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una nuova Capital Requirements Directive (CRD IV), che necessita del consueto processo di recepimento negli ordinamenti nazionali e che contiene

CAPITOLO TERZO: BASILEA III E GLI INDICATORI DI LIQUIDITÀ

2) una nuova Capital Requirements Directive (CRD IV), che necessita del consueto processo di recepimento negli ordinamenti nazionali e che contiene

disposizioni in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, cooperazione tra le Autorità di vigilanza home e host, processo di controllo prudenziale, ambito di applicazione dei requisiti, regole di governance e metodologie per la determinazione dei buffer di capitale.

Il 17 aprile 2013 la proposta è stata approvato dal Parlamento Europeo e il 20 giugno dal Consiglio dell’Unione Europea. In seguito il 27 giugno 2013 sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (GUUE) i testi del Regolamento (UE) n. 575/2013 e della Direttiva 2013/36/UE con i quali vengono definitivamente introdotte nell’Unione europea le regole definite dal Comitato di Basilea nel 2010 per la vigilanza bancaria con l'intento di promuovere un sistema bancario più solido e resistente agli shock finanziari.

Il nuovo pacchetto normativo (CRD IV Package), che sostituisce integralmente la precedente normativa di Basilea II, in particolare, la Direttiva 2006/48/CE (CRD) relativa all'accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio e la Direttiva 2006/49/CE (CAD) relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi, costituisce il quadro normativo di riferimento nell’Unione europea per banche e imprese di investimento (SIM) dal 1° gennaio 2014.

L’obiettivo che si persegue con questa riforma è di prevenire l’eccessiva assunzione di rischi da parte degli operatori, premiare i comportamenti virtuosi, rendere il sistema finanziario più solido, stabilire un terreno di gioco davvero uniforme. Con tale nuovo provvedimento si sostiene l’importanza di un’attuazione rigorosa in tutte le giurisdizioni delle regole di Basilea III e la

necessità di definire in ambito europeo una legislazione coerente con gli accordi presi a livello globale.

In Europa la sfida è ancor più difficile in quanto la crisi ha dimostrato quanto pericolose siano le divergenze regolamentari in aree chiave dell’operatività bancaria, a cominciare dalla definizione del capitale bancario. Assetti normativi e di controllo meno prudenti possono, infatti, determinare effetti dirompenti anche nelle giurisdizioni più severe. Il nuovo quadro normativo, di fatto, costituisce l’attuazione del progetto definito dal Consiglio Europeo nel 2009 relativo all’istituzione di un single rulebook, che nasce proprio dall’esigenza di eliminare all’interno dell’Unione condizioni di disparità di trattamento e che va realizzato non perdendo di vista gli aspetti che potranno essere mantenuti sul piano nazionale.

Come già scritto, Basilea III presenta il grande vantaggio di una futura applicazione con un alto grado di uniformazione a livello globale, anche da parte di quei Paesi che, per caratteristiche interne al proprio sistema finanziario o per avversione a una legislazione più restrittiva, si sono mostrati riluttanti ad assimilare e applicare i principi contenuti nei precedenti accordi formulati dal comitato.

Le innovazioni apportate da Basilea III riguardano:

 Il patrimonio di base, richiesto dalle autorità di vigilanza, e in particolare il “common equity Tier 1”, il cui requisito minimo è a un livello del 4,50%, calcolato relativamente alle attività ponderate per il rischio (RWA)

La porzione di Tier 1, che sale a un requisito del 6%, dal 4% precedente

L’eliminazione del Tier 3, in precedenza composto di elementi di bassa qualità dal concorso alla formazione del requisito

 L’introduzione di un buffer quantitativo di capitale, con la funzione di garantire una riserva liquida permanente cui la banca può attingere in situazioni di necessità contingente

 L’introduzione di un buffer anticiclico patrimoniale, in modo che le

banche accumulino risorse di capitale in periodi di espansione economica e finanziaria, da utilizzare in caso di crisi

 La limitazione nella distribuzione degli utili, da parte delle società, nei casi in cui le quantità di capitale detenute siano prossime alle soglie richieste

 L’incremento dei requisiti richiesti per fronteggiare il rischio di

controparte, particolarmente in operazioni di finanza innovativa, quali cartolarizzazioni, ricartolarizzazioni e derivati OTC

L’innalzamento dei criteri di eligibilità e dei ratios minimi di capitale;

L’istituzione di un leverage ratio, con l’intento di contenere l’utilizzo della leva finanziaria da parte degli operatori economici e finanziari in situazioni di crescita, determinato a prescindere dal concetto di rischio;

L’affermazione di nuovi standard di governance

 La notevole attenzione riservata al problema della liquidità, attraverso il concepimento di due indicatori di importanza fondamentale per la gestione monetaria di breve e lungo periodo12

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Basel Committee on Banking Supervision: Basilea 3: Schema di regolamentazione internazionale per il

Figura 4: Introduzione dei requisiti patrimoniali e di liquidità

Nel proseguo del capitolo andrò a riassumere le principali novità e accorgimenti che ha portato Basilea III, concentrandomi particolarmente sugli indicatori di liquidità.

III,1,1 Il Capitale

Le disposizioni relative alla nuova definizione di capitale proprio delle banche, è materia direttamente disciplinata dal Regolamento UE, in particolare dalla parte Due, Titoli I e II. La nuova normativa attribuisce un ruolo prevalente al capitale di maggiore qualità (Common Equity), viene meno il limite superiore del 50% all’incidenza del patrimonio supplementare (Tier 2) sul patrimonio complessivo della banca, visto che sono ora previsti requisiti minimi espliciti per

Common Equity (4,5% degli RWA) e Tier1 (6% degli RWA). Viene inoltre eliminato il Tier 3 originariamente previsto per la copertura dei rischi di mercato, per garantire che anche questi ultimi vengano presidiati con capitale della medesima qualità di quello utilizzato per i restanti rischi. Il Tier 1 è definito capitale di funzionamento in quanto deve ispirare il funzionamento quotidiano dell’intermediario e assorbire le perdite in condizioni di continuità di impresa ed è formato da:

a) Common Equiy Tier 1 (CET1) o capitale primario di classe 1, che è composto da azioni, sovrapprezzi azioni, utili non distribuiti, fondi per rischi generali, filtri/rettifiche e deduzioni13. Le finalità di questa grandezza sono espresse dai requisiti degli strumenti di cui è composta:

- rappresentano gli strumenti maggiormente subordinati in caso di liquidazione

- il valore nominale è privo di scadenza e non è mai rimborsato ad eccezione del caso di liquidazione

- la banca non deve adottare comportamenti che possano, al momento delle emissioni, creare delle aspettative di riacquisto, rimborso o cancellazione dello strumento. (il riferimento a strumenti innovativi non è casuale)

- la distribuzione dei dividendi non è mai obbligatoria - il mancato pagamento non genera mai insolvenza - non ci sono distribuzioni preferenziali

- le distribuzioni vengono effettuate solo dopo l’adempimento di tutti gli obblighi legali e contrattuali e una volta effettuati tutti i pagamenti sugli strumenti di capitale di rango superiore

- ogni strumento è chiamato a coprire le perdite in condizioni di continuità d’impresa: l’importo versato è considerato come capitale proprio e non come passività ai fini della determinazione dell’insolvenza

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Basel Committee on Banking Supervision: Basilea 3: Schema di regolamentazione internazionale per il

Le caratteristiche di questi strumenti e la percentuale di questo tipo di capitale, ci fanno capire come il comitato abbia voluto concentrarsi sulla qualità dello stesso, escludendo gli strumenti innovativi e i debiti subordinati, i quali hanno causato ingenti problematiche agli intermediari nel periodo della crisi. Di questi strumenti è previsto un abbandono graduale che addirittura può spingersi oltre il 2020, in modo da non penalizzare troppo le banche nel loro periodo di capitalizzazione.

b) Additional Tier 1 che è composto da strumenti patrimoniali che, pur non avendo i requisiti per essere ammessi nel CET1, hanno comunque piena capacità di assorbimento delle perdite in condizioni di continuità di impresa e sono gli strumenti di capitale, i sovraprezzi relativi ai suddetti strumenti e alcune detrazioni. Non ci sono molte differenze dal CET1, infatti anche tali strumenti sono subordinati rispetto ai depositi e al debito subordinato, vi è la possibilità di rimborso non prima di 5 anni dalla data di emissione e la piena discrezionalità di annullare le distribuzioni relative agli strumenti per un periodo illimitato. Inoltre tali strumenti non possono presentare un dividendo sensibile al merito di credito, ossia un dividendo o una cedola soggetti ad una ridefinizione periodica basata, anche parzialmente, sullo standing creditizio dell’intermediario e non possono presentare clausole che ostacolino la ricapitalizzazione, come le disposizioni che obblighino l’emittente a compensare gli investitori se in un certo arco temporale viene emesso un nuovo strumento a un prezzo inferiore. Queste ultime disposizioni sono anche finalizzate a evitare la speculazione cioè si vuole su certe componenti di capitale vi siano poche possibilità di lucro. Le disposizioni che governano gli strumenti prescrivono che, al verificarsi di un evento attivatore (CET1 < 5,125% o soglia superiore se determinata dall’intermediario), l'importo del capitale degli strumenti sia ridotto a titolo permanente o temporaneo o che gli strumenti siano convertiti in strumenti del capitale primario di classe 1.

c) Tier 2 o capitale di classe 2 è detto capitale designato a coprire le perdite nel caso di messa in liquidazione della società. È composto da strumenti di capitale e prestiti subordinati, che devono ancora una volta dettare certe condizioni di scadenza e di rimborso e all’investitore non deve essere

riconosciuta la possibilità di accelerare il rimborso dei pagamenti futuri ad eccezione del caso di fallimento e liquidazione della banca. Possono inoltre appartenere al Tier 2 i sovrapprezzi di emissione relativi a tali strumenti e gli accantonamenti su perdite future non quantificabili su crediti (max 1,25% degli RWA metodo standard) e accantonamenti eccedenti le perdite attese (max 0,6% RWA metodo IRB)14. La perdita attesa è quella che le banche riconoscono ex ante e prescinde dalla specificità della singola controparte ed è infatti coperta con gli accantonamenti. La perdita inattesa, cioè la variabilità della perdita effettiva intorno al valore medio, è il vero rischio per l’intermediario èd è la parte che deve coprire con il capitale sia ai fini della vigilanza, sia ai fini di una sana e prudente gestione.

Per quanto riguarda le deduzioni ,ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali, il capitale è sempre al netto delle deduzioni previste dalla regolamentazione. Un aumento delle deduzioni comporta una riduzione del capitale computabile e quindi un maggior fabbisogno di capitale per conseguire i valori desiderati (minimi regolamentari o valori superiori richiesti dall’Autorità di vigilanza o dal management) dei coefficienti di capitalizzazione. Come evidenziato in precedenza, allo scopo di “depurare” i fattori delineati da tutta una serie di elementi suscettibili di fornire indicazioni fuorvianti sull’effettiva solidità del capitale bancario, è stato ritenuto necessario considerare alcuni fondamentali aggiustamenti e deduzioni da apportare al patrimonio di una banca (prevalentemente al common equity). Fra gli elementi integralmente dedotti dal capitale primario di classe 1 (CET1) i principali sono:

- le perdite relative all'esercizio in corso; - i beni immateriali e l’avviamento;

- la differenza tra rettifiche di valore su crediti e perdite attese

- le attività dei fondi pensione a prestazioni definite nel bilancio dell'ente; - investimenti in azioni proprie

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Basel Committee on Banking Supervision: Basilea 3: Schema di regolamentazione internazionale per il

- partecipazioni incrociate nel capitale di entità bancarie, finanziarie e assicurative volte a gonfiare artificialmente la dotazione patrimoniale delle banche

Oltre a questi, si rilevano quali principali elementi di novità della nuova disciplina:

- le attività per imposte anticipate (deferred tax assets, DTA)

- gli interessi di minoranza (Minorities interests): si tratta del patrimonio di pertinenza di terzi nelle banche controllate. Queste risorse, che in passato confluivano interamente nel patrimonio consolidato di vigilanza, verranno ammesse solo per la parte che copre rischi effettivamente presenti nella controllata (che deve essere una banca) in cui è detenuta la partecipazione degli azionisti di minoranza. In altre parole, il patrimonio di terzi è

riconosciuto nel CET1 soltanto in misura pari al requisito minimo di capitale della società controllata. Di conseguenza, l’ammontare degli interessi di minoranza eccedente tale soglia deve essere dedotto dal common equity (in pratica, si tratta della differenza tra il CET1 della controllata e il minimo tra il 7% (4,5% + 2,5% di capital conservation buffer) dei RWA di quest’ultima e il 7% dei RWA consolidati).

- Le partecipazioni significative, cioè quelle in cui la banca detiene più del 10% del capitale ordinario dell’emittente, in società finanziarie bancarie e assicurative fuori dal perimetro di consolidamento. Come in passato, esse vengono dedotti dal patrimonio. Vi sono tuttavia due novità: la prima è che la deduzione si applica alla componente di patrimonio corrispondente a quella degli strumenti dedotti (per esempio, una partecipazione al capitale azionario di un’assicurazione viene dedotta dal capitale azionario della banca partecipante, cioè dal suo common equity, mentre in passato la deduzione avrebbe riguardato in parti uguali Tier 1 e Tier 2). La seconda novità è che, come per le DTA, vengono dedotte solo le partecipazioni che eccedono il 10% del common equity della partecipante mentre i valori al di sotto del 10% restano nell’attivo con ponderazione normale.

III,1,2 Le riserve di capitale

Per cercare di risolvere il problema della prociclicità, ovvero il problema che si lega all’eventualità che l’impianto regolamentare sia risk sensitive (come lo era Basilea II) e vada ad esasperare l’andamento del ciclo economico, Basilea III introduce due buffers di capitale:

- una riserva di conservazione del capitale - una riserva anticiclica

La riserva di conservazione del capitale è obbligatoria ed è entrata in vigore l’1 gennaio 2014 con Basilea III ed è un una ulteriore riserva di CET1. Essa prevede un accantonamento, in periodi non caratterizzati da tensioni di mercato, di riserva pari al 2,5% degli RWA che porta quindi al 7% il requisito totale per il Common Equity. Qualora il patrimonio scenda sotto questo livello, la banca non è tenuta a ricapitalizzarsi e può continuare la propria operatività, ma sarà soggetta a vincoli alla distribuzione del capitale. Tali vincoli saranno più severi quanto maggiore è il divario rispetto al requisito totale in modo da evitare che le politiche di distribuzione degli utili adottati dalla banca determinino la contrazione della base patrimoniale proprio all’insorgere di una crisi. Il vincolo (che vale a livello consolidato) non riguarda soltanto la distribuzione di dividendi in senso stretto ma qualunque pagamento discrezionale agli azionisti, nonché il riacquisto di azioni proprie e i bonus pagati al management. Inoltre, le banche che non rispettano i requisiti di riserve di capitale si devono dotare di un piano di conservazione del capitale che indichi le misure che essa intende adottare per ripristinare, entro un congruo termine, il livello di capitale necessario a mantenere le riserve secondo la misura richiesta. Questa riserva aggiuntiva ha comportato alla banche un aggravio dei costi di funding, poiché il CET1 è il capitale più costoso da accumulare. La finalità di tale buffer è quella di consentire alle banche di accumulare nella fasi positive di mercato e di utilizzarlo senza comportare limitazioni alla normale operatività della banca. Il dubbio su tale meccanismo è se alle banche converrà davvero, in caso di necessità, scendere

sotto il 7% dando un’idea di fragilità al mercato e andando dunque incontro al rischio reputazionale.

La riserva anticiclica è costituita da capitale di qualità primaria ed è stata pensata come buffer in grado di proteggere un intero sistema dall'ipotesi di surriscaldamento del credito, ovvero da una crescita di credito e di altre classi di attivo bancario che possono esprimere una valenza significativa sulla rischiosità degli stessi, che di fatto possono innescare la manifestazione dei rischi sistemici. Tra le due riserve esaminate questa ha una natura e uno sguardo maggiormente macroeconomico. Il calcolo del ratio è complesso e chiama in causa valori e indicatori di mercato. Il riferimento è al singolo paese, quindi per la determinazione del coefficiente ciclico, che può oscillare tra lo 0 e il 2,5, l’Autorità di Vigilanza calcola ogni tre mesi un indicatore di riferimento che riflette il ciclo del credito e i rischi risultanti da una crescita eccessiva dello stesso, tenendo conto delle specificità dell’economia. Tale indicatore è basato sulla deviazione dalla tendenza di lungo periodo del rapporto tra credito e PIL.

III,1,3 Il leverage ratio

Una novità introdotta da Basilea III è il leverage ratio, l’indicatore di leva finanziaria. Durante la crisi è emerso chiaramente come numerose banche che rispettavano ampiamente i requisiti patrimoniali, avevano in realtà sviluppato, nella fase di euforia del ciclo economico, una leva finanziaria molto elevata soprattutto attraverso attività fuori bilancio. In linea con le richieste del G20, il Comitato di Basilea ha proposto di introdurre un requisito minimo di capitale (Tier 1) pari attualmente al 3%, che le banche dovranno detenere rispetto al totale dell’attivo non ponderato per il rischio15. Calcolare l’indicatore sulle attività non ponderate per il rischio è un passo avanti, in quanto Basilea II era un framework regolamentare che poggiava unicamente sugli RWA che risentono delle

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Basel Committee on Banking Supervision: Basilea 3: L’indice di leva finanziaria e i requisiti di informativa

metodologie utilizzate dagli intermediari per la misurazione del rischio. Nella costruzione di questo indicatore il Comitato di Basilea ha tenuto presente la necessità che esso non si presti a facili arbitraggi regolamentari e catturi dunque tutte le attività di una banca (in bilancio e fuori bilancio) e sia neutrale rispetto alle diverse regole contabili vigenti nelle principali giurisdizioni (ad esempio, in Europa e negli Stati Uniti). Anche per il leverage ratio è prevista un’entrata in vigore graduale, per verificarne sul campo gli effetti e poter introdurre i correttivi che dovessero risultare necessari. Esso sarà inizialmente un indicatore che le autorità terranno sotto osservazione e diverrà una regola prudenziale vincolante per le banche a partire dal 2018. Dal 2015 le banche hanno obbligo di disclosure, quindi di informativa al mercato, sul leverage ratio. Questo periodo di osservazione è finalizzato a monitorare, sia livello micro che a livello macro, l’impatto di questo nuovo indicatore per consentire alle Autorità di apportare aggiustamenti alla definizione e alla calibrazione dello strumento, sia dal lato del numeratore, sia del denominatore, sia del loro rapporto. Il denominatore è stata la componente più discussa, ad esempio sulle differenze contabili che possono esserci fra i vari paesi sia per quanto riguarda le poste di bilancio che quelle fuori bilancio.

III,1,4 I rischi di mercato

I rischi di mercato sono un’altra componente di rischio sulla quale Basilea III è intervenuta. Sono i rischi che derivano dagli effetti delle variazioni dei prezzi o degli altri fattori di mercato sul valore delle posizioni (o interi portafogli) scritte sui libri dell’intermediario, sia che siano detenute nel trading book (insieme delle posizioni in strumenti finanziari assunte per soddisfare esigenze di tesoreria e liquidità), sia che risultino dall’operatività commerciale e dalle scelte strategiche cioè il banking book (posizioni assunte con finalità strategiche e che riguardano l’intermediazione creditizia). Per molto tempo paesi come il nostro registravano delle esposizioni a questo tipo di rischio quasi irrilevanti, non si avvertiva l’esigenza di coprire tale rischio mentre in altri sistemi (anglosassoni),

caratterizzati da un minor peso dell’attività tradizionale, i rischi di mercato fanno parte dell’attività bancaria da molti anni. A partire dagli anni 2000 una serie di cause ha fatti sì che tali rischi acquisissero sempre più importanza; tali cause sono riassumibili nelle cartolarizzazioni, con la conseguente diffusione di criteri di misurazione delle attività detenute al valore di mercato, nei derivati finanziari e negli standard contabili internazionali che hanno previsto l’iscrizione a bilancio del valore di mercato per molte attività e passività. A partire dai primi anni ’90 la vigilanza ha trattato tali rischi in maniera sempre più attenta e particolareggiata e le Autorità sono intervenute sui rischi di mercato per la prima volta nel 1993, con una disciplina ad hoc che andava ad integrare l’allora vigente Basilea I. Con tale disciplina il comitato introduce i requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato sulla base di una metodologia standardizzata e nel 1996 aggiunge la possibilità di scegliere un modello interno basato sul Value at Risk (Var). Basilea II ha recepito tale disciplina e non ha apportato modifiche inserendo i rischi di mercato tra i rischi di pillar I e questo si è rivelato un grande errore poiché il mercato dei primi anni 2000 presentava enormi differenze rispetto al mercato dei primi anni ’90 e con lo scoppio della crisi tale disciplina si è rivelata inadeguata. A seguito della crisi, precisamente a luglio 2009, i rischi di mercato vengono rivisti con la “Revisions to the Basel II market risk framework” ridefinita “Basilea 2,5” recepita da Banca d’Italia nel 2011 con l’aggiornamento della 263/2006. Tale rivisitazione, che è andata poi a confluire in Basilea III, è stata

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