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Carolina Murat, Michele Arditi e Andrea Celestino i protagonisti di una nuova stagione della conservazione degli pitture pompeiane e la sperimentazione di un

2. La conservazione in situ e le nuove sperimentazioni: dalla scoperta del Tempio d’Iside al Decennio Francese (1765-1815).

2.1 Carolina Murat, Michele Arditi e Andrea Celestino i protagonisti di una nuova stagione della conservazione degli pitture pompeiane e la sperimentazione di un

trattamento a base di cera.

La breve reggenza di Gioacchino Murat a Napoli dal 1808 al 1815 segna un momento fondamentale per la storia della ricerca archeologica delle città vesuviane, grazie alla formazione delle raccolte nel Museo di Napoli ad opera della Regina Carolina, amante dell’archeologia, dell’arte, dell’antichità e della cultura in generale. L’interesse della Regina per Pompei è menzionato frequentemente nelle fonti coeve, che riferiscono della sua partecipazione e coinvolgimento ad ogni una nuova scoperta. Come precedentemente i Borbone, con Carlo e Ferdinando, anche Carolina era mossa dal desiderio di costituire una collezione che andasse ad arricchire il patrimonio personale, il cosiddetto Le Musee de

Reine477, ignorando l’interesse pubblico, si legge, a tal proposito, che queste cosettine erano già

state dal Cav. Arditi per l’organo del Ministero dell’Interno presentate a S. M. la Regina, che con lodevole trasporto ama le reliquie della veneranda antichità, ed ha nel suo appartamenti un particolar suo Museo478.

Carolina diede prova di una grande ed inaspettata competenza nella gestione e nell’organizzazione delle antichità, infatti, le distribuì, tra il Real Museo, il Palazzo degli Studi e il Museo Palatino. Proprio il desiderio di un allestimento degno delle altre corti europee, spingeva la Regina a considerare come proprietà personale tutto ciò che emergeva dagli scavi di Pompei, un atteggiamento mal condiviso dal popolo e dai nobili che, fedeli al precedente regno, le conferirono l’appellativo dispregiativo di La Regina di Pompei.

Gli intenti di Carolina davano avvio ad un periodo straordinario per gli scavi, e le sue visite divennero una consuetudine quotidiana, dimostrando particolare dedizione per le ricerche. Gli anni in cui Carolina sedeva al trono di Napoli coincidevano con la scoperta della ‘bottega dei colori’ sulla via Consolare.

Intanto, quella che all’inizio era solo una brama d’appropriazione degli oggetti ritrovati, andava pian piano maturando nel corso del tempo, forse anche grazie ad una visione più moderna e al sorgere di differenti interessi, portandola ad assumere un atteggiamento più conservativo che, anziché spogliare Pompei come una mera miniera di antichità, era

477A. D’Autilia, Le Musèe de la Reine: le vicende della collezione di Carolina Murat, Regina di Napoli, in R. Panzarelli, M. Preti-Hamard (a cura di), La circulation des oeuvres d’art.The circulation works of Art in the revolutionary Era

1789-1848, Actes du colloque international, , Paris INHA 9-11 décembre 2004, Rennes 2007, pp. 295-306.

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finalizzato ad inglobare nel suo regno un’intera città antichissima, lasciandola alla vista di chiunque volesse visitarla.

In questo progetto, è evidente l’influenza Michele Arditi479, sempre presente a Pompei nonostante i cambiamenti dinastici, che con la sua esperienza e approfondita conoscenza seppe orientare l’entusiasmo della Regina che, oltre a sostenere con forza il dissotterramento della città, proponeva lo scavo delle mura allo scopo di rilevarne il perimetro e la consistenza. Contestualmente ordinò di tenere una dettagliata schedatura degli edifici rinvenuti con la relativa collocazione in pianta e fece redigere un giornale mensile che riportasse lo stato di avanzamento dei lavori. L’insieme di queste iniziative, sicuramente supportato, come già detto, dalla competenza di Arditi e di altri suoi collaboratori, restituiva una visione urbanistica, l’architettura dei monumenti e la distribuzione delle strutture cittadine civili e religiose.

Per poter realizzare una tale impresa occorreva lavorare con più lena e disporre di un sostanzioso capitale finanziario, pesando gravemente sul bilancio dello Stato480. La passione e la testardaggine unite al suo fare autoritario, le fecero superare ogni ostacolo, spesso, infatti, la Regina contestava il lavoro negli scavi criticando la metodologia di scavo adoperata fino a quel momento, ovvero coprire con la terra scavata i monumenti già scoperti, lamentando che continuando in questo modo sarebbe stata costretta ad attendere tre o quattro anni prima di vedere tutta Pompei scoperta481.

Intanto a Napoli andavano diffondendosi, anche se a ritmi più lenti rispetto a quanto si stava asssistendo in ambito europeo, le idee illuministiche e riformistiche di cui erano portavoce Galiani e Tanucci attraverso il tentativo di avviare un rinnovamento nella burocrazia e nel potere della nobiltà napoletana.

Il Re Gioacchino, che si contraddistingueva per la sua passione per le armi, a Napoli subì il fascino dell’arte e delle antichità482 e, approvato il progetto di massima, in occasione della visita degli scavi nel 1809, influenzato della consorte, decise di devolvere cospicui

479Cfr. P. G. Guzzo, Archeologia vesuviana nel XIX secolo, in Civiltà dell’Ottocento Cultura e Società, catalogo della mostra, Ed. Electa, Napoli 1997, pp. 57-58. Alla Regina faranno da supporto la continuità e l’impegno tecnico di M. Arditi e gli studi e le ricerche sugli aspetti architettonici di C. F. Mazois.

480Si noti che oltre ogni buon proposito a riguardo delle ultime decisioni, Carolina, andando via da Napoli, dopo la disfatta delle armate francesi, e trovandosi probabilmente senza soldi e senza titoli, decise di vendere tutta la collezione accumulata a Ludwing di Baviera.

481Cfr. S. Adamo Muscettola, Problemi di tutela a Pompei nell’Ottocento: il fallimento del progetto di esproprio

murattiano, in P. Guzzo (a cura di), Pompei: Scienza e Società, Atti del Convegno internazionale, Napoli 25-27

Novembre 1998, ed Electa,Milano 2001, pp. 29-49.

482Cfr. F. Strazzullo, Un progetto di Murat per una Galleria di Pittori Napoletani, in Napoli Nobilissima: Rivista di

Arti Figurative, Archeologia e Urbanistica , volume 2, fasc.1, Maggio-Giugno 1962, Ed. Arte Tipografica, Napoli

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finanziamenti, per sostenere un programma che andava ben oltre la ricerca di reperti, infatti l’ambizione si sostanziava nel dissotterramento dell’intera città483. A tal proposito Arditi esprimeva le sue considerazioni in una lettera al Ministro dell’Interno Capocelatro in cui si legge che la principale mia idea è posta nel dissotterrare la città e non già trovare oggetti

antichi. La città che dopo due mila anni vien fuori si deve tenere senza dubbio pel maggiore e più interessante monumento484.

Lo sviluppo di un progetto sistematico a livello urbano contribuì ad abbandonare l’impostazione collezionistica delle ricerche introducendo un nuova visione strettamente connessa all’indagine della città485.

Lo scavo nel 1813 assunse dimensioni notevoli, oltre le mura, infatti, si procedeva allo scavo delle case di Pansa, delle Danzatrici, del Cinghiale, del Fornaio, della Basilica e dell’Anfiteatro. La Regina, accompagnata da De Clarac, colto ufficiale dell’esercito murattiano scelto come protettore dei figli del re, visitava periodicamente gli scavi e nel 1813 scriveva che si è iniziato

ad eseguire un vasto progetto, quello di sterrare tutte le mura che formano la cinta della città […] è molto interessante poterne conoscere il perimetro; d’altra parte rappresenterà un grande vantaggio per rendere più spediti gli scavi486.

De Clarac arrivò in città nel 1808, con l’appoggio di Louis de Fontanes, politico, poeta e giornalista, dell’ellenista Pierre Henri Larcher, e dello storico delle antichità Guillaume de Sainte Croix, con la mansione di sous–gouverneur dei giovani Achille e Luciano. In seguito, anche grazie all’esperienza maturata a Pompei, divenne, nel 1818, Conservatore delle Antichità al Museo del Louvre a Parigi, per sostituire Ennio Quirino Visconti487. Un successo consolidato dagli incarichi svolti alla corte dei Murat, in particolare la direzione degli scavi sanciva il riconoscimento delle competenze acquisite, Carolina gli concedeva una grande autonomia dandogli l’opportunità di approfondire lo studio delle antichità488.

483In quel momento Murat intavolava trattative separate e segrete con gli austriaci affinché potesse tenere fuori il regno dalle continue disfatte francesi e per questo ci furono aspri contrasti tra Napoleone e Gioacchino che fu richiamato all’ordine da Napoleone. Ma l’amore e la capacità del generale delle truppe Napoleoniche non poté tirarsi indietro anche se aveva già iniziato a trattare sullo stato del regno napoletano altrimenti avrebbe dovuto combattere i suoi stessi compagni che aveva guidato contro il nemico austriaco ed inglese. I rapporti tra Napoleone e Gioacchino divennero sempre più aspri e più volte fu costretto ad allontanarsi dal Regno non potendo pensare ad altro che alle guerre e non si distraeva seguendo la moglie nella gestione degli scavi. Perciò probabilmente l’unica volta che Murat fece la sua comparsa a Pompei fu quella del 1809.

484PAH, addenda, volume 1, 28 Settembre 1809, p. 232. 485Cfr. E. Sorbo, Tra materia e memoria…, op. cit., p. 47.

486O. Sognamiglio, Clarac e gli altri: i disegnatori di Pompei alla corte di Carolina Murat, in R. Cioffi, M. Osanna, L. Gallo, A. Di Bendetto (a cura di) Pompei e l’Europa, Atti del Convegno Pompei nell’archeologia e nell’arte dal neoclassicismo al post classico, Ed. Electa, Verona 2016, pp. 58-68.

487Ibidem.

488Cfr.N.D’Arbitrio, L. Ziviello, La Regina francese del Regno delle due Sicilie: l’architettura, la moda, l’Office de la Bouche. ed.Savarese, Napoli 2003, pp. 105-106.

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Il volume Fouille faite à Pompéi en présence de S. M la reine des Deux- Siciles, le 18 mars 1813, fu il risultato delle esperienze fatte a Pompei grazie alla frequenza con cui De Clarac accompagnava la Regina negli scavi nel corso del 1812. Il testo proponeva articoli apparsi sul

Journal Francais de Naples dal 4 al 7 Aprile di quell’anno. L’elaborato non ebbe grande

successo, in quanto, nonostante opera di un appassionato delle antichità dall’erudizione classica, era stato considerato un prodotto editoriale di un’esordiente.

I meriti dell’interessamento della Regina risiedevano in una programmazione più rigorosa della conduzione degli scavi e nella sottrazione delle pubblicazioni alla privativa Accademia Ercolanese. Attratta particolarmente da gioielli e monete che man mano venivano portati alla luce, la Regina continuò ad arricchire il suo Museo Palatino. È opportuno ricordare che questi erano gli anni di difficoltà massima per il regno, infatti, Murat, in disaccordo con Napoleone, voleva proclamare l’autonomia dello Stato anche privato della Sicilia, ormai Gioacchino, era lontano dal Regno, e fu richiamato dal cognato Napoleone489 che gli ordinò di portare con sé le truppe napoletane. I continui richiami di Napoleone al cognato diventarono i pressanti inviti di un imperatore al sovrano di uno stato satellite a perseguire una politica di sostanziale sottomissione. Murat cercò di resistere, ma si instaurò un profondo contrasto, così la reggenza fu conferita a Carolina che, nascondendo la realtà delle controversie militari, continuava a far incetta di gioielli490.

A lavorare agli scavi, era sempre la stessa squadra napoletana ormai consolidata formata da Pietro La Vega, Antonio Bonucci, Michele Arditi il quale sarebbe stato per decenni a capo del Museo e della Soprintendenza. Intanto, durante i brevi anni della gestione francese, furono editate le prime guide a stampa corredate di planimetrie, tra le quali la più nota era quella di Francois Mazois, Le ruiines de Pompei (Tav. 43-44-45), che consisteva in una prima trattazione sistematica dell’architettura e dell’urbanistica, organizzata in quattro volumi.

489A. Scirocco, S. De Majo, Due sovrani francesi a Napoli. Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, Ed Giannini, Napoli 2006, p. 64.

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Tav. 43 F. Mazois, Le Ruines De Pompéi, Frontespizio, Incisore J. Adam, Paris, 1824. (Biblioteca Cantonale, Lugano)

Tav. 44 F. Mazois, Les ruines de Pompéi, Incisore J. Adam, Paris,1824-1838. (Biblioteca Cantonale, Lugano)

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Tav.45 Les ruines disegnatore Francois Mazois. Incisore Hamilton. Paris 1824-1838. Biblioteca Cantonale, Lugano.

Questa opera, caposaldo dell’interpretazione neoclassica dell’antico, presentava un’approfondita conoscenza delle rovine vesuviane, le cui fonti letterarie erano state Plinio e Vitruvio. L’opera di Mazois andava a sintetizzare i cambiamenti di gestione politica condizionando anche l’immagine di Ercolano, infatti,confrontata con le Antichità di Ercolano

Esposte, riportavano un sostanziale mutamento nella rappresentazione degli scavi che si

espletava in una descrizione di architetture invece che in un insieme di oggetti. Le tavole contenute all’interno del volume attestano il rapporto modello–derivato che si istituisce tra Pompei e Ercolano. L’immagine di Ercolano, prima segreta e mitizzata dalla politica dei Borboni, con i Murat veniva divulgata grazie ad un ordinanza di Giuseppe Bonaparte del

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1806-1807, dove era prescritto il divieto di disegnare i monumenti non ancora pubblicati ufficialmente491.

Un’altra opera interessante di questi anni, era la Pompeiana di William. Gell (Tav. 46) che si addentrava nello studio delle rovine di Pompei con metodi scientifici e moderni492. Con Mazois e Gell si ebbero le prime trattazioni organiche della città antica, in entrambi il campo di indagine si estendeva dai singoli oggetti o monumenti, decontestualizzati dal luogo di provenienza, fino alla configurazione della città e ai suoi elementi costitutivi, facendo emergere una concezione dell’antichità non più antiquaria ma archeologica493.

Tav. 46 W. Gell, Pompei. Atrio della Casa di Cerere, Incisore Engraved by Fenner Sears&co (Biblioteca del Museo Archeologico Nazionale di Napoli)

Una vera e propria colonia di artisti francesi si trasferisce alla corte dei Murat, che, anche se afferenti a diverse discipline, avevano già avuto modo di incontrarsi presso l’atelier di Parigi e la Villa Medici a Roma. Napoli offriva loro un circolo in cui si trattavano e si affrontavano diverse opinioni sull’antico, caratterizzandosi come un’esperienza totalizzante. Per questi

491Cfr. E. Sorbo, Tra materia e memoria…, op. cit., p. 48.

492Cfr. F. Zevi, La storia degli scavi e della documentazione…, op. cit., pp. 11-33.

493Cfr. M. R. Esposito, Un Manoscritto inedito di William Gell su Pompei, in R. Cioffi, M. Osanna, L. Gallo, A .Di Bendetto (a cura di)Pompei e l’Europa…, op. cit., pp. 69-77.

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artisti Pompei costituiva una palestra culturale, inestimabile per l’unicità e l’eccezionalità per le quali si distingueva494.

Arditi fece presente alla Regina l’affollamento causato dagli intellettuali che giungevano agli scavi e, anche se ne riconosceva determinate capacità, li riteneva invadenti per il desiderio di copiare tutto che li animava, disturbando anche l’avanzamento degli scavi. Questo popolarsi di artisti e architetti portò Arditi a mostrarare il suo disappunto per questa libertà troppo accentuata, che entrava in contrasto con la tutela materica e intellettuale dei reperti e dei monumenti ancora inediti. Pompei divenne, così, un gran laboratorio, all’interno del quale ognuno poteva trovare uno spazio per approfondire la propria conoscenza sull’antico, un percorso scientifico individuale o puramente evocativo dal sapore inebriante del ritrovamento inatteso. Si apriva una stagione intensa di lavori e una rivoluzionaria apertura al mondo internazionale495.

Della passione archeologica della Regina Carolina non è pervenuta alcuna raffigurazione ufficiale che la rappresenti nelle aree archeologiche, ad eccezione di un acquerello di Antonio Niccolini496 (Tav. 47) che la ritrae al braccio di Gioacchino tra i resti della Villa di Diomede. La Regina, essendo molto esigente, sottolineava continuamente il proprio ruolo di coordinatrice dei lavoridi scavo. In una lettera al Conte Zurlo, allora Ministero degli Interni, sosteneva che si stava seguendo un metodo sbagliato, facendo crollare una grande quantità di terreno intorno alle mura, aggiungendo che il punto essenziale era determinare il perimetro della città, conoscere il percorso e la grandezza esatta, riteneva opportuno, inoltre, dare un nome ad ogni quartiere della città numerando le case e pubblicare un ‘giornale di Pompei’, in cui era riportato un vero e proprio programma di lavoro, che, però, fu attuato solo in seguito grazie al lavoro di Fiorelli497.

494O. Scognamiglio, I dipinti di Gioacchino e Carolina Murat, in Storia di una collezione, Ed Scientifiche Italiane, Napoli 2008, pp. 177-182

495AA.VV., Pompei e gli architetti francesi dell’Ottocento, Ecole nationale superieure des beaux –arts ; Ecole francaise de Rome, Soprintendenza archeologica di Napoli; Istitut francais de Naples, catalogo della mostra, Parigi gennaio- marzo 1981, Napoli- Pompei aprile –luglio 1981, Gaetano Macchiaroli, Napoli 1981, pp.29-31. 496A. Delli Paoli, scheda n. 42, in L. Mascilli Migliorini (a cura di), A passo di carica. Murat re di Napoli, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, 18 Maggio-18 Ottobre 2015), Ed. Arte’m, Napoli 2015, p. 139. L’opera attualmente si trova al Museo di San Martino Napoli e raffigura una delle tante visite della famiglia Murat agli scavi e in particolare al giardino con triclinio estivo e piscina della villa di Diomede, scavata tra il 1771 e il 1774. 497Cfr. G. Greco, Luci e ombre proiettano gli scavi di Pompei ed Ercolano in Europa, in Pompei e l’Europa…, op. cit., pp. 8-18.

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Tav. 47 A. Niccolini, Giocchino Murat e Carolina in visita alla Villa di Diomede a Pompei. Matita, penna e acquerello su carta. Napoli, Museo di San Martino (inv.7595/1901).

A Pompei si proseguiva con il disseppellimento della città senza badare ai materiali e alla stratificazione dei terreni. A.Bonucci498, architetto e direttore impegnato nei lavori dal 1815 al 1825, denunciava una conduzione degli scavi che definì rovine delle rovine499, sottolineando

l’esistenza della piaga dei furti, della distruzione e della dispersione dei materiali. Una prima stratigrafia dei terreni pompeiani si deve a Carmine Antonio Lippi (Tav. 48), vulcanologo che già nei primi anni dell’Ottocento aveva registrato l’accumulo determinato dall’eruzione e la posizione dei reperti e delle strutture500. Si riconosceva la necessità di lavorare stabilendo la stratigrafia dei terreni e del rapporto tra strato e oggetto. Durante il periodo francese fu avviato l’esproprio di tutta l’area compresa nel perimetro delle mura dell’antica città e di alcune zone a essa adiacente, con un piano sistematico in modo da poter procedere al disseppellimento dell’intera Pompei in tempi relativamente brevi. Un primo progetto, predisposto nei minimi dettagli, prevedeva il collegamento dei nuclei già scavati e la messa in

498A. Bonucci, Pompei descritta, ed. Torchi di Raffaele Miranda, Napoli 1824.

499G. Greco, Luci e Ombre proiettano gli scavi di Pompei ed Ercolano in Pompei e l’Europa…, op. cit.,p.12

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Tav. 48 Stratigrafie disegnate da Carmine Antonio Lippi in C. A. Lippi, Fu il fuoco o l’acqua che sotterrò Pompei ed Ercolano?, presso Domenico Sangiacomo stampatore del Real Collegio militare, Napoli 1816.

luce dell’intero circuito murario, lo sterro delle strade maggiori ed infine, la catalogazione per settori di tutta la superficie urbana501.

Un grande entusiasmo animò questi anni con proposte importanti e all’avanguardia, come la numerazione delle insulae e delle domus. Ciò che, invece, non riuscì ai sovrani francesi fu la ripresa degli scavi ercolanesi a cielo aperto, per i quali bisogna attendere il regno di Francesco I nel 1828. Arditi rappresentava l’anello di continuità tra la dinastia borbonica, la politica culturale del decennio francese e le nuove esigenze dell’età della Restaurazione. Protagonista e indagatore di memorie storiografiche, il marchese salentino divise la sua formazione tra gli studi giuridici alla scuola di Genovesi e di Filangieri, e quelli archeologici, tra conoscenza antiquaria e proposte di ordinamento museale. In un momento in cui si avviava un rinnovamento dell’amministrazione del regno e l’esigenze di nuove normative, la scelta di un uomo che associava a competenze specifiche una preparazione giuridica appariva la più consona, infatti il 18 Marzo del 1807, assunse l’incarico di Soprintendente degli scavi e

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Direttore del Real Museo, assecondò la volontà di Giuseppe Bonaparte riprendendo gli sterri e il restauro delle opere ritrovate, contestualmente il Re aumentò il numero degli addetti ai lavori. Ad Arditi fu richiesto un piano di sistemazione e di allestimento del Museo, un progetto efficiente della conduzione degli scavi e un programma di acquisizione di terreni di proprietà privata che insistevano nell’area archeologica di Pompei. Arditi, dedito al suo lavoro negli scavi e guidato dalla sua passione archeologica, continuava la tua attività senza badare ai diversi ‘padroni’ che si succedevano nel governo del Regno. Nei documenti di archivio si legge, infatti è primieramente mi do l’onore di far sapere all’E. V., come io da alcuni giorni in qua sono

occupato, nel distendere un pieno rapporto di quanto io ho fatto nel breve spazio, per degnazione sovrana, che godo della direzione del Museo e degli scavi, e in questo rapporto l’articolo riguardante gli scavi non è certamente il più breve [...] In secondo luogo che la principale mia idea sia posta nel dissotterrare la città e non già nel trovare oggetti antichi. [...] Per terzo comenchè io non neghi che il ritrovamento degli oggetti antichi sia per me una idea secondaria; conviene tutta la volta che io pur confessi, come tratto anche delle anticaglie di vario genere siano venute fuori. Pitture non poche e non ineleganti si sono scoverte, che ora a mio di mio ordine si stanno disegnando; e quando dico pitture di circa due milla anni, dico cose, che noi solo abbiamo in tutta l’Europa502.

Con Arditi si stava impostando una nuova organizzazione di scavo, che consisteva nel togliere