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Il caso delle province autonome di Trento e Bolzano

Capitolo V La concorrenza fiscale tra regioni in Italia: il caso del Trentino-

5.2 Il caso delle province autonome di Trento e Bolzano

A fronte di un’indagine svolta dalla trasmissione televisiva “Report”, mandata in onda su Rai 3 il 13 maggio 2019, sarebbero più di 3.000 le aziende che operano nel settore della produzione di energia rinnovabile, sia italiane che straniere, che hanno scelto di stabilire il proprio domicilio fiscale nelle province autonome di Trento e Bolzano. Nonostante ciò, un grande numero di queste aziende non possiede un impianto produttivo all’interno dei confini di queste province bensì è nel sud Italia dove invece si concentra maggiormente la produzione di energia rinnovabile, soprattutto nel settore del fotovoltaico e dell’eolico. È anche grazie alla loro presenza che il Trentino-Alto Adige si colloca ormai da anni in testa alla classifica, stilata da Fondazione Impresa, delle regioni più green d’Italia.

Il motivo di questo trend è dovuto dal fatto che le province autonome di Bolzano (dal 2013) e Trento (dal 2011) hanno deciso di dare l’esenzione al pagamento dell’IRAP alle nuove realtà produttive che si insediavano nella provincia e, dopo cinque anni di incentivi, le aziende possono godere comunque di una fiscalità più bassa. Infatti, nelle due province del Trentino-Alto Adige vige un’aliquota IRAP di quasi 1,20 punti percentuali inferiore rispetto all’aliquota IRAP che pagano le aziende nelle altre regioni d’Italia, così come accade per le addizionali comunali (Paternesi, 2019).

Nonostante le aziende in questione abbiano la sede legale nelle province di Bolzano e Trento mentre gli impianti produttivi risiedono in altre regioni, esse sono soggette al pagamento dell’IRAP solo nelle prime. Ciò è possibile perché queste aziende sono caratterizzate dal fatto di avere un solo dipendente che risulta essere il fondatore e amministratore dell’impresa. Infatti, le aziende che operano nel settore dell’energia rinnovabile prodotta tramite impianti fotovoltaici ed eolici non necessitano di alcun dipendente presso l’impianto produttivo. Basti pensare, per esempio, ad un impianto fotovoltaico: dopo aver effettuato l’investimento per installare i pannelli solari in una vasta porzione di

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terra non è necessario alcun dipendente che diriga e faccia funzionare l’impianto. Gli unici interventi che questi impianti necessitano sono quelli di ordinaria e straordinaria amministrazione che vengono affidati ad aziende esterne. Dunque, l’unico dipendente che raffigura essere iscritto a libro paga dell’azienda è l’amministratore della stessa. A questo punto il collegamento è molto semplice: per questo tipo di aziende, ai fini di ottenere un’esenzione al pagamento dell’IRAP, è necessario spostare la propria sede legale, dove risulta risiedere anche il suo unico dipendente, nelle province ove questa esenzione è prevista. Di fatto, per queste aziende è possibile eludere la norma che disciplina il riparto del gettito IRAP tra le regioni poiché il 100% dell’ammontare delle retribuzioni del personale dipendente risulta essere situato in Trentino-Alto Adige.

Inserendo qualche dato, solo a Bolzano negli ultimi si sono insediate 2.000 nuove attività produttive, di cui 600 non hanno impianti produttivi in provincia. A Trento invece se ne sono insediate più di 600, attive in particolare nel settore eolico.

Curioso è il caso di Rovereto, in provincia di Trento, dove c’è una “Silicon Valley” tutta italiana che prende il nome di “Progetto Manifattura” e viene gestita da Trentino Sviluppo, ossia l’agenzia per lo sviluppo della provincia. In questo polo tecnologico, l’inchiesta di Report ha scoperto che si sono insediati circa 80 tra grandi gruppi, holding e fondi che operano nella produzione di energia rinnovabile, tra lo stupore del presidente di Trentino Sviluppo Sergio Anzelini, che invece era a conoscenza di un numero inferiore. Dopo una verifica, lo stesso presidente ha dichiarato che ben 13 aziende domiciliate presso Progetto Manifattura non avevano nemmeno comunicato a Trentino Sviluppo di aver spostato qui la loro sede legale (Fin, 2019).

Dunque, spostare il domicilio fiscale in Trentino Alto Adige significa alimentare una concorrenza fiscale spietata tra regioni in quanto da un lato ci si può avvantaggiare di sgravi e incentivi e dall’altro lato si tolgono risorse alle altre regioni perché di fatto l’IRAP non viene pagata dove effettivamente si produce.

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Secondo Stefano Capaccioli, esperto contabile, se il trasferimento dell’azienda in questa regione viene fatta solo al fine ottenere un beneficio fiscale di riduzione dell’IRAP si potrebbe configurare abuso del diritto perché la norma prevede che tutte le attività che, pur rispettando le norme, permettono di ottenere dei benefici fiscali indebiti possono essere rivisitate dall’Agenzia delle Entrate e dagli organi competenti. Infatti, secondo l’Agenzia delle Entrate spostare la sede legale in queste regioni per non pagare l’IRAP e mantenere la produzioni in altre regioni potrebbe configurare elusione fiscale e, insieme alla Guardia di Finanza, sta eseguendo i dovuti accertamenti.

Di queste 3.000 aziende che si sono trasferite in Trentino Alto Adige, in provincia di Bolzano risiedono aziende operanti soprattutto nel settore del fotovoltaico mentre in provincia di Trento risiedono aziende operanti soprattutto nel settore dell’eolico. Nello specifico, i Megawatt51 trasferiti in provincia di Bolzano

provengono: 391 dalla Puglia, 97 dalle Marche, 94 dal Lazio, 79 dal Piemonte, 78 dall’Emilia Romagna, 57 dalla Campania e 50 dal Veneto. In provincia di Trento, invece, i Megawatt trasferiti provengono: 334 dalla Puglia, 294 dalla Sicilia, 100 dall’Emilia Romagna, 99 dalla Campania, 98 dal Lazio e 82 dalla Calabria (Paternesi, 2019). Da questi dati emerge dunque che è soprattutto la Puglia a cui vengono sottratte maggiormente risorse a causa della bassa fiscalità offerta a questo tipo di aziende da parte delle province autonome di Trento e Bolzano. Su questo argomento è intervenuto anche il presidente della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa (CNA) del Trentino Alto Adige, Claudio Corrarati, che ha spiegato come sia “necessario creare sistemi che permettano di erogare incentivi e di far fruire le agevolazioni fiscali solo a chi contribuisce all’economia del territorio, definendo una sorta di permanenza minima sul territorio al fine di trasformare i soldi a disposizione in

51 Unica unità di misura che permette di quantificare lo spostamento delle attività produttive da

una regione a queste province nello specifico caso di aziende che operano nel settore della produzione di energia rinnovabile.

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valore aggiunto per l’economia locale, con aziende realmente insediate sul territorio e che creino posti di lavoro e ricchezza”(Fin, 2019).

5.3 CONCLUSIONI

A fronte del caso analizzato, si è potuto constatare che anche all’interno dei confini nazionali italiani c’è spazio per una concorrenza fiscale tra regioni, legata al pagamento dell’IRAP. Ciò fa pensare che possano esistere dei limiti evidenti nella normativa nazionale che disciplina questa imposta e, come evidenziato in questo specifico caso, possono dar luogo alla nascita di una concorrenza fiscale. Un primo limite evidenziato nella normativa nazionale è la possibilità data anche alle province autonome di Bolzano e Trento di poter azzerare l’aliquota IRAP. Queste due province, data la loro autonomia che gli consente di trattenere il 90% delle proprie tasse, possono permettersi di mantenere un’aliquota IRAP più bassa rispetto alle altre regioni e, come nel caso delle nuove attività produttive, di offrire un’esenzione al pagamento dell’imposta per un determinato periodo di tempo.

Un secondo limite potrebbe essere ricondotto al fatto che il gettito IRAP venga ripartito tra le regioni in base ai dipendenti operanti in ciascuna regione. Tralasciando il caso appena analizzato delle aziende operanti nel settore dell’energia rinnovabile che hanno l’incentivo a spostare la propria sede legale nelle province di Bolzano e Trento ai fini fiscali mentre mantengono gli impianti produttivi in altre regioni, anche per tutte le altre tipologie di imprese, che invece hanno a libro paga più dipendenti, potrebbe essere incentivante spostare sia la sede legale che l’impianto produttivo in queste province dato che, per l’appunto, l’aliquota IRAP è la più bassa d’Italia.

Dunque le normative IRAP delle province autonome di Trento e Bolzano sembrano costruite appositamente per attirare nei propri territori nuove imprese.

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Tale sistema è vantaggioso per ambo le parti: da un lato le due province riescono ad attirare nuove imprese che, dopo un periodo di cinque anni di esenzione, pagano l’IRAP e contribuiscono a finanziare il gettito provinciale; dall’altro lato le imprese usufruiscono di un periodo di esenzione e, una volta scaduto, hanno la possibilità di sfruttare una fiscalità meno elevata rispetto a tutte le altre regioni d’Italia.

Infine, non sono particolarmente elevate le barriere che impediscono alle nuove attività produttive di usufruire di tale esenzione e, come ribadito in precedenza, forse sarebbe più opportuno concedere agevolazioni fiscali solo a quelle aziende che realmente apportino un contributo di ricchezza e occupazionale che sia rilevante per l’economia locale.

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CONCLUSIONI

Alla luce di quanto è emerso dall’analisi della concorrenza fiscale fra i paesi membri dell’Unione Europea, si può concludere affermando che tale fenomeno è presente nel settore delle imposte societarie, anche in un contesto di integrazione fra più paesi indipendenti. Nonostante il grande impegno da parte della Commissione Europea di cercare di limitare la concorrenza fiscale, si è potuto notare come la tassazione delle imprese all’interno dei confini dell’Unione Europea è molto disomogenea, presentando ancora al giorno d’oggi delle differenze molto sostanziali. Infatti, come dimostrato dai dati inerenti agli investimenti diretti esteri, le imprese tengono grande considerazione del fattore fiscale in un processo decisionale di allocazione dei capitali in quanto investire in un paese a bassa fiscalità, come potrebbe essere ad esempio la Bulgaria o l’Ungheria, risulta essere fiscalmente più conveniente rispetto all’investire lo stesso livello di capitale in Italia, Francia, Germania, Spagna o altri paesi sviluppati e caratterizzati da un’alta fiscalità sulle imprese. In particolare, si è notato come siano stati gli ultimi paesi entranti, nel 2004 e nel 2007, che hanno ricorso maggiormente ad un alleggerimento delle pressione fiscale sulle imprese al fine di attirare nuovo capitale finanziario, umano e tecnologico, sfruttando l’istituzione di un mercato europeo comune che prevede la libera circolazione dei capitali senza barriere fra gli Stati membri. È proprio la creazione di un mercato unico una delle possibili cause che, indirettamente, ha contribuito ad alimentare tale fenomeno. D’altro canto, l’istituzione del mercato unico europeo fa parte del rafforzamento di un processo di integrazione fra più paesi che l’Unione Europea sta cercando di consolidare sin dagli albori della sua nascita. Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea è ben allineata con gli obbiettivi dell’Unione Europea in quanto punisce quelle norme fiscali di alcuni Stati membri che, al fine di evitare una fuga dei propri capitali nazionali verso paesi a

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fiscalità più vantaggiosa, ostacolano la libera circolazione dei capitali. Dunque, le cause che hanno portato alla nascita di una concorrenza fiscale sulle imposte societarie non possono essere imputabili direttamente all’Unione Europea in quanto essa sta semplicemente portando avanti gli obbiettivi su cui si basa la propria esistenza. Più che altro, la concorrenza fiscale è un effetto collaterale che è venuto a crearsi indirettamente dalle politiche comunitarie il cui contenimento degli effetti dannosi rientra nel processo di armonizzazione fiscale che la stessa Unione Europea sta cercando di condurre al fine del raggiungimento dei propri scopi. Nonostante il grande impegno profuso dalla Commissione Europea, ciò che pare evidente è che i governi degli Stati membri non sembrano avere l’intenzione di rinunciare ad uno strumento che può portare all’interno dei propri confini nazionali dei notevoli vantaggi.

Anche sul campo delle imposte sui redditi personali, in particolar modo nel segmento delle persone con un alto reddito o altamente qualificate, esiste un fenomeno di concorrenza fiscale poiché la maggior parte dei paesi membri dell’Unione Europea si danno battaglia costruendo regimi fiscali speciali ad hoc allo scopo di essere più appetibili per questi tipi di persone che riescono spostare una grande base imponibile o possono apportare le proprie competenze. La stessa cosa, invece, non si può dire che accade per le persone con un reddito medio in quanto si è potuto osservare dai dati che non esiste un punto di connessione per constatare la presenza di una concorrenza fiscale anche in questo ramo. Ciò è giustificato dal fatto che per tutti i paesi dell’Unione Europea quasi la metà del gettito viene finanziato dalle imposte personali e non sarebbe dunque prudente ridurre le aliquote fiscali sui redditi personali in quanto le persone con un reddito medio non sono disposte a spostarsi in un altro paese per motivi fiscali.

In conclusione, è evidente come gli Stati preferiscano competere fiscalmente sulle imposte societarie e sugli elevati redditi di persone altamente facoltose, come dimostrato dal fatto che nel primo caso tutti i paesi comunitari hanno dato vita

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ad una corsa al ribasso delle aliquote fiscali societarie o a un processo di ampliamento della base imponibile, mentre nel secondo caso ben 15 paesi su 28 nel corso del tempo hanno prodotto regimi fiscali speciali “per i ricchi”. L’interesse di rendere molto appetibile il proprio territorio ove concentrare gli investimenti e i redditi è risultato essere di primaria necessità tra i paesi in questione e sembrerebbe quasi impossibile trovare delle soluzioni che riescano a mettere d’accordo 28 paesi indipendenti affinché si possa eliminare un problema che crea delle distorsioni all’intero sistema. Sarebbe necessario che siano gli stessi Stati a fare un passo indietro al fine di contribuire allo sviluppo del processo di integrazione. Ma, come è stato più volte sottolineato, molto difficilmente i governi sono disposti a rinunciare alla propria sovranità e affidare il compito delle decisioni di politica economica e fiscale ad un organo centrale.

Infine, è doveroso sottolineare che la concorrenza fiscale è un fenomeno che può nascere non solo dal potere che dispongono governi indipendenti di modellare il proprio sistema fiscale in base alle necessità richieste dalla politica economica, ma può nascere anche all’interno di uno stesso Stato nel momento in cui dei livelli di governo inferiori sfruttano la propria autonomia legislativa per attirare nuove imprese e quest’ultime sfruttano i limiti delle normative emanate dal governo centrale per giovare di una fiscalità più bassa, come nel caso della concorrenza fiscale legato al pagamento dell’IRAP che riguarda il Trentino-Alto Adige e le altre regioni d’Italia.

Alla chiusura del cerchio, è possibile affermare che sia che si parli di concorrenza fiscale in ambito internazionale, sia che si parli di concorrenza fiscale che si sviluppa a livello giurisdizionale all’interno di uno stesso Stato, è di fondamentale importanza che esista un organo centrale che sia in grado di limitare e controllare un fenomeno che nel lungo periodo potrebbe causare delle situazioni di inefficienza di mercato. Mentre nel caso italiano sarebbe possibile porre rimedio alla situazione che è venuta a crearsi di recente, più preoccupante

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è il caso all’interno dell’Unione Europea, a testimonianza del fatto che la strada verso l’integrazione completa dei paesi membri è ancora molto lunga.

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