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Il Caso British Telecom Group P.L.C

La BT Group PLC è una società britannica di telecomunicazioni più antiche al mondo, fondata nel 1981 è quotata nella Borsa di Londra (BT.A) e di New York (BT).

Le origini, però, sono ancora più lontane, infatti risalgono ai tempi della fondazione dei primi servizi commerciali di telegrafia in Gran Bretagna (1846). Con l’invenzione del telefono, tutte le imprese presenti sul mercato vennero fuse all’interno del GPO (General Post Office) con il Telegraph Act del 1868, con l’obiettivo di nazionalizzare il settore delle telecomunicazioni, come successe in molti altri paesi.

Nel 1981 con il British Telecomunication Act si separano le attività postali, da quelle di telecomunicazioni, conferendo uno statuto autonomo a BT, che nel frattempo, nel 1969 la GPO era divenuta una società di diritto pubblico non direttamente collegata all’esecutivo.

Nel 1982, un anno dopo la vera e propria fondazione della società, si ha il primo competitor sul mercato, infatti la Mercury Communications ottiene la licenza per costruire un secondo network per le linee fisse. Divenendo in questo modo un mercato liberalizzato, anche se presenti solo due attori; questa situazione di duopolio sul mercato continuò fino al 1993 con l’ingresso di nuove aziende.

Un ulteriore evento significativo nella storia della società fu la vendita sul mercato azionario del 50,2% delle azioni, nei mercati di Londra, New York e Toronto, nel 1984.

Vi fu inizialmente uno scetticismo da parte degli investitori istituzionali, per l’immenso valore del pacchetto di azioni in vendita (almeno sei volte più alto di qualsiasi altra operazione nella borsa di Londra).

Queste preoccupazioni furono superate, in quanto vi fu un enorme successo nell’acquisizione di titoli da parte dei piccoli risparmiatori.

Una seconda vendita da parte dello Stato, di circa il 25% del capitale, risale al 1991.

Operando in un settore molto competitivo e in continua rivoluzione, passando alla creazione della tecnologia del telefono cellulare, alla crescente richiesta di servizi e alla nascita della New Economy, la società si è dovuta confrontare con diversi piani di ristrutturazione e ammodernamento per far fronte alle nuove esigenze del mercato. Una delle più recenti riorganizzazioni risale agli inizi del nuovo millennio, com la strategia di BT di allargare i propri confini e ottenere una leadership globale; tale operazione, però, si rileva un passo più lungo della gamba, richiedendo enormi quantitativi di finanziamenti, divenuti successivamente molto gravosi, con gli effetti dell’esplosione della bolla azionaria della New Economy.

1. BT wirless (ceduta successivamente come BT cellnet) 2. Future BT (Divenuta poi BT Group PLC)

BT Group PLC viene ulteriormente suddivisa in aziende con autonomia di gestione:

1. BT ignite: operante nel settore della connessione a banda larga 2. BT Openworld: ISP del gruppo

3. BT Retail: l’azienda che tiene i rapporti con i clienti finali

4. BT Wholesale: operante nella vendita dell’accesso locale e utilizzo infrastrutture

5. BT Exact technologies: attività di R&S

6. BT Affinitis: commercializzazione di servizi integrati

Nel 2005 si aggiunge BT openreach per garantire l’imparzialità dell’accesso alla rete infrastrutturale, ancora detenuta da BT. Infatti l’OFCOM (L’Office of Communications), il regolatore del mercato delle telecomunicazione britannico, vuole eliminare la posizione dominante della società nei confronti degli altri

competitor; la soluzione che si attuò, fu appunto, la creazione di una divisione appositamente costituita da BT, con 30.000 dipendenti, e con sede distaccata fisicamente da ogni altra divisione della stesso gruppo, con management distinto e indipendente, con piani di remunerazione vincolati alle performance dell’unità. Inoltre il gruppo BT deve sottostare alla vigilanza per il mantenimento e l’adattamento al mercato in continua evoluzione.

Nella sua strategia di espansione, il gruppo BT, si espande anche in Italia nel 1995. In prima battuta, viene creata una società con la BNL con denominazione Albacom S.p.A., successivamente nel 2008 si applica la denominazione attuale di BT italia S.p.A. e con l’acquisizione quasi totalitaria del capitale sociale, attraverso la società veicolo (per l’acquisto di azioni BT Italia) denominata I.NET. La società agisce come sussidiaria della capofila britannica.

BT Italia S.p.A. lavora nel settore delle telecomunicazioni alle imprese e PA, offrendo all’interno del suo portfolio di prodotti: soluzioni di sicurezza networking, conferencing, business mobility, oltre ai classici servizi di telecomunicazione fisso e mobile.

Alla fine del 2016, il gruppo BT avvia delle indagini nella società italiana che hanno portato ad un vero e proprio scandalo che ha richiesto l'intervento investigativo, su richiesta del gruppo britannico, della KPMG, una delle quattro

Come riportato anche sull’informativa finanziaria al 31 dicembre 2016 BT group PLC espone:

“Questo ci ha spinto a condurre una inchiesta iniziale delle presunte condotte come abbiamo annunciato in ottobre. Ulteriori indagini hanno rivelato che l‘estensione e la complessità dei comportamenti non consoni nelle attività italiane erano molto più vaste di quel che era emerso in un primo tempo e hanno accertato pratiche contabili improprie così come un complesso insieme di vendite improprie, e transazioni di factoring e leasing”.

I principali amministratori (l’ex AD,l’ex Coo, l’ex Cfo e l’ex responsabile della fatturazione) sono indagati per: associazione a delinquere finalizzata alla dichiarazione fraudolenta con uso di fatture per operazioni inesistenti ed emissione di fatture per operazione inesistenti (come riportato nell’articolo di REUTERS il 19 maggio del 2017).

I “presunti trucchi” come riportato dal sito REUTERS (nell’articolo del 30 marzo 2017) sono:

• Acquisti fittizi in cambio note di credito: con questa operazione, il reparto finanza, emetteva un ordine di acquisto fittizio a Capex, cioè di beni durevoli (mancavano quindi le richieste di ordine da parte dei fornitori), dopo l’emissione della fattura, il fornitore inviava la nota di credito di pari importo, come se l’ordine fosse stato annullato. Durante l’operazione

nessuna somma di denaro usciva o entrava nella casse della società; l’obiettivo era il miglioramento dell’EBIT, dato dalla differenza della nota di credito e dell’ammortamento del cespite. In alcuni casi queste note di credito venivano cedute a società di factoring, determinando un entrata di cassa.

Il vantaggio per il fornitore, era l’inserimento in una lista, per diventare fornitore abituale.

• Operazione “Lavandino” o factoring trading: questa pratica aveva il fine di far aumentare il fatturato tramite un’operazione non illegale (nella pratica della cessione del credito) e consisteva nel cedere ai fornitori compiacenti dei crediti verso clienti, registrando le entrate come ricavo, tenendo all’oscuro il cliente e senza alcun passaggio di denaro; questa operazione sulla base di un ricavo, poteva essere ripetuta più volte, andando ad incrementare il fatturato, dai dati riportati da REUTERS, si parla di oltre il 20% del fatturato nell’anno fiscale 2015-16.

• Ordini Gonfiati: nel settore delle telecomunicazioni si chiudono contratti con clienti, per servizi personalizzati (alcuni di questi sono p.e. la fornitura di numeri a pagamento come i 199 o i numeri verdi 800). Il guadagno dell’operatore sta nella misura del c.d. “minutaggio”. Al momento della firma doveva essere stimato un valore di questo contratto, che normalmente veniva gonfiato per poter raggiungere il target prefissato e

nella quotazione in borsa del titolo, che tiene conto degli ordini ricevuti, e quindi dei guadagni futuri.

• Doppie fatture: infine questa ultimo stratagemma consisteva, nell’emettere allo stesso cliente una doppia fattura, per lo stesso mese; chiaramente veniva cambiato qualche elemento per non renderla identica, dopodiché la seconda fattura non veniva inviata al cliente e messa da parte, quindi non incassata e trasformata successivamente in accantonamento o inserita nella

cessione di crediti.

Tutto questo era possibile in quanto la casa madre, non richiedeva alle società figlie, l’adozione obbligatoria del sistema informatico, in questo modo la secondo fattura poteva essere inserita all’interno di un altro sistema informatico contabile parallelo. Con il sistema di cessione del credito, alcuni clienti, si sono accorti della seconda fattura, in quanto la società di factoring chiedeva loro il pagamento per lo stesso periodo, per la quale avevano già provveduto al pagamento.

Per completezza riporto le possibili motivazioni che hanno portato i dipendenti a procedere con queste operazioni, sempre le fonti di REUTERS (dell’articolo del 30 marzo 2017):

• Target irraggiungibili: la casa madre poneva degli obiettivi sempre più elevati e difficili da raggiungere, sia paragonati ai dati storici della stessa società italiana, sia paragonati ad altre società del settore

• Operazioni conosciute e autorizzate dalla casa madre: l’ex-amministratore si difende dicendo che non era “a conoscenza di comportamenti illegali, né ho documenti da cui risultano comportamenti illegali”. “Inoltre – continua - le operazioni finanziarie che sono state fatte durante il mio mandato (ricordo che sono stato amministratore delegato soltanto dal 2013) sono state debitamente verificate e autorizzate da casa madre e dagli organi e società di controllo”.

Come emerso dalle notizie riportate dai giornali, uno degli aspetti che ha permesso di realizzare i “presunti trucchi”, sta nell’organizzazione, tra nelle informazioni riportate all’inizio del bilancio (Review of the year) si legge:

“We have appointed a new president of our European operations and a new CEO and CFO of BT Italy, from outside the Italian executive management team, and they are working hard to reposition and restructure the business for the future including implementing improvements to the governance, compliance and control culture and the capabilities of our people in the organisation.”

Quindi i primi interventi effettuati dal gruppo, per risolvere i problemi rilevati dalle indagini e l’intervento sull’organizzazione, partendo chiaramente dal vertice.

gli anni 2016 e 2015 in Nota Integrativa con nella parte denominata “Basis of preparation”:

Tabella 2: Informativa Proforma - SP 2016

Dai dati riportati emerge una serie di correzioni effettuate dal bilancio 2015: il Conto Economico è stato corretto sia con aumento dei costi operativi, sia con una diminuzione dei ricavi, determinando variazioni in diminuzione a cascata su tutti i successivi risultati intermedi per arrivare ad un minor utile nel biennio (2015 e 2016) di 200 milioni.

Anche nello Stato Patrimoniale si osservano numerose correzioni, sia sul fronte degli assets correnti e non correnti, sia sui debiti correnti per un totale di 395 milioni.

I commenti per questi adjustment, come richiesto sia dallo IAS 8, e per la normativa dei conti proforma, sono presenti, anche se solo in forma descrittiva, come p.e. a pagina 6 e 172 del bilancio 2017, informando della presenza di indagini che hanno rilevato delle pratiche contabili non corrette attraverso: vendite improprie, transazioni di factoring e leasing, determinando così i restatement.

Dai dati riportati nella pagina 6 del bilancio 2017, si legge anche che, gli assets del business italiano rappresentano il 4% del totale del Gruppo britannico; mentre l’EBITDA contribuisce per l’1% (come riportato da una comunicazione del gruppo del 24 gennaio 2017).

Quindi i valori del business italiano, rappresentano una piccola percentuale dell’interno gruppo, ma come evidenziato in varie occasioni, è l’effetto della notizia che crea una cattiva immagine della gruppo, infatti il titolo a Londra, con la pubblicazione delle notizie, perde il 20%, bruciando una capitalizzazione di 8 miliardi (come riportato da lastampa.it il 25 gennaio 2017).

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