Prima di passare alla descrizione delle caratteristiche peculiari della narrazione, è necessario richiamare la distinzione tra storia, racconto e narrazione.
La storia è l’ “oggetto” reale o immaginario partendo da quale e intorno al quale procede il narrare. Con il termine racconto definiamo invece la modalità per mezzo della quale la storia viene resa pubblica (esistono molteplici maniere di raccontare una storia, dipendenti dagli strumenti che si adoperano: oralità, scrittura o altri strumenti espressivi). La narrazione è infine l’atto del raccontare, che coinvolge e mette in relazione almeno due interlocutori. Se la storia esiste nel racconto, la narrazione è ciò che conferisce trama alla storia e in fondo potenzia quella del racconto stesso (Jedlowski, 2000).
La categoria della narrazione è molto vasta e variegata (Levorato, 1988). Numerosi sono i generi in cui può articolarsi: favole e storie per bambini, leggende, romanzi d’avventura, racconti gialli, ecc. Ma tutti questi generi narrativi presentano delle caratteristiche comuni.
Innanzi tutto l’argomento: le storie raccontano di azioni e vicende di uomini, secondo un ordine temporale e un principio di causa ed effetto. I protagonisti, nota van Dijk (1975, cit. da Levorato, 1988), devono essere umani o umanizzati, dotati di intenzioni e capaci di agire. Chi legge o ascolta un racconto desidera trovarvi la vita, non importa se di persone reali o immaginate o di animali antropomorfi (Levorato, 2000).
Sul piano della forma, il linguaggio non è specialistico, ma molto vicino a quello quotidiano. Il testo si presenta comprensibile e memorizzabile più di altri tipi di testo; pertanto, al lettore non è richiesta un'istruzione specifica (Levorato, 2000).
I testi narrativi presentano infine una struttura ben precisa e comune a tutti, dotata di una certa stabilità (Levorato, 1988), con una solida organizzazione tra accadimenti reali o immaginari e il tempo, che è caratteristica fondamentale in tutti i testi narrativi: c’è un inizio, uno sviluppo e una fine (Levorato e Nesi, 2001). A tal proposito, Ricoeur scrive:
La posta in gioco dell’identità strutturale della funzione narrativa e dell’esigenza di verità di ogni opera narrativa sta nella natura temporale dell’esperienza umana. Il
mondo dispiegato da qualsiasi lavoro narrativo è sempre un mondo temporale (Ricoeur, 1998, p. 64).
Sovente, in special modo nella narrativa per l’infanzia o di fantasia, troviamo il classico incipit C’era una volta…, che avvisa il lettore che gli avvenimenti raccontati non sono collocabili in uno spazio e un tempo ben definiti e che, osserva Eco, lo invita a non domandarsi se i fatti narrati siano reali o inventati (Eco, 1979, cit. da Levorato, 1988).
Come sostiene Bruner (1992, p. 30), la narrazione “può essere reale o immaginaria, senza che la sua forza come racconto abbia a soffrirne”. La norma che regola la narrazione non segue il concetto di verità bensì quello di “verosimiglianza”. Scatta cioè nel lettore una specie di “sospensione dell’incredulità”; perché non si tratta in questo caso di dimostrare l’attendibilità di una teoria scientifica, ma di esplorare un mondo
possibile nato dalla fantasia di un autore. Ragion per cui “la validità di un racconto [...]
viene stabilita sulla scorta di criteri diversi da quelli a cui si ricorre per giudicare l’adeguatezza o la correttezza di un’argomentazione logica” (Bruner, 1992, p. 45). Secondo Bruner (1992) il giudizio sulla verità narrativa deve basarsi su quanto essa sia verosimile e non su quanto sia verificabile.2
Smorti (1994, p. 136) precisa che “la storia deve persuadere chi la costruisce e chi l’ascolta, ciò significa che deve apparire verosimigliante in due sensi”. L’importante è che il racconto rispetti le regole della sequenzialità e della coerenza. Scrive infatti De Rossi:
Nella lettura si attivano processi cognitivo-emotivi di tipo inferenziale attraverso i quali anche la più improbabile delle storie può assumere un senso, o meglio sensi molteplici purché la narrazione sia coerente (Petrucco e De Rossi, 2012, p. 32).
Nel racconto delle vicende umane, lo sviluppo della storia avviene attraverso la costruzione di un “doppio scenario” - che Greimas (1984) riteneva essere la
2
Cfr. ivi. Secondo alcuni autori, parlare di verosimiglianza e non di verità può mettere in dubbio la credibilità delle storie. Pertanto, alcuni di loro si sono espressi a sostegno della coerenza narrativa. Per Levorato, per esempio, non ha importanza che le azioni narrate siano verificate: è importante che la forma sia corretta e le relazioni adeguate. Per Weick una storia è tanto più credibile quanto più il narratore è capace di dare coerenza alle esperienze frammentate: Linde sostiene che la coerenza di una narrazione dipende dalla relazione tra le varie componenti di un testo. Ricoeur intende la coerenza narrativa come unione tra episodi, tempo e azione. Cfr. Poggio B. (2004), Mi racconti una storia? Il metodo narrativo nelle scienze sociali, Carocci, Roma.
connotazione primitiva e irriducibile del racconto - il quale opera su due piani o, come dice Bruner (2002), in due paesaggi: quello dell’azione e quello della coscienza.
Il primo è formato da tutti quegli elementi che compongono l’azione: agente, fine, situazione ecc. Il secondo paesaggio riguarda la psicologia e la coscienza dei personaggi e rappresenta i loro pensieri, i sentimenti e i segreti. Bisogna precisare che la distinzione di questi due piani narrativi viene fatta solo per rendere più chiara l’esposizione poiché, per citare Bruner (2002, p. 30), “fa parte della magia delle storie ben costruite il mantenere questi due paesaggi intrecciati, rendendo inseparabili il conoscente e il conosciuto”.
In conclusione, riassumendo le principali caratteristiche del processo narrativo, non ci resta che ricorrere ancora a Bruner (1991), il quale elenca dieci fondamentali peculiarità:
1) Sequenzialità o diacronicità narrativa. 2) Particolarità e concretezza.
3) Necessario riferimento a stati intenzionali. 4) Componibilità ermeneutica.
5) Canonicità e violazione. 6) Referenzialità.
7) Appartenenza a un genere. 8) Normatività.
9) Sensibilità al contesto e negoziabilità. 10) Accumulazione narrativa.
• Sequenzialità o diacronicità narrativa. Ogni racconto dipana una serie di eventi situati nel tempo e segue una sua ben precisa durata. Non si tratta ovviamente del tempo che siamo soliti misurare scientificamente, ma di come il tempo viene percepito in base in base alla percezione di sequenze di eventi, e di come simbolicamente lo costruiamo. Tutte le forme del narrare - da quella orale a quella audiovisiva - stabiliscono proprie convenzioni temporali; questo insieme comprende le analessi (i flashback, ripetizioni del passato), le prolessi (flashforward, anticipazioni del futuro), le ellissi temporali (salti di tempo che raccordano due diversi momenti), il rallentamento, l’accelerazione e l’inversione temporale.
• Particolarità e concretezza. Le particolarità sono fondamentali nella creazione di racconti, i quali “assumono come propri riferimenti estensivi degli elementi particolari” (Bruner, 1991, p. 79). Se dovessero mancare, essi possono essere ricostruiti dallo stesso spettatore o lettore.
• Stati intenzionali. Sia le storie che riguardano personaggi agenti in una particolare condizione, sia gli eventi che accadono devono risultare pertinenti “agli stati intenzionali che i personaggi hanno nella situazione in cui operano” (Bruner, 1991, p. 81). Consideriamo qui stati intenzionali le credenze, i desideri e le intenzioni dei personaggi, che spiegano e/o permettono di prevedere il comportamento degli stessi e servono a chiarire la loro psicologia, per rendere comprensibili al pubblico le considerazioni, i sentimenti e le azioni.
• Componibilità ermeneutica. In un’opera narrativa personaggi ed eventi sono legati, così come storia e intreccio non sono elementi indipendenti l’uno dall’altro. Tutte le componenti di un racconto devono essere selezionate e mescolate come veri e propri “ingredienti”.
• Canonicità e violazione (violazione del canone). Ai cinque elementi basilari del racconto suggeriti da Burke (1968) - personaggi, azioni, scopi, contesti, mezzi o
strumenti - Bruner (2002) ne aggiunge un sesto che chiama difficoltà, ossia l’esistenza
di qualcosa che determina uno squilibrio all’interno degli elementi (il mancato raggiungimento di un obiettivo, il contrapporsi di una forza ignota, l’impossibilità di utilizzare uno strumento, ecc.). Nonostante l’esistenza di racconti senza la presenza della difficoltà (racconto senza violazioni), che presentano un modello ripetitivo, sempre identico a se stesso, composto da azioni “compiute in funzione di uno scopo, con un ordine prevedibile o, in contesto spazio-temporale specifico, da soggetti che svolgono ruoli prestabiliti” (come accade nella prima forma narrativa dei bambini), per Bruner (2002, p. 84) il solo succedersi di eventi non basta a creare un racconto efficace; una buona storia esige necessariamente una rottura con le situazioni culturalmente riconosciute come ripetitive, le quali finiscono per non creare significati.
• Referenzialità. Raccontare non vuol dire imitare la realtà: nel racconto elementi reali ed elementi immaginari, inventati dal narratore, coesistono. La narrazione crea quindi
un mondo possibile, “vero” in quanto verosimile e non perché verificabile. “La narratività letteraria - sostiene Bruner (2002, p. 87) - congiuntivizza la realtà [...] dando spazio non solo a quello che c’è, ma anche a quello che avrebbe potuto esserci”.
• Appartenenza a un genere. L’importanza dei generi nella narrazione è strettamente legata alla possibilità fornita al lettore e all’autore di modelli convenzionali “per limitare il compito ermeneutico di dare un senso agli accadimenti umani” Bruner (2002, p. 88). I generi sarebbero il prodotto della conversione di “forme convenzionali di contrattempi umani”: la commedia, il romanzo d’avventura, il racconto giallo e ogni altro genere altro non sono che mezzi per rendere più dominabile il concetto di fortuità.
• Normatività. Se da una parte nel racconto può essere presente una “violazione dell’aspettativa convenzionale”, questa violazione non può tuttavia non tenere conto del carattere normativo della narrazione. Una normatività che non è da intendersi come immutabile, dato che le sue prospettive mutano col mutare della società e dei differenti modi con cui l’individuo esplora la realtà.
• Sensibilità al contesto e negoziabilità. Dall’opera narrativa non scaturisce un solo significato per mezzo dell’organizzazione di segni semantici e grammaticali. Il suo senso è determinato dal rapporto che nasce tra autore e lettore: il primo crea l’opera; il secondo la interpreta (e quindi la completa) fondandosi sulle conoscenze che possiede dell’autore, della sua opera e degli ambiti di riferimento. Ed è proprio la sensibilità al contesto che rende il discorso narrativo “uno strumento vitale di negoziazione culturale nella vita quotidiana, un modo per comporre le divergenze di ognuno attraverso un’attività di dialogo” (Bruner, 2002, p. 90).
• Accumulazione creativa. L’accumulazione di narrazioni genera grandi complessi che in modo generico definiamo come cultura, storia, tradizione. Essa contribuisce alla determinazione dell’identità di una comunità o di una nazione, a consolidarne norme e leggi.