CAPITOLO 3 – LA SCHIAVITU’ NELLA PIRATERIA
3.3 Captivi cristiani ai lavori forzati ad Algeri
Il nuovo, più attivo, ruolo giocato dagli Stati del Nord Africa, specialmente Algeri, portò l’afflusso di un gran numero di captivi cristiani in quella regione.
Mentre gli schiavi cristiani erano sempre stati presenti nel Nord Africa sin dal Medioevo, essi assunsero ruoli importanti nell’area dal XVI secolo in poi, e ad Algeri divennero la componente basilare dell’economia e della forza lavoro. I spagnoli e gli italiani erano tra i più numerosi ad
83 Panzac, Barbary Corsairs, pp. 117-118.
84 Fernand Braudel, Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II – Volume secondo, Torino, Giulio Einaudi
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Algeri, ma vi erano anche molti prigionieri francesi, inglesi ed olandesi. Il contributo dei captivi era duplice. Essi venivano valutati per il riscatto, il quale avrebbe dovuto essere pagato, per loro, dai Redenzionisti, dalle loro famiglie, o dai loro governi e per il loro potenziale come schiavi.
Molti divennero gli schiavi dello stato e dei governanti, o dei capitani corsari. Mentre, ve ne furono anche molti fra i proprietari privati di schiavi, fra cui i Moriscos, che erano musulmani fuggiti oppure espulsi dalla Spagna85, e gli ebrei. Come uno schiavo viveva in base al lavoro che eseguiva, e come veniva trattato durante la sua cattività dipendeva largamente da chi era il suo padrone, ed il fine per il quale era stato catturato.
I contemporanei europei credevano che coloro che cadevano nelle mani dei cosiddetti Barbareschi, si sarebbero aspettati una vita di lavori forzati, ed un trattamento molto più crudele di quello applicato ai prigionieri e captivi nelle società cristiane. Nonostante ciò, donne bambini erano a rischio di abusi sessuali. Questa visione era fortemente influenzata dagli scritti dei Redenzionisti, attivi in Spagna, Francia ed Italia, i quali tendevano ad esagerare i particolari della crudeltà musulmana per guadagnare un supporto popolare ufficiale a sostegno delle loro attività. Ciò fu rinforzato dalla letteratura del periodo. Popolari concezioni degli orrori della schiavitù nel Nord Africa erano state, probabilmente, incoraggiate, in diversi stati, dalla politica ufficiale del governo, che etichettava ogni contatto con l’Islām come “indesiderabile”86.
Mentre la crudeltà verso i captivi indubbiamente avvenne, in generale il trattamento degli schiavi cristiani ad Algeri fu, perlomeno, corrispondente agli standard dell’epoca, i quali erano comparati favorevolmente con il trattamento dei prigionieri e degli schiavi nella società cristiana; uno sforzo consapevole venne fatto dagli algerini per mantenere i loro schiavi in salute e vivi. La ragione di questa preoccupazione era principalmente economica. I captivi cristiani venivano occupati in numerose mansioni ad Algeri. Come in molte società di oggi, gli algerini assegnavano i prigionieri
85 Ellen G. Friedman, North African Piracy on the Coasts of Spain in the Seventeenth Century: A New Perspective on the
Expulsion of the Moriscos, «The International History Review», 1 (1979), pp. 2-3.
86 Ellen G. Friedman, Christian Captives at Hard Labors in Algiers, 16th
-18th, «The International Journal of African
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ai lavori forzati, mansioni che gli uomini liberi disdegnavano di fare, come il remare nelle galee, lavorare nelle miniere, oppure eseguire faticose attività nella costruzione di edifici e strutture di pubblica utilità.
Ma i captivi venivano adoperati, anche, in altri lavori, come operai specializzati, in agricoltura, nei negozi e come domestici. L’attività più faticosa in assoluto era remare nei vascelli corsari. I vascelli algerini possedevano dai diciotto ai ventiquattro banchi di remi, ed ogni remo richiedeva dai tre ai cinque uomini. Vascelli più piccoli avevano proporzionalmente meno rematori.
La Friedman usa qui, genericamente, il termine vascello senza porsi il problema di che tipo di nave utilizzassero effettivamente gli algerini, che solo nel 1606, quando l’olandese Danzer arrivò ad Algeri, cominciarono ad utilizzare, assieme a galee e fuste, anche vascelli opportunamente modificati, per essere adatti alla navigazione mediterranea.
Sebbene i capitani delle galee possedessero un gran numero di schiavi, essi, frequentemente, non avevano un numero sufficiente di uomini ai remi dei loro vascelli. Considerato che, dalla seconda metà del XVII secolo, le galee venivano usate meno spesso dagli algerini, così i cristiani servivano in altre funzioni nei vascelli corsari.
Non era inusuale, per i prigionieri, remare continuamente, senza riposo, per lunghi periodi. Frequentemente il lavoro dei rematori era reso più difficile dalla dieta, la quale era inadeguata al tipo di sforzo fisico che dovevano sostenere ogni giorno. Il problema di ottenere acqua fresca era molto acuto, e molte volte gli schiavi della galera morivano di fame. E’ da specificare che, le condizioni delle navi corsare algerine erano migliori per i marinai musulmani liberi.
Questa affermazione della Friedman non è pertinente, in quanto Bono afferma, in più punti, nelle sue opere, che le condizioni ed il trattamento, a cui venivano sottoposti gli schiavi, variavano molto a seconda che il proprietario fosse uno stato oppure un privato; essi erano comunque più tutelati che nell’antichità o nel Medioevo contro gli arbìtri ed i maltrattamenti.
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Inoltre, egli ritiene che gli schiavi, nel raccontare i fatti, possano aver esagerato, consapevoli o no, dell’asprezza del trattamento; mentre i religiosi, e tutti coloro che operavano i riscatti, erano dal canto loro interessati a presentare, con le tinte più fosche, le condizioni di vita dei cristiani detenuti presso i musulmani, per commuovere i lettori ed indurli a più generose offerte. Perciò, non si deve immaginare che gli schiavi fossero costantemente sottoposti a maltrattamenti e crudeltà, e che sempre e dovunque, la loro vita fosse un calvario di sofferenze. E’ pur vero, però, che un motivo di dolore era comunque il forzato distacco dalla propria terra e dai familiari, e che nel caso dei fanciulli e giovani, maschi e femmine, erano frequenti le violenze e gli abusi sessuali, specialmente presso i musulmani, dove pederastia ed omosessualità erano più diffuse87.
Non erano, solamente, le condizioni delle galee estremamente povere ed il lavoro arduo, ma solitamente gli schiavi venivano trattati molto duramente. Una ragione per questo potrebbe essere identificata nel prevenire la ribellione dei captivi. La possibilità di ribellione o di un tentativo di fuga nelle galee, era chiaramente un problema per i nord africani, e ciò richiedeva una considerevole vigilanza. Per prevenire un tentativo di fuga, nel momento in cui i corsari sbarcavano con i loro bottini, gli schiavi venivano incatenati ai remi, allorquando la nave arrivava in porto e anche durante i combattimenti per evitare che passassero al nemico.
Sebbene fughe e ribellioni fra gli schiavi della galera non erano così comuni, essi ne progettavano occasionalmente, in combutta con le autorità degli Stati cristiani. Nel maggio 1570, dei piani furono avanzati per fomentare una rivolta degli schiavi cristiani a Tripoli, in concomitanza con un’invasione spagnola. Né la rivolta né l’invasione ebbe luogo. Ma, nel maggio 1601, 140 schiavi della galera si rivoltarono ed uccisero i loro sorveglianti musulmani ed, al governatore di Tripoli, Ḥasan Pascià, sequestrarono moglie ed figli, con i quali fuggirono in una galera per Palermo. I leader ed i partecipanti alla ribellione furono, generosamente, ricompensati dalla Corona spagnola.
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I rematori spendevano l’inverno a terra, dove il loro lavoro sarebbe consistito nel vendere acqua, tagliare le viti, o lavorare nei progetti di costruzione. ʻAlī “Picinin” (1621-1645), uno dei più grandi possessori di schiavi del XVII secolo, usava i suoi schiavi delle galee per degli ambiziosi progetti di costruzione, nei quali i prigionieri lavoravano dal momento in cui la flotta ritornava per l’inverno fino al momento in cui ci si imbarcava, nuovamente, il maggio successivo. Sebbene il lavoro laggiù era, anche, molto oneroso, i captivi lo preferivano in quanto vi era abbondante acqua e potevano riposarsi durante la notte.
I captivi, i quali lavoravano nelle miniere o nelle opere pubbliche, solitamente, lavoravano legati alle catene, il più delle volte con un collare d’acciaio al collo. Il loro lavoro era arduo, come quello degli schiavi nelle galee; le loro mansioni erano equiparate a quelle delle bestie da soma. Uno dei progetti che richiedeva un lavoro quasi continuativo, era il rinforzamento del molo, il quale proteggeva il porto di Algeri dal vento.
Questo era continuamente spazzato via dal mare, e per ripararlo, i prigionieri dovevano rompere la pietra nelle cave, situate a due leghe di distanza nell’entroterra, caricarla nei vagoni, e tirare i vagoni lungo tutta la distanza fino al porto. Nel 1736 un gruppo di diciannove captivi spagnoli, i quali si identificavano come “ufficiali e soldati dei reggimenti di Sua Maestà”, scrissero a Filippo V di Spagna lamentandosi di questi lavori forzati.
Essi riferirono che, in tre anni e mezzo di cattività ad Algeri, non erano mai stati senza catene per un solo giorno, e che durante questo periodo, ebbero lavorato nel rinforzamento del molo, facendo quattro viaggi ogni giorno per tirare i carretti stipati di pietre dalla cava al porto.
Un progetto che portò un grande tributo di prigionieri, fu lo scavo delle rovine romane, localizzate fuori Algeri, nella seconda decade del XVIII secolo. I captivi, che lavoravano nel sito, faticavano dalla mattina alla notte. I fattori, i quali contribuirono all’alta incidenza di malattie serie, non furono solo il duro lavoro e la scarsa ed inadeguata alimentazione, bensì anche i colpi di frusta ricevuti dai sorveglianti musulmani e le lunghe ore di lavoro sotto il cocente sole algerino. Per il fatto che questi
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schiavi fossero già deboli, essi erano altamente suscettibili di prendersi qualche malattia. Come il caso galee, queste condizioni di lavoro, per gli schiavi ed i lavoratori forzati, non erano uniche nella Algeri di quel tempo88.
Un confronto potrebbe essere tratteggiato con il trattamento dei prigionieri o degli schiavi, la maggior parte di questi erano captivi musulmani e Moriscos, nelle miniere di Almadén in Spagna89. Il lavoro nelle miniere era così estenuante che, molti i quali vi lavorarono, si ammalarono per esaurimento oppure erano troppo deboli e, conseguenza di ciò, caddero vittime di malattie infettive. I prigionieri, i quali non soddisfacevano le quote di mercato, venivano frustati, anche quelli che erano malati. Un ulteriore pericolo per i lavoratori nelle miniere era quello dell’avvelenamento da mercurio, il quale, molto spesso, portava alla pazzia oppure alla morte. Il lavoro degli schiavi, ad Algeri, non era solo confinato alle occupazioni nelle quali, colui che doveva prestare servizio forzatamente, era sempre sotto il colpo della frusta. Invero, un gran numero di schiavi vennero trovati in quasi ogni occupazione.
La maggior parte delle donne e dei bambini erano schiavi domestici, sia nel palazzo del governatore sia in case private. Algeri impiegava i schiavi maschi più giovani a servire come paggi nel palazzi, laddove essi erano ben nutriti e trattati. Molti schiavi domestici erano incaricati di prendersi cura dei figli del padrone. Inoltre, gli schiavi di padroni privati lavoravano quali impiegati o commessi. Invero, a molti schiavi, era permesso anche di avviare una propria attività, con la quale avrebbero potuto pagare il padrone di una percentuale sui profitti. Fra queste attività, vi erano numerose taverne. Nel XVII secolo, erano presenti numerose di queste attività commerciali nei baños, le prigioni nelle quali molti captivi venivano alloggiati ad Algeri.
I captivi, i quali possedevano delle particolari abilità quali carpentieri, fabbri, costruttori, dottori, o chirurghi, erano altamente apprezzati. Ad esempio, il lavoro degli schiavi era indispensabile per la costruzione di navi ad Algeri, e coloro che erano abili in queste competenza erano ben considerati.
88 Friedman, Christian Captives at Hard Labor in Algiers, pp. 623-625.
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Molti captivi venivano alloggiati nei baños. Nel XVII secolo, ad Algeri, erano presenti otto ampi baños. Dalla seconda metà del XVIII secolo, ne rimasero solo tre, rendendo manifesto il declino dell’attività corsara e, come risultato, del numero delle persone catturate. Il più grande di questi era il baño grande del rey, una struttura laddove gli schiavi appartenenti al governatore venivano disposti.