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Il caso Uber

Nel documento La Sharing Mobility (pagine 116-119)

5 Non vi è nessun intervento umano, ed il conducente può completamente disinteressarsi dalla guida Il veicolo è in grado d

6.2. Il caso Uber

Uber è un servizio di Car Pooling che attraverso una piattaforma digitale è in grado di mettere in contatto gli utilizzatori in cerca di un passaggio con un “driver”. La forma più conosciuta e più utilizzata è UberPOP, in cui i conducenti sono utenti iscritti alla piattaforma privi di qualsiasi licenza taxi o abilitati a prestare il servizio di noleggio con conducente (NCC). Le tariffe del trasporto sono stabilite da Uber in base alla distanza percorsa e dall’orario di utilizzo, pagate attraverso mezzi elettronici quali carta di credito collegata al profilo dell’utente, direttamente a Uber che, in un secondo momento, dopo una commissione di circa il 20% trasferisce l’importo dovuto al conducente. Le tariffazioni effettuate da Uber mediamente risultano inferiori rispetto al pagamento di un Taxi per una pari destinazione.

Ciò ha provocato a livello mondiale, specialmente in Italia numerose critiche da parte dei tassisti, i quali accusano Uber di concorrenza sleale. Infatti i tassisti per poter svolgere la loro funzione hanno bisogno di una licenza, questa, in Italia viene rilasciata gratuitamente dallo Stato in numero limitato e una volta terminata l’esperienza da parte del tassista, questa deve essere ritornata. Questo non è mai accaduto in quando i tassisti hanno adottato l’uso e la consuetudine di cedere la propria licenza, dietro il pagamento di un corrispettivo prezzo in denaro, ad un altro utilizzatore. Inoltre i tassisti devono sottostare a stringenti norme di legge che regolarizzano le tariffe, gli orari di operatività e altre questioni riguardanti la manutenzione e l’assicurazione del veicolo, per garantire la sicurezza dei passeggeri e del conducente stesso.

Nel 2015 in Italia è stato presentato un esposto all’AGCM (Autorità Garante della

Concorrenza e del Mercato)68 in cui si ravvisava nell’attività di Uber un comportamento

lesivo dei diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti per pratiche commerciali scorrette e adozione di clausole vessatorie. Si rilevava inoltre che il servizio offerto da Uber non rientrava nella definizione di servizio di Piazza o Taxi, e non rispettava le

115 disposizioni riguardo a competenze regionali e comunali, e regolamentazione e ruolo dei conducenti adibiti. Inoltre tale attività non rientrava nella definizione di trasporto di cortesia o amichevole, in quanto sussisteva un interesse giuridicamente rilevante da parte di Uber e del driver, poiché era richiesto il pagamento di un prezzo.

Con questo esposto si voleva andare a segnalare che i collaboratori di Uber prestavano un’attività professionale a scopo di lucro e non una condivisione dei propri veicoli privati secondo il modello della Sharing Economy, risultando quindi illegale ai sensi della legge 15 gennaio 1992 n.21 in materia di autoservizi pubblici non di linea. Infatti l’attività di Uber era paragonata ad un servizio di Radio Taxi, effettuata in un regime di concorrenza sleale per la possibilità degli autisti di Uber di acquisire un vantaggio concorrenziale consistente nell’opportunità di non sostenere determinati costi a carico dei tassisti, indispensabili per lo svolgimento dell’attività di tassista.

Uber dalla sua parte sosteneva che il proprio servizio consisteva in una applicazione informatica con lo scopo di favorire forme di trasporto condiviso e spontaneo realizzate direttamente dagli utenti riuniti in una community, attraverso un servizio di matching relativo alla condivisione di mezzi di trasporto privato all’interno di una community privata di utenti, senza intervenire direttamente negli scambi, se non ex ante tramite la programmazione dell’algoritmo.

Il Tribunale di Milano nel 2015 ha confermato l’inibitoria nei confronti di Uber nell’utilizzo del proprio servizio in Italia. Infatti nell’ordinanza si affermava che il servizio UberPOP non potesse essere paragonato al servizio di Car Sharing operato da altri soggetti sul mercato. Per il Tribunale l’attività di Car Sharing, Car Pooling, o peers to peers si inseriscono nell’ambito della condivisione di un tragitto e di una autovettura che il proprietario/conducente della stessa avrebbe comunque realizzato nel proprio interesse, non trattandosi quindi di un servizio di trasporto offerto ad una possibile clientela, bensì di condividere la propria vettura, dividendone i relativi costi nella misura che di volta in volta viene direttamente concordata tra conducente e ospite. Nel sistema di UberPOP invece il driver mette a disposizione la propria vettura e la propria attività di guida per recarsi nella esatta destinazione scelta di volta in volta dal cliente, dove quest’ultimo è poi

116 escluso da ogni meccanismo di negoziazione del costo, essendo escluso da tale

negoziazione anche il driver69.

Di recente altri tribunali si sono pronunciati sul caso Uber. Il Tribunale di Torino, similmente a quello di Milano ha disposto che la metodologia di trasporto di Uber rientra nella nozione di “trasporto pubblico non di linea”, ovvero di un servizio che provvede al trasporto collettivo o individuale di persone con una funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi ed aerei che vengono attuati su richiesta dei trasportati o del trasportato in modo continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti. Il servizio di UberPOP viene quindi nuovamente assimilato a quello dei RadioTaxi, e non a quello riguardante forme di Car Pooling e Car Sharing. Uber quindi non può essere considerato come un semplice Internet Service Provider, in quanto la sua attività non è riconducibile esclusivamente alla fornitura di strumenti, ed inoltre non è da intendersi come un servizio che offre una mera intermediazione tra utenti e prestatori di servizio. Infatti Uber gestisce direttamente il servizio di trasporto individuale e collettivo, attraverso una serie di attività volte alla conclusione di contratti di trasporto, agendo da vettore che si assume l’obbligo del trasferimento delle persone.

Il Tribunale di Roma, a seguito della proposta di ricorso per concorrenza sleale delle associazioni di categoria dei tassisti nei confronti di Uber, il 7 aprile 2017 ha dapprima inibito i servizi offerti da Uber Black, ossia il servizio di Uber che offre passaggi mediante l’utilizzo di berline con autista professionale attivo a Milano e Roma. Successivamente il 26 maggio 2017 mediante una sospensiva ha revocato la propria ordinanza con la quale si era disposto il blocco su tutto il territorio nazionale del servizio Uber Black e l’oscuramento della stessa App, permettendo così al gruppo Uber di poter operare in Italia e svolgere le proprie mansioni per quanto riguarda il servizio Uber Black. Per quanto riguarda il servizio UberPOP e UberX questi continuano ad essere vietati, come stabilito dal Tribunale di Torino con sentenza 22 marzo 2017. Per Uber, questa è una prima e piccola vittoria, e lo è anche per tutti i suoi utilizzatori ed autisti, e da quanto affermato dal management di Uber, vi è la necessità di aggiornare le ormai datate normative del

117 settore, allo scopo di consentire alle nuove tecnologie di migliorare la vita dei cittadini e

la mobilità delle città70.

Nel documento La Sharing Mobility (pagine 116-119)