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CAPITOLO SECONDO sostenere una compeuuv1ta internazionale compromessa

Nel documento l COMUNISTI ITALIANI E IL RIFORMISMO (pagine 67-75)

4· Dalle riforme all'emergenza

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dalla crisi di alcuni settori industriali (siderurgia, cantieristi­ ca) spingono ad abbandonare l'obiettivo della rivalutazione dd tasso di cambio, con la conseguenza di creare anche un clima interno piu favorevole all'inflazione.

È

significativo d'altra pane come mentre la traduzione della stabilità mone­ taria in devata concorrenzialità riesce brillantemente in Germania (e in misura minore in Austria), i problemi di con­ senso che invece la Socialdemocrazia incontra in Svezia a panire dalla prima crisi petrolifera, e che condurranno alla sconfitta elettorale dd 1976, sono in pane correlati alla peg­ giore performance commerciale dd paese scandinavo.

La predisposizione che la Socialdemocrazia, laddove questo è consentito dal contesto economico generale, mo­ stra per le politiche di moneta fone deve essere posta in rela­ zione con la notevole imponanza che la stessa Socialdemo­ crazia assegna contemporaneamente ali� lotta all'inflazione. Se infatti l'evoluzione dd cambio registra spesso l'andamen­ to dei differenziali di inflazione rispetto ai paesi concorrenti, un ritocco delle parità, nd nostro caso al rialzo, irrobustisce i meccanismi che salvaguardano la stabilità monetaria inter­ na, attraverso il minore costo dei beni imponati e il calmiera­ mento dei prezzi della concorrenza estera. Volendo sem­ plificare una siruazione certo piu complessa (specie per la Svezia), si può sostenere che nei paesi a guida socialdemo­ cratica si determina un circolo virtuoso che collega «bassa inflazione»,« alta competitività»,« rivalutazione »,e di nuo­ vo «bassa inflazione».

Le politiche di rivalutazione vanno tuttavia ricollegate an­ che ad altri tre aspetti. n primo è valido per la sola Germa­ nia: la rivalutazione deve essere in pane spiegata conside­ rando che essa costituisce il perno di una strategia di raffor­ zamento dd paese sulla scena internazionale.

n secondo e il terzo aspetto valgono anche largamente per Austria e Svezia. In base al secondo, la politica dd tasso di cambio deve essere valutata anche per i suoi effetti sul reddi­ to e sulla ricchezza. Quando interviene una rivalutazione, e a maggior ragione quando vi è un accumulo nd tempo di modifiche positive delle ragioni di scambio, i cittadirli vedo­ no crescere il proprio benessere rispetto a quello degli

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tanti di altri paesi. Si può tuttavia sostenere che in economie aperte commercialmente questi confronti siano molto diffu­ si, e che quindi anche attraverso il meccanismo delle rivalu­ tazioni la Socialdemocrazia riesca a presentarsi come una forza che garantisce il benessere individuale, accrescendo li­ velli pro capite già fra i piu elevati del mondo.

n terzo aspetto ci conduce al tema della produttività in­ dustriale. In Austria e Germania l'evoluzione di questa gran­ dezza è complessivamente soddisfacente. Dove, come in Svezia, si assiste a un suo netto peggioramento, ciò è impu­ tabile al verificarsi di improvvisi cedimenti di alcuni settori portanti dell'industria nazionale, dovuti alla inasprita con­ correnza internazionale '9 e, ancora una volta, a un indeboli­ mento dei presupposti del modello precedente. In Austria e Germania, invece, l'andamento positivo della produttività dipende da un lato dal mantenimento di un'attività econo­ mica piuttosto elevata e tale da non deprimere i livelli di in­ vestimento e, dall'altro, dalla capacità del governo di favori­ re comportamenti solo moderatamente conflittuali sui luo­ ghi di lavoro. Si può sostenere che anche la politica dei tassi di cambio sia andata nella medesima direzione. Rendendo piu insidiosa la concorrenza degli altri paesi, ogni rivaluta­ zione spinge infatti le imprese a razionalizzazioni e a innova­ zioni che riducono i costi per unità di prodotto, e rende piu difficile la sopravvivenza di imprese marginali capaci di ag­ gredire il mercato solo grazie a bassi costi della manodopera.

D'altra parte un tale modo di incentivare la modernizza­ zione industriale ha il vantaggio di sollevare minori resisten­ ze da parte delle imprese rispetto a quanto avverrebbe in caso di interventi pubblici piu espliciti sulle scelte aziendali. Non sembra casuale che paesi come Austria, Germania e Svezia che dispongono di un elevato grado di intervento dello stato nell'economia sotto forma di spesa statale, e che posseggono una pubblica amministrazione efficiente, pre­ sentino tutti politiche industriali poco inclini al dirigismo. A differenza infatti di quanto avviene in Francia e Giappone politiche selettive sono meno diffuse, l'enfasi sul concetto di programmazione è molto meno marcata che, ad esempio, in Italia e in Francia, mentre lo stato sembra piuttosto puntare sul grado già elevato di autorganizzazione del sistema

indu-CAPITOLO SECONDO

striale, evitando di intervenire nelle ristrutturazioni con azioni che non siano di cornice, quali quelle che si hanno con

finanziamenti alla ricerca e all'innovazione ..o. Questo, d'altra

parte, è possibile proprio per il fatto di avere sullo sfondo un

quadro dell'occupazione e dei conti con l'estero che rende possibile influire sulle ristrutturazioni aziendali con lo stru­ mento indiretto della rivalutazione del cambio.

Questo rispetto per il mercato e per l'autonomia di impre­ sa sembra dovuto alla preoccupazione politica di non solle­ vare una forte opposizione da parte delle organizzazioni pa­ dronali. Esso inoltre si iscrive nella piu generale politica del­ le alleanze della Socialdemocrazia. Non bisogna infatti tra­ scurare le implicazioni che le rivalutazioni del cambio, come del resto la bassa inflazione, hanno sul rapporto con la classe opera.ia piu benestante e con gli strati intermedi: preservan­ do e addirittura rivalutando in termini reali le attività accu­ mulate nel passato, le rivalutazioni avvantaggiano proprio gruppi sociali, come questi, che presentano un alto rapporto tra risparmio e reddito percepito.

Il circolo vizioso italiano.

È

possibile schematizzare le relazioni fra le variabili di cui si è discusso nei paragrafi precedenti in una figura sintetica (fig. r), senza che ciò significhi oscurare la consistenza delle asimmetrie esistenti fra i tre paesi in esame. Nella figura sono indicate le diverse specificazioni assunte dal nucleo centrale di quello che abbiamo chiamato il

trade-off

socialdemocrati­ co, e le conseguenze che il suo funzionamento concreto fini­ sce per avere sulle piu generali variabili macroeconorniche, lungo quello che abbiamo individuato come un circolo vir­ tuoso fra bassa inflazione, competitività e rivalutazione.

Se si contrappunta questo schema con le relazioni fra le medesime variabili che sembrano contemporaneamente in­ staurarsi nel nostro paese, è possibile ricavare una figura (fig. 2) del tutto simile alla precedente. Come in questa, l'insie­ me dei nessi causali che collegano le diverse variabili trova il suo punto di partenza nel sistema delle contropartite: questa volta, tuttavia, le linee tracciate fanno risaltare con efficacia

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la debolezza e la discontinuità degli sforzi che i governi ita­ liani compiono per indurre il sindacato a moderare le pro­ prie rivendicazioni. Solo durante il periodo della Solidarietà nazionale, infatti, e con tutti i limiti già esaminati, viene com­ piuto un tale tentativo di avvicinarsi alle esperienze socialde­ mocratiche.

Nel decennio, uno scambio politico non riesce mai a de­ collare. Fino al 1976 le retribuzioni nominali hanno una di­ namica che prescinde piu che in Austria, Germania e Svezia dall'andamento della produttività, cosi da generare brusche impennate del costo del lavoro per unità di prodotto •t. D'al­ tra pane, durante la Solidarietà nazionale la disponibilità del sindacato a contenere le rivendicazioni non trova soddisfa­ zione sul piano delle riforme e delle politiche economiche. In tal modo, la dinamica del salario, che prima era stata il pretesto per una martellante campagna antisindacale divie­ ne ora, proprio perché sganciata da un sistema di contropar­ tite, motivo per una perdita di consenso del Pci presso gli strati sociali dei lavoratori dipendenti.

Allo stesso modo, l'andamento della produttività per ad­ detto è condizionato negativamente da una conflittualità molto piu elevata che nei tre paesi a guida socialdemocra­ tica, da estesi fenomeni di microconflittualità, da una con­ testazione spesso dura delle gerarchie aziendali, da un cli­ ma culturale da alcuni definito addirittura come antindu­ strialista.

Anche in questo caso, l'avvio della Solidarietà nazionale appare dirimente, ma soltanto in una prima fase. n grande sforzo di disciplinamento della propria base messo in atto dal Pci e dal sindacato si infrange ben presto contro l'esigui­ tà delle contropartite ottenute, aprendo quindi varchi cre­ scenti alle proteste di alcune grandi categorie come i metal­ meccanici (sciopero della Flm del2 dicembre 1977) e di alcu­ ni sindacati autonomi, in un clima reso piu teso dalle con­ temporanee contestazioni studentesche e successivamente dall'esplodere del terrorismo.

In altre parole, il blocco che in varie forme continua a de­ terminarsi nel sistema delle contropanite finisce per scari­ carsi pesantemente sul sistema economico, secondo percorsi che convergono verso esiti inflazionistici, sia attraverso la

di-Figura I.

Il circolo virtuoso socialdemocratico.

Politìche

di sostegno

del reddito, dell'occupazione c

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50 CAPITOLO SECONDO namica del salario, sia attraverso una peggiore dinamica del­ la produttività. In questo modo, come mostra la figura 2, il mancato avvio del meccanismo di scambio deve esser messo in relazione, da un lato, con un tasso di inflazione costante­ mente piu alto che in Austria, Germania e Svezia, e dall'altro con una crescita della produttività mediamente piu bassa che in Germania e Austria, cosa che a sua volta concorre, con il cattivo andamento dei costi per unità di prodotto, ad aggravare il fenomeno inflattivo.

Tutto questo si verifica all'interno di un quadro di politica economica in cui i governi, posti di fronte alle ritornanti dif­ ficoltà dei conti con l'estero e dell'inflazione scelgono di im­ piegare regolarmente lo strumento della deflazione, che il piu delle volte ha lo scopo di disciplinare la conflittualità operaia, e di surrogare cosi il mancato scambio politico con il sindacato.

La deflazione si alterna con frequenti svalutazioni del tas­

so di cambio, che hanno la funzione principale di ricreare i margini di redditività aziendale compromessi dal cattivo an­ damento dei costi e della produttività. L'innalzamento del tetto della concorrenza estera, che consegue ad ogni svaluta­ zione, incoraggia aumenti dei prezzi interni, finendo cosi per alimentare, con perfetta specularità rispetto ai paesi a guida socialdemocratica, un circolo vizioso che collega «alta infla­ zione», «bassa competitività», «svalutazione» e di nuovo «alta inflazione».

Nella figura 2, il frequente ricorso a politiche deflattive viene sinteticamente presentato come determinato, da un lato, dall'elevato livello della conflittualità aziendale, e dal­ l'altro da problemi di competitività.

Del fatto che il sovraccarico conflittuale induca indirizzi deflattivi abbiamo già detto: nella soluzione degli squilibri strutturali della bilancia dei pagamenti prevale in Italia l'o­ biettivo di indebolire le conquiste sindacali, piuttosto che quello di aumentare la produzione legata al mercato inter­ no 42 o di incentivare flussi di capitali provenienti dall'estero.

La bassa competitività, a sua volta conseguente a una inflazione interna superiore a quella dei concorrenti, condu­ ce a rafforzare ulteriormente la tendenza verso politiche deflattive, a causa dell'operare di due condizioni permissive.

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La prima di queste è che mai si fa strada l'ipotesi che il rie­ quilibrio della bilancia dei pagamenti possa attenersi com­ pensando il peggioramento del saldo commerciale con un maggiore afflusso di capitali stranieri. Sarebbe stata questa una strada simile a quella battuta piu volte dalla Svezia. Essa avrebbe però presupposto una diversa politica del tasso di cambio, e una diversa attenzione alla possibilità di inserire l'economia italiana nel flusso degli investimenti finanziari e produttivi internazionali.

La seconda condizione permissiva è che mai il vincolo esterno viene affrontato con scelte piu o meno apertamente protezionistiche. In questi anni di contrazione del mercato mondiale, la tecnica di innalzare barriere tariffarie e non ta­ riffarie alla penetrazione commerciale straniera viene impie­ gata in tutti i principali paesi, dalla Germania al Giappone agli Stati Uniti. In alcuni, come il Regno Unito, è proprio una parte della sinistra a teorizzarne con piu convinzione la necessità, come condizione per reindustrializzare l'econo­ mia nazionale<>.

In Italia, invece, l'opzione !iberista, specie a sinistra, rac­ coglie consensi pressoché unanimi, come appare evidente al

già citato convegno Cespe del marzo 1976. L'impressione è

però che questo avvenga in base ad astratte petizioni di prin­ cipio, senza un'adeguata conoscenza delle politiche indu­ striali di protezione selettiva effettivamente messe in atto proprio in questi anni da molti paesi concorrenti, e quindi senza una sufficiente ponderazione delle diverse scelte con­ cretamente disponibili.

Diverse circostanze, quindi, concorrono a trasferire la bassa competitività delle esportazioni italiane sul complesso delle politiche economiche, improntando queste ultime a scelte di deflazione. Questo alimenta ancora una volta un circolo vizioso. n ricorso frequente a politiche di stop an d go, infatti, ha l'effetto di deprimere ulteriormente il già basso tasso di investimento e quindi il già depresso andamento della produttività, con la conseguenza di contribuire ad ele­ vare ulteriormente l'inflazione e quindi ad abbassare di nuo­ vo la competitività"". Questo è ulteriormente aggravato dal fatto che, a differenza di quanto avviene nei paesi socialde­ mocratici, in Italia viene a mancare lo stimolo alle

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