• Non ci sono risultati.

Le caratteristiche del mobbing: frequenza, durata e tipo di vessazion

Anna Rota

3. Le caratteristiche del mobbing: frequenza, durata e tipo di vessazion

Ai sensi dell’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità e di merito, il mobbing sussiste in presenza di una molteplicità di atti giuridici e/o comportamenti materiali di ca- rattere persecutorio, posti in essere in modo sistematico e prolungato nel tempo al fine di vessare il lavoratore durante l’espletamento dell’attività in azienda.

Rilevano in generale i provvedimenti e i comportamenti negativamente incidenti sul- la reputazione del lavoratore, sui suoi rapporti umani con l’ambiente di lavoro, sul conte- nuto stesso della prestazione lavorativa. Più precisamente, la condotta mobbizzante può essere costituita sia da comportamenti ex se illegittimi (dequalificazione professionale, tra- sferimento ingiustificato, comportamenti offensivi o violenti sul piano verbale) quanto da provvedimenti e condotte che considerati singolarmente ed in maniera isolata potrebbero non assumere rilievo per il diritto. Tra questi ultimi si possono esemplificativamente richia- mare: la modifica dell’orario di lavoro, l’irrogazione di sanzioni disciplinari, l’effettuazione di ripetute visite mediche di controllo domiciliare pur all’interno di un medesimo periodo di malattia19 ed in linea di principio tutte quelle manifestazioni di atti d’esercizio di poteri

datoriali all’apparenza corretti ma sostanzialmente abusivi giacché esercitati per perseguire scopi diversi da quelli tecnico-organizzativi che ne costituiscono la causa20.

Nella grande maggioranza dei casi sottoposti al vaglio della giurisprudenza è stata con- testata la pratica dell’isolamento della vittima associata alla mancata assegnazione di sup- porti informatici e di mansioni compatibili con il livello di professionalità acquisito dal di- pendente, in violazione dell’art. 2103 cod. civ. (ante riforma)21 o, limitatamente al settore

pubblico, dell’art. 52, D.lgs. 165/2001 per come integrato a seguito dell’approvazione della Riforma Brunetta (D.lgs. 150/2009).

18 Ex multis dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 359 del 2003, v. Cass. sez. lav.: 21 maggio 2011, n. 12048; 5 novembre 2012, n. 18727; 21 febbraio 2013, n. 4303; 23 maggio 2013, n. 12725; 17 gennaio 2014, n. 898. In sede amministrativa da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945. Si tratta di criteri ulteriormente esplicitati da Cass., sez. lav., 15 maggio 2015, n. 10037.

19 Così dopo Cass., 19 gennaio 1999, n. 475, Cass., 6 marzo 2006, n. 4774. 20 Così Carinci 2007, 135 in richiamo di Tullini 2000, 263.

21 Deve osservarsi che la disciplina dello jus variandi del datore di lavoro, contenuta nell’art. 2103 cod. civ. è stata di recente oggetto di modifica ad opera del D.lgs. 81/2015. Ai sensi dell’attuale formulazione della norma, da applicarsi solo nel settore privato, il lavoratore può essere adibito a qualsiasi mansione ri- conducibile allo stesso livello e avuto riguardo alle declaratorie e ai profili professionali del contratto collet- tivo. Ne discende che l’esercizio del potere datoriale non trova più il suo limite nel requisito dell’equivalenza professionale. Per approfondimenti v. Tiraboschi 2015, 22.

Non meno frequenti risultano i casi di ripetuti trasferimenti o sanzioni disciplinari per fatti illeciti inesistenti o di lieve entità, di esclusione dalle iniziative organizzate per il perso- nale e di scenate ed offese davanti a colleghi e/o soggetti estranei all’impresa22.

La giurisprudenza precisa inoltre che si deve trattare di più atti giuridici o comporta- menti materiali di apprezzabile intensità e tali da sconfinare dalla normale conflittualità generata in un contesto lavorativo. Detto altrimenti, per integrare il mobbing non sono sufficienti “screzi e i conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro, né episodi collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche”23. La sua rilevanza può per ipotesi

invece riconoscersi in presenza di una “conflittualità sottile, continuata, non eclatante ma non per questo meno pesante da sopportare per la vittima in quanto non particolarmente manifesta”24.

Affinché possa configurarsi il mobbing è altresì fondamentale che le vicende siano rei- terate per un apprezzabile lasso di tempo. Da una ricognizione del materiale giurispruden- ziale più recente emerge, salvo alcune rare eccezioni25, l’abbandono di un orientamento

interpretativo che, coerentemente agli indirizzi della psicologia del lavoro, richiedeva una durata di almeno sei mesi e una frequenza almeno settimanale degli episodi di mobbing. At- tualmente, l’individuazione del tempo necessario dipende fondamentalmente da tre fattori: dall’ambiente socio-culturale in cui il conflitto si svolge; dal tipo di relazioni psicologiche del soggetto mobbizzato; dallo specifico lavoro svolto.26 Si tratta di un tipo di approccio più

incline a valutare la specificità del caso denunciato27 che ha preso spunto da alcune riflessio-

ni della dottrina, diffusesi a partire dal 200028 in critica alla trasposizione meccanica propo-

sta dalla psicologia: spetta al giudice verificare di volta in volta se la sequenza degli atti e/o comportamenti abbia assunto una consistenza tale da pregiudicare interessi ed esigenze del lavoratore, meritevoli di tutela.

In ossequio a tale impostazione, gli estremi del mobbing non sono stati ravvisati nel tra- sferimento del dipendente per una sola settimana e per ragioni oggettivamente accertabi- li, quali ad esempio la necessità di garantire ad una società di consulenza esterna l’accesso esclusivo ad alcuni locali per compiere indagini difensive in un procedimento penale a cari- co del datore di lavoro29. Risultano invece, in linea di principio, sufficienti tre mesi nel caso

di quick mobbing, perpetrato con frequenza quotidiana e con azioni ostili particolarmente devastanti per la vittima30.

22 Così da ultimo Cass., 15 maggio 2015, n. 10037.

23 Così ad esempio Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1609. 24 Così Tribunale di Forlì, 28 gennaio 2005.

25 Restano ancorati alle analisi psicologiche e mediche ad esempio Tribunale di Milano, 29 ottobre 2004, e Tribunale di Palermo, 18 gennaio 2008.

26 In argomento v. Cass., 9 settembre 2008, n. 22858.

27 Ciò risulta particolarmente evidente in Tribunale di Paola, 24 marzo 2005, nel quale il giudice ha escluso che sei mesi caratterizzati da tre episodi documentati possano comprovare un effetto mobbizzante.

28 Su tutti Scognamiglio 2004, 489.

29 Così di recente Tribunale di Roma, 28 novembre 2012.

30 Tale conclusione emerge sistematicamente dalle sentenze che affrontano il tema della durata minima del mobbing, mentre non risultano allo stato pronunce che abbiamo ravvisato il quick mobbing. Si sostiene più generalmente ed in linea di principio che la durata minima sarà inversamente proporzionale alla fre- quenza ed alla gravità delle vessazioni.

Giova infine osservare che in assenza di frequenti azioni ostili e della progressiva dinamica della vicenda, la giurisprudenza ha riconosciuto lo straining, intendendo per tale “una situazione lavorativa conflittuale in cui la vittima ha subito azioni ostili li- mitate nel numero ma comunque in grado di provocare una mortificazione costante e permanente della condizione lavorativa”31. Si tratta di una condotta isolata in grado di

produrre i suoi effetti a lungo termine ed in maniera costante in conseguenza del suo carattere di provocare danni alla vittima. A tale fenomeno è stato ad esempio ricondot- to il caso di un dipendente di banca, relegato a lavorare in uno “sgabuzzino, spoglio e sporco” ed a svolgere “mansioni dequalificanti, meramente esecutive e ripetitive” in luogo dell’autonomia decisionale che lo aveva in precedenza contraddistinto nell’isti- tuto di credito32.