Che la narrazione sia importante nel processo di apprendimento è testimoniato dagli studi sulle neuroscienze, tra i quali quelli di Schank (1990) e di Caine (1994). Che essa sia uno strumento di cui non si può fare a meno per edificare significati e rendere più facili i processi di cambiamento sociale (dato che nella narrazione troviamo le stesse modalità usate dagli individui per interpretare gli avvenimenti nella realtà quotidiana), lo sostengono Kaneklin e Scaratti (1998).
Taylor (1999) afferma che ognuno di noi può essere considerato il risultato delle storie che ha ascoltato, di quelle che ha vissuto e anche di quelle di cui non è stato protagonista. Ogni giorno raccontiamo e ci raccontiamo, creando pertanto relazioni. Mediante tali relazioni matura quella che possiamo definire la “negoziazione del proprio sé con quello altrui”. Ecco quindi che la narrazione diventa mezzo formativo con cui costruire significati.
Se una delle funzioni formative è quella di permettere una maggiore consapevolezza della realtà, allora si rende necessario dare spazio alla narrazione che diventa sia oggetto, sia strumento, sia soggetto del processo formativo. Non bisogna però semplicemente aumentare l’impiego della narrazione nell’educazione tramite romanzi e novelle; occorre anche educare narrando, fornire cioè di una struttura narrativa il percorso educativo: l’educazione non deve essere solamente un’occasione di spiegazioni e di trasferimento di conoscenze, ma anche luogo di vicendevole ascolto tra individui narranti, la cui identità è principalmente narrativa (Nanni, 1998).
Da quanto premesso appare evidente che lo storytelling ha fatto sempre parte della didattica, spesso in modo istintivo e non consapevole, dato che narrare rientra nella consuetudine della comunicazione sociale.
Secondo Abrahamson (1998) ed Egan (1989), la stessa professione dell’insegnante può essere considerata come una forma più raffinata di storytelling, soprattutto se pensiamo alle attività curricolari degli insegnanti (in campo letterario, scientifico, artistico, linguistico, ecc.) come a delle “storie” condivise in un preciso contesto. Ecco allora che per trasmettere esperienze formative, si può parlare del pensiero narrativo come di un vero e proprio stile didattico (Capobianco, 2006).
A questo possiamo aggiungere anche le osservazioni di Cisotto (2005), il quale afferma che narrare e dialogare coinvolgono i soggetti partecipanti, sia a livello cognitivo sia a
livello emotivo, a tal punto che i soggetti stessi vengono stimolati a osservare, operare delle scelte, prendere posizione, provare emozioni, rinunciando pertanto a qualsiasi atteggiamento di indifferenza. Questo può accadere sia in contesti educativi formali, come nella scuola, sia in contesti di educazione informale e non formale, al di fuori dell’ambito scolastico.
Riguardo alla didattica si possono ottenere due risultati interessanti: da una parte viene superata la concezione statica di conoscenza in favore di metodi che utilizzano pratiche fondate sul discorso; dall’altra si ottiene una sensibile partecipazione emotiva e una maggiore motivazione da parte dei soggetti coinvolti. Come conseguenza del primo risultato Brown e Duguid sostengono la stretta relazione che si viene a creare tra insegnamento e apprendimento nella costruzione della conoscenza (Brown e Duguid, 1998); mentre come conseguenza del secondo è Schank a ritenere necessari dei curricoli meno generali, affinché gli studenti possano essere coinvolti maggiormente tramite una didattica basata sulle esperienze (Schank, 2011).
Come afferma Smorti, la narrazione può essere ritenuta uno strumento di formazione tale da poter “dare voce” ai mondi degli allievi, poiché essa è capace di generare infiniti significati (Smorti, 1997). Tuttavia, per poter attuare questo compito, occorre una traduzione che elabori secondo i criteri della narrazione quanto creato dai soggetti. Come abbiamo già evidenziato, è Bruner (1992) a indicare nel “discorso narrativo” il mezzo - fondamentale nell’ambito del “pensiero narrativo” - grazie al quale il vissuto può essere compreso, comunicato e ricordato. Pensiero e discorso si influenzano reciprocamente: se il pensiero organizza l’esperienza individuale e interpersonale, il discorso provvede a formalizzare la riflessione, cosicché le storie che un soggetto fin da bambino ha ascoltato, influenzeranno sicuramente la formazione del suo pensiero narrativo.
Per capire il pensiero narrativo, Levorato (2000) suggerisce lo studio del discorso narrativo che, contrariamente al pensiero razionale, non segue criteri di verità e argomentazione logica, bensì di plausibilità e di importanza soggettiva data dall’individuo agli avvenimenti raccontati. Si raccontano e si ascoltano le storie tenendo conto delle propria personale esperienza. In tal modo le storie possono suscitare riflessioni, considerazioni e percezioni della realtà tali da condizionare atteggiamenti differenti nei confronti della vita e della rappresentazione dell’esistente.
Tuttavia, sottolinea Lodge (1990), pur essendo la narrazione un processo individuale del pensiero, essa non può non includere la cultura della comunità nella quale si manifesta, e da quest’ultima farsi condizionare.
Essendo poi il discorso narrativo costituito da molte prospettive, come afferma ancora Bruner (1992), realtà e significato degli accadimenti vengono osservati non in un’unica direzione bensì attraverso una miriade di sfaccettature. Questa pluralità di prospettive si ripercuote sulla varietà di modi e forme del discorso narrativo; modi e forme che tuttavia sono culturalmente determinate e che proprio per questo aiutano il soggetto a considerare la propria esistenza come non isolata ma appartenente a una precisa comunità, nella quale egli attua relazioni e socializza mediante lo strumento della narrazione.
Poiché dunque l’uomo moderno ha necessità di narrare, dato che nella narrazione ritrova il valore spaziale e temporale della propria esistenza, la formazione deve impiegare la propria dimensione narrativa in tre direzioni:
-una formazione che sappia dare valore all’aspetto narrativo dei “contenuti”: raccontare le discipline scolastiche, raccontare l’impresa, raccontare la comunicazione…
-una formazione pedagogica che abbia il compito di mantenere vive le attitudini della comunità di narrare e narrarsi, favorendo pertanto una vera e propria educazione alla memoria collettiva;
-una formazione all’autobiografia che
[…] non è solo un modo di raccontarsi, un disvelamento a sfondo narcisistico, o una spiegazione/giustificazione post hoc delle scelte compiute nel corso dell’esistenza. …infatti, scrivere la propria storia è un modo per apprendere qualcosa su di sé. Scriverla perché sia letta è un modo per formare altri alla comprensione di sé (Formenti, 1996, p. 10).
Queste tre direzioni possono intrecciarsi e condividere obiettivi disciplinari, perché la narrazione, richiamando metodologie e mezzi della didattica attiva che si fondano sullo scambio e la condivisione, può coinvolgere docenti e discenti in esperienze mirate a edificare competenze e a valorizzare il dialogo. E qui ricordiamo quanto abbiamo già esposto a proposito del pensiero narrativo di Bruner e cioè che l’impiego della narrazione non riduce la conoscenza a mera conseguenza di singoli saperi bensì le fa acquistare il valore di scambio di culture, permettendo l’intrecciarsi di saperi personali
con quelli dell’umanità (Bruner, 1996). Perché se da una parte la narrazione viene utilizzata dal pensiero del soggetto per ricostruire gli avvenimenti dando un’interpretazione della realtà, dall’altra rappresenta un’operazione rivolta al contesto sociale e culturale in cui il soggetto stesso si trova a vivere. De Rossi chiarisce che:
Narrare, quindi, non significa spiegare semplicemente dei fenomeni, come se essi esistessero avulsi dalla realtà del narratore, né significa poter considerare la ricezione della narrazione come decontestualizzata dal fruitore. Le narrazioni sono influenzate dai contesti, dalle esperienze, dalle conoscenze e dalla comprensione che ne derivano e, allo stesso modo, influenzano e determinano potenziali di cambiamento nei contesti in cui esse sono contenute (De Rossi e Petrucco, 2013, p. 26).
La narrazione dunque può fortemente rappresentare uno strumento didattico con alto potere di coinvolgimento, il che permette di edificare saperi e sistemi di valori attraverso la negoziazione.3A ciò che sostiene Bateson (1976) a proposito dei sistemi di valori, si ricollega Smorti (1997) quando parla di integrazione culturale e interculturale in riferimento alla narrazione.
Una certa attenzione infine merita la narrazione autobiografica, che può essere considerata un mezzo efficace per acquisire consapevolezza non solo della propria identità ma anche delle proprie competenze in chiave di risoluzione di problemi.
Se quindi la narrazione permette di rappresentare la conoscenza, illustrando gli eventi secondo criteri di sequenza temporale e principi di causalità (Turner e Turner, 2003); se costituisce uno strumento organizzatore ideale per dare una struttura al pensiero, alla percezione e all’azione (McEvan, 1997); se favorisce l’integrazione di vari meccanismi cognitivi come il ragionamento, il pensiero visivo, il linguaggio (Scalise Sugiyama, 2001); allora non possiamo sottovalutare le sue funzioni come supporto del pensiero. Il diffondersi nell’ambito della didattica delle ICT (Information and Communication
Technology) ha permesso la creazione di non pochi strumenti per implementare l’uso
educativo della narrazione, favorendo la nascita di diversi ambienti di apprendimento narrativi, in cui appunto la narrativa viene utilizzata come strumento didattico (Dettori et al., 2006).
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Alcuni interessanti studi hanno lavorato utilizzando le metafore del racconto storico, di viaggio e della descrizione narrativa dei personaggi come contesti significativi nell’ambito delle didattiche disciplinari della storia e della geografia (Girardet, 2001; Corna Pellegrini, Demetrio, 1997; Turri, 1993, 1998).
Negli ambienti di apprendimento narrativi rivestono un’importanza fondamentale il
ruolo che il soggetto assume nei confronti della narrativa quando si trova in uno stato di
apprendimento e/o educazione, il metodo didattico e i mezzi tecnologici utilizzati. A questi tre elementi Aylett (2006) ne aggiunge un quarto: il dominio di conoscenza, cioè il tipo di apprendimento che si può conseguire lavorando nell’ambiente. Molteplici sono i risultati che l’ambiente di apprendimento narrativo può produrre: in alcuni casi si può acquisire una competenza narrativa fine a se stessa; in altri ci si può trovare davanti alla narrazione in chiave di problem posing e problem solving, utile per affrontare temi come, per esempio, quelli riguardanti la disciplina in ambito scolastico;in altri ancora è possibile approfondire la riflessione sulla comunicazione, sull’educazione al conflitto, sull’educazione all’alterità e su altre molteplici competenze sociali (Dettori et al., 2006).