• Non ci sono risultati.

85 Rappresentazione, consensus e associazione Su conoscenza, epistemologia e ontologia sociale

1. Introduzione

Durkheim è legato a Comte dalla comune idea positivista, o meglio, condivide con esso la concezione positivista dell’oggettività. La critica di Durkheim a Comte, che emerge ripetuta- mente e in diverse occasioni, riguarda piuttosto l’impostazione teorica e concettuale del suo pro- gramma di sociologia, a vantaggio di una prassi empirica dello studio sociale. Con Durkheim si avvia infatti una sociologia in cui i principi del pensiero comtiano (e positivista in generale) sono tradotti in una concreta prassi di ricerca sociale, formalizzata in regole metodologiche. Circo- scrivere un oggetto di studio particolare non basta tuttavia a fondare una scienza, perché è ne- cessario possedere un metodo rigoroso di analisi e spiegazione. È con tale impostazione che si può senz’altro parlare di scienza della società con un proprio oggetto, la quale possiede specifici compiti, un proprio metodo, e che, principalmente, contempla come correlativo della costruzione che fa capo all’impianto teorico il ricorso alla ricerca empirica: essa contempla il nesso empirico come requisito metodologico della teoria scientifica, a cui questa non potrà affatto ridursi (Heil- bron 1993, Petit 1995, Gane, 1997, Berthelot, 2002).

È necessario, da subito, riconoscere l’azione attiva dell’olismo comtiano nel farsi della teoria durkheimiana, anche se quest’ultima argomenta differentemente, e con altra “forza”, la realtà della vita sociale (Nisbet 1965 e 1987; Tiryakian 1979; Stedman Jones 2002a; Lehmann 1993; Rossi 1982; Boriani 2002). Ciò che importa – e che fa tutt’uno col riportare in luce i nessi qui proposti tra Comte e Durkheim – è la comprensione del modo con cui la sociologia, nel costruire l’oggetto che apre il reale sociale all’investigazione, si autolegittima come scienza o sapere. Di conseguenza pensiamo che la sociologia abbia avuto origine come una scienza autonoma nel momento stesso in cui ha preso consapevolezza di essere una scienza senza presupposti o, in ogni modo, con presupposti diversi da quelli che essa stessa si dava. Tale consapevolezza è co- mune sia al sorgere della sociologia positivistica, sia al sorgere della sociologia all’interno del dibattito tra scienze della natura e scienze dello spirito. Non è un caso che negli attuali studi riguardanti il pensiero comtiano si sia palesato un richiamo verso qualcosa di perduto e di cui, tuttavia, si sente il bisogno: in particolare proprio quell’idea collettiva di Umanità, che Comte guadagnava dal proprio spirito di sistema, e che oggi è forse irrimediabilmente condizionata dalle frammentazioni economiche, etniche, politiche e religiose (Padovani 1996, De Boni 2005).

86

La sociologia si dà nel momento in cui il sociologo ha la consapevolezza di porre questa come disciplina e scienza autonoma, cioè senza presupposti che siano altri, o diversi, da ciò che essa pone nel suo atto costitutivo, nello stesso tempo in cui il sociologo definisce, o delinea, la visione che gli apre un campo del reale sociale, e che gli rende intelligibili i fenomeni sociali. Vi è così uno spazio che è tutt’uno con il costituirsi della sociologia, il quale non si confonde irrimedia- bilmente con gli spazi che sono propri delle teorie, delle tradizioni e delle dottrine dei saperi sociologici e dell’epistemologia, per quanto esso concorra a delimitarli. Questo spazio è quello che pone il senso stesso del discorso e dell’indagine sociologica, esso legittima il discorso so- ciologico rispetto a tutti gli altri, ugualmente legittimi, sebbene differenti per il senso delle loro indagini.

Già Comte, mentre conia il termine con cui prende nome la sociologia, era consapevole di “creare” una scienza nuova, quasi dal nulla, senza alcun presupposto se non quello con cui pone a oggetto della sociologia lo studio dell’Umanità. Nel creare la sociologia Comte è assolutamente consapevole di dover costituire un «ordine completo di concezioni scientifiche, che nessun filo- sofo precedente ha mai neppure delineato e la cui possibilità non era mai stata neppure esatta- mente intravista» (Comte 1979, I, 44)24. Ciò ha un significato ben preciso: creare una scienza

nuova, quasi dal nulla, significa creare simultaneamente le osservazioni e le leggi, significa pro- durre un’idea direttrice che permetta di formulare una teoria che abbia una funzione anticipatrice, in grado di individuare e accostare i fenomeni ai quali conferisce lo statuto scientifico di oggetto di conoscenza sociologica. La costituzione della sociologia come scienza richiede la formula- zione di una visione che sia già di per sé sociologica, che possa trasformare le osservazioni che spontaneamente facciamo nella vita sociale e le concezioni che ne abbiamo in oggetto di studio della sociologia. L’idea guida, in senso comtiano, è quindi che i fenomeni sociali siano fenomeni relazionali, i quali formano un sistema di connessioni generali, secondo gli assi della statica e della dinamica, che presentano un consenso, insieme a forme simboliche e materiali di solidarietà e di coesione, come la religione, la morale, la fiducia interpersonale, l’altruismo, il potere poli- tico, la scienza, ecc. Per Comte, in tale ottica, l’empirismo è nemico, come il misticismo, della scienza positiva, nel momento in cui questo è capace unicamente di un’inefficace erudizione, la quale accumula, in modo meccanico, miriadi di fatti, ma senza aspirare a dedurli gli uni dagli altri. La scienza, altresì, è tale perché avendo per oggetto la scienza dei fenomeni, supera il piano

24 Visto il carattere poco maneggevole delle opere comtiane, e la rarità conseguente delle riedizioni, diamo in nota quando necessario le antologie critiche più recenti e/o le edizioni più accessibili al lettore.

87

della semplice osservazione diretta (Poggi 1999). Questo è in piena coerenza con l’idea di società di Comte, un sistema composto da parti omogenee le cui molteplici e diversificate «forze» o «attività» sono guidate da un «fine generale», che «fissa il senso in cui tutto il sistema deve essere concepito» (Comte 1969, 85).

1. Presupposti e spirito di generalità. O l’esprit de généralité come fondamento per l’analisi sociologica.

Comte ci mostra chiaramente che non si dà scienza senza presupposti – ossia senza che vi sia una visione preliminare, un’intuizione – che azionino e rendano agibili le stesse procedure scien- tifiche. Tuttavia, nello stesso tempo emerge che il presupposto che rende possibile l’indagine e la ricerca sociologica è tutt’uno con la stessa sociologia, non è ad essa predato. Di conseguenza è vano ricercare un fondamento che sia esterno alla sociologia stessa, nel momento in cui essa mette costantemente in gioco se stessa e la visione che vi presiede tutte le volte che svolge delle indagini empiriche. Questa consapevolezza è ben presente in Comte che, grazie alla legge dei tre stadi e allo spirito della filosofia positiva, fa interagire le tradizioni del pensiero della filosofia sociale a lui precedente e contemporanea con la realtà osservata, muovendo da una comprensione della medesima orientata in senso sociologico: ovvero, secondo quello spirito dell’insieme che deve guidare la ricostruzione sociologica della realtà. Tale esprit de généralité è ciò che apre all’analisi sociologica. Qui è necessario procedere abitualmente dall’insieme alle parti, seguendo il «carattere d’insieme» proprio del metodo sociologico, «poiché l’insieme dell’argomento [l’en- semble du sujet] è certamente allora molto meglio conosciuto e più immediatamente accessibile delle diverse parti che vi si distingueranno ulteriormente» (Comte 1979, I, 237). Similmente alla biologia, che ha come oggetto di studio la vita che appartiene all’insieme dell’organismo, l’og- getto di studio della sociologia è l’insieme sociale, il sistema sociale, in cui il consenso, il senso del formare un unico corpo, vi è diffuso in ogni sua parte: qualcosa che ciascuno può ritrovare in sé nell’esperienza soggettiva e che, quindi, è immediatamente conosciuto prima, e meglio, delle parti.

Questa idea guida che prelude alla comprensione e all’identificazione dei fenomeni sociali, si traduce nel principio metodologico di considerare e di spiegare i fenomeni in relazione gli uni agli altri. Se si tace su questo punto fondamentale della sociologia comtiana si può restare vittime della convinzione, erronea, di ritenere che il pensiero di comtiano sia «ostile all’individuo» (In- fantino 2011, Antiseri 1992, 1993, 2005; Antiseri e Pellicani 1995). Comte, in effetti, respinge

88

l’idea dell’economia politica che l’ordine sociale possa essere il risultato inintenzionale di scelte intenzionali individuali. Egli rifiuta l’idea che questo modello possa essere assunto come una teoria generale della società, come se l’organizzazione sociale potesse regolarsi unicamente sul principio dell’uomo egoista. Negt, giustamente, precisa che Comte vede come

errore fondamentale dell’economia politica il fatto che essa, operando una “sistematizza- zione dell’anarchia” cerchi di confermare esplicitamente l’esistenza di un movimento retto da leggi autonome nei rapporti di produzione e di scambio, e di dimostrare fondamental- mente l’inutilità di una specifica istituzione destinata direttamente a regolare l’ordinamento spontaneo delle forze economiche (Negt 1975, 44).

Comte argomenta sì le ragioni della sociologia come scienza generale della società, di cui l’economia politica è parte, ma in primo luogo non nega affatto l’esistenza dell’individuo. È tramite l’individuo che la società si sostiene e si sorregge, ma è soprattutto tramite la volontà degli individui, il loro volere, che il rinnovamento della società deve necessariamente passare. Sostenere che Comte commetta «l’errore di considerare il sociale, inteso in senso lato, cioè la condizione stessa dell’essere umano, come un qualcosa che abbia esistenza al di fuori degli in- dividui» (Infantino 2011, 80), è una critica che esclude completamente il versante epistemolo- gico, per privilegiare forse quello ideologico, generando così un malinteso che caratterizza, in generale, l’interpretazione del pensiero sociologico comtiano e, per certi versi, durkheimiano. Comte, infatti, riprende e sviluppa all’interno dell’economia della propria filosofia del progresso, che indica la finalità della storia umana – anche se questa resterà «mai completamente realizza- bile» – l’idea di Pascal, per cui «l’intera successione degli uomini, durante il corso di tanti secoli, deve essere considerata come uno stesso uomo che sussiste da sempre e che impara di continuo [un même homme qui subsiste toujours]» (Pascal 1978, 275). Dove si trova, a questo punto, la negazione dell’individuo, se non in una lettura unicamente ideologica di Comte? Inoltre, Comte si serve del pensiero di Pascal anche come immagine plastica, cioè per sintetizzare lo spirito generale della sua visione sociologica, secondo la quale i fenomeni sociali vanno visti in base al duplice punto di vista della connessione di coesistenza con gli altri fenomeni e di successione con lo stato anteriore dello sviluppo umano. Di conseguenza, nell’insieme del pensiero comtiano, in cui lo sviluppo umano è parte di quello più ampio, e generale, della natura, l’evoluzione umana va vista come se costituisse un unico individuo, una «unità sociale». In altri termini, l’umanità, tutta, deve essere pensata come un sistema di parti tra loro interconnesse, sottolineando a più

89

riprese, e con forza, l’esigenza metodologica che le parti – l’individuo, le forme di associazione, ecc. – debbano essere viste nel tutto e il tutto nelle parti, perché come le une non si danno senza l’altro, il tutto non si dà senza quelle. Per rimanere nell’ambito puramente sociologico, Comte intendeva affermare che il sociale è tanto negli individui che nell’umanità, nel suo sviluppo, nella sua storia e nella sua evoluzione, insieme biologica e culturale.

La necessità di pensare la relazionalità delle parti rispetto al tutto, e del tutto rispetto alle parti, rinforza quindi la necessità del primato metodologico del tutto rispetto alle parti come idea me- todologica di guida dell’analisi. Dei fenomeni organici e sociali noi conosciamo meglio il tutto che le parti, infatti intuiamo, se vogliamo ritradurre l’immagine di Comte, che esse non possono che costituire un tutt’uno che si tiene, anche se non conosciamo con precisione le modalità delle loro relazioni generali. Si può discutere tuttavia se Comte concepisca il sistema sociale come una cosa che sta, esiste, nel mondo – di certo è parte del mondo – ossia se egli reifichi i concetti che fungono da guida all’analisi, ma questa non sembra tuttavia la prospettiva corretta. A una lettura serrata non può sfuggire che Comte scrive chiaramente, nel Cours, che il «vero spirito generale proprio della nuova filosofia politica» (1979, 263) è lo stesso delle altre scienze positive, essa ne deve assumere «la posizione razionale» (Ivi). In tal senso, deve evitare con cura di ricadere nelle posizioni proprie della filosofia metafisica che ricerca la natura intima dei fenomeni come causa del loro prodursi e accadere. Nondimeno, questo problema è secondario rispetto allo scopo che qui ci siamo proposti di portare in evidenza. Ci preme mettere in rilievo la modalità con cui viene posta, insieme all’oggetto, la sociologia stessa, vale a dire la costruzione della sociologia, sia che la si voglia intendere come una scienza, sia che la si intenda come dotata di caratteristiche pro- prie, dal momento che essa è da mettere in rapporto a un punto di vista che è un modo particolare di guardare verso ciò che, in tal modo, diviene visibile e intelligibile al suo sguardo. Esso funge da presupposto e da mossa concettuale preliminare – se si vuole metodologica e/o epistemologica – grazie alla quale la sociologia si rende possibile e si auto-riconosce come disciplina autonoma. L’uomo da sempre ha pensato e riflettuto sul sociale e sui problemi che questo ha posto alla sua attenzione, ma lo ha quasi sempre fatto a partire da presupposti diversi e altri da quelli che si sono affermati con la sociologia, e che la sociologia ha posto al suo nascere. Con Comte il sociale stesso è stato concepito come campo a partire dal quale è possibile pensare l’uomo in termini scientifici.

Se per parlare di sociologia non si può prescindere dal presupposto che la pone, tuttavia ci si può sempre applicare in una riflessione che tenti di chiarirlo. Abbiamo già accennato al fatto che il presupposto è tutt’uno con il pensiero sociologico, ma non vi possiamo ricercare la ragione

90

ultima, fondativa, giacché la sociologia stessa ne è il suo sviluppo. Solo dal momento in cui si pone, la sociologia può condurre un’auto-riflessione all’interno della quale ricuperare il pensiero che insieme l’ha resa possibile e che essa è in fin dei conti. La sociologia può certo ricercare le condizioni storico-sociali che l’hanno resa possibile, può fare sociologia della sociologia, eppure in questo processo logico-evolutivo possiamo chiederci: essa sfugge a se stessa? Diviene auto- referenziale? Non necessariamente, se nello sforzo di auto-riflessione la sociologia riporta co- stantemente in gioco se stessa, insieme alle sue ragioni giustificative e argomentative. Inevita- bilmente essa coinvolge ragioni giustificative e argomentative che possono essere di ordine me- todologico, epistemologico, filosofico, ma lo fa dal suo interno, dal punto di vista che gli è pro- prio, dall’interno del suo presupposto. È essenziale la differenza di questa prospettiva costitutiva della sociologia da una prospettiva che vede abdicare la sociologia alla filosofia, alla metodolo- gia, all’epistemologia o alla psicologia, poiché crede che queste siano in grado di chiarirne il presupposto, o peggio, di costituirne il fondamento. Se si ribadisce questa posizione è necessario riconoscere che con Comte si è aperto, inevitabilmente, uno spazio concettuale, ma anche una tradizione di pensiero, su cui le sociologie successive, necessariamente, sono ritornate per argo- mentare criticamente, a partire da quei presupposti “nuovi” per nuove forme di sociologia. Non si deve affatto trascurare che per Comte la storicità delle condizioni del sapere è articolata alla storicità del complesso delle forme di vita umane. Il positivismo comtiano afferma che le scienze non possono affatto sfuggire agli effetti esercitati su di esse dall’insieme indefinito delle loro condizioni storico-sociali di effettuazione, ma ciò significa che la loro storicità è in dipendenza dalla loro esistenza in atto, e dall’insieme delle loro relazioni: ciò radicalizza, se vogliamo, il discorso comtiano relativo all’autonomia dell’«organo» scientifico, rispetto alla struttura dell’or- ganismo umano. In questa direzione Foucault potrebbe aver ragione nell’attribuire Comte all’epistème storica del XIX secolo (Foucault 1994, 341), anche se, tuttavia, lo stesso avrebbe torto sulla riducibilità di tale epistème a una problematica antropologistica – se intendiamo però un’antropologia «fisica» (Cavazzini 2006). Il positivismo è infatti quel momento in cui le diffe- renti positività storiche si emancipano dall’antropologia, sebbene non la neghino, e in quest’am- bito emerge, senza appelli, l’umanità quale sistema tra sistemi, ma sempre ricompreso nel si- stema della vita e articolato in differenti sottosistemi – religione, scienze, tecnica.

91

2.1 Consenso e conoscenza

La Lezione LVIII del Cours affronta il problema della sintesi dei distinti che dà luogo alla conoscenza. La comparsa dello spirito positivo si caratterizza per Comte con la «sostituzione necessaria del relativo all’assoluto» (Comte 1979, II, 629). La conoscenza non può affatto deri- vare da principi primi, eterni, necessari e immutabili, ma deve essere considerata in base alla struttura contingente dell’essere che la effettua. Il sapere sociologico non può dunque non porre in relazione, combinandoli, necessità razionale e contingenza empirica:

La completa generalità è dunque incompatibile con una perfetta realtà. Il nostro vero regime logico esige che queste due condizioni egualmente indispensabili siano innanzitutto separate adeguatamente per essere successivamente saggiamente combinate […] Leggi puramente empiriche non converrebbero ad altri casi che a quelli che le avrebbero fornite, e costituireb- bero una sterile erudizione, molto diversa dalla vera scienza […] a sua volta il puro dogma- tismo astratto non sarebbe meno funesto […] La completa generalità e il legame perfetto tra le sue concezioni non si riferirebbero che ad una sterile esistenza ascetica (Comte 1852, 427).

È necessario rilevare che una tale «combinazione» di razionalità ed empiria non è un problema astrattamente gnoseologico; qui al contrario, come emerge nel Système de politique positive (1852), si rivela il forte indice di storicità della teoria comtiana: «Questa conciliazione normale tra il dogmatismo e l’empirismo era incompatibile con la natura assoluta del teologismo, sotto il quale queste due vie coesistevano forzosamente, ma senza alcuna armonia» (Ivi). Se questo passo va interpretato come condizione per una scienza sociologica, ne deriva che è la rottura stessa tra ordine teologico e ordine positivo a costituire il nucleo stesso dell’elaborazione storico-sociale comtiana. In tal senso la conoscenza si caratterizza in termini di sintesi tra ragione ed esperienza, ma ciò è possibile – ecco lo spirito positivo – nel momento in cui appare una concezione «rela- tiva», relata ma anche relazionale, della realtà stessa. Questo perché l’assolutezza dei principi della metafisica e della teologia reggevano un dualismo incompatibile tra il sapere, totalmente a priori, e l’empiria, scevra di impalcatura razionale. La sintesi di cui Comte parla diventa dunque sistematica e consapevole solo in certe condizioni storiche. La conoscenza scientifica che è co- noscenza di leggi invariabili,

92

presuppone sempre, come Kant ha degnamente presentito, un oggetto che le subisce e un soggetto che le constata. Anche quelle [relazioni] che sussistono tra due corpi inorganici non possono essere avvertite che in virtù del rapporto di ambedue ad un essere intelligente, ed innanzitutto vivente […] ogni fenomeno presuppone uno spettatore, poiché esso consiste in una relazione determinata tra un soggetto ed un oggetto (Ibidem, 439).

Nel Système emerge qualcosa di ulteriormente fondante la ragione sociologica: l’epistemologia comtiana, di cui la sintesi è aspetto basilare, è una combinazione di attivo e passivo capace di trasformarsi in una combinazione di organismo e ambiente, proprio nel momento in cui si modi- fica l’approccio trascendentale di Kant:

La nozione di vita propriamente detta, quale è stata costituita dai biologi moderni, forma un elemento necessario di ogni concezione reale […] è necessario che la vita e l’intelligenza si sviluppino […] per concepire senza contraddizioni la benché minima esistenza reale […] Ma d’altra parte, la vera nozione della vita è ancora inseparabile da quella del mondo. Perché essa esige costantemente una certa armonia, ad un tempo attiva e passiva, tra un organismo qualunque ed un ambiente adeguato (Ivi).

Questo passo è l’architrave concettuale per il nostro argomento. In prima battuta ci informa che la conoscenza dipende dall’esistenza della vita, dove il vivente è per definizione ciò che si mantiene in rapporto di equilibrio con un ambiente eterogeneo a esso stesso. La vita si definisce

Documenti correlati