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il caso dei Silvestrini

Ugo Paoli

Gli studi più recenti hanno messo in luce lo spirito riformatore che animò il pontificato di Leone XII1, la cui azione si estese anche agli ordini religiosi. La riforma dei regolari, infatti, era «sentita forte-mente» dal papa2 che – tuttavia – non poté realizzare appieno sia per la brevità del suo governo (poco più di cinque anni) sia per le resisten-ze opposte da più parti, compresi gli stessi religiosi: un tema – quello della riforma dei regolari – poco studiato, che «andrebbe ripreso e approfondito»3.

Dopo la soppressione napoleonica del 1810, il ripristino degli or-dini religiosi nello Stato della Chiesa fu lento, laborioso e parziale4.

Tentativo di unione delle congregazioni benedettine

Già all’indomani della restaurazione Pio VII (prima di salire al soglio pontificio era stato monaco benedettino della Congregazione Cassinese), resosi conto del «grave dissesto occasionato in tutte le

1 Cf. Il pontificato di Leone XII. Restaurazione e riforme nel governo della Chiesa e dello Stato. Atti del Convegno, Genga, 1 ottobre 2011, a cura di G. Piccinini, Ancona 2012 (Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 116); Governo della Chiesa, gover-no dello Stato. Il tempo di Leone XII, a cura di R. Regoli, I. Fiumi Sermattei, M.R.

Di Simone, Ancona 2019 (Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 291).

2 R. Colapietra, Una riflessione sul giubileo di Leone XII, in “Si dirà quel che si dirà:

si ha da fare il giubileo”. Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825, a cura di R.

Colapietra, I. Fiumi Sermattei, Ancona 2014 (Quaderni del Consiglio Regio-nale delle Marche, 148), pp. 15-33.

3 Ibid.

4 Per l’ordine benedettino, cf. Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870). Atti del II Convegno di studi storici sull’Italia bene-dettina, Abbazia di Rodengo (Brescia), 6-9 settembre 1989, a cura di F.G.B. Trole-se, Cesena 1992 (Italia benedettina, 11).

monastiche congregazioni dell’Ordine di S. Benedetto dalle prece-denti sciagure di rivoluzioni, cangiamenti di governo e persecuzioni della Chiesa», aveva pensato di riunire in un unico organismo le fami-glie benedettine esistenti nello Stato Pontificio, per riportare l’ordine monastico all’antico splendore5.

A tale scopo, considerato «il numero ridotto dei monaci usciti in-denni dalla soppressione, il papa pensava di riunirli tutti in un’unica o, al massimo, in due congregazioni: una di monaci ‘neri’ e l’altra di monaci ‘bianchi’, detti così dal colore dell’abito»6. In tal senso Pio VII si era espresso nel colloquio avuto a Tolentino il 10 maggio 1814 – durante il viaggio di ritorno a Roma dopo la liberazione dalla prigio-nia di Fontainebleau – con don Albertino Bellenghi, vicario generale della Congregazione Camaldolese di San Michele di Murano, detta anche dei Cenobiti Camaldolesi7.

In due successivi incontri a Roma, il Bellenghi propose al papa di riunire le famiglie monastiche «in un sol corpo» e «fare che tutti fos-sero monaci benedittini neri», in modo da formare «un corpo assai più rispettabile e di più lunga vita», altrimenti sarebbero sempre sta-te «due scarse Congregazioni e per conseguenza anche di corta dura-ta». Al che il papa rispose: «Sì, dite bene, sarà meglio che diventino tutti neri»8.

5 Archivio Storico di Camaldoli (d’ora in poi ASC), Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 12r.

6 G. Tamburrino, I monasteri italiani e la Confederazione benedettina, in Il mona-chesimo in Italia tra Vaticano I e Vaticano II. Atti del III Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Badia di Cava dei Tirreni (Salerno), 3-5 settembre 1992, a cura di F.G.B. Trolese, Cesena 1995 (Italia benedettina, 15), p. 25.

7 Per una scheda cronologico-prosopografica del Bellenghi (1757-1839), cf. G.

Spinelli, Camaldolesi italiani nella gerarchia ecclesiastica durante l’età moderna.

Sguardo cronologico, in L’Ordine Camaldolese in età moderna e contemporanea secoli XVI-XX. Atti del II Convegno di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012-2012), Monastero di Camaldoli, 30 maggio - 1 giugno 2013, a cura di G.M. Croce e U.A. Fossa, Cesena 2015 (Italia benedettina, 40), p. 96. Si veda pure http://

www.treccani.it/enciclopedia/filippo-maria-bellenghi_%28Dizionario-Biografi-co%29/.

8 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 12r-v.

Il Bellenghi immediatamente «si pose a compilare» un Progetto di unione di tutte le monastiche congregazioni dell’Ordine di S. Benedetto esistenti nei Stati della Chiesa in una sola Congregazione che sarebbe la Cassinese sotto il titolo di «Ordine di S. Benedetto riunito»9. Il Proget-to, in venticinque articoli, riguardava le Congregazioni Camaldolese, Olivetana, Cistercense e Silvestrina10.

Poiché nel corso delle trattative si incontrarono delle difficoltà per l’aggregazione all’«Ordine di S. Benedetto riunito» degli Olivetani e dei Cistercensi, il Bellenghi propose l’unione delle altre tre famiglie (Cassinese, Camaldolese e Silvestrina) nell’«Ordine dei benedettini riuniti», ma don Stefano Alessandri, vicario generale della Congrega-zione Cassinese, si dichiarò «contrariissimo a qualunque unione»11.

Tentativo di unione delle Congregazioni Camaldolese e Silvestrina

Venuta meno la possibilità di unire i benedettini italiani, il Bellen-ghi, nel 1818, elaborò un Progetto di unione tra le due Congregazioni Camaldolese e Silvestrina, in sedici articoli12. Il Progetto prevedeva la presenza di una sola comunità monastica nelle città dove esistevano

«monasteri di ambedue le Congregazioni»; Fonte Avellana sarebbe stato l’unico luogo di noviziato nello Stato Pontificio; l’abate, il mae-stro dei novizi e gli altri «officiali» del monastero, come pure l’abate

9 Ivi, ff. 1r-10r.

10 Il Progetto di unione è pubblicato da V. Cattana, Il declino della Congregazione di Monte Oliveto tra la restaurazione e la metà del XIX secolo, in Il monachesimo italia-no dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870) cit., pp. 369-379.

11 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 12v.

12 Ivi, ff. 86r-87v. I «progetti di riunione delle varie congregazioni benedettine» era-no maturati «nel clima generale in cui era avvenuta» la «restaurazione», segnato

«dalla scarsità degli effettivi, da problemi economici, dalle difficoltà di ritornare rapidamente ad un livello di osservanza regolare soddisfacente» (G.M. Croce, Monaci ed eremiti camaldolesi in Italia dal Settecento all’Ottocento. Tra soppressioni e restaurazioni (1769-1830), in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870). Atti del II Convegno di studi storici sull’Italia bene-dettina, Abbazia di Rodengo (Brescia), 6-9 settembre 1989, a cura di F.G.B. Trole-se, Cesena 1992 (Italia benedettina, 11), p. 264.

generale, il procuratore generale e i due visitatori (cioè le «quattro maggiori cariche») si sarebbero alternati tra i membri delle due Con-gregazioni; i monaci della nuova Congregazione (il nome era da sce-gliere) avrebbero indossato «la tonaca bianca» (dei Camaldolesi) e lo

«scapulare bleù» (dei Silvestrini); ottenuta l’approvazione pontificia

«con bolla o con motu proprio», una commissione formata da due monaci camaldolesi e due silvestrini avrebbe provveduto alla formu-lazione di un nuovo testo di costituzioni13.

Le trattative erano ancora in corso quando Pio VII morì (20 ago-sto 1823).

Il nuovo papa Leone XII convocò don Albertino Bellenghi, che nel frattempo era divenuto procuratore generale dei Cenobiti Camaldo-lesi, manifestandogli la volontà di riprendere il programma di unio-ne di tutte le congregazioni beunio-nedettiunio-ne dello Stato Pontificio fatto predisporre dal predecessore; a tale scopo «comandò» al Bellenghi di presentare «alla Santa Sua persona» il Piano a suo tempo formulato14. Ottenutolo, il papa lo fece esaminare «da una commissione di cardi-nali», che però lo ritenne «irrealizzabile» e «fu perciò accantonato»15.

Definitivamente tramontata l’idea dell’unione di tutte le congre-gazioni benedettine italiane, Leone XII si impegnò per condurre a buon fine le trattative «di fare una sola Congregazione composta di Silvestrini e Camaldolesi»16. I primi erano rappresentati da don Ro-mano Giovagnoli, abate di San Benedetto in Fabriano e definitore ge-nerale, e da don Paolo Ginocchietti, abate di Santo Stefano del Cacco in Roma e definitore generale; i secondi da don Albertino Bellenghi, procuratore generale, e da don Ambrogio Bianchi, abate di Fonte Avellana17.

13 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, ff. 105r e 107r.

14 Ivi, f. 12v.

15 Tamburrino, I monasteri italiani cit., p. 26.

16 Archivio del monastero di San Silvestro in Montefano presso Fabriano (d’ora in poi AMF), Fondo Congregazione, Capitoli generali, 4, f. 2r.

17 Sul Bianchi, futuro cardinale e prefetto della Congregazione della Disciplina Regolare (1771-1856), si veda la scheda cronologico-prosopografica in Spi-nelli, Camaldolesi italiani nella gerarchia ecclesiastica cit., p. 96. Cf. pure C. De

Il 22 dicembre 1824 il Giovagnoli scriveva al Bellenghi:

[...] Ho communicato al Padre Generale [= don Gioacchino Baroncini]

quanto nella sua gratissima egli, mentre approva i di lei sentimenti e del P. R.mo Cappellari [= don Mauro Cappellari, futuro Gregorio XVI]18, mi fa riflettere che prima di avvanzare l’istanza per l’unione sarebbe cosa ben fatta basarla in qualche modo col formarne i preli-minari a scanzo di non sfigurare se quindi non riuscisse combinarla.

Conosco che per lettera non è possibile eseguirlo, sarei perciò d’avvi-so che ella intraprendesse con prudenza una trattativa con il p. abate Ginocchietti, tanto più che egli si è manifestato favorevole. Io gliene aveva dato antecedentemente un motivo, perché avendomi parteci-pata la determinazione sovrana [sottolineato nel testo] in proposito risposi che essendo la cosa certa, senza aspettare che ci vengano im-poste delle leggi, avesse procurata piuttosto l’unione con altra mo-nastica. Stabiliti gl’articoli principali si potrà in seguito a nome delle due Congregazioni implorare il beneplacito apostolico per l’esecuzio-ne dell’uniol’esecuzio-ne [...]19.

Dagli incontri bilaterali scaturì una Concordia di perpetua unione tra le due congregazioni monastiche Camaldolese e Silvestrina, articolata in diciotto punti20.

Si cercò, quindi, di «disporre» all’unione «gli animi dei religiosi»

delle due famiglie monastiche, ma sembra con scarso successo se l’a-bate di Fonte Avellana, in data 19 settembre 1825, scriveva al confra-tello Bellenghi:

[...] Ella presentemente ha per le mani altro argomento di più difficile esecuzione e difficile appunto pei motivi che mi va indicando nella sua carissima. Nondimeno tutto è facile nelle mani di Dio. Dico di

Dominicis, Amministrazione pontificia 1716-1870. Repertorio biografico, I (A-L), Roma 2017, s.v. in http://www.accademiamoroniana.it/indici/Volume%20I%20

%28A-L%29.pdf .

18 Su di lui, cf. http://www.treccani.it/enciclopedia/papa-gregorio-xvi_%28Dizionario-Biografico%29/.

19 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 39r.

20 Ivi, ff. 78r-80r.

Dio, perché manifesta il suo volere per mezzo del suo Vicario, la cui volontà non solo, ma i soli cenni dovrebbero eseguirsi senza replica.

Qualunque possa essere per lei la conseguenza, avrà sempre il merito e la gloria di aver secondate le mire ed il volere del Supremo Pastor de’ fedeli. Si faccia coraggio e non abbia alcun timore. Già si sa che in tutte le opere che tendono alla gloria di Dio sempre vi si fram-mischiano delle contraddizioni, anzi questo è segno che l’intrapresa piace a Dio [...]21.

A un certo punto «l’affare» dell’unione apparve «disperato» allo stesso Leone XII. Così, infatti, scriveva Giovanni Soglia22, uno dei più stretti collaboratori del papa, al Bellenghi, il 6 febbraio 1826:

R.mo Padre. Nostro Signore avendo letta la lettera scrittami da Vo-stra Paternità R.ma, mi comanda di rispondere che ex noviter deduc-tis [sottolineato nel testo] l’affare sembra disperato: tuttavia se Vo-stra Paternità ha qualche cosa da comunicare alla Santità Sua, potrà darne un cenno, poiché le sarà assegnato un giorno per l’udienza [...].

Ma Leone XII non si dette per vinto, come risulta da una lettera inviata da don Gioacchino Baroncini al cardinale Placido Zurla, abate generale dei Camaldolesi, il 10 maggio 1827:

Rispettoso veneratore dei sentimenti di Sua Santità, esternati nell’u-dienza del giorno 4 del corrente al R.mo P. Abbate Giovagnoli residen-te in Roma sulla unione della nostra Congregazione Silvestrina colla Camaldolese, mi diriggo all’Em.za Vostra R.ma con questo rispettoso foglio, onde voglia compiacersi di prender parte come Generale meri-tissimo de’ Camaldolesi, perché li sovrani desideri, ne quali sono pure li miei riuniti, possano essere perfettamente eseguiti nella maniera che si conoscerà la più conducente a preservare la convenienza e il

21 Ivi, f. 51r-v.

22 Giovanni Soglia Ceroni (1779-1856) fu segretario della congregazione cardina-lizia che – per incarico di Leone XII – «approntò un piano di riforma generale»

dell’istruzione pubblica nello Stato Pontificio (cf. M.I. Venzo, Leone XII e la ri-forma dell’istruzione, in Il pontificato di Leone XII cit., p. 78; M.R. Di Simone, Le riforma universitarie e scolastiche di Leone XII, in Governo della Chiesa, governo dello Stato cit., p. 246).

decoro di ambe le Congregazioni e degl’individui che le compongo-no. A tale effetto ho autorizzato il detto P. Abbate Giovagnoli affin-ché nell’andamento di quest’affare possa legalmente rappresentare la mia persona. Desideroso sempre in ogni incontro di uniformarmi alle inclinazioni di Sua Santità, cui con me tutta la Congregazione Silvestrina ha professato e professarà sempre il maggior rispetto e sommissione insieme, nonché desideroso egualmente di contestare a Vostra Eminenza R.ma i dovuti riguardi [...]23.

Il successivo 26 maggio il cardinale Zurla rispose:

[...] L’argomento tanto interessante sarà trattato dal suo P. Abate Giovagnoli e dal nostro P. Abate Bellenghi colla ferma lusinga che tut-to procederà con pace e soddisfazione del S. Padre, attesa la prudenza e piena attitudine d’ambedue [...]24.

Il 21 agosto 1827 don Albertino Bellenghi fu ricevuto in udienza privata dal papa, che gli consegnò, «scritto di propria mano», l’Abboz-zo di una traccia della bolla sull’unione delle due Congregazioni Monasti-che Camaldolese e Silvestrina25: la nuova famiglia, divisa in tre provin-ce (Romana o Avellanita, Classense e Toscana), si sarebbe chiamata

«Congregazione Camaldolese-Silvestrina»; l’abito sarebbe stato di co-lor nero (tuttavia «in casa» ai monaci camaldolesi era permesso l’uso del «bianco»); nelle due province dello Stato Pontificio i monasteri sarebbero stati ridotti a otto (la provincia toscana sarebbe rimasta immutata): Fonte Avellana (casa di studentato), S. Gregorio di Roma, S. Biagio di Fabriano, S. Silvestro in Montefano (casa di noviziato), S. Maria di Sassoferrato, Ss. Salvatore di Forlì, S. Stefano del Cacco in Roma (sede della curia generalizia) e uno da «stabilirsi»; seguivano dettagliate norme per la ripartizione delle cariche e dei beni; nelle

«nuove costituzioni da compilarsi» si sarebbe stabilita la celebrazione del capitolo generale ogni sei anni.

23 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 65r.

24 Ibid.

25 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, ff. 99r-102v.

L’unione, tuttavia, non fu attuata per l’opposizione dei cardinali camaldolesi Placido Zurla (1769-1834) e Mauro Cappellari (1765-1846)26, che «persuasero» il pontefice «a desistere, certamente per amore alla propria Congregazione. Ma fu un errore, che a lungo an-dare doveva decidere la morte dei cenobiti camaldolesi»27.

L’8 settembre 1827 l’abate di Fonte Avellana scriveva al Bellenghi che, a suo parere, la «progettata unione» non si sarebbe realizzata

«senza un comando espresso del Santo Padre»28. Visita apostolica a Roma

Mentre andavano esaurendosi i tentativi di unione fra le congre-gazioni benedettine italiane, Leone XII, in vista del giubileo del 1825, indetto il 24 maggio 1824 con la bolla Quod hoc ineunte saeculo29, il 31 maggio 1824 ordinò una visita apostolica delle chiese e luoghi pii di Roma (monasteri, conventi, ospizi, confraternite...) con la bolla Cum primum30. La visita fu aperta dal papa stesso il 13 giugno 1824 nella basilica di San Giovanni in Laterano.

26 Sui due porporati, cf. R. Fornaciari, I monaci cenobiti camaldolesi dall’Ottocento al Novecento, in L’Ordine Camaldolese in età moderna e contemporanea cit., pp. 356-360.

27 A. Pagnani, Storia dei Benedettini Camaldolesi cenobiti, eremiti, monache ed oblati, Sassoferrato 1949, p. 238. Nel 1935 Pio XI unì la Congregazione dei Cenobiti Camaldolesi a quella degli Eremiti Camaldolesi di Toscana, decretandone di fatto la soppressione (cf. R. Fornaciari, La soppressione ecclesiastica dei Cenobiti Ca-maldolesi. Cause ed effetti dell’azione del cardinale Raffaello Carlo Rossi e dell’abate Emanuele Caronti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019).

28 ASC, Sezione A, Cas. 4, Ins. 19, f. 74r.

29 Cf. Bollario dell’Anno Santo. Documenti di indizione dal giubileo del 1300. Edizione bilingue (latino-italiano), a cura di E. Lora, EDB, Bologna 1998, nn. 570-584, pp. 806-823. Solo versione italiana in U. Bellocchi, Tutte le encicliche e i princi-pali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti dalla Santa Sede, III. Leone XII (1823-1829) - Pio VII (1829-1830) - Gregorio XVI (1831-1846), Libre-ria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, pp. 19-25, riprodotta in https://

w2.vatican.va/content/leo-xii/it/documents/bolla-quod-hoc-ineunte-24-mag-gio-1824.html

30 Testo in Bullarii Romani continuatio summorum pontificum Benedici XIV, Clementis XIII, Clementis XIV, Pii VI, Pii VII, Leonis XII, Pii VIII, tomus octavus Leonis XII continens pontificatum, in Tipographia Aldina, Prati 1854, pp. 70-72.

Il «fine» della visita «era quello di verificare le condizioni materiali in cui versavano gli edifici oltre alle condizioni spirituali, economi-che e governative delle istituzioni religiose, per prendere le misure necessarie»31. A tale scopo i superiori religiosi ricevettero un questio-nario molto dettagliato.

A Roma i monaci silvestrini possedevano la chiesa e il monastero di Santo Stefano del Cacco, sede del procuratore generale. La Visi-tatio ecclesiae et monasticae domus S. Stephani supra Caccum32, affida-ta al convisiaffida-tatore monsignor Lorenzo Mattei, patriarca titolare di Antiochia, ebbe inizio il 23 agosto 1825: al Mattei fu consegnata la relazione su entrambe le istituzioni compilata dal «vice-superiore»

don Mauro Amici, contenente le risposte a un questionario di ben 119 domande: ne risultava un quadro particolareggiato dello stato economico e spirituale dell’edificio di culto di Santo Stefano del Cacco e della comunità monastica. L’ultimo atto della visita fu un rescritto del cardinale Placido Zurla, presidente della “Sacra Visita Apostolica”, del 20 novembre 182733.

«Inchiesta leonina»

Fonte di primaria importanza per la conoscenza della vita religio-sa nello Stato Pontificio al tempo della Restaurazione è la cosiddetta

«Inchiesta leonina» del 1826. Si tratta di una vasta e dettagliata

inda-31 F. Falsetti, La Visita Apostolica per il giubileo del 1825. Uno strumento per verifica-re lo stato di conservazione e pianificaverifica-re gli interventi di verifica-restauro della Roma sacra, in

“Si dirà quel che si dirà: si ha da fare il giubileo cit., p. 93.

32 Dal 1° novembre 1824 la chiesa di Santo Stefano del Cacco non era più parroc-chiale secondo le disposizioni della bolla Super universam relativa alla riforma della struttura delle parrocchie di Roma (cf. Bullarii Romani continuatio cit., pp.

232-243; a p. 233: «Supprimimus pariter et extinguimus sequentes paroecias, quibus parochi ex clero regulari hucusque praefuerunt, videlicet [...] S. Stephani supra Cacum»). Il territorio di Santo Stefano del Cacco con i 1.367 parrocchiani fu ripartito tra le parrocchie di Santa Maria in Via Lata e di Santa Maria sopra Minerva.

33 Per un resoconto della visita, cf. C. Tuderti, Chiesa di S. Stefano del Cacco in Urbe.

Storia, Arte, Fede, Curia Generalizia - Monastero S. Stefano Protomartire, Roma 2013, pp. 239-243. Delle risposte alle 119 domande del questionario, l’autore riporta «le più rilevanti di valore storico, artistico e architettonico» (ivi, p. 240).