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La chimica applicata al restauro negli anni della Restaurazione (1830): le prime sperimentazioni.

A partire dagli ultimi decenni del Settecento ebbe inizio la collaborazione con chimici e fisici per indagare sui materiali costitutivi e sulle tecniche esecutive dei manufatti artistici. Il contributo delle discipline scientifiche si articolava in tre filoni di ricerca, che corrispondono oggi a tre metodologie ancora in uso553, ovvero lo studio dei materiali e delle tecniche esecutive degli oggetti artistici del passato, l’accertamento dello stato conservativo con l’individuazione delle cause di degrado e l’eventuale elaborazione di metodi d’intervento con la sperimentazione di nuovi materiali.

Le ricerche nascono in un nuovo clima che si respirava nel settore dell’archeologia delle antichità, condizionato dalle posizioni illuministiche e riformiste che influenzavano ogni ambito del sapere, alimentato dal desiderio di conoscenza dei metodi antichi di composizione delle pitture parietali di Ercolano e Pompei, si assisteva alla diffusione della scienza che andava a sostituire la pratica empiristica che aveva arrecato gravi danni agli apparati pittorici rinvenuti nel corso del Settecento.

Si assiste, quindi, alla nascita di quella che oggi va a costituire una vera e propria disciplina scientifica, che affonda le sue fondamenta nelle ricerche condotte a partire dal XVIII secolo nelle aree archeologiche vesuviane. Pompei aveva offerto, infatti, la grande possibilità di confrontare le indicazioni date dalle fonti antiche con le evidenze materiali dei ritrovamenti. I reperti archeologici rinvenuti, già da subito, richiesero il contributo di chimici, biologi e mineralogisti e ben presto fu avviata una collaborazione interdisciplinare. Contestualmente ai progressi nazionali avanzati sui materiali per l’arte e l’industria, testati nel campo del restauro a Napoli, a Pompei ed Ercolano, la chimica cambiò l’approccio di analisi dello studio degli oggetti d’arte.

Le prime analisi erano condotte da studiosi stranieri, in particolare francesi, che si distinguevano per l’approccio avanguardistico nello studio della tecnica esecutiva della pittura antica, che fu oggetto di ricerche in Francia già a partire dal Settecento, prima con l’abate Du Bos, e poi successivamente con il conte Caylus, uno dei primi cultori della pittura ad encausto. Luigi Lanzi, archeologo già nel XVIII secolo aveva riportato tutte le esperienze che erano state avanzate nel campo della pittura ad encausto, da quelle francesi, ricordate nell’Encyclopèdie, agli esperimenti dell’Abate Requeno, fino a quelle di un pittore che aveva

553Cfr. P. Bensi, Profilo dei rapporti tra chimica e beni culturali in Italia nel XIX secolo, in Rendiconti Accademia

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visto lavorare a Firenze nel 1780, concludendo con la sua testimonianza scrivendo che senza

dir dei chimici, che hanno contribuito coi loro lumi agli avanzamenti di quest’arte, la scuola pittorica di Roma prese in certo modo, a educarla, a crescerla, a condurla a maturità554.

Il progresso degli studi scientifici in Francia si fondava sul ricorso alla chimica mediante le analisi dei pigmenti e delle loro qualità integrate con le indagini sugli effetti della luce sui colori555. Nel 1792 l’opera di Jean-Antoine Chaptal, Elementi di Chimica, fu pubblicata e tradotta in italiano a Napoli, Cavaliere dell’ordine del Re, Conte di Chanteloup, professore di Chimica a Monpellier, ispettore onorario delle miniere del regno francese, membro di varie Accademie di Scienza e di Medicina e ministro di Napoleone, sosteneva che la chimica doveva entrare nei programmi di una corretta preparazione culturale556. Egli fu il primo a comprendere la necessità di utilizzare la chimica applicata alle arti, come si evince nella sua opera tradotta nel 1808, a un anno di distanza dalla prima edizione francese Chimie appliquée

aux arts.

Interessante è la definizione che egli dava dell’utilità di questa scienza applicata all’arte secondo il quale, infatti, il vero mezzo di illustrare le arti, consiste non tanto in descrivere con

esattezza i processi, quanto ridurne a principi generali tutte le operazioni. La scienza porta lume a ciascuna operazione ne spiega tutti i risultamenti, fa che l’artista si renda padrone dei suoi processi, a segno di variarli, semplificarli e perfezionarli557. Vincenzo Cuoco, scrittore e storico

nel rapporto a Gioacchino Murat scrisse Per la riforma dell’istruzione del Regno di Napoli, sostenendo l’importanza dell’interdisciplinarietà tra le arti e la scienza, proponendo una scuola applicata alle arti unita ad un museo destinato a raccogliere i modelli di tutte le macchine558. Chaptal, a differenza di Cuoco, parlava di mestieri più che di arti, ma entrambi promuovevano l’importanza della conoscenza di acquisizioni tecniche attraverso la scienza. Durante il decennio francese, l’interesse per le sperimentazioni dell’uso della cera portò alla diffusione dell’interesse nel settore delle tecniche artistiche ed della conservazione, grazie agli studi del Giovanni Fabbroni, ricercatore toscano, che all’inizio dell’Ottocento si occupava degli studi sui i leganti relativi alla policromia di un sarcofago egiziano, sostenendo l’uso della cera come protettivo dei dipinti murali e delle sculture. I materiali cerosi erano di grande attualità alla fine del Settecento, grazie al dibattito sulla tecnica della pittura murale romana a Pompei

554A. Conti, Esperienze di fisica e di chimica sulla pittura, in A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle

opere d’arte, Ed. Electa, Milano 1988, pp. 140-144.

555Cfr. Ibidem.

556Cfr. M. Torrini, La discussione sulle scienze, in G. Pugliese Carrattelli (a cura di), Storia e civiltà della Campania.

Il Settecento, ed. Electa Napoli, Napoli 1994, pp. 405-418.

557A.Rorro, Prime analisi chimiche sulle pitture murali antiche, in p.97

558Cfr. V.Cuoco, Scritti vari, N. Cortese, F. Nicolini (a cura di), parte seconda, periodo napoletano 1806-1815, ed. Laterza, Bari 1924, pp. 3-4, 94, 112, 131.

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e a Ercolano di cui Winckelmann fu il primo a tentare di risolverne i dubbi, proponendo indagini chimiche sulle pitture, si legge, infatti la maniera con cui le hanno trattato è un tantino

troppa disinvolta e alla Cavaliere. Io so per certo che colla intonaca antica colorita non si sia fatta nessuna risoluzione chimica, metodo infallibile per certificarsi ma bastava almeno a dire che il colore fregato si levava dal muro: sarebbe stato da appagarsi all’ingrosso. Ma adesso non vi si puo fare nessuna pruova, barbaramente hanno inverniciate le Pitture e la Vernice ha la virtù di staccare i colori a vista d’occhio. [...] La conservazione dipende dall’intonaca fatta dagli antichi con piu arte e industria559.

Con Chaptal, la cera veniva considerata parte della composizione chimica dei colori antichi, deduzione raggiunta in seguito alle analisi condotte sui campioni ritrovati in una bottega pompeiana di un commerciante di colori560.

La corte francese era aperta agli scambi internazionali, in particolare con Napoli. Già alla fine del Settecento, infatti, in Francia, ci si rese conto che i vecchi metodi utilizzati non erano compatibili con il comportamento dei materiali antichi, pertanto si iniziò a cercare nuove tecniche e metodologie. Prima con Giuseppe Bonaparte, poi con Gioacchino Murat, l’approccio adottato prevedeva una prima fase, preliminare al restauro sulla materia, di indagine sulla tecnica pittorica seguita da esperimenti di materiali innovativi che garantissero una buona durata ed impedissero alterazioni nel tempo.In questo modo si consolidava la convinzione secondo cui i problemi di conservazione delle opere d’arte erano connessi allo scorrere del tempo che comportava alterazioni cromatiche e criticità strutturali irreversibili, a ciò si aggiungeva l’uso di materiali impropri partecipando al degrado del bene da tutelare.

Durante il periodo napoleonico, con la ripresa degli scavi, Carolina Murat si dimostrava particolarmente attenta ai problemi conservativi degli affreschi pompeiani, infatti, da una sua lettera al Conte Zurlo si evince che si dovrebbero asportare le pitture che agenti atmosferici

potrebbero danneggiare, solo dopo aver riprodotto a disegno gli ambienti [...] accoglierò con prontezza un progetto operativo che abbia come scopo accelerare le scoperte, ma assicurando nel contempo la conservazione di tutto quel che può interessare le arti[…]561.

Altra figura che, assieme ad Arditi, contribuì ad accendere, in Carolina, l’interesse per le antichità, fu l’arcivescovo di Napoli, Giuseppe Capece, noto erudito in materia. Il rapporto di fiducia creatosi tra il chimico francese Chaptal e la Regina fu sancito dalla consegna di sette

559J. J. Winckelmann, Lettere italiane, Ed. Feltrinelli, Milano 1961, pp. 302-303.

560Cfr. J. A. Chaptal, Sur quelques couleurs trouvees à Pompei, in Annales de Chimie, 70, 1809, prima serie, pp. 22- 31.

561ASN, Primo inventario Ministero dell’interno, primo inventario, 1812, fasc. 1007, inc. 7, edito nel catalogo della mostra, Pompei e gli architetti francesi dell’Ottocento, Parigi gennaio – marzo 1981 , Napoli aprile – luglio 1981, ed. Gaetano Macchiaroli, Napoli 1981, nota 90, p.30

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campioni di colori rinvenuti in una bottega di un venditore di colori, non lontano dalla casa di Pansa, che fornì al chimico, come si è detto, l’occasione per un approfondimento scientifico da cui derivò la pubblicazione562 di un testo dedicato ai colori pompeiani. Si legge, a tal proposito, che in questa fila di case nel 1809 si trovò, una bottega di un venditor di colori. Le mostre al

num. di sette rimesse a Parigi al sig. Chaptal che l’assoggettò all’analisi chimica. Se ne parla nell’Esprint des Journeaux Mai nel 1809 vol. V Bruxelles. Il sig. Chaptal ve ne trovò quattro che non avevano ricevuta preparazione dalla mano dell’uomo, cioè una argilla verdasta e saponosa, un’ocra di un bel giallo, un bruno rossigno, ch’opipo essere prodotto dalla calcinazione dell’ocra gialla ed una pietra pomice leggiera e bianca. Le altre afferivano a colori composti cioè la prima un bleu intenso su cui faceva una leggera effervescenza l’acido muriatico e nitrico, egli giudicò che fosse composta di ossido di rame di calce e di alluminia. La seconda era una sabbia di bleu pallido, che trovò composta de medesimi principi. Nella terza si distingueva una bella tinta di rose, ch’egli considerò come una vera lacca, il cui principio colorante deriva dall’allumina. Tutti questi colori erano destinati alla pittura e specialmente alla vernice de vasi mescolati563.

Nei vasi di terracotta rivenuti erano presenti dei colori, che non erano misture, ma pigmenti puri non mescolati con altri elementi, pertanto furono inviate a Chaptal per un’analisi chimica più approfondita. Chaptal, attraverso il solo esame autoptico, vi riconobbe quattro tipologie di componenti, ovvero un’argilla verdastra, un’ocra gialla raffinata, un bruno rossastro ed infine una pietra pomice. Gli altri tre colori non mescolati furono da lui definiti compositi, e risultò necessario farne un’analisi chimica. Il primo dei tre colori era un blu intenso, poi venne presa in esame una sabbia di color blu pallido. In entrambi i composti fu rinvenuta la presenza di calce e alluminia. L’ultimo colore, una bella tinta rosa, Chaptal ritenne essere una lacca i cui fattori coloranti erano derivati dalla presenza dell’allumina, inoltre ne constatò la buona conservazione nei secoli.

L’analisi confermva la bontà delle ipotesi sui rinvenimenti e dunque la presenza dei colori per dipingere. Gli esiti della ricerca furono pubblicati in una rivista specialistica francese nel 1809 e ben presto i risultati furono riportati da molte guide di Pompei, diffondendosi in tutta l’Europa. Chaptal non fornì in tale testo soltanto notizie utili sui materiali pompeiani, ma anche un elenco della varietà di tinte utilizzate dagli antichi nelle decorazioni delle pitture.

562Cfr. J. A. Chaptal, Sur quelques couleures trouvèes a Pompeia, in Annales de Chimie, prima serie, 70, 1809, pp. 22- 31.

563D. Romanelli, Viaggio a Pompei a Pesto e di ritorno a Ercolano ed a Pozzuoli dell’abate Domenico Romanelli

prefetto della biblioteca de’ ministeri e socio di avere accademie, parte prima, Tipografia Angelo Trani, Napoli

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Pompei era diventata il crocevia della cultura europea, un luogo di formazione non solo per architetti e archeologi ma anche per scienziati che giungevano da ogni parte d’Europa. Successivamente il famoso chimico inglese Humphry Davy, tra il 1814 e il 1815, fornì ulteriori risultati chimici sulle decorazioni pompeiane,infatti, giunto a Napoli per studiare i fenomeni vulcanici proseguì nella linea tracciata da Chaptal effettuando ulteriori indagini su pitture murali antiche, provenienti dalle rovine di Pompei e dalle Nozze Aldobrandini564.

A differenza di Chaptal, egli non lavorava sui pigmenti allo stato puro, bensì su quelli direttamente prelevati dalle pitture murali. Davy, sulla scia di Chaptal integrò i risultati analizzando i prelievi di campioni provenienti direttamente dalle superfici dipinte pompeiane, confrontandoli con altri esempi di pittura antica, constatando un’assenza di leganti di origine animale o vegetale e la presenza di cera nelle finiture, già ipotizzata da moltissimi studiosi565. Riguardo alla tesi di Chaptal, circa il colore rosa corrispondente ad una lacca, egli non riuscì a definire con precisione se quest’ultimo fosse di origine vegetale566 o animale, mentre sulla maniera in cui gli antichi applicavano i colori, affermava di non aver trovato tracce di cera, sebbene la consigliasse come protettivo. Davy sosteneva che i romani conoscevano tutti colori noti impiegati successivamente nel Rinascimento individuando anche due ulteriori colori non ancora noti fino a quel tempo e usati dai maestri del passato, si trattava dell’azzurro egiziano567 e della porpora marina o lacca marina (Tyrian or marine purple)568. Ai fini della costruzione delle prime teorie del colore, Davy sottolineava che la parsimonia della maniera della pittura romana derivava dal contrasto della vivacità dei colori e non dall’utilizzo di colori accessi569.

Il saggio di Davy, pubblicato a Londra nel 1815, presentava un approccio meno scientifico di Chaptal ma più completo dal punto di vista storico. La sua importanza nell’ambito dell’archeologia vesuviana fu comprovata successivamente nel 1818, quando ricevette l’incarico di esaminare i papiri ercolanesi al Museo di Napoli.

564Cfr. H. Davy, Some experiments and observations on the colours used in painting by the Ancients, in Philosophical

Transactions of the Royal Society of London: W.Bowyer and J.Nicholas, Londra 1815 ,vol.105, pp. 97-124. Canova

promosse sotto Papa VII l’acquisto delle Nozze Aldobrandine da Vincenzo Nelli che le cedette per 10’000 scudi. È probabile che prima dell’acquisto il famoso artista l’abbia fatto analizzare dal suo amico Davy.

565Cfr. A. Rorro, Prime analisi chimiche sulle pitture murali antiche, in Bollettino d’Arte, volume speciale 2003, M. I. Catalano in G. Prisco e M.I Catalano (a cura di), Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo, Atti del convegno internazionale di studi Napoli, Museo di Capodimonte 14-16 Ottobre 1999, Ed. Istituto Poligrafico della Zecca, volume speciale, Roma 2003, pp. 97-101.]

566Cfr. H. Davy, Some experiments and observations on the colours…, op. cit., pp. 97-124.

567La questione sull’azzurro egiziano è coerente con quanto veniva affermato da Plinio cioè che questo colore veniva fabbricato a Pozzuoli.

568Cfr. H. Davy, Some experiments and observations on the colours…, op. cit., p. 120.

569Cfr. F. Mangone, Pompei Hittorf e la policromia nel primo Ottocento, in Ananke, 82, ed Alinea, Settembre 2017, pp. 67-71.

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Grazie al suo successo per la scoperta del potassio, fu, infatti, inviato dal Re d’Inghilterra ad Ercolano per aprire i papiri ercolanesi semi-carbonizzati della Villa dei Papiri, lui ne prese una dozzina e li distrusse senza neanche che si riuscisse a leggerne una parola570. Il metodo adoperato fu accostato agli esperimenti di G Fabbroni, scienziato toscano, coinvolto nei primi anni dell’Ottocento nei problemi di restauro cartaceo, le sue indagini di basavano su prove di sbiancatura di stampe antiche mediante composti di cloro, un metodo già proposto da Chaptal, senza, però, prevedere i danni che avrebbe inflitto ai manufatti.

Questo approccio metodologico, dimostrava i limiti di un’applicazione senza opportune verifiche, delle nuove scoperte scientifiche, ottenendo risultati disastrosi per le opere d’arte. La scelta di rivolgersi a Chaptal e Davy era giustificata dalla loro nota competenza, in particolare Davy, per riprendere le parole di Oliver Sachs, era capace di cavalcare la cresta di

una grande onda di potere scientifico e tecnologico571. Risulta interessante esplorare le

interazioni concettuali e tecnologiche tra il settore scientifico e quello artistico, che si intravedono soprattutto a partire dai primi decenni dell’Ottocento. Infatti, come si legge nel testo di Sachs ai primi dell’Ottocento l’unità delle due culture esisteva ancora [...] c’era una

grande voglia di chimica, si credeva che fosse un mondo nuovo e potente (ma non arrogante) non solo per comprendere il mondo ma anche per guidarlo verso una condizione migliore [...] Davy incarnava questo ottimismo572. Davy era amico di Samuel Taylor Coleridge, e le sue conferenze erano seguite con interesse anche da Mary Shelley573, che intanto stava iniziando la stesura delle pagine di Frankenstein574, l’appassionato elogio alla chimica, si legge, infatti, che questi filosofi […] sono penetrati nei recessi della natura e hanno reso noto il suo intimo

lavorìo […] hanno individuato la natura dell’aria che respiriamo; hanno conquistato poteri nuovi e quasi illimitati; possono comandare ai fulmini […] prendersi gioco del mondo invisibile con tutte le sue ombre575.

In Germania il pittore Carl Gustav Carus, studioso di botanica e geologia, attivo tra il Settecento e l’Ottocento scriveva che l’uomo risulta anche sotto questo aspetto un tutto e la

570Cfr. G. Torraca, Chimica e restauro. La scienza per la conservazione, in A. Riccio (a cura di) Atti del convegno tenuto a Milano nel 1983, Ed. Marsilio, Venezia 1984, pp. 145-150.

571O. Sachs, Zio Tungsteno, Ricordi di un’infanzia chimica (2001), Adelphi, Milano 2002, pp.147-148. 572ibidem

573Mary Shelley scrittrice attiva nell’Ottocento, fu l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The

Modern Prometheus), pubblicato nel 1818.

574Cfr. M. Shelley, Frankenstein ovvero il Prometeo moderno, introduzione di M. Praz, Rizzoli, Milano 1994, p. 20. 575Ibidem

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scienza e l’arte, sebbene separate dall’intelletto, non possono mai esserlo completamente nella realtà576.

È opportuno sottolineare che sia grazie a Davy, con il suo opuscolo tecnico ed analitico, che a Chaptal, con il suo saggio ricco di approfondimenti, si apriva la strada alle future indagini sulle pitture antiche incoraggiate alle ricerche scientifiche, soprattutto in ambito chimico577. Il sostanziale contributo da cui anche le arti avevano tratto vantaggio, fu riportato per la prima volta nella rivista Antologia, opera di carattere tecnico-storico pubblicata in quegli anni, in cui il dibattito sulla tecnica esecutiva della pittura antica, le analisi chimiche sui colori, lo stato di degrado dei dipinti pompeiani venivano descritti in maniera dettagliata nella sezione Arti

Industriali. In particolare, nel tomo terzo del 1821, nella sezione Belle Arti, Discorso III sulla

pittura degli antichi dal titolo Della parte che spetta all’istoria naturale e alla chimica nel

divisar le ragioni dei colori di che si valsero gli antichi nella pittura, di Pietro Petrini, indirizzata

al Dott. Gaetano Cioni578, era riportato un riferimento esplicito agli studi chimici effettuatu da Davy sull’uso delle sostanze adoperate dagli antichi nelle pitture in cui si è riscontrato l’uso delle lacche579, la cui presenza era stata confermata proprio in quei gli anni negli scavi di Pompei ed Ercolano e nelle rovine della casa di Cesari a Roma. L’articolo poi approfondiva il metodo adoperato dagli antichi considerandolo molto simile ai moderni procedimenti adottati per far precipitare l’allumina dispersa o sciolta con i colori vegetali. Davy allegò ai suoi studi alcuni passi tratti da Vitruvio e Plinio, i quali, come è noto, utilizzavano sostanze terrose per fissare i colori vegetali o animali.

Nel tomo IV della sezione Belle arti, dell’anno 1822, fu pubblicato il saggio dal titolo Degli

sperimenti che hanno servito di scorta a riconoscere nelle reliquie che ci avanzano dell’antica pittura le nature de’colori in essa adoperati580, scritto da Pietro Petrini, ricercatore toscano,

576C.Carus, Nove lettere sulla pittura del paesaggio, scritte tra il 1815 e il 1824, Liepzig, 1831, citato in S.Bordini,

L’Ottocento, Carocci, Roma 2002, pp.259-263.

577Cfr. A. Rorro, Prime analisi chimiche…, op. cit., pp. 97-101.

578Gaetano Cioni valente medico toscano (1760-1851) fu professore di chimica e fisica all’Università di Pisa ma la sua attività accademica fu di breve durata. Decaduto Napoleone le autorità restaurate gli tolsero la cattedra e per sopravvivere lo studioso fu costretto ad accettare un modesto impiego presso la ferriera di Pistoia orientando da quest’esperienza i suoi studi scientifici verso la chimica industriale e la fisica applicata. Parallelamente all’attività scientifica non smise mai di coltivare i suoi interessi letterati e linguistici e nel 1796 pubblico le Novelle di Giraldo

Giraldi. Oltre che con Manzoni, Cioni fu in ottimi rapporti anche con il Leopardi. Era un assiduo frequentatore del