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32 Significati, cose, rappresentazioni

1. Per quale sociologia?

Per affrontare da vicino il concetto di rappresentazione nell’opera di Durkheim, insieme alle implicazioni che questo porta con sé, è necessario richiamare una questione preliminare di tipo metodologico ed epistemologico sulla sociologia. Il senso della sociologia concerne certamente all’esperienza del sociale che ogni individuo, in quanto essere sociale, è in grado avere; bensì – per questo – non vi si riduce assolutamente. Ciò non unicamente, perché l’esperienza, eventual- mente, può essere presa dalla sociologia come oggetto di ricerca ma, soprattutto, perché non è sufficiente darsi un oggetto dotato di realtà sociale per disporre al tempo stesso di un oggetto dotato di realtà sociologica. È necessario che questo sia definito e realizzato in funzione di una problematica teorica che consenta di sottoporre a interrogazione sistematica gli aspetti della realtà messi in relazione dalla domanda che a essi viene posta. Nel testo Le métier de sociologue (1968) è contenuta una pagina significativa che pone di fronte al come, oggi, lo scienziato si debba disporre nei confronti della propria scienza (Bourdieu, et al. 1976, 55 e ss.). Ne riportiamo il passo per esteso:

«Il punto di vista, dice Saussure, crea l’oggetto». Vale a dire che non è possibile definire una scienza secondo il dominio del reale che le apparterebbe in proprio. Come osserva Marx, «la totalità concreta in quanto totalità pensata, concreto pensato, è in effetti un prodotto del pen- siero, dell’atto di concepire [...]. La totalità, quale essa appare nello spirito come un tutto pensato, è un prodotto del cervello pensante, che si appropria del mondo nel solo modo pos- sibile, modo che differisce dalla appropriazione di questo mondo nell’arte, nella religione o nello spirito magico. Il soggetto reale sussiste dopo come prima, nella sua autonomia al di fuori dello spirito». È lo stesso principio epistemologico, strumento di rottura del realismo ingenuo, che formula Max Weber: Non sono i rapporti reali tra le cose, afferma Weber, che costituiscono il principio della delimitazione dei differenti campi scientifici, ma i rapporti concettuali tra i problemi. Solo laddove si applica un metodo nuovo a problemi nuovi e si scoprono in tal modo nuove prospettive nasce una «scienza nuova» [...]. È legittimo vedere nel principio durkheimiano secondo il quale «bisogna trattare i fatti sociali come cose» [l’ac- cento va messo sul «trattare come»] l’equivalente specifico del colpo di stato teorico con cui Galileo costituisce l’oggetto della fisica moderna come sistema di relazioni quantificabili, o della decisione di metodo con cui Saussure riconosce alla linguistica la sua esistenza e il suo

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oggetto, distinguendo la lingua e la parola: è infatti una simile distinzione che formula Dur- kheim, quando esplicitando completamente il significato epistemologico della regola cardi- nale del suo metodo, afferma che nessuna delle regole implicite che condizionano i soggetti sociali «si ritrova interamente nelle applicazioni particolari che ne vengono fatte, poiché esse possono esistere anche senza che vengano attualmente applicate». La seconda prefazione delle Regole spiega a sufficienza che si tratta di definire una attitudine mentale e non di assegnare all’oggetto uno statuto ontologico (Ibidem, 59).

Al di là degli esisti critici del brano, ampiamente ri-discutibili dal presupposto del realismo critico, questo ci un fatto ben preciso: prima ancora di sapere che cosa sia la sociologia, quale siano i suoi ambiti di ricerca, le sue teorie, i suoi metodi, è indispensabile capire come si guardi in generale alla scienza. Il passo pone pertanto una riflessione preliminare che accompagnerà la discussione sulla natura delle rappresentazioni. Si rivela così una necessità di avere un senso sociologico dei fenomeni che sono sottoposti alla ricerca. Questo equivale a dire che occorre una sociologia. Tale senso e la sociologia sono inscindibili, poiché il senso apre alla realtà e la “rende” conoscibile, ossia è tutt’uno con la sociologia stessa. Ed è sempre grazie a tale senso che l’esperienza comune degli esseri sociali viene trasformata dal suo stato pragmatico e prerifles- sivo in oggetto di analisi e di ricerca.

Questo assunto può aiutarci a capire che il problema metodologico non può tralasciare il modo in cui viene compreso e costruito il senso dell’oggetto della ricerca sociologica. Nondimeno ciò non è sufficiente. Se non è infatti possibile prescindere dal senso, dobbiamo comunque tenere distinte diverse questioni di carattere teoretico e metodologico, così come i diversi piani di ana- lisi, per quanto questi, inevitabilmente, si intersechino e concorrano tutti alla ricerca. Il venir meno del realismo e dell’empirismo ingenui – della concezione che ritiene che la conoscenza muova da ciò che immediatamente si offre alla sensazione – ha comportato un nuovo modo di intendere il rapporto nel conoscere tra conoscente e conosciuto, spostando l’interesse verso le modalità attraverso le quali si rende possibile il conoscere e verso l’individuazione dei criteri che possono rendere certo lo stesso processo conoscitivo. Con il venir meno della gnoseologia, a beneficio della dottrina e del metodo, la ricerca scientifica delle regole ha guadagnato un’impor- tanza via via maggiore: le regole devono presiedere ai ragionamenti, ai metodi, devono conferire oggettività, scientificità, alla stessa conoscenza. Una volta riconosciuto che è tramite una rela- zione che sono portati a conoscenza degli oggetti, diventa di primaria importanza esaminare come viene effettuata questa operazione e sottoporre le conoscenze ottenute a controlli rigidi. Il

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realismo ammette che attraverso i sensi ci sia data immediatamente la realtà esterna (realismo immediato), quella che diciamo formata da cose e che, pertanto, il giudizio che possiamo elargire su tale realtà, o sulle cose, abbia un’evidenza immediata. Tuttavia, come sappiamo, la sensazione può ingannarci e, di conseguenza, occorre riconoscere che la natura delle “cose” non ci è data immediatamente, bensì mediatamente, in concetti, in categorie, per quanto tramite essi ci sia dato qualcosa. Il realismo mediato ammette che attraverso i sensi si ha la conoscenza dell’esistenza di qualcosa di indipendente dalla nostra coscienza e che solo mediatamente, mediante la ragione, secondo le modalità intellettive del conoscente, si possa pervenire a una conoscenza della natura della realtà. La natura del reale, delle cose, per quanto non sia colta immediatamente nei dati sensibili, è tuttavia informata, pensata ed elaborata dalla ragione a partire da essi. Se non pos- siamo accedere a una conoscenza immediata di ciò che è – se la conoscenza è sempre conoscenza mediata – l’uomo non potrà pervenire che a una conoscenza di ciò che riesce a cogliere e che solo così gli si mostra, ossia nei limiti delle sue facoltà conoscitive e degli schemi interpretativi che lo orientano verso il reale.

2. Oggetti e soggetti della sociologia

In un’intervista rilasciata al mensile Alfabeta raccolta da Franco Volpi, Niklas Luhmann, ri- ferendosi alle teorie sociologiche classiche che si basano su concetti quali azione, ruolo, aspet- tativa, ecc., sosteneva che «Il potenziale descrittivo di questi concetti sembra oggi esaurito. Certo di continuo si verificano [...] tentativi di reinterpretare i classici della sociologia, ma queste in- terpretazioni rimangono sterili; possono essere paragonate all’opera di chi rosicchia sempre lo stesso osso. L’intenzione fondamentale della teoria sistemica della società è invece quella di fornire una serie molto articolata e complessa di strumenti e di concetti – come ad es. senso, evento, relazione, complessità, contingenza, azione, comunicazione, sistema, autopoiesi ecc. – ricavati non pescando nel serbatoio della tradizione, ma sviluppando una considerazione inter- disciplinare» (Volpi 1987, VII). Nella stessa intervista Luhmann denunciava la crisi teorica in cui si trova la sociologia, e concludeva: «La rassegnazione è tanto diffusa che non si tenta nem- meno di fondare la particolarità dell’ambito concettuale proprio della sociologia né la sua unità specifica di disciplina scientifica» (Ivi). Non è possibile una ri-costruzione teorica della sociolo- gia senza condurre un confronto con i classici della sociologia, non tanto “per rosicchiare sempre lo stesso osso”, ma per restituire alla sociologia la sua specificità teoretica. Del resto, si può aggiungere che rompere con il passato può comportare il rischio di smarrire il discorso

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sociologico insieme alla sua problematica. Pertanto, non ci si rifugia nella “storia” della socio- logia per evitare di ricercare una nuova teoresi o peggio per evitare di fare sociologia. La socio- logia non può essere sostituita dalla storia della sociologia, si riprende la lettura dei classici nella convinzione che, ieri come oggi, fare sociologia consista pur sempre nel fare sociologia: si leg- gono ancora di nuovo i classici perché dalle loro opere si può attingere il senso del discorso sociologico.

Potremmo riprendere o ripetere, volendo, l’esperimento che Raymond Boudon suggerisce all’inizio della sua opera La logique du social (1979), ovvero di sfogliare le riviste specializzate di sociologia per verificare di che cosa essa s’interessa maggiormente, convinti di poter così circoscrivere la classe dei fenomeni sociali di pertinenza di questa disciplina (Boudon 1980). Tuttavia, resteremmo delusi e disorientati alla luce dell’eterogeneità degli argomenti che vi tro- veremmo trattati! Troveremmo che, grosso modo, la sociologia s’interessa a tutto ciò che ri- guarda la vita in società degli uomini e, quindi, il nostro esperimento non ci aiuterebbe affatto a delimitare il campo degli interessi della sociologia.

In effetti tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo non può che riguardare anche la sua vita sociale e, pertanto, qualsiasi fenomeno sociale può divenire oggetto di studio della disciplina. Però, la sociologia non accosta i fenomeni sociali, e i problemi della con-vivenza sociale, come se questi costituissero in sé l’oggetto di studio della sociologia, che del resto li condivide con altre scienze. Essa, invero, si rivolge a questi a partire da un modo particolare di intenderli in qualità di oggetto. Lo stesso Boudon, ad esempio, considera i fenomeni sociali come fenomeni di aggregazione, vale a dire come fenomeni che presentano determinate caratteristiche che con- sentano di riconoscerli come oggetto di analisi della sociologia. E questo modo di intendere e di accostare i fenomeni si ripercuote inevitabilmente sulla costruzione delle teorie e sulla spiega- zione dei medesimi.

Non diversamente il pensiero di Durkheim ci ricorda che occorre muovere da un’idea chiara di ciò che forma il dominio della scienza, sottolineando che tale compito è tanto più urgente se si pone attenzione al fatto che

la sua sfera di azione [della scienza sociologica] può essere estesa allo infinito non essendovi fenomeno che non si svolga nella società a partire dai fatti fisico-chimici sino ai fatti vera- mente sociali. Occorre adunque isolare accuratamente questi ultimi fatti, mostrare ciò che ne forma l’unità, affinché non si riduca la sociologia a non essere se non un titolo conven- zionale applicato ad una aggregazione incoerente di discipline separate (1976, 138).

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Durkheim pensa ai fatti sociali che sono oggetto della sociologia e che in quanto tali sono distinti da altri tipi di fatti che, pur avvenendo nella società, non per questo sono assunti in qualità di oggetto dalla sociologia, perché non ne soddisfano i requisiti. Lo stesso Simmel, a sua volta, denuncia il modo di argomentare di coloro che a partire dalla constatazione che «ogni agire si svolge nell’ambito della società e che nessun agire può sottrarsi alla sua influenza, tutto ciò che non era scienza della natura esterna doveva essere scienza della società» (1998, 6). Per costoro la sociologia si presentò come «il territorio onnicomprensivo in cui si trovavano insieme l’etica e la storia della cultura, l’economia politica e la scienza delle religioni, l’estetica e la demografia, la politica e l’etnologia, poiché gli oggetti di queste scienze si realizzavano insieme nel quadro della società: la scienza dell’uomo si configurava come scienza della società» (Ivi).

Sia Durkheim, sia Simmel condividono la prospettiva che non si dà sociologia semplicemente a partire da quelli che comunemente sono ritenuti i fatti o i fenomeni sociali. Non a caso Simmel solleva il problema se si possa dare una scienza generale della società. Lo stesso Dilthey, par- tendo da una serie di considerazioni simili, si chiede se sia possibile una sociologia generale, o se siano possibili solo sociologie speciali, a seconda del variare dei fenomeni considerati, fino a chiedersi se una sociologia generale, in fin dei conti, non si dissolva nelle scienze umane. Dil- they, come sappiamo, respinge l’idea che si possa dare una scienza generale della sociologia che organizzi in un tutto sintetico i diversi e molteplici fenomeni sociali. Sarebbe, a suo giudizio, come ammettere che «siccome nella natura certi processi fisici, chimici e biologici sono con- giunti e si svolgono entro il medesimo mondo fisico materiale, allora si devono necessariamente fondare in una sola scienza» (1974, 541). Invero, le scienze particolari della natura tendono a ridurre le leggi generali a leggi di ordine più generale tanto che una scienza generale della natura si delinea come una prospettiva problematica, non il punto di partenza. Allo stesso modo non è possibile pretendere che i fenomeni sociali siano fenomeni collegati gli uni agli altri e perciò stesso riducibili sotto leggi generali – cosa che non è neppure possibile per le scienze della natura – e in ogni modo questa prospettiva dovrebbe costituire eventualmente un punto di arrivo e non già di “partenza”. Non è dunque possibile alla sociologia darsi, fin dal suo momento costitutivo, uno statuto di scienza sintetica generale della totalità sociale.

Dilthey rigetta in tal senso l’appellativo di scienza alla sociologia, nella misura in cui essa si presenti come «una scienza sola» e si definisca come sintesi di «tutto ciò che de facto ha luogo nella società umana […] Il principio presente alla base di tale sintesi sarebbe che quanto accade nel decorso storico della società umana, si debba necessariamente raccogliere nell’unità di un

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medesimo oggetto» (Ivi). Dilthey pensa alla sociologia di Comte, di Stuart Mill, di Spencer, di Schäffle e di Lilienfeld, secondo i quali, avendo la sociologia quale oggetto la convivenza sociale umana, questa debba includere come sue parti anche il diritto, il costume, la religione. Così non si dà un’unica scienza sociale, ma diverse scienze sociali, o meglio, discipline sociali o scienze dello spirito. Egli riconosce come valido il tentativo di Simmel che, nell’intendere quale oggetto della sociologia la forma sociale che permane la stessa nella variazione, apre un nuovo campo d’indagine scientifico. Tuttavia, rispetto a Simmel, Dilthey si sofferma sul fatto che la «forza connettiva» della forma sociale delle diverse associazioni non va ricercata solo nei corrispon- denti momenti psichici degli individui in esse coinvolti, ma anche nei rapporti che derivano dalla natura dell’associazione stessa, quale è il caso della comunanza, della famiglia o del rapporto generazionale in modo più ampio.

Questo riporta il discorso alle origini della sociologia. L’impostazione di Comte – così come la sociologia di Spencer – non delinea il proprio senso a partire dai fenomeni, poiché riconduce i fenomeni religiosi, artistici e di costume allo stesso principio che presiede alla formazione della società. Per Comte creare una scienza nuova, quasi dal nulla, significa creare simultaneamente le osservazioni e le leggi, vale a dire produrre un’idea direttrice – quella di “umanità”, quella di “consenso” – che permetta di formulare una teoria che abbia una funzione anticipatrice, in grado di individuare e accostare i fenomeni ai quali conferire lo statuto scientifico di oggetto di cono- scenza sociologica. La costituzione della sociologia come scienza richiede la formulazione di una visione che sia già di per sé sociologica, che possa trasformare le osservazioni che sponta- neamente facciamo nella vita sociale, e le concezioni che ne abbiamo, in oggetto di studio della sociologia. Se non fosse così le nostre osservazioni rimarrebbero allo stato frammentario e non potrebbero essere oggetto di una conoscenza sociologica. Si ha conoscenza sociologica nella misura in cui quelle osservazioni sono guidate da un’idea relativa a ciò che bisogna intendere per oggetto della sociologia.

Dilthey, invece, respinge il voler ricondurre i fenomeni religiosi, artistici e di costume allo stesso principio che presiede alla formazione della società, qualificando un tale tentativo come metafisico. A suffragio della sua posizione pone la seguente argomentazione: «Se potessimo immaginarci la Terra abitata da un unico individuo, costui, nel corso di una vita che bastasse per un simile sviluppo, svilupperebbe queste funzioni da se stesso in perfetta solitudine» (Ibidem, 542-543). Questa immagine di fatto capovolge il senso di quella comtiana, secondo la quale occorre, al contrario, bisogna trattare tutto lo sviluppo dell’Umanità come se fosse quello di un

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unico individuo. Per Comte “quelle” funzioni si sviluppano solo tra gli uomini, di modo che considerare l’uomo in sé, isolato dagli altri, sarebbe una pura astrazione.

Nel richiamare questi “primi passi” della sociologia si mostra come la discussione vertesse intorno al senso che deve aprire i fenomeni all’indagine sociologica e come quella si arenasse tutte le volte che si pretendeva di attingere direttamente dai fatti il senso della sociologia. Di questo lavoro critico delle varie posizioni disciplinari, assunte sul piano delle diverse dottrine, ne è particolarmente consapevole Simmel nel delineare l’oggetto di studio della sociologia e il suo corrispondente statuto scientifico:

Allo stesso modo [della società] si può ripetere che le uniche realtà propriamente dette sono sempre e soltanto gli individui umani. Ma di questo passo non si ottiene nulla. La società non è una sostanza e, di per sé, non è nulla di concreto; è un evento, è la funzione dell’«agire e patire», è il destino e la forma cui ciascuno va soggetto per via degli altri. La percezione diretta ci rivela soltanto la presenza di individui e di uno spazio vuoto che invariabilmente li separa. È questa una osservazione sulle cui conseguenze avremo modo di tornare più avanti. Ma se è vero che, in base ad essa, le uniche «esistenze» in senso stretto sono gli individui, è anche vero che l’accadere, la dinamica dell’agire e patire – con cui questi individui si tra- sformano a vicenda – continua a darsi come qualcosa di «reale» e di indagabile. Dalla totalità o dall’immediatezza esperibile dei fenomeni, ogni scienza isola una serie o una dimensione particolare, servendosi di volta in volta di un determinato concetto. L’operato della sociolo- gia non è meno legittimo di quello di altre scienze, visto che anch’essa scompone le entità individuali, le ricompone con un concetto adeguato e, così facendo, cerca risposta ad inter- rogativi di questo tipo: che cosa accade fra gli uomini? (1983, 42-43).

Il concetto di “evento” sottolinea che si può parlare del sociale solo quando due o più individui si relazionano reciprocamente e danno luogo a forme di associazione per i motivi più svariati.

Quando Weber delimita l’azione sociale, nei confronti dell’azione umana, è totalmente con- sapevole di offrire uno schema concettuale all’interno del quale diviene significativo per la so- ciologia il proprio campo di studio. Nello stesso tempo si pone il presupposto che costituisce la sociologia come una scienza autonoma. Sotto questo aspetto la sociologia non ha presupposti se non quelli grazie ai quali essa stessa si auto-comprende come sociologia e che rimette in discus- sione tutte le volte che si attua in termini di ricerca. Il modo con cui Weber pone la sociologia come scienza è influenzato dalla filosofia neokantiana – e da quella di Rickert in particolare – oltre che dall’epistemologia scientifica del tempo, impegnata ancora nella discussione tra scienze

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della natura e scienze dello spirito. Il riconoscimento critico che il pensiero di Weber sia stato influenzato dalla filosofia del suo tempo o dal dibattito intorno allo statuto scientifico della so- ciologia, non aggiunge e non toglie nulla alla mossa concettuale che pone la sociologia come scienza. È infatti all’interno di questo quadro che Weber forma il proprio pensiero che, nello stesso tempo, non va affatto disgiunto dal modo con cui egli ha voluto intendere “fare” sociolo- gia. Il fatto che il suo pensiero abbia risentito del clima culturale del suo tempo non costituisce

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