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Premessa

Il Quattrocento e il Cinquecento si contraddistinguono da un lato per una poesia latina che, pur imitando i classici, è caratterizzata da uno sforzo in direzione dell’originalità, dall’altro lato per una lirica volgare che si nutre continuamente degli autori antichi e assume un’importanza sempre maggiore1.

Subito dopo la sua riscoperta, Tibullo è letto, apprezzato e imitato – anche in virtù del suo stile semplice dal punto di vista sintattico – da poeti minori e maggiori del Quattrocento2. In questo periodo la propensione verso la forma breve, ma curata, fa sì che gli elegiaci vengano presi in considerazione come modelli significativi; i recuperi si configurano sia come contaminazione di spunti eterogenei sia come singole riprese3.

Gli autori

Giovanni (o Gioviano) Pontano (1429-1503)*

Giovanni (o Gioviano) Pontano trae spesso ispirazione dai classici e da Tibullo; non sempre, tuttavia, si riescono facilmente a sceverare questi influssi, dal momento che egli ama contaminare più modelli o agire sullo spunto iniziale secondo una sorta di ‘libera rielaborazione’4. Forse è possibile risalire anche all’edizione posseduta da Pontano: probabilmente egli annota di persona,

1 Scotti (1991), p. 115.

2 Pieri (1989), p. 118; non rientra nel presente lavoro l’opera del siciliano Giovanni Marrasio, che compone sette elegie

di imitazione tibulliana attorno al 1429 (e quindi al di fuori del periodo da me considerato, che parte dagli anni Settanta del secolo XV).

3 Scotti (1991), p. 115.

* Da questo momento in poi nei capitoli sulla fortuna letteraria la nota contraddistinta da asterisco sarà utilizzata per

indicare tutte le edizioni che vengono impiegate nei paragrafi dedicati ai singoli autori. Per le poesie latine del Pontano mi avvalgo di IOANNIS IOVIANI PONTANI Carmina, a cura di B. Soldati, Firenze, Barbèra, 1902. Per quanto riguarda i Dialoghi, cito il testo da GIOVANNI PONTANO, I dialoghi, a cura di C. Previtera, Firenze, Sansoni, 1943.

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riportandovi numerosi scolî, l’edizione bresciana del 14865. Nella mia analisi citerò i passi tibulliani tenendo conto anche di questo incunabolo.

Un componimento della raccolta Hendecasyllabi seu Baiae (la silloge si colloca negli anni 1490- 1500) è dedicato a Manilio Rallo e contiene un riferimento all’elegiaco latino6.

Hendecasyllabi, 2,24 (Ad Manilium Rhallum), 1-6

Manli, delitiae attici leporis atque idem latiae lepos Camoenae, cantas dum teneros Lycinnae amores, et coi numeris refers Philetae,

dum molles Veneris reponis ignes, 5

quos dulcis tibi suggerit Tibullus, […]

Il cantore di Delia, che fornisce ispirazione a Manilio nella composizione dei suoi versi, è significativamente definito dulcis, secondo il consueto stereotipo che ne ha accompagnato l’immagine per secoli.

Anche nella raccolta di elegie intitolata De amore coniugali7 sono importanti le tracce tibulliane. Consideriamo innanzitutto il primo testo della silloge (Elegiam alloquitur): esso contiene una serie di formule riconducibili al poeta latino8.

De amore coniugali, 1,1 (Elegiam alloquitur), 1-2; 5-6; 13-14

Huc ades et nitidum myrto compesce capillum, huc ades ornatis, o Elegia, comis,

[…]

Molle micet tenues inter dilapsa papillas 5

quae legitur Rubro lucida gemma mari, […]

Tecum etiam Charites veniant, tua cura, puellae, et iuvet insolita ducere ab arte choros;

Nei primi quattordici versi Pontano invoca la venuta dell’Elegia personificata e vorrebbe che si presentasse cosparsa di profumo, con un ramo di mirto fra i capelli, con monili preziosi, fatti d’oro e di perle, accompagnata dalle Grazie danzanti. In questo brano si possono riscontrare alcune citazioni sparse provenienti dalle elegie di Tibullo come, per esempio, la doppia anafora di huc ades (con l’aggiunta di et nella prima occorrenza) che compare anche nell’incipit dell’elegia 3,10.

5 Ruysschaert (1985), p. 676, che individua questa edizione nell’elenco di volumi redatto da Fulvio Orsini, la Nota di

libri latini stampati che sono tocchi di mano di huomini dotti. In relazione all’incunabolo sopra citato Orsini scrive: Catullo et Tibullo, con commento, di stampa vecchia, con scholij di mano del Pontano (le citazioni provengono dal

contributo di Ruysschaert). Bianchi (1986), p. 408, non considera questa notizia attendibile.

6 Riposati (19672), p. 313.

7 Dei componimenti che fanno parte di questa silloge soltanto le Naeniae sono state pubblicate all’interno dell’edizione

aldina datata 1505: Monti Sabia (1964), p. 448.

45 TIB. (?) 3,10, 1-2

Huc ades et tenerae morbos expelle puellae, huc ades, intonsa Phoebe superbe coma. Bresciana del 1486

Huc ades et tenerae morbos expelle puellae: huc ades intonsa Phoebe superbe coma.

Nell’ipotesto latino ci si rivolge a Febo dalla intonsa […] coma, chiedendogli di presentarsi, mentre nel componimento moderno viene invocata l’Elegia, caratterizzata invece da chiome adorne (ornatis […] comis). Anche l’espressione quae legitur Rubro lucida gemma mari, che si riferisce a un gioiello indossato dalla figura femminile, si riconnette a una formula analoga contenuta nella 2,4 di Tibullo (e Rubro lucida concha mari). In questo passo il poeta antico si lamenta dell’avidità delle fanciulle e maledice i beni di lusso.

TIB. 2,4, 29-30

Hic dat avaritiae causas et Coa puellis

vestis et e Rubro lucida concha mari. 30

Bresciana del 1486

Hic dat avaritiae causas et Choa puellis

vestis et a Rubro lucida concha mari. 30

L’ultimo dettaglio significativo in relazione al modello tibulliano compare al v. 14 del testo di Pontano: qui l’espressione insolita ducere ab arte choros, che rinvia al corteo delle Grazie danzanti, riprende chiaramente una formula dell’elegia 2,1.

TIB. 2,1, 55-56

agricola et minio subfusus, Bacche, rubenti 55 primus inexperta duxit ab arte choros.

Bresciana del 1486

Agricola et minio suffusus Bacche rubenti 55

primus inexperta duxit ab arte choros.

Nell’elegia 1,6 del De amore coniugali (Ad uxorem) si può scorgere la memoria del passo conclusivo della 1,3 di Tibullo9. Il testo è scritto per la sposa, che si trova lontana10; il poeta, impegnato in un conflitto, si rivolge a lei, esortandola a essergli fedele durante la sua lunga assenza.

De amore coniugali 1,6 (Ad uxorem), 13-18; 21-22

Tu tamen interea cari memor usque mariti pro reditu, coniux, plurima vota dabis;

9 Riposati (19672), p. 318.

10 Riposati (19672), p. 318. Probabilmente Pontano aveva preso parte a una guerra svoltasi in Italia settentrionale.

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assistatque tibi soror et sanctissima mater, 15

absentis curas quae levet usque viri.

Et tela noctes, et acu traducere lucem,

exemplum fidei Penelopea docet: […]

Casta mane, neu te lusus, neu munera vincant; coniugii dotes vita pudica facit.

TIB. 1,3, 83-88

At tu, casta precor maneas, sanctique pudoris adsideat custos sedula semper anus.

Haec tibi fabellas referat positaque lucerna 85

deducat plena stamina longa colu, at circa gravibus pensis adfixa puella

paulatim somno fessa remittat opus. Bresciana del 1486

At tu casta precor maneas: sanctique pudoris: assideat custos sedula semper anus.

Haec tibi fabellas referat: positaque lucerna: 85

deducat plena stamina longa colo. At circa gravibus pensis affixa puella

paulatim somno fessa remittat opus.

Il segnale che più di ogni altro denuncia il richiamo all’ipotesto tibulliano è la formula Casta

mane, che rielabora il v. 83 del modello antico (At tu, casta precor maneas). Altra spia, non

lessicale ma ‘narrativa’, che rivela un’adesione alla scena della 1,3 è l’allusione alle figure femminili (soror e mater), che costituiscono una presenza rassicurante accanto alla donna amata, alla pari dell’anus tibulliana (e della puella menzionata poco dopo11). In terzo luogo assume importanza anche lo svolgimento dei lavori ‘muliebri’ durante la notte (Et tela noctes, et acu

traducere lucem) anche se non compaiono agganci testuali precisi con il modello di partenza (Haec tibi fabellas referat positaque lucerna / deducat plena stamina longa colu, / at circa gravibus pensis adfixa – oppure affixa – puella / paulatim somno fessa remittat opus).

Consideriamo l’ottavo componimento del primo libro (Queritur de expeditione obeunda): esso si ricollega in molti punti all’elegia 1,10 di Tibullo12. Pontano chiama in causa Apollo e Marte, lamentandosi per il fatto di dover partire per una spedizione militare: tutto ciò è contro la sua natura di uomo innamorato della poesia e della quiete rustica13.

De amore coniugali (Queritur de expeditione obeunda), 1,8, 7-10

Nunc vates ad bella trahor Martemque cruentum: heu pharetris parcas, hostis acerbe, tuis,

parce, pater Gradive, levisque averte sagittas;

extincto quaenam est gloria vate tibi? 10

11 Puella è un singolare collettivo, indicante le ancelle di Delia: Maltby (2002), p. 211. 12 Riposati (19672), p. 314.

47 TIB. 1,10, 13-16

Nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis haesura in nostro tela gerit latere.

Sed patrii servate Lares: aluistis et idem, 15

cursarem vestros cum tener ante pedes. Bresciana del 1486

Nunc ad bella trahor et iam quis forsitan hostis, haesura in nostro tela gerit latere.

Sed patrii servate lares: aluistis et idem 15

cursarem vestros cum tener ante pedes.

Tibullo, dopo aver deprecato la triste invenzione delle armi e, di conseguenza, della guerra, si accinge a partire per i combattimenti, esortando i Lari a preservarlo dalla morte. L’espressione che consente l’immediato riconoscimento della fonte latina è la formula Nunc ad bella trahor, che compare pressoché identica in entrambi i testi. Ciò che segue è una rielaborazione assai libera dello spunto tibulliano. I due passaggi presentano un’esortazione, rivolta a una o più divinità (pater

Gradive nel testo moderno, patrii […] Lares nel modello latino), a risparmiare la persona in

questione (la suggestione del tibulliano servate si moltiplica, con variazioni, in parce e averte). In entrambi i brani compare inoltre la menzione delle armi (tela nel modello, pharetris e sagittas nel componimento d’arrivo) e del nemico (hostis).

Nella raccolta Eridanus14 figurano numerose reminiscenze tibulliane, sin dal componimento incipitario (Ad Eridanum), che trae ispirazione da alcuni passi dell’elegia 1,115. Il testo celebra le acque del Po, in cui Venere si bagna, infiammando di passione il dio Marte, che si avvicina a lei.

Erid. 1,1 (Ad Eridanum), 51-56

illa puer Veneris tractat, ridetque; sed ipse in Veneris mavis bella movere sinu.

Bella move, nunc, dive, sapis, nunc consere pugnas;

hostis adest, tamen est praeposuisse torum

deliciasque tori molles placidamque quietem, 55 et dominae in tenero molle cubare sinu.

TIB. 1,1, 43-46; 73-75

parva seges satis est, satis est requiescere lecto

si licet et solito membra levare toro.

Quam iuvat inmites ventos audire cubantem 45

et dominam tenero continuisse sinu […]

Nunc levis est tractanda Venus, dum frangere postes non pudet et rixas inseruisse iuvat.

Hic ego dux milesque bonus: […] 75 Bresciana del 1486

14 La raccolta ha come scenario la pianura Padana ed è incentrata su Stella, ragazza ferrarese amata da Pontano: Monti

Sabia (1964), p. 690.

48 Parva seges satis est: satis est requiescere lecto

scilicet: et solido membra levare toro.

Quam iuvat inmitis ventos audire cubantem: 45

et dominam tenero continuisse sinu […]

Nunc levis est tractanda Venus: dum frangere postes non pudet: et rixas inseruisse iuvat.

Hic ego dux milesque bonus: […] 75

Il primo passo tibulliano citato fornisce lo spunto per la scena amorosa; in questo contesto la spia dell’imitazione è la formula dominae in tenero molle cubare sinu, che recupera, sia pur variandola notevolmente, l’espressione tibulliana dominam tenero continuisse sinu. Nel secondo passo dell’elegia 1,1 Tibullo allude al godimento delle gioie dell’amore e ai ‘combattimenti’ che ne possono scaturire16. Tale passaggio suggerisce a Pontano la formula illa puer Veneris tractat (riferito alle armi di Marte, dimenticate sulla riva, che vengono toccate da Amore, figlio di Venere), che, dal punto di vista fonico, ricorda Nunc levis est tractanda Venus (espressione che esorta al godimento dell’amore). I contesti sono diversi, ma le tessere lessicali sono simili. In seguito Pontano gioca sull’idea delle ‘battaglie amorose’, sulla scia del modello tibulliano (il poeta classico afferma Hic ego dux milesque bonus), ma impiegando termini diversi, come bella e pugnas, riconducibili alla stessa area semantica.

Nel secondo componimento del primo libro (De amore colligente succina in Eridano) si può cogliere un riecheggiamento dell’elegia 2,5, dedicata a Messalino17. Nel testo moderno Amore cerca ambra sulle rive del fiume Eridano18. Stella, la donna amata dal poeta, ha a disposizione due tipi di frecce: il primo ferisce, il secondo risana attraverso un liquido curativo. Colui che scrive le chiede di sanare le sue piaghe. Nel passo citato, Tibullo rievoca la sofferenza per Nemesi e supplica la donna di essere benevola nei suoi confronti.

TIB. 2,5, 113-114

At tu – nam divum servat tutela poetas – praemoneo, vati parce, puella, sacro,

Erid. 1,2 (De Amore colligente succina in Eridano), 26-28

[…] Vati parce nocere tuo,

parce, puella, seni. Cur non iacis altera tela, et vulnus medico rore, puella, levas? Bresciana del 1486

At tu, nam divum servat tutela poetas, praemoneo vati parce puella sacro.

16 Si veda Smith (1971), p. 205. 17 Riposati (19672), p. 316.

18 Pontano si ispira al passo delle Metamorfosi di Ovidio (2,333 ss.) che parla delle Eliadi, sorelle di Fetonte, mutate in

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Le forme che consentono il riconoscimento dell’ipotesto sono vati, parce e puella, che in entrambi i componimenti fanno parte di una supplica. Per il resto Pontano rielabora liberamente lo spunto di partenza, riprendendo l’idea della malattia da sanare senza recuperare in modo preciso formule e stilemi. Nell’autore antico si nota una sorta di autocompiacimento, mentre in quello moderno compare un’esortazione a colpire nuovamente, allo scopo di liberare dal male.

Consideriamo il componimento 1,15 della raccolta Eridanus (De infelicitate amantium), che è da accostare a un passo dell’elegia 2,419. In questa sede Pontano si rappresenta mentre, ormai anziano, è in preda alla passione, che lo spinge ad affrontare numerosi disagi fuori dalla porta della donna amata: il giorno e la notte gli sono entrambi nocivi e nell’amore i giovani e i vecchi sembrano essere accomunati da un medesimo destino di sofferenza.

Erid. 1,15 (De infelicitate amantium), 7-10; 13-14

[ . . . ] At me

et nox nigra gravat, vexat et atra dies. Ante fores iaceo gelidae sub frigora brumae,

nec pudet aetatis Pieridumque senem; 10

[…]

Uror amans, tabesco senex; lux omnis amara, nox inimica mihi est, noxque diesque nocet. TIB. 2,4, 11-12

Nunc et amara dies et noctis amarior umbra est,

omnia nunc tristi tempora felle madent. Bresciana del 1486

Nunc et amara dies, et noctis amarior umbra est

omnia nam tristi tempora felle madent.

Nel modello latino Tibullo dichiara la propria servitù amorosa nei confronti di Nemesi e sottolinea l’amarezza che lo accompagna giorno e notte, con un chiasmo che racchiude i sostantivi fra due aggettivi. Anche nel testo di Pontano si trova una struttura chiastica, come emerge nell’espressione

nox nigra gravat, vexat et atra dies. Il poeta moderno insiste ulteriormente su quanto pesanti gli

siano il giorno e la notte, ritornando sul concetto al v. 14 (nox inimica mihi est, noxque diesque

nocet); evidentemente il suo componimento si configura come un paraklausithyron, in quanto

l’uomo, ante fores, affronta ogni condizione meteorologica per vedere la sua amata. L’espressione

gelidae sub frigora brumae ricorda un passo tibulliano proveniente dall’elegia 1,2, nota a sua volta

come paraklausithyron.

TIB. 1,2, 31-32

Non mihi pigra nocent hibernae frigora noctis, non mihi, cum multa decidit imber aqua.

50 Bresciana del 1486

Non mihi pigra nocent hybernae frigora noctis: Non mihi: quom multa decidit imber aqua.

Anche Tibullo si dice pronto ad affrontare disagi di ogni sorta pur di vedere Delia. Risulta evidente come l’autore moderno agisca secondo una palese ed esibita contaminazione delle fonti.

Nel quarantesimo componimento del primo libro dell’Eridanus (Ad Carbonem) Giovanni Pontano riprende un passo dell’elegia 2,4 di Tibullo20. Qui si rivolge al suo amico Girolamo Carbone, napoletano, diplomatico e letterato21, invitandolo a casa sua. Dopo il pasto sono previste letture degli elegiaci, chiamati in causa mediante perifrasi, senza nominarli. Per quel che concerne Tibullo, è presente un’allusione a Delia, ma al tempo stesso è impiegato un distico che viene dalla produzione legata a Nemesi.

Erid. 1,40 (Ad Carbonem), 45-46

Delia nec lasciva neget tibi carmen et ille 45 qui cupit in gelidis montibus esse lapis;

Nel passo di riferimento, Tibullo è tormentato dall’infelice amore per Nemesi e vorrebbe essere insensibile come una pietra piuttosto che soffrire in tale modo.

TIB. 2,4, 7-8

O ego ne possim tales sentire dolores,

quam mallem in gelidis montibus esse lapis, Bresciana del 1486

O ego ne possem tales sentire dolores

quam mallem22 in gelidis montibus esse lapis

Pontano riprende l’espressione in gelidis montibus esse lapis, premettendovi cupit e introducendo così una variatio rispetto al tibulliano mallem. La formula costituisce quindi una sorta di perifrasi per alludere a Tibullo senza nominarlo.

Anche i Parthenopei presentano numerose suggestioni tibulliane. Consideriamo l’elegia 1,6 (Queritur de ingenii tenuitate): un suo distico si configura evidentemente come memoria del celebre

incipit dell’elegia 2,4 di Tibullo23.

Parthen. 1,6 (Queritur de ingenii tenuitate), 55-56

At mihi servitium et tristis iam vita paratur, 55 illaque libertas pristina surripitur,

20 Mustard (1922), p. 52. 21 Monti Sabia (1964), p. 726.

22 Correggo la forma malem che si riscontra nell’incunabolo. 23 Riposati (19672), p. 317.

51 TIB. 2,4, 1-2

Sic mihi servitium video dominamque paratam: iam mihi, libertas illa paterna, vale,

Bresciana del 1486

[*]ic mihi servitium video dominamque paratam. Iam mihi libertas illa paterna veni.

L’intento di giocare con la memoria erudita del lettore è scoperto, dal momento che numerose tessere, come mihi, servitium, paratur, illa e libertas, denunciano in modo inequivocabile quale sia il modello di riferimento adottato. Il poeta moderno introduce anche una forma di variatio nell’impiego di pristina in luogo di paterna (con una sfumatura di significato leggermente diversa). L’utilizzo del verbo surripitur pone un problema che riguarda l’edizione consultata. Nella Bresciana del 1486, alla fine del pentametro, troviamo veni24, mentre le edizioni attuali riportano

vale. Probabilmente Pontano doveva avere a disposizione altre edizioni o manoscritti che

includevano la lezione oggi accettata25; sappiamo anche che egli riportò numerose annotazioni sul volume, e questo lavoro potrebbe aver riguardato anche l’intervento su lezioni ritenute erronee. Ciò spiegherebbe la variatio introdotta nel componimento mediante il verbo surripitur («mi viene sottratta») al posto della formula di saluto vale.

L’elegia 1,9 dei Parthenopei presenta spunti catulliani e tibulliani; consideriamo il v. 23, in cui è possibile cogliere l’eco dell’elegia 2,6 di Tibullo26.

Parth. 1,9 (Ad Fanniam), 23-24

Ah valeant veneres, valeant mala gaudia, amores: casta placent, luxus desidiose, vale;

TIB. 2,6, 9-10

Castra peto, valeatque Venus valeantque puellae:

et mihi sunt vires et mihi facta tuba est. 10 Bresciana del 1486

Castra peto: valeatque Venus, valeantque puellae:

et mihi sunt vires, et mihi facta tuba est. 10

Il testo è dedicato a Fannia, pseudonimo indicante una donna amata nei primi anni del periodo trascorso a Napoli; a lei sono indirizzati numerosi componimenti dei Parthenopei, degli

Hendecasyllabi e del De tumulis27. Il poeta si lamenta per la crudeltà dell’amata ed è talmente disperato da dichiarare di voler diventare frate francescano28. Ai vv. 23-24 dice addio alle grazie

24 La lezione è riconducibile a una mano secondaria del codice Eboracensis, scritto nel 1425: Lenz – Galinsky (19713),

pp. 24 e 114.

25 Vale compare, ad esempio, nella Vindeliniana del 1472, nella Milanese del 1475 e nei due incunaboli del 1481

(Reggio Emilia e Vicenza).

26 Il confronto è suggerito da Riposati (19672), p. 317. 27 Monti Sabia (1964), p. 397.

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muliebri e alle gioie amorose; egli è pronto a votarsi alla castità. La reduplicazione del verbo valeo e la presenza di Venus (che in Tibullo è la dea, mentre in Pontano il nome è al plurale e indica le bellezze) permettono di rintracciare la fonte tibulliana.

Nel testo incipitario del secondo libro dei Parthenopei (Magica ad depellendum amorem, ad

Theodorum Gazam) compare la reminiscenza di un passo dell’elegia 1,1: qui l’immagine del capo

velato di tenebre, originariamente riferita alla Morte, viene applicata alla Notte, sempre in sede di pentametro29.

Parth. 2,1 (Magica ad depellendum amorem, ad Theodorum Gazam), 1-2

Mite caput Lenaee hedera redimite virenti, tuque nigram tenebris nox adoperta comam, TIB. 1,1, 69-70

Interea, dum fata sinunt, iungamus amores:

iam veniet tenebris Mors adoperta caput, 70

Bresciana del 1486

Interea dum fata sinunt iungamus amores:

iam veniet tenebris mors adoperta caput, 70

Nel medesimo componimento l’attacco dell’elegia 1,2 di Tibullo contribuisce a delineare un quadro in cui la Notte, complice il vino, permette di dimenticare gli affanni amorosi30.

Parth. 2,1 (Magica ad depellendum amorem, ad Theodorum Gazam), 3-6

languida nunc facili componite lumina somno, fessaque securus occupet ossa sopor.

Tu modo tincta, puer, lethaeo dilue somno 5

pocula; sic tristis nanque fugandus amor.

TIB. 1,2, 1-4

Adde merum vinoque novos conpesce dolores, occupet ut fessi lumina victa sopor,

neu quisquam multo percussum tempora baccho excitet, infelix dum requiescit amor.

Bresciana del 1486

Adde merum vinoque novos conpesce dolores, occupet ut fessi lumina victa sopor:

neu quisquam multo perfusum tempora baccho excitet, infelix dum requiescit amor.

Come negli altri recuperi da Tibullo, anche qui Pontano reimpiega tre tessere lessicali che consentono l’immediato riconoscimento del modello: l’aggettivo fessus, il verbo occupo e il sostantivo sopor. Segue, due versi dopo, amor in chiusura di pentametro, che crea un omeoteleuto con sopor. La struttura ‘tibulliana’ viene imbastita abilmente; su questa intelaiatura di base si

29 Riposati (19672), p. 317, e Smith (1971), p. 204. 30 Riposati (19672), pp. 317-318.

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inseriscono i riferimenti al vino, evocato variamente nei due testi (merum e vino nel modello, con il passaggio a pocula nel testo di arrivo). Anche la definizione di amor varia; nel caso di Tibullo esso

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