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caratteristica dell’esistenza umana Parallelismo tra le nozioni di sacro e profano, e quelle di corpo vivo e corpo oggetto

- Breve introduzione al pensiero di Georges Bataille1 attraverso la nozione chiave di dépense

L’opera di Georges Bataille è estremamente varia, sia per i temi affrontati e gli ambiti disciplinari con cui si confronta e in cui prende corpo, sia per le diverse forme espressive a cui il suo pensiero è affidato. Infatti la sua produzione spazia dai romanzi “scabrosi” pubblicati sotto pseudonimi2; alle trattazioni, in stile saggistico, con incursioni nelle più diverse aree disciplinari, dalla critica letteraria all’analisi socio- economica, dall’antropologia alla storia delle religioni, dalla teoria dell’arte fino all’ambito più prettamente teoretico e filosofico. Ma a discapito di questo eclettismo superficiale, si avverte un’unità profonda che dà un senso di forte coesione a tutta la Sua Opera, e che è testimoniato dalla coerenza che traspare lungo tutto il suo itinerario intellettuale. Tale coerenza non è data dalla persistenza del contenuto o della forma espressiva del pensiero, ma dallo stile del pensare stesso. Quello che permane invariato non è un “oggetto” del pensiero, né lo schema formale in cui esso è espresso, ma un certo operare del pensiero, un certo uso della parola, un certo modo di stare nel linguaggio e farsi in esso. A nostro avviso tale carattere unitario e coerente della speculazione batailleana può essere messo in risalto attraverso la tematizzazione della nozione di dépense3, che viene formulata all’inizio del suo percorso di pensiero e che viene poi declinata in vario modo lungo l’arco di tutta la sua produzione. Per

1

Billom, 10 Settembre 1897 – Parigi, 9 Luglio 1962.

2

Ne adottò tre: Pierre Angelique, Lord Auch, Luis XXX.

3

Letteralmente si potrebbe tradurre con: grande dispendio, di energie fisiche o risorse materiali, fatto in vista di qualcosa non prettamente necessario.

dépense non si intende qualcosa di definito o definibile dal pensiero razionale ed

oggettivo, con esso si intende quella parte “dell’evento del mondo” il cui senso non è comprensibile attraverso ciò che produce, quella parte dell’essere che non è riducibile ai suoi effetti, o meglio che si definisce in quanto non è spiegabile a partire da essi e si pone quale dispendio improduttivo. Ciò che si identifica con il termine dépense non è nulla che appaia direttamente al pensiero oggettivo e sia conosciuto attraverso i nessi di causa-effetto, ma al contrario ciò che sfugge alle maglie di ogni pensiero causale e che rimane nascosto ad ogni coscienza oggettivante. Dunque nel concetto di dépense si incarna la critica alla riduzione del soggetto umano a pura autocoscienza e della realtà a spettacolo razionale dispiegato di fronte ad essa, critica che condivide con il pensiero di Merleau-Ponty, anche se esse prendono corpo seguendo itinerari diversi. Perciò utilizzare tale nozione quale chiave di accesso al pensiero di Georges Bataille ci permetterà anche di individuare subito un possibile luogo di confronto tra i due autori. Ma prima di trattare direttamente il tema della dépense introduciamo brevemente l’autore francese in maniera più generale. Visto l’eclettismo della sua produzione una sua restituzione puntuale a livello tematico e contenutistico supera le possibilità e le pretese del presente lavoro, tenteremo quindi di introdurre alla Sua Opera descrivendo lo “stile” generale del Suo pensare, che, come abbiamo già detto, traspare inalterato in tutta la sua produzione e che testimonia la sua intima coerenza e coesione.

Avvicinandosi all'opera di Georges Bataille si è normalmente presi da un senso di disorientamento, la sua lettura lascia spesso in un leggero stato di insoddisfazione, d'inquietudine; poiché in essa al pensiero non viene offerto nulla che abbia la consistenza sufficiente da essere afferrato. La pagina batailleana è il luogo in cui gli stabili e definiti significati del linguaggio della conoscenza sono sottoposti ad una turbolenza, ad uno squilibrio che incrina i loro limiti rigorosi, che rompe la rigidità immobilizzante della forma, e restituisce il pensiero ad una condizione fluida, indistinta. Il suo operare sembra essere opposto a quello conoscitivo, quest'ultimo, infatti, riconduce l'ignoto al già noto, raccoglie nella staticità della forma definita, la fluidità evanescente ed inafferrabile di ciò che gli sfugge. Al contrario, la prosa dello scrittore francese procede in senso inverso, in essa la chiarezza e la distinzione del pensare vigile e cosciente vengono inghiottite nell'oscura e indeterminata notte

originaria dell'informe, raggiunta attraverso una poetica dell'eccesso; in cui il discorso conoscitivo non è rifiutato a-priori ma è assunto senza riserve, con una radicalità nuova, con un rigore spinto al limite del possibile, portato fino in fondo, fino all'eccesso in cui mostra la sua inconsistenza, ed il lettore angosciato assiste al suo crollo rovinoso. Il Suo è un pensiero in rivolta, un pensiero che è rivolta, sovversione degli schemi d'una ragione paralizzante che, identificando l'altro al sé, cancella ogni possibilità dell'incontro rigenerativo con l'alterità ignota. Un tale pensiero è naturalmente insofferente a qualunque sua ricomprensione all'interno di quadri concettuali consueti e familiari, la quale risulterebbe travisante e riduttiva. È questo l'errore compiuto da Sartre nella sua analisi de “L'esperienza interiore”, come è ben rilevato da Carlo Pasi all'inizio del suo bel saggio “La favola dell'occhio”, dedicato proprio a Georges Bataille:

“Sartre si era ingannato, per primo, nel suo tentativo <<intelligente>> di lettura (e si trattava dell'Expérience intérieure) che voleva fissare un processo ancora aperto, libero di una libertà scabrosa, entro le maglie di uno schema preordinato. Nasceva l'etichetta riduttiva e sviante del <<nouveau mystique>>, e il resto, la diversità, ciò che si agitava di essenziale e inaudito, veniva ricacciato nella zona dell'abnorme, era <<affaire de la psychanalyse>>. Rifiutandosi di raccogliere l'avvertimento che il testo stesso gli inviava - <<je n'aime pas les définitions étroites>> -, proprio sulle <<definizioni strette>>, Sartre aveva costruito la sua analisi, costringendo così il libero flusso di una ricerca febbrile e magmatica in caselle normative che lo bloccassero in un ordine riconoscibile. La ricerca dell'ignoto veniva ricondotta nell'alveo tranquillizzante del già noto. Sartre aveva preferito mantenersi al di fuori, al di sopra, evitando di farsi trascinare in una caduta vertiginosa.”4

Se non si partecipa al movimento rovinoso del pensiero batailleano, se si pretende di osservarlo senza seguirlo, rimanendo al riparo da quel precipitare che esso è, si è condannati necessariamente a non comprenderlo. Il discorso che voglia esporre tale pensiero deve contenere in sé una violenza in grado di sovvertire il discorso stesso, deve condividere “il ribaltamento del sapere nel non-sapere, l'affiorare delle crepe,

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smottamenti, fratture che sottendono la conoscenza, gli squarci improvvisi che si aprono nella tessitura del pensiero creando buche di silenzi, afasie”.5

La Sua non è una ricerca che vuole giungere, che termina con il periodo, il saggio o l'insieme della sua opera, sfociando in un luogo d'arresto, sia pure provvisorio. Essa risulta costitutivamente estranea ad ogni tipo di chiusura, a qualsiasi risoluzione dia il senso tranquillizzante del blocco del movimento vorticoso in cui tutto è messo in discussione. Il momento negativo, distruttivo, non è preparatorio ad una nuova affermazione, non è la dissoluzione necessaria alla formazione di nuove compatte concrezioni, non si conclude in uno sgorgo che ne definisce il senso, ma rimane aperto a quell'abisso vertiginoso che ha spalancato. La sua negazione vuole differenziarsi nettamente dalla negazione determinata hegeliana. Nel movimento dialettico la negazione è ricompresa all'interno della logica del senso, attraverso la sua limitazione a momento necessario alla successiva riaffermazione. In questo modo il negativo è subito ricompreso nel positivo, la minaccia della morte e del nulla sembra vinta, ma in verità è semplicemente evitata. È questa la linea centrale su cui Bataille conduce il suo confronto con l'autore della Fenomenologia dello spirito. Nel sistema dialettico egli vede la vittoria dell'angoscia di fronte alla morte, che costringe l'uomo a fuggirla, a disconoscerla, ricomprendendola in un sistema in cui è ridotta a funzione del momento positivo dell'affermazione. Il negativo, la morte, la perdita, sono recuperati totalmente come lavoro che permette la formazione della figura successiva, la quale costituisce il loro senso; così quella rottura, quella soglia oltre la quale la ragione discorsiva non può spingersi senza collassare, è divenuta un passaggio rischiarato totalmente dal risultato, che le dona la sua ragion d'essere. È questa la debolezza che Bataille imputa al pensiero hegeliano, quella di aver scorto la necessità di un pensiero che avesse la forza di confrontarsi con la realtà del negativo, senza aver avuto poi la forza di perseguire rigorosamente i suoi propositi, costruendo un sistema in cui la morte è addomesticata e ridotta a serva della vita. Al contrario Bataille aspira ad un pensiero che sia all'altezza della morte nella sua abissalità, che si confronti con il suo essere in sé, accogliendola come realtà indipendente; senza rinviarla a qualcosa che sia altro da essa, riducendola

così alla condizione servile di un'azione volta a..., e di per sé vuota, il cui unico contenuto è quello ricevuto da ciò che se ne differenzia. In questa riduzione dell'operazione del negativo a lavoro produttore della forma che ne segue, la lacerazione e l'apertura generatesi nel momento della dissoluzione, della rottura della forma sono subito richiuse, o meglio, ad esse non è data la possibilità di aprirsi. Così il

discorso è salvo, la sua continuità non è interrotta da vuoti in cui è sospeso, ha domato

e ricompreso in sé quel turbine in cui affondava, quella turbolenza che lo sbriciolava; subordinandola ha potuto abbracciarla, ma in un abbraccio mortale in cui essa soffoca e scompare. Bataille, invece, fa di quell'apertura senza chiusura possibile, di quella ferita senza la prospettiva della futura rimarginazione, l'impossibile fine del suo pensiero. Così il disfacimento, la distruzione assumono una portata generatrice, non in quanto necessarie premesse della successiva riaffermazione della forma, ma in se stesse, come creatrici di uno spazio nuovo, non più stretto negli angusti limiti del discorso sensato, non più vincolato dalla temporalità necessaria alla concatenazione logica, ma libero nella sovranità dell'istante. La sua letteratura si fa luogo di realizzazione dell'aspirazione religiosa dell'uomo, l'opera diviene l'altare sul quale una messa a morte spettacolare permette l'ingresso nella sfera del sacro. È qui che risiede il carattere ambiguo della Sua opera, poiché è il linguaggio stesso ad essere la vittima del sacrificio, è la sua morte che è contemplata dal lettore, il quale si trova davanti a un linguaggio perverso, che rincorre in una spirale vertiginosa la propria cessazione.

“Della poesia dirò ora che essa è, credo, il sacrificio in cui le parole sono vittime. Le parole, le utilizziamo, ne facciamo gli strumenti di atti utili. Non avremmo nulla di umano se il linguaggio in noi dovesse essere interamente servile. Non possiamo neppure fare a meno dei rapporti efficaci che le parole introducono tra gli uomini e le cose. Ma le strappiamo a questi rapporti in un delirio.”6

6 G. Bataille, L'esperienza interiore, tr. it. Dedalo libri, Bari, 1978, p. 210. Ritroviamo qui un aspetto molto

vicino a quanto detto da Merleau-Ponty sul rapporto tra parola parlata e parola parlante. Anche se Bataille pone maggiormente l’accento sul momento negativo di dissolvimento del senso acquisito rispetto a quello affermativo di riorganizzazione e apparizione di un senso nuovo. Questo è dovuto al fatto che Egli è interessato a far emergere come dietro ad ogni “mondo” costituito si nasconda un’istanza creativa ed espressiva, che è il germe della sua dissoluzione verso un oltre. Questa istanza creatrice è sempre oltre ogni espressione data, è inafferrabile nel costituito, nel detto, nella definitività del concetto, ed è avvertita soltanto nell’esperienza del loro naufragio.

In questa notte del discorso, l'io definito e coerente della coscienza si smarrisce, l'individualità permanente e fissa dell'astrazione linguistica è rifratta in un mosaico di riflessi irregolari, si è protagonisti passivi di un naufragio:

“L'esigenza di Bataille fu quella di esplorare zone sempre più scoscese dell'essere, di procedere a rischiose incursioni nell'ignoto. Da qui una nuova strategia espressiva, che, superando i territori conosciuti, irrompesse nella notte umana, in ciò che ci fonda e ci estromette, sottraendoci a noi stessi7. Per lasciare i percorsi già tracciati e affrontare il salto nel buio occorreva rompere con il predominio del discorso (il regno del padre) che è il controllo di una ragione sempre vigile. In una sorta di passività fluttuante (di segno femminile), di silenzio, in cui si spegne l'occhio della coscienza e si estingue il potere della parola, si può lacerare finalmente la gabbia di un io sempre identico a se stesso, sprigionare parti segrete, inespresse. È allora che inizia la deriva, quello scacco progressivo dell'identità conchiusa che s'apre all'altro, alla differenza.”8

Il sacrificio che si compie è quello dell'individualità separata. Solamente nella rottura dei confini che mi definiscono quale l'io affidabile al discorso, posso vincere l'isolamento a cui mi condanna la chiarezza dell'intelletto, e aprirmi alla comunicazione nella perdita, unica alternativa alla stagnante e ripetitiva esistenza dell'essere distinto. Questa lacerazione è possibile solo nella violenza del desiderio, ed irraggiungibile nell'espressione calma della ragione.

“Alla velocità, Bataille aggiungeva la violenza di una recisione crudele delle voci di sempre che convogliano idee rimasticate, per aprirsi, nella ferita, alla comunicazione in cui il soggetto si trasfonde nell'oggetto e ne esce alterato. Si trattava cioè di organizzare uno spazio sacro in cui, in una dinamica trasferenziale, si operasse l'intensificazione dei processi della psiche, la <<drammatizzazione>> capace di orchestrare sconvolti scenari fantastici.”5

Questa violenza liberatrice, nella quale l'uomo si scrolla di dosso il giogo di una ragione immobilizzante ed entra in contatto con le correnti rigeneratrici estromesse dal mondo

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Anche qui si avverte il parallelo con la vita anonima e pre-cosciente che con Merleau-Ponty abbiamo riscoperto al fondo della vita personale e cosciente di sé.

razionale, è quella che egli vede scatenarsi negli eccessi e nell'euforia della festa, contrapposta all'autocontrollo e alla ragionevolezza della condotta normale del momento lavorativo. La logica che spinge l'uomo a limitare il suo essere presente, regolandolo sul calcolo delle sue conseguenze a venire, che presiede al momento lavorativo, è poi “sacrificata” nella vanità della festa religiosa che comanda il dispendio improduttivo, che restituisce l'uomo alla libertà sovrana dell'istante. Questo dispendio che comincia lì dove la parola non può arrivare, questo principio che introduce nella sfera dove il pensiero può giungere solo nel suo naufragio, è ciò che Bataille indica con il termine dépense. La sua natura irriducibile a qualunque definizione chiusa, la sua inafferrabilità in un pensiero che vorrebbe trattenere e conservare ciò che per essenza è uno scivolar via, un consumo puro che si perde nel nulla, senza lasciare resti nei quali afferrarlo, rende la nozione di dépense la migliore per restituire in tutta la sua profondità, un pensiero che fa del paradosso e dell'aporia, non il punto marginale e periferico dove il pensiero raziocinante giunge quasi per momentanea debolezza, ma il suo punto di partenza. Un pensiero che guarda verso l'oscurità dove gli oggetti definiti della coscienza chiara e distinta iniziano a svanire e a confondersi, che scrive il silenzio che il discorso non può dire senza contraddirsi.

- Il corpo e la dépense: due vie per giungere al di là della realtà oggettiva

Come abbiamo già detto, attraverso la nozione di dépense Bataille indica un punto cieco nella visione oggettivistica della realtà, una componente dell’essere che rimane esclusa da ogni sua riduzione ad oggetto determinato di una coscienza trasparente e completamente presente a se stessa. Essa dunque riveste il ruolo che nell’argomentazione Merleau-Pontyana abbiamo visto rivestire dal corpo. Naturalmente dicendo questo non vogliamo semplicemente equiparare i due temi e identificare i due diversi orizzonti di pensiero entro cui compaiono e che contribuiscono a delineare, ma soltanto proporre una linea interpretativa dei due pensatori che ci permetta di individuare un terreno sul quale sia possibile farli dialogare. Infatti, se nelle tematiche della dépense e del corpo possiamo trovare un punto di “contatto” da cui avviare un confronto tra i due autori, in esse emerge ciò che

li avvicina come ciò che li differenzia. Un carattere di distinzione tra i due autori è sicuramente riscontrabile nel punto di partenza da cui muovono la critica alla riduzione del soggetto al cogito riflesso, e dell’oggetto a oggetto di pensiero determinato. Merleau-Ponty prende le mosse dalla insufficienza delle teorie psicologiche, che su tale presupposto si basano, nel rendere conto del fenomeno del comportamento rilevato dalle loro osservazioni. Data l’impostazione estremamente individualistica degli studi psicologici di quegli anni, i comportamenti presi in analisi coinvolgono quasi sempre un solo soggetto, ed è in essi che viene messa a fuoco una interazione organismo-ambiente che sfugge ai rapporti riscontrabili tra una coscienza riflessa e le sue rappresentazioni. Così viene portato alla luce un “sapere” diverso dal sapere autocosciente, e un essere diverso sia dall’oggetto di una rappresentazione chiara e distinta, sia dalla coscienza trasparente di tale rappresentazione. Così lo spiraglio oltre il mondo oggettivo e razionale è scorto nella dimensione individuale, ed il paradigma che viene assunto quale bersaglio polemico è quello del soggetto epistemologico disincarnato, correlato di una realtà esplicita ed oggettiva.

Al contrario la riflessione di Georges Bataille è rivolta inizialmente all’orizzonte, sociale, culturale, economico, in cui hanno luogo e si costituiscono i comportamenti dei diversi soggetti, per arrivare poi ad individuare quali debbano essere i soggetti nella cui interazione prendono forma tali abitudini comportamentali. Dunque la sua critica alla soggettività come cogito riflesso, prende avvio nella forma della critica dell’identificazione del soggetto sociale con l’individuo separato, chiuso nella coscienza di sé, l’agire del quale è limitato al perseguimento di fini comprensibili attraverso la logica del proprio utile personale, ed i cui comportamenti sono dettati dal solo istinto di auto-conservazione. Questa diversità dell’orizzonte di pensiero in cui si muovono i due autori all’inizio del loro percorso intellettuale, può essere messo a fuoco esponendo brevemente l’articolo9 in cui per la prima volta Bataille elabora la nozione di dépense. In questa breve ma intensa trattazione ciò che si intende con dépense è subito definito come quell’insieme di comportamenti socio-culturali umani le cui finalità non sono intercettate dal movimento di accrescimento e conservazione.

9

“La notion de dépense” pubblicato per la prima volta in “La critique sociale”, gennaio 1933, n.7. Il testo fu più volte rielaborato, tanto che se ne contano ben sette versioni. Quella che qui citeremo in traduzione si riferisce alla quinta, pubblicata da Jean Piel nel 1967 come introduzione alla seconda edizione de La part

“L'attività umana non è interamente riducibile a processi di produzione e conservazione, e il consumo dev'essere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall'uso del minimo necessario, agli individui di una data società, per la conservazione della vita e per la continuazione dell'attività produttiva: si tratta dunque della condizione fondamentale di quest'ultima. La seconda parte è rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i

giochi, gli spettacoli, le arti, l'attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive,

hanno il loro fine in se stesse. Orbene, è necessario riservare il nome di dépense a queste

forme improduttive, escludendo tutti i modi di consumo che servono da termine

intermedio alla produzione. Pur essendo sempre possibile opporre le diverse forme