti nel portafoglio.

Ipotizzando che i titoli siano immessi nel portafoglio con lo stesso peso, è possibile scindere la varianza del portafoglio in N2 componenti, delle quali N sono attribuite alle varianze dei singoli titoli (le varianze sono disposte lungo la diagonale principale, evidenziata in giallo) ed N2-N alle covarianze.

1 2 3 1 2 3

16 “Introduzione al rischio”, nota didattica di Gian Marco Chiesi, Università degli studi di Parma, Facoltà

di economia. w2 ⋅ο2 1 1 w1w2ο1 ο2 θ12 w1w3ο1 ο3 θ13 w2 w1ο2ο1 θ21 w2 2 ⋅ο2 2 w2 w3ο2ο3 θ23 w3w1ο ο θ31 3 1 w3 w2οi ο2 θ32 w2 ⋅ο 2 3 3

(34)

31 FIG (1.12) La composizione della varianza di un portafoglio formato da tre titoli

Nel caso di 3 titoli, la varianza del portafoglio è scindibile in 9 componenti, delle quali 3 sono attribuibili alle varianze e 6 alle covarianze.

Il ruolo del titolo1 rispetto al rischio complessivo del portafoglio si estrinseca nelle componenti lungo la colonna e la riga 1.

Aumentando ulteriormente il numero di titoli aumenta sempre più peso delle covarianze, mentre si riduce il contributo fornito dalla varianza del singolo titolo, che assume un peso sul totale pari ad 1/ N2.

Ipotizzando che i titoli siano stati considerati all’interno del portafoglio con lo stesso peso, al crescere del numero di titoli, il contributo che il singolo titolo fornisce alla varianza del portafoglio è dato soprattutto dalle covarianze rispetto agli altri titoli più che dalla propria varianza.

La generalizzazione ad N titoli della (8) consente di arrivare alla seguente formulazione, che definisce la varianza di un portafoglio come somma di N varianze e di N2-N covarianze:

(17)

Raccogliendo la sommatoria esterna si ottiene la seguente formula, che evidenzia come il rischio del portafoglio P sia dato dalla somma, ponderata per i rispettivi pesi assunti all’ interno del portafoglio, dei contributi degli N titoli.

(18)

Il contributo alla varianza totale del portafoglio portata dal singolo titolo può essere scisso in due componenti, cioè i due addendi all’interno della parentesi quadra. La prima è data dalla volatilità del titolo considerata in modo specifico, cioè la sua varianza; la seconda è la volatilità dovuta ai movimenti rispetto agli altri titoli contenuti

(35)

32

nel portafoglio. In un portafoglio diversificato, l’incidenza della varianza del singolo titolo è una componente minima rispetto alla somme delle covarianze con gli altri titoli. Da questo si deduce che all’aumentare del numero di titoli nel portafoglio, il contributo fornito dal singolo titolo deve essere letto solo in termini di covarianze con gli altri titoli.

All’aumentare dell’incidenza delle covarianze, tende ad annullarsi la componente di rischio legata alle vicende del singolo titolo, rappresentata dalla varianza, e il rischio del portafoglio viene ad essere descritto dalla sommatoria delle covarianze cioè dal modo in cui i diversi titoli si muovono congiuntamente. Se tutti i titoli fossero caratterizzati da coefficiente di correlazione nullo si riuscirebbe ad eliminare quasi completamente il rischio, tuttavia questa è una situazione ipotetica poiché i titoli in realtà non sono caratterizzati da correlazione nulla.

Partendo dalla (17) ed ipotizzando di costruire un portafoglio con N titoli assegnando loro il medesimo peso wi (dove wi=1/N), si arriva, con una serie di passaggi algebrici17, a definire la varianza di un portafoglio con la seguente

equazione:

σ2P = covarianza media + 1/N (varianza media – covarianza media) (19)

La (19) evidenzia che al crescere del numero dei titoli, la varianza del portafoglio è sempre più determinata dalla covarianza media dei titoli che ne fanno parte mentre si riduce il contributo fornito dal differenziale tra la varianza media e la covarianza media. In tal senso l’importanza della varianza dei titoli nella determinazione della varianza del portafoglio assume un peso inferiore al crescere dei titoli che la compongono.

Ciò che conta, all’interno di un portafoglio diversificato, è il rischio sistematico, rappresentato dalla sommatoria delle covarianze dei singoli titoli rispetto agli altri titoli del portafoglio.

La (19) indica che, oltre ad una certa soglia, il rischio del portafoglio è dato solo dalla covarianza media dei titoli. Se i titoli presentano un elevato coefficiente di correlazione alto, pur diversificando, non è possibile ridurre ulteriormente il rischio. La FIG (1.13)

17 Per la dimostrazione dei passaggi algebrici si veda Brealey R.A., Myers Steward C., Sandri S.,

(36)

33

sintetizza graficamente quanto riportato dalle formule: al crescere del numero dei titoli si riduce la componente derivante dalle varianze (il rischio non sistematico) e il rischio del portafoglio è dato dal solo rischio sistematico, che la (19) indica pari alla covarianza media.

σP

N

FIG. (1.13) Contributo del rischio sistematico e del rischio non sistematico alla varianza di un portafoglio al crescere del numero dei titoli.

Il rischio specifico è eliminabile perché “molti dei pericoli che circondano una singola impresa sono peculiari di quell’impresa e forse dei diretti concorrenti”18. E’ tuttavia

un rischio che non è possibile evitare poiché “deriva dalla constatazione che ci sono problemi e pericoli che interessano l’intera economia, rappresentando una minaccia per tutte le attività”.

Questo spiega perché le azioni hanno la tendenza a “muoversi insieme” esponendo gli investitori alle “incertezze del mercato” a prescindere dal numero di azioni detenute. Per un portafoglio non diversificato (al limite composto da una sola azione) il rischio specifico impatta molto. Per un portafoglio ben diversificato le vicende dei singoli titoli contano poco; l’unica fonte di rischio è data dal movimento congiunto dei diversi titoli

18 Cfr.: Brealey R.A., Myers Steward C., Sandri S., “Principi di Finanza Aziendale”, quarta edizione,

McGraw Hill, 2003

Rischio non sistematico

(37)

34

che li compongono. Questo rischio, dato dalle covarianze è ineliminabile anche con la diversificazione.

Il modo con cui determinare la misura di rischio sistematico del singolo titolo è stato proposto da diversi autori19 con un modello che prende il nome di CAPM (Capital

Asset Pricing Model). La dimostrazione esposta in seguito è stata elaborata da Sharpe.

Facendo riferimento alla F I G . ( 1 . 1 4 ) , si ipotizzi un generico titolo I, compreso in una certa percentuale nel portafoglio di mercato M, caratterizzato da scarto quadratico medio superiore al portafoglio di mercato ma rendimento atteso inferiore. Naturalmente, la scelta di investire nel solo titolo I è inefficiente ma, in virtù delle correlazioni non perfette con gli altri titoli, comunque contribuisce alla riduzione del rischio complessivo del mercato. Il titolo I è quindi compreso nel portafoglio di mercato con una percentuale “efficiente”.

E’ possibile costruire una serie di portafogli P combinando, con diverse proporzioni, il titolo I e il portafoglio di mercato nel quale, si sottolinea, è già compresa la quota “efficiente” del titolo I.

In base alla (6) e alla (8), queste combinazioni hanno rendimento atteso pari a: E(RP) = xiE(Ri) + (1-xi)E(Rm)

e scarto quadratico medio pari a:

σP = [x2iσ2i + (1-xi)2 σ2m + 2xi (1-xi)σim]1/2

Il portafoglio P, nel punto I della FIG. (1.14) è composto dal solo titolo I, (xi = 1)

mentre non è presente il portafoglio di mercato. Aggiungendo a questa combinazione una quantità superiore del portafoglio M, il portafoglio si muove lungo la curva I-M giungendo al punto M, ove è presente il solo portafoglio di mercato. Le combinazioni su questo tratto di curva, caratterizzate da una quota del titolo I superiore a quella ottimale, sono inefficienti e quindi si pongono al di sotto della CML.

19 Lintner J., “The Valuation of Risk Assets and the Selection of Risky Investments in Stock

Portfolios and Capital Budgets”, Review of Economics and Statistics, Febbraio 1965; Mossin J., “Equilibrium in a Capital Asset Market“, Econometrica, Ottobre 1966; Sharpe W., “A simplified Model of Portfolio Analysis”, Management Science, Gennaio 1963; Sharpe W., “Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium”, Journal of Finance, Settembre 1964

(38)

35 M  I I’  E(RP)

σP FIG. (1.14) La capital market line e la curva del portafoglio inefficiente

Il portafoglio P contiene, nel punto M, la quantità ottimale del titolo I e quindi assume le caratteristiche di rischio e rendimento del portafoglio di mercato.

Se la quantità del titolo I scende al di sotto del livello ottimale, si ottengono combinazioni sub ottimali arrivando al punto I’, caratterizzato dalla completa assenza del titolo I. Anche questa combinazione è inefficiente poiché non consente di sfruttare le correlazioni imperfette del titolo I. Queste combinazioni, che si collocano lungo la curva I-I’, sono inefficienti poiché assegnano un peso superiore o inferiore al titolo I rispetto alla proporzione contenuta nel portafoglio di mercato.

E’ importante sottolineare che nel punto M, la pendenza della curva I-I’ è uguale alla pendenza della CML, data dal coefficiente angolare della (14), cioè dal premio di mercato per il rischio.

E’possibile calcolare la pendenza della curva I-I’ nel punto M derivando opportunamente le funzioni che consentono di calcolare il rendimento atteso e lo scarto quadratico medio del generico portafoglio P, nel quale la quantità xi assume peso nullo. Poiché nel punto M le pendenze della curva I-I’ e della CML sono le medesime, è possibile uguagliarle ottenendo una nuova equazione. Ponendo, nell’equazione appena ottenuta, come variabile dipendente E(Ri), vale a dire il rendimento atteso del titolo i-esimo si ottiene la seguente espressione:

(39)

36 E(Ri) = Rf + [E(RM) – Rf] βi (24) Ove : βi = σiM / σ2M (25)

La (24) consente di leggere il rendimento atteso del titolo i-esimo in funzione non del rischio totale, ma del solo rischio sistematico, rappresentato dal coefficiente âi. Infatti, dalla (25) si deduce che âi è la covarianza dei rendimenti del titolo i-esimo rispetto al rendimento di mercato, rapportata alla varianza del mercato.

Questa è una misura che considera solo il rischio sistematico, dato dalla covarianza del titolo rispetto a tutti gli altri titoli presenti sul mercato, vale a dire con il portafoglio di mercato.

La (24), che consente di leggere il rendimento atteso del singolo titolo in funzione del contributo fornito al portafoglio di mercato è l’equazione di una retta. Diversamente dalla CML, che evidenzia la retta dei portafogli efficienti, la (24) rappresenta la relazione rischio-rendimento del singolo titolo. Occorre inoltre rimarcare che la CML ha come variabile indipendente lo scarto quadratico medio del portafoglio P, mentre la (24) esprime il rendimento atteso del titolo i-esimo in funzione del Beta.

La FIG. (1.15) rappresenta graficamente la (24) sul piano cartesiano, ponendo in ascissa il â del titolo i-esimo ed in ordinata il rendimento atteso.

La retta assume il nome di Security Market Line (SML) ed evidenzia la relazione positiva tra il contributo fornito al rischio del portafoglio di mercato dal titolo i-esimo e il rendimento che è lecito attendersi dal titolo stesso.

E(R)

E(Rm)

âM â FIG.(1.15) La security market line

(40)

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rendimento atteso dall’investimento nel portafoglio di mercato.

Per definizione, il Beta del mercato è uguale ad uno, poiché la covarianza tra il mercato e se stesso altro non è che la varianza del mercato stesso20

Se un titolo ha Beta inferiore a quello del mercato, cioè ha Beta inferiore ad uno, il rendimento che è lecito attendersi è inferiore a quello del mercato. Parimenti, se il Beta è maggiore di uno, il rendimento atteso è superiore a quello atteso per il portafoglio di mercato.

L’investitore che alloca l’intera ricchezza in un solo titolo opera una scelta inefficiente poiché il rendimento che è lecito attendersi è comunque quello definito dal CAPM indipendentemente dal fatto che il soggetto, non diversificando, assuma il rischio totale.

Il CAPM consente di distinguere quali titoli sono più rischiosi del mercato, cioè quali titoli forniscono un contributo superiore alla media dei movimenti del mercato e quali titoli sono meno rischiosi poiché caratterizzati da un contributo modesto al rischio generale.

Poiché il Beta è dato dalla covarianza tra i rendimenti del mercato e i rendimenti del titolo i – esimo rapportata alla varianza del mercato, cioè alla covarianza media dei titoli, gli strumenti finanziari che ad incrementi positivi del rendimenti del portafoglio di mercato registrano incrementi di rendimento più elevati hanno Beta superiore ad uno, mentre i titoli che hanno Beta inferiore ad uno si muovono meno del mercato in risposta ai medesimi comuni fattori di rischio.

Il CAPM consente quindi di determinare il rendimento atteso da un soggetto che investe in un certo titolo, tenendo conto del grado di rischio dell’investimento, misurato in riferimento al solo rischio sistematico, che è la sola componente di rischio cui il mercato finanziario riconduce i rendimenti.

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