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Le società sono Repubbliche. L’autorità ultima riposa con gli elettori (gli azionisti). Gli elettori eleggono i rappresentanti (Amministratori) che delegano la maggior parte delle decisioni a burocrati (manager). Come in ogni Repubblica, l’effettivo rapporto di condivisione del potere dipende dalle specifiche norme di governance. Vi è un estremo, che si inclina verso una democrazia, si riserva poco potere per la gestione e consente agli azionisti di sostituire rapidamente e facilmente gli amministratori. L’altro estremo, che si inclina verso una dittatura, si riserva di potenza per la gestione estesa e pone restrizioni forti sulla capacità degli azionisti di sostituire gli amministratori. Gli azionisti sono portati ad accettare le restrizioni dei loro diritti nella speranza di massimizzare la loro ricchezza, ma poco si sa circa l’equilibrio ideale di potere35.

Questa è l’introduzione di “Corporate Governance and Equity Prices” di P. Gompers. Questa analogia rappresenta il punto di partenza per consegnare una definizione di

corporate governance da avvalere nel seguente studio.

il rapporto di potere. Rapporto in bilico fra l’estremo democratico, che consente agli azionisti di esercitare il proprio diritto, e l’estremo dittatoriale che lo impedisce. Una “buona corporate governance”, quindi sarà il punto di equilibrio fra questi due estremi e si manifesterà con l’effettiva massimizzazione della ricchezza desiderata dagli azionisti.

Gompers non è l’unico a fornire una definizione di corporate governance, in quanto il tema risulta centrale nella letteratura aziendale (Colarossi, Giorgino, Steri, e Viviani, 2008). Il concetto di equilibrio, ad esempio viene ripreso anche nella definizione di N. Angiola: “Il cardine della gestione d’impresa consiste nel ricercare una condizione di stabile equilibrio rispetto a tutti i soggetti che sono, a vario titolo interessati al suo svolgimento”36 ove per “stabile equilibrio” s’intende

la soddisfazione e il coinvolgimento di tutti gli stakeholder (interni ed esterni) conseguibile non solamente nel breve ma anche nel lungo termine.

“Il sistema di governance si fonda sull’equilibrio tra gli interessi dei diversi

stakeholder (azionisti, creditori, management, dipendenti, fornitori ecc.) in un

determinato contesto di regole istituzionali e di mercato. Ogni azienda, in funzione del sistema di governance cui è sottoposta, presenta cioè condizioni più o meno favorevoli nell’uso efficiente del capitale e del lavoro”37.

Dalle tre definizioni sopra riportate risaltano, più di altri, due aspetti i quali verranno di seguito argomentati: il sistema di governance dell’azienda, che influenza l’utilizzo efficiente del capitale e del lavoro; e la ricerca di un equilibrio stabile.

Per quanto riguarda il primo aspetto ricordiamo che il tema della corporate

governance ha assunto rilevanza prima degli anni ’80, a seguito dei processi di

privatizzazione che hanno coinvolto Europa occidentale, America Latina ed Asia e nei successivi anni ’90 a causa della lesione dei diritti di rilevanti attori aziendali. Come viene enunciato anche nella definizione sopra riportata, non esiste una definizione universalmente accettata del significato del termine corporate

governance. Tuttavia, la ricerca di una definizione condivisa da tutti i Paesi è

complessa a causa della diversa cultura, dei sistemi giuridici e del loro excursus storico (Ramon, 2001).

Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, la Dottrina ci consegna due differenti modelli in merito alle finalità aziendali.

Il primo modello, chiamato shareholders view, afferma che l’azienda deve porsi l’obiettivo di massimizzare il valore per gli azionisti. Tale definizione si appoggia

36 N. Angiola (2000) Corporate Governance e impresa familiare, G. Giappichelli Editore, p. 11 37 N. Angiola (2000) Corporate Governance e impresa familiare, G. Giappichelli Editore

38 W. Zocchi (2012) Profili Economico-Aziendali del “Family Business”, G. Giappichelli Editore p.

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39 W. Zocchi (2012) Profili Economico-Aziendali del “Family Business”, G. Giappichelli Editore p.

alla teoria dell’agenzia, la quale evidenzia i possibili problemi derivanti da conflitti di interesse e informazione asimmetrica fra le due parti coinvolte in un contratto. Gli individui assumono comportamenti opportunistici quando una parte del contratto, l’agente, tende a comportarsi nel proprio interesse anziché nell’interesse dell’altra parte del contratto, il principale, creando azzardo morale e selezione avversa. I costi sostenuti durante il processo di rilevamento, per risolvere questi problemi o prevenirli, attraverso strumenti quali il controllo o i sistemi di incentivazione, le strutture di governance, etc., e il danno economico causato da opportunisti comportamenti manageriali (ad esempio free-riding) rientrano nei costi d’agenzia. Una delle ipotesi fondamentali della teoria dell’agenzia è che tali costi derivino dalla separazione di proprietà e controllo (Fama e Jensen 1983).

Come affermato precedentemente (Paragrafo 1.5.1), vi sono autori che, nelle loro ricerche, dimostrano che le imprese familiari sostengono minori investimenti per i meccanismi di controllo.

Diverso approccio è quello del modello stakeholders view, il quale allarga quanto affermato nella definizione precedente e prevede che manager e amministratori non si dovranno limitare a soddisfare i meri interessi degli azionisti, ma del complessivo portafoglio di portatori d’interesse dell’impresa.

Si afferma, quindi, che con l’espressione corporate governance s’intende la “composizione degli interessi convergenti sull’azienda, delle relazioni tra management, controllo e governo”38. Misurare la corporate governance “significherà

quindi analizzarne il sistema di regole, meccanismi e strumenti che permettono di guidarne, monitorarne e valutarne l’andamento, verso la creazione di valore per azionisti e stakeholder”39.

I modelli di corporate governance possono essere classificati sulla base del modo di concepire la separazione fra proprietà e controllo. Nella distinzione fra modelli insider

system e outsider system si nota come i primi siano caratterizzati dalla proprietà

concentrata nelle mani di un numero limitato di azionisti che possiedono un potere decisionale interno forte. In questi modelli rientra l’impresa patronale italiana. Nei secondi, invece, la proprietà risulta polverizzata e instabile, vi è un elevato grado di contendibilità del controllo e il ruolo del manager assume importanza. In questo modello di governance rientra la Public Company anglosassone.

Il modello capitalistico italiano rientra, appunto, fra i modelli insider, e la nostra nazione viene definita da Melis (2002) come un paese con “manager deboli, azionisti di maggioranza forti e azionisti di minoranza non tutelati”. Proprio per queste caratteristiche sono state individuate negli anni problematiche e lacune del modello italiano e gli ultimi 15 anni sono stati anni di riforme e correzioni facendo riferimento ai modelli anglosassoni. Il Decreto Legislativo n. 58 del 1998 (c.d. “Legge Draghi”), il Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana S.p.a., la Legge n. 366 del 3 ottobre 2001, il Decreto Legislativo n. 6 del 2003 e la Legge 262 del 2005 (c.d. “Legge sul Risparmio”), sono tutti documenti prodotti con questa finalità.

Dopo aver definito la corporate governance a livello macro ora ci addentreremo nelle caratteristiche e peculiarità della corporate governance di un’impresa familiare.