• Non ci sono risultati.

Brevi incursioni americane: il monologo in William Faulkner e Eugene O'Neill

1 – As I Lay Dying e Requiem for a Nun di William Faulkner

Nel tentativo di studiare le localizzazioni e le manifestazioni del monologo nella forma del romanzo, l'esempio di William Faulkner si pone come momento ambivalente e, al tempo stesso, rappresentativo di una maniera assolutamente innovativa rispetto all'uso della ῥήσις e, quindi, del lungo discorso di un personaggio all'interno di un sistema narrativo.

La scrittura di Faulkner fa del monologo lo strumento sintatticamente complesso che racchiude in sé punti di vista, trame, intersecazioni del pensiero che fluttuano linguisticamente nella coscienza del personaggio parlante e sorreggono la storia narrata che si plasma, nel proprio evolversi, come architettura verbale di pensieri messi a nudo. Il panorama americano ha fatto sì che il monologo, in molti autori come William Faulkner, si manifesti in quanto espediente stilistico che, attraverso la forma del romanzo, spalanca degli spazi in cui il testo agisce come strumento ritraente e isolante una dimensione verbale di miseria, frustrazione, solitudine e dolore in cui cadono vittime i personaggi ed i loro pensieri divengono le trame che tessono i fili della storia, articolandosi tra loro come una intricata rete di sottili percorsi psicologici.

Le quindici voci monologanti di As I Lay Dying (Darl, Cora, Jewel, Dewey Dell, Tull, Anse, Peaboy, Vardaman, Cash, Samson, Addie, Withfield, Armstid, Moseley, MacGowan) vengono isolate in lapidarie, marmoree e ritrattistiche forme chiuse che serrano il pensiero, ovvero la materia verbale nella quale si materializza la vicenda narrata, attraverso un reticolato di cinquantanove flussi di coscienza in forma solistica che, declinandosi come una lunga sequenza306 di primi piani

cinematografici, isolano i personaggi monologanti in quindici «condizioni discorsive» che stigmatizzano le intenzioni, le sottili e meschine trame che si muovono nel sottosuolo della desolante atmosfera che aleggia sull'intera vicenda e fanno sì che il romanzo assomigli ad una sorta di Spoon River dove l'odore della decomposizione e il rumore della morte si percepisce continuamente, come un sottile filo trainante l'intera sequela delle desolate figure monologanti: “[...] Her face is wasted away so that the bones draw just under the skin in white lines [...]”307

306 La sequenza di monologhi/personaggi in ordine di apparizione ed i relativi capitoli: Darl (capitoli 1, 3, 5, 10, 12, 17, 21, 23, 25, 27, 32, 34, 37, 42, 46, 48, 50, 52, 57); Cora (capitoli 2, 6, 39); Jewel (capitolo 4); Dewey Dell (capitoli 7, 14, 30, 58); Tull (capitoli 8, 16, 20, 31, 33, 36); Anse (capitoli 9, 26, 28); Peaboy (capitoli 11, 54); Vardaman (capitoli 13, 15, 19, 24, 35, 44, 47, 49, 51, 56); Cash (capitoli 18, 22, 38, 53, 59); Samson (capitolo 29); Addie (capitolo 40); Withfield (capitolo 41); Armstid (capitolo 43); Moseley (capitolo 45); MacGowan (capitolo 55).

307 William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels 1930 – 1935, Library Classic of the United States, New York, 1985, p. 6.

In un romanzo emblematico come As I Lay Dying, William Faulkner – autore che di un certo paesaggio umano americano ha tracciato i contorni laidi, beffardi e violenti – lascia cristallizzare la vicenda in cinquantanove ῥήσεις che, probabilmente di diretto rimando al modello stigmatizzato da Edgar Lee Masters nell'Antologia di Spoon River, fanno delle condizioni discorsive dei personaggi del romanzo la trattazione quasi cronachistica di azioni, battute – volendo usare un termine prettamente drammatico – sistematizzate nel testo in discorsi diretti, accenti di rabbia, rimpianti e frustranti considerazioni ove la morte le tiene assieme ben salde nell'assetto narrativo.

Nelle ῥήσεις, infatti, la vicenda assume una natura duale: da una parte prevalentemente «orizzontale» ove traspare con estrema precisione la scansione diacronica, la trattazione maniacale e quasi stenografata di azioni, parole, dialoghi, movimenti e fatti che coinvolgono i personaggi nella loro «mobilità»: “Jewel and I come up from the field, following the path in single file. Although I am fifteen feet ahead of him, […] Jewel, fifteen feet behind me, looking straight ahead, steps in a single stride through the window. Still staring straight ahead, […] In single file and five feet apart and Jewel now in front, we go on up the path toward the foot of the bluff. […] I go on to the house, followed by the Chuck Chuck Chuck of the adze. [...]”308.

Dall'altro canto, la vicenda innesca un movimento in «verticale» teso inesorabilmente alla «immobilità» ed alla catastrofe ove le confidenziali trame, i pensieri reconditi ed i giudizi espressi come accenti di rabbia repressa si condensano e si nascondono nell'uso dell'aggettivazione, nelle iterazioni, nelle imprecazioni, nelle pause e negli incisi: “[...] It's because he stays out there, right under the window, hammering and sawing on that goddamn box. Where she's got to see him. Where every breath she draws is full of his knocking and sawing where she can see him saying See. See what a good one I am making for you. I told him to go somewhere else. I said Good God do you want to see her in it. […] I said if you just let her alone. […] if it had just been me when pa laid sick with that load of wood fell on him, it would not be happening with every bastard in the country coming in to stare at her because if there is a God what the hell is Her for. [...]”309

Se il piano «orizzontale» tende, quindi, ad una mobilità e ad una propensione dei personaggi all'azione, al movimento, al dinamismo, a ciò che si vede ed a ciò che accade, il piano «verticale», invece, svela ciò che non si vede, ciò che è latente, ovvero quello spazio sotterraneo in cui sono miseramente celati l'identità e il passato dei personaggi. Movimento in «orizzontale» delle azioni concrete e svelamento in «verticale» delle immagini latenti declinano dualmente lo stile delle ῥήσεις che compongono la struttura dell'intera opera, attraverso l'evolversi di cinquantanove forme monologanti ritraenti l'individuo diviso e, allo stesso tempo, crocifisso a due differenti piani di

308 William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., pp. 3, 4. 309 Idem, p. 11.

azione che ne veicolano e ne serrano il destino. Pertanto, i personaggi di Faulkner penzolano cristicamente tra il piano delle azioni ed il piano delle intenzioni, attraverso l'evolversi di un movimento che pur spingendo in avanti il percorso fisico delle anime che popolano il romanzo, allo stesso tempo lascia che la vicenda precipiti sempre di più verso la catastrofe.

«Orizzontale» e «verticale», pertanto, rappresentano i due momenti fondamentali attraverso i quali si viene a declinare l'intera scansione dei monologhi presenti nel romanzo, facendo sì che tali momenti si intersechino di continuo in quello che si potrebbe schematicamente definire il punto di vista dei personaggi. Attraverso il punto di vista i due piani, «orizzontale» e «verticale», fanno sì che «interno» ed «esterno» si intersechino tra loro ed è proprio in tale punto di intersezione che si salda il discorso monologante il quale, essendo il punto di contatto tra l'interiorità e le azioni, fa sì che i personaggi stessi divengano quasi delle pedine da processo che raccontano le loro versioni della storia da testimoni, vittime, carnefici ed autori.

Il discorso monologante, infatti, nella propria funzione di punto di contatto tra «interno» ed «esterno», salda e forgia l'autorialità ovvero quel processo di riappropriazione dell'identità della storia narrata, cristallizzata nei vari punti di vista dei personaggi. Ad ogni punto di vista corrisponde un ulteriore momento della storia che devia il narrato facendo di ogni personaggio il depositario assoluto di una verità e di una versione dei fatti, il germe sedimentato di una evoluzione del discorso narrativo di cui è vittima e carnefice allo stesso tempo. Attraverso la veste monologante ogni personaggio scrive la propria versione dei fatti, grazie anche ad un sapiente utilizzo dei discorsi diretti che innervano interni dialoghi sotterranei con se stessi e con le altre dramatis personae coinvolte nella vicenda, e anche grazie a una precisa gestione del tempo stesso che veicola le azioni, riporta i personaggi alle loro colpe antiche e fa sì che ogni voce verbale utilizzata da Faulkner non sia altro che l'emblema di forze ancestrali, spesso marcate grazie all'utilizzo del corsivo, che fanno del punto di vista di ogni singolo personaggio un grumo di forze e di azioni «esterne» («orizzontale») costantemente legate a pulsioni «interne» («verticale»), come si evince da un passo emblematico – sia da un punto di vista teorico310 sia stilistico – che conclude il capitolo

diciassettesimo corrispondente al sesto monologo di Darl, primo protagonista della vicenda:

“[...] In a strange room you must empty yourself for sleep. And before you are emptied for sleep, what are you. And when you are emptied for sleep, you are not. And when you are filled with sleep, you never where. I dont know what I am. I dont know if I am or not. Jewel knows he is, because he does not know that he does not know whether he is or not. He cannot empty himself for sleep because he is not what he is and he is what he is not. Beyond the unlamped wall I can hear the rain

310 Il motivo del sonno rappresenta, probabilmente, uno dei momenti centrali dell'intero romanzo, dato che amplifica quella veste mortifera che aleggia intorno all'intera vicenda.

shaping the wagon that is ours, the load that is no longer theirs that felled and sawed it nor yet theirs that bought it and which is not ours either, lie on our wagon though it does, since only the wind and the rain shape it only to Jewel and me, that are not asleep. And since sleep is is-not and rain and wind are was, it is not. Yet the wagon is, because when the wagon is was, Addie Bundren will not be. And Jewel is, so Addie Bundren must be. And then I must be, or I could not empty myself for sleep in a strange room. And so if I am not emptied yet, I am is. [...]”311.

Per Faulkner ogni verbo ha una vita propria ed agisce come elemento vivificante che pone ogni personaggio in una sorta di esperienza in cui il punto di vista veicola l'andamento della scrittura, del tempo del racconto e delle evoluzioni interne ai personaggi.

È proprio il punto di vista che, come una soggettiva cinematografica, fa smuovere sui cardini della vicenda l'attenzione del lettore il quale assume le caratteristiche di unico depositario dei movimenti e dei meccanismi che si muovono, assieme ai personaggi, lungo le strade che si dipanano nel romanzo, amplificando quel movimento in «orizzontale» che serpeggia per le tortuose vie percorse dai personaggi, spesso a bordo di un carro, nel corso della vicenda. Per le vie che occupano l'intero e desolante paesaggio evocato dal romanzo la morte viene costantemente traghettata dai personaggi assieme ai loro monologhi che, nella glaciale e lapidaria forma della costruzione sintattico-lessicale, condensano e lasciano sedimentare una costante presenza della morte che traspare, spesso pallidamente, tra le pieghe delle vesti indossate dai personaggi, dai loro corpi e da un paesaggio che dell'Ade ha tutti i tratti desolanti: “[...] The sky lies flat down the slope, upon the secret clumps. Beyond the hill sheet-lightning stains upward and fades. The dead air shapes the dead earth in the dead darkness, further away than seeing shapes the dead earth. It lies dead and warm upon me, touching me naked through my clothes […] I feel like a wet seed wild in the hot blind earth [...]”312.

Ed ancora, monologa Darl nel capitolo diciassettesimo a proposito del paesaggio: “The lantern sits a stump. Rusted, grease-fouled cracked chimney smeared on one side with a soarding smudge of soot, it sheds a feeble and sultry glare upon the trestles and the boards and the adjacent earth. Upon the dark ground the chips look like random smears of soft pale paint on a black canvas. The boards look like long smooth tatters torn from the flat darkness and turned backside out […] The air smells like sulphur […] Below the sky sheet-lightning slumbers lightly; against it the trees, motionless, are ruffled out to the last twig, swollen, increased as though quck with young. It begins to rain. The first harsh, sparse, swift drops rush through the leaves and across the ground in a long sigh, as though of relief from intolerable suspense. They are big as buckshot, warm as though fired from a gun; they sweep across the lantern in a vicious hissing. [...]”313.

311 William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., p. 52. 312 Idem, p. 42.

Ogni discorso è uno sguardo puntato sulla catastrofe imminente che attende l'intera popolazione di anime che brulicano nelle strade del romanzo, una catastrofe che coinvolge corpi, oggetti e spazi di cui la sepoltura di Addie Bundren non è che il pallido e concreto limite.

Le cinquantanove lapidarie esperienze verbali, sulle cui marmoree fattezze si staglia come su una qualsiasi tomba incastonata nella terra l'innesto cruciforme dei due piani («orizzontale» e «verticale»), registrano i discorsi diretti come un'ossessiva sete di registrare con estremo dettaglio l'idea di una immanenza costante del discorso, un incessante bisogno di rendere il più corale possibile l'assetto dell'intera struttura. La coralità è amplificata dal fatto che, spesso, come accade al personaggio di Cash314, i monologhi dialoghino tra loro, frantumandosi e riprendendo il filo dopo

pochi capitoli, in quella che si potrebbe ironicamente definire una sorta di poetica negativa del «vociare» e del «vociame» che viene ulteriormente amplificata dal continuo e disorientante uso dei discorsi diretti. È Cash, infatti, a parlare nel capitolo ventidue, corrispondente al suo secondo monologo: “«It wont balance. If you want it to tote and ride on a balance, we will have … ». «Pick up. Goddamn you, pick up.» «I'm telling you it wont tote and it wont ride on a balance unless … » «Pick up! Pick up, goddamn your thick-nosed soul to hell, pick up!» It wont balance. If they want it to tote and ride on a balance, they will have”315.

Ed ancora Cash al capitolo trentotto, nel suo terzo breve316 monologo, sostiene: “It wasn't on a

balance. I told them that if they wanted it to tote and ride on a balance, they would have to.”317.

È come se attraverso i discorsi diretti i personaggi dialogassero continuamente anche all'interno dei singoli monologhi intesi come testimonianze linguistiche di un disegno di azioni umane le cui voci verbali declinate al presente e ai tempi passati sviluppano un incedere che si potrebbe schematizzare nella maniera seguente: il «presente» delle azioni, del discorso diretto, dell'immanenza, di ciò che sta accadendo nell'immediato: “Then I begin to run. I run toward the back and come to the edge of the porch and stop. Then I begin to cry. […] I jump from the porch, running. The top of the barn comes swooping up out of the twilight. […] My hands grab at the bushes; beneath my feet the rocks and dirt go rubbling down. […] Then I can breathe again, in the warm smelling. I enter the stall, trying to touch him, and then I can cry then I vomit the crying. […] I run this way and that as

314 I cinque monologhi di Cash sono caratterizzati, nei primi momenti del romanzo, da una certa schematicità numerica e brevità smentita nei capitoli cinquantatré e cinquantanove, rispettivamente corrispondenti ai monologhi quattro e cinque, in cui il romanzo si incanala verso la propria conclusione. È proprio la voce di Cash che pone un sigillo sull'intera vicenda e, nel suo quinto ed ultimo monologo, tutti i personaggi vengono menzionati ed una pallida musica da grammofono tinge foscamente ed ironicamente l'ultima battuta in discorso diretto, sempre incentrata sulla figura di Addie: “«Meet Mrs. Bundren»” (W.William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., p. 178).

315 William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., p. 62.

316 Il monologo più breve del romanzo è affidato alla terza voce monologante del personaggio di Vardaman presente nel capitolo diciannovesimo: “My mother is a fish” (W. Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., p. 54).

they rear and jerk at the hitch-rein, strinking […] I strike at them, triking, they wheeling in a long lunge. […] I run in the dust. […] It's dark. I can hear wood, silence: I know them. […] I am not afraid. [...]”318; il «passato» del ricordo, della nostalgia e del rimpianto: “[...] and everytime a new

record would come from the mail order and us setting in the house in the winter, listening to it, I would think what a shame Darl couldn't be to enjoy iot too. [...]”319; il passato delle grida sopite,

delle azioni commesse ed immodificabili, imperdonabili (“[...] «He kilt her. He kilt her» […] «You kilt my maw» [...] «You kilt her!» [...]”320) e delle azioni fredde, definite, delimitate e ormai

concluse di cui si possono solo contemplare i resti: “[...] I helped the old bastard check up and I got his hat on him and got him out of the store by eight-thirty. I went as far as the corner with him and watched him until he passed under two street lamps and went on out of sight. Then I come back to the store and waited until ninethirty and turned out the front lights and locked the door and left just one light burning at the back, and I went back and put some talcum powder into six capsules and kind of cleared up the cellar and then I was all ready […] I looked out the door […] I locked the door and turned off the light and went on back. […] I gave her the box of capsules [...]”321.

La azioni umane divengono, per Faulkner, le glaciali scansioni di un movimento al negativo intorno al capezzale di Addie Bundren – protagonista onnipresente nel romanzo, ma alla quale è stato affidato dall'autore un solo monologo, esattamente il monologo numero uno occupante l'intero capitolo quarantesimo – figura che tiene salda la struttura e lega la sequenza delle varie ῥήσεις agendo, inoltre, come soggetto della frase che dà il titolo al romanzo, «As I Lay Dying».

Il monologo di Addie Bundren, in cui al passato della nostalgia e del ricordo si aggiunge il passato della lontananza e della desolante rievocazione del vissuto, si staglia nel cuore del romanzo come una voce analettica in cui il tempo subisce una frattura, la dimensione monologica prende il sopravvento, i discorsi diretti si riducono al minimo e l'evoluzione verbale della protagonista acquista un tono fortemente scenico attraverso il quale il passato ritorna alla sua mente ed all'attenzione del lettore come un condensato di orribili presagi e tremende parole.

Il monologo di Addie, infatti, se da una parte recupera materiale narrativo relativo al proprio passato infantile e, successivamente, coniugale quasi fosse un'analessi memoriale di stampo cinematografico, allo stesso tempo si impone quale tremenda riflessione su come certe parole, che nel monologo acquistano il valore di parole-chiave, divengano elementi di un discorso che oltre a racchiudere in sé tutta la vita del personaggio, diviene una particolare riflessione sul linguaggio e su come alcune parole non siano altro che forme all'interno delle quali si viene a solidificare e, quindi,

318 William Faulkner, As I Lay Dying, in William Faulkner, Novels cit., pp. 36-38. 319 Idem, pp. 177-178.

320 Ibidem, pp. 36-37. 321 Ibidem, pp. 220, 221.

a distruggere ogni sottile bagliore di vita.

Probabilmente, anche a causa dell'immobilità da capezzale a cui è costretta la protagonista, le intenzioni, l'interno e il «verticale» si intersecano attraverso le parole-chiave facendo del monologo di Addie una sorta di riflessione sul senso ultimo delle parole, del vuoto assoluto che si cela dietro certe parole e della potenza «carceraria» di alcuni termini. Per Addie le parole-chiave divengono strumenti di tortura che non producono suoni o rumori assordanti ma che, in realtà, lasciano ferite profonde e, inevitabilmente, fanno penzolare la vita [ed anche il discorso monologante] della protagonista tra interno ed esterno: “[...] we had had to use one another by words like spiders dangling by their mouths from a beam, swinging and twisting and never touching, and that only through the blows of the switch could my blood and their blood flow as one stream. […] Love, he called it. But I had been used to words for a long time. I knew that that word was like the others; just a shape to fill a lack; that when the right time came, you wouldn't need a word […]. It was as

Documenti correlati