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Questa variabile, a differenza delle precedenti, viene presa in considerazione per un obiettivo differente.

Gli aspetti che si vogliono evidenziare, in riferimento alle caratteristiche del CEO, non riguardano l’età, la formazione, il background o la CEO remuneration, ma risulta essere piuttosto rilevante evidenziare se l’Amministratore delegato dell’impresa sia

outsider (esterno) oppure insider (interno) rispetto alla famiglia che detiene il controllo.

È opportuno, quindi determinare la corrispondenza o meno fra chi guida attualmente l’impresa (il CEO) e chi, invece, ha fondato l’azienda (il founder). Questo aspetto potrebbe fornire indicazioni sulla connessione tra l’iniziativa imprenditoriale fortemente sostenibile e un coinvolgimento ideologico e professionale nei principi di sostenibilità, tradotto poi nella mission dell’impresa.

Quando si parla di CEO insider intendiamo che tale ruolo viene ricoperto da un soggetto interno al nucleo familiare che detiene il controllo dell’impresa. Al contrario, il CEO

outsider è un soggetto esterno alla famiglia.

Come è stato già detto precedentemente (Paragrafo 2.7.2.) nei Family Business i soggetti esterni sono svantaggiati nell’ingresso dell’impresa in quanto prevale il nepotismo. La conseguenza negativa di questo atteggiamento è quella di non ottenere un turnover o la totale mancanza di competenze.

Molti autori hanno concentrato i loro studi focalizzandosi su cinque aree di interesse dei Family Business (Brockhause, 2004; Sharma, 2004): il rapporto familiare, ossia gli effetti della successione sull’armonia familiare e del business; la relazione positiva o negativa fra il successo della successione e il coinvolgimento da parte della famiglia;

il processo di successione seguito dall’area che si è preoccupata di studiare gli aspetti tecnici e relazionali legati ai futuri eredi ed infine la selezione del successore71.

L’aspetto di CEO insider e CEO outsider assume rilevanza quando vi è un processo di professionalizzazione o successione aziendale. Questi due processi hanno una differente definizione.

La professionalizzazione è già stata definita precedentemente (Paragrafo 2.2). La successione invece, è definita come “set of actions, events, and organizational mechanisms by which leadership at the top of the firm, and often ownership, are transferred”72. Essa

può accadere improvvisamente, come nel caso della morte del CEO o pensionamento inaspettato, o (più spesso) può essere prevista. In questo ultimo caso il pensionamento del CEO è preceduto da un periodo di preparazione pianificato al fine di garantire l’ingresso positivo della nuova generazione.

Le Breton-Miller, Miller e Steier (2004) ritengono che assicurare una leadership competente della famiglia, attraverso le generazioni, rappresenta una delle sfide affrontate dalle imprese familiari. Altre ricerche (più di altre rilevanti ai fini di questa analisi) hanno sottolineato il ruolo del fondatore protagonista nella successione. Infatti, García- Álvarez, Lóopez-Sintas, e Saldaña-Gonzalvo (2002) hanno dimostrato come la visione del fondatore possa influenzare la cultura e la performance dell’impresa. Lungo queste linee, Kelly, Athanassiou, e Crittenden (2000) sostengono che il potere del fondatore e la sua capacità di continuare a esercitare una forte influenza all’interno dell’organizzazione, dopo la sua o la sua permanenza in carica, dipendono dalle tre dimensioni principali: la centralità al flusso di informazioni, collegamenti diretti con il top management, e la capacità di influenzare i membri più collegati ad egli.

Altri studi, invece sottolineano che tali processi sono influenzati dalla modalità attraverso la quale le conoscenze e le capacità vengano trasferite attraverso le generazioni (Cabrera- Suárez, De Saa-Pérez, e García Almeida, 2001; Steier, 2001). Cabrera-Suárez (2001) evidenzia che la conoscenza specifica dell’azienda e la capacità di trasferirla siano fondamentali asset strategici e possano essere positivamente associata a livelli più elevati di prestazioni. Da questo punto di vista, il concetto di conoscenza include informazioni contestuali, esperienza, credenze, valori, e l’intuizione di esperti, così come il know-

how e le competenze per svolgere compiti (Cabrera- Suárez, 2001). Questo processo è

il trasferimento di una “visione condivisa” vale a dire, “la condivisione di opinioni circa

71 V. Chiesa/A. De Massis/M.L Pasi (2007) Gestire la successione nei Family business analisi di alcuni

casi italiani, Rivista Piccola Impresa/Small Business n. 1

gli obiettivi finali del business”73, che comporta anche dei valori condivisi, le priorità, e

aspirazioni per il futuro.

Per quest’ultimo motivo, al fine della corporate governance, si ritiene che la presenza di un CEO esterno o interno alla famiglia che detiene il controllo non sia propriamente sintomo di “buona o cattiva governance”, ma assumono rilevanza le modalità con cui avviene questo trasferimento.

Alla luce di ciò che è stato affermato, questo studio ritiene, che la presenza di un CEO

outsider o insider, in imprese familiari, non influenzi l’efficienza della corporate governance aziendale.

2.5 Conclusione

In questo secondo capitolo è stato affrontato il tema della corporate governance, definendola come la “composizione degli interessi convergenti sull’azienda, delle relazioni tra management, controllo e governo”74. Dopo averla definita a livello macro,

si è passati alla definizione di corporate governance di un’impresa familiare. È stato rilevato che in quest’ultimo modello di business vi è una componente importante che influenza la gestione e l’organizzazione: la presenza della famiglia. Essa è un aspetto rilevante perché trascina con sé un portafoglio di asset intangibili.

Il passo successivo alla definizione di corporate governance è stato quello di comprendere il significato di “buono” o “cattivo” governo. Questo tema è stato affrontato ampliamente in letteratura, soprattutto dopo gli ultimi scandali degli anni Settanta americani.

Il sondaggio “Global Investor Opinion Survey”, condotto nel 2002 da McKinsey & Company, rivolto agli investitori, rileva che essi sono disposti a pagare un premio per investire in un’impresa con una buona governance, ma soprattutto considerano la buona

governance un parametro di valutazione al pari degli indicatori finanziari.

Cosa significa però avere un “buon governo”? Quali sono i KPI o attraverso quali indicatori si misura il “buon governo”?

Sono stati individuati quattro corporate governance index: il G-Index di Gompers, Ishii e Metrick (2010), l’E-Index di Bebchuck, Cohen and Ferrell (2009), il Gov-Score Index di Brown e Caylor (2006) ed infine il Propriertary Governance Index.

Non vi è un indice ottimale per individuare un buon modello di governance e molti autori

fra i quali Bebchuck & Hamdani (2009), Bhagat, Bolton, e Romano (2008), Daines, Gow, e Larker, (2008) ne evidenziano le criticità, rilevando che anche il contesto e le caratteristiche dell’impresa influenzino la governance della stessa.

Al fine dell’analisi, che ha ad oggetto le imprese familiari quotate italiane, sono state individuate sei variabili che permettono di affermare se l’impresa abbia o meno una “buona o una cattiva governance”.

Queste sei variabili sono: la dimensione del Cda, l’eterogeneità del board, la composizione del Cda al fine di individuarne l’indipendenza, la costituzione dei comitati per la gestione fra cui Audit Committee e Remuneration Committee, la sovrapposizione fra il ruolo di presidente del board e di CEO ed infine proprio per la caratteristica del business abbiamo individuato l’istituzione del Consiglio di famiglia, come sostenuto dalla letteratura. Ad ognuna di queste variabili si assegnerà un punteggio nell’analisi da svolgere.

Nel prossimo capitolo verrà condotta una panoramica sugli indicatori non finanziari utilizzati dall’impresa al fine di capire se vi è una relazione fra “buona governance” (calcolata assegnando una variabile dummy alle variabili appena descritte) e l’utilizzo di indicatori non finanziari.

CAPITOLO 3

La relazione fra la Corporate Governance e gli indicatori non

finanziari

3.1 L’importanza dei non financial indicators - 3.2 Metodi alternativi non monetari per la