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3 Casi di studio storici

3.3 Grecia

3.3.3 Cause del debito pubblico elevato della Grecia

3.3.3.2 Cause esogene

Oltre alle cause endogene, anche l’entrata nella zona euro ha permesso alla Grecia di espandere il debito pubblico. Il fatto che l’euro fosse ancorato o comunque garantito dalle economie europee trainanti (Germania e Francia) e che la politica monetaria fosse sotto il controllo della BCE (ritenuta affidabile) ha ridato fiducia agli investitori. La Grecia non poteva abusare della politica monetaria e questo fattore induceva a percepire un minor livello di rischio di destabilizzazione dell’economia del paese. L’euro dava un senso di sicurezza e di stabilità, e pertanto ha portato dei benefici ai paesi dell’eurozona. La percezione di un minor rischio per gli investitori si traduceva in un minor premio al rischio. Come si può concludere dalla figura 21, la Grecia si è finanziata a tassi d’interesse nettamente più bassi a partire dalla sua adesione alla zona euro nel 2001. I rendimenti sono poi aumentati vertiginosamente quando è scoppiata la crisi del debito nel 2009. Nel periodo 2001-2009 quindi la Grecia ha potuto finanziare più facilmente i disavanzi e il servizio dei debiti esistenti. Il tasso d’interesse più favorevole ha però condotto la Grecia ad espandere troppo il suo debito. Visto l’enorme ammontare di debito pubblico, anche un piccolo incremento del tasso d’interesse avrebbe appesantito in modo importante i disavanzi. È possibile quindi che se il mercato, durante il periodo 2001-2009, avesse continuato ad esigere rendimenti elevati, il governo greco sarebbe stato disincentivato ad indebitarsi eccessivamente e sarebbe stato costretto ad implementare prima le necessarie riforme per contenere i disavanzi (Nelson et al., 2010, p. 5; Rothenhöfer, 2011). Concentrandole su un arco temporale più lungo e senza la pressione dei creditori internazionali, è probabile che il processo di aggiustamento sarebbe stato meno doloroso. Si può identificare un fattore esogeno a monte di quello appena descritto, ossia il mancato rispetto del trattato di Maastricht76 che “limita il disavanzo pubblico al 3% del PIL e il debito pubblico al 60%, in modo da consentire ai diversi paesi di condividere una moneta unica” (Commissione europea, s.d.). La Grecia nel 2001 era ben lontana dal rispetto di questi parametri (cfr. figura 19 e figura 22), eppure è stata accettata ugualmente nella zona euro. In parte ciò è avvenuto perché la Grecia ha fornito statistiche non corrette e poco attendibili77. Questo episodio dimostra che c’è stato uno scarso controllo della qualità dei dati da parte delle istituzioni europee prima dell’adesione di un nuovo membro, pur di costituire un’unione monetaria numerosa. In più, una volta scoperte le discrepanze statistiche, l’eurogruppo non ha preso alcun provvedimento severo contro la Grecia. In seguito, c’è stata anche un’assenza “di severi controlli sulle norme che vanno

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76 “Il Patto di stabilità e crescita (PSC), adottato ad Amsterdam nel 1997 come seguito naturale del Trattato

[di Maastricht], impone, tramite due Regolamenti che hanno forza di legge per gli Stati membri, obiettivi di medio periodo per il bilancio che garantiscano un « saldo prossimo al pareggio o positivo ». Lo scopo, in tal modo, è assicurare che i singoli Stati rispettino il tetto del 3 per cento anche in periodo di recessione. Inoltre, il PSC impone ai paesi come l’Italia, che all’atto dell’adesione all’UE non hanno conseguito l’obiettivo del 60 per cento del rapporto debito/PIL, di mantenere comportamenti conseguenti” (Petretto, 2000, p. 9).

77 Il governo greco ha dichiarato che il rapporto disavanzo pubblico/PIL ammontava al 4% per il 1997, 2.5%

per il 1998 e 1.8% per il 1999. Da una verifica di Eurostat è però emerso che i valori corretti sarebbero dovuti essere : 6.6% per il 1997, 4.3% per il 1998 e 3.4% per il 1999 (Rothenhöfer, 2011).

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rispettate da chiunque prima di poter far parte dell’eurozona”. L’Unione europea non ha mai sanzionato (finanziariamente) quei paesi che violavano il tetto massimo del 3% sul deficit78, lasciando che alcuni di essi si indebitassero eccessivamente (Nelson et al., 2010, p. 5; Rothenhöfer, 2011; Rigonalli, 2015). Il trattato di Maastricht inoltre non impedisce ai paesi sottoscrittori di prevedere dei piani di salvataggio per quei paesi in difficoltà finanziarie pur di mantenere la stabilità finanziaria della zona euro. Al contrario, esorta gli altri membri dell’Unione europea ad intervenire. I mercati hanno quindi ritenuto che il debito pubblico della Grecia sarebbe stato garantito (anche se non esplicitamente) dagli altri paesi dell’Unione europea e della zona euro. In realtà, quando è scoppiata la crisi greca i ministri delle Finanze della zona euro si sono a più riprese domandati se salvare un paese dal default fosse davvero legale. Ciò ha creato confusione e fraintendimenti all’interno dell’Unione europea, ritardando, rallentando l’assistenza verso la Grecia e diffondendo l’incertezza nei mercati (Kouretas & Vlamis, 2010, p. 396).

È solo a partire dal 2011 che il PSC viene modificato regolarmente per correggerne i punti deboli. I cambiamenti vertono a migliorare “la governance economica dell’UE”, il “coordinamento economico tra gli Stati membri”, l’introduzione di “nuovi strumenti di monitoraggio”, “l’importanza degli obiettivi di bilancio fissati dal braccio preventivo del PSC (gli obiettivi a medio termine)” e a “tenere meglio conto delle singole circostanze nazionali” (Commissione europea, s.d.). Fintanto che non ci sarà però una vera integrazione economica della zona euro, e finché gli interessi nazionali continueranno a prevalere, il raggiungimento di accordi e dei piani di salvataggio sarà inevitabilmente lento. Questo scarso coordinamento ha alimentato l’incertezza nei mercati e l’instabilità dell’economia della Grecia (Kouretas & Vlamis, 2010, p. 396; Rigonalli, 2015).

Un altro aspetto molto rilevante è la rinuncia al controllo della politica monetaria da parte della Banca di Grecia, delegata alla Banca Centrale Europea all’atto dell’adesione alla zona euro. La perdita di questo strumento di politica economica ha ostacolato la competitività del paese e il ritorno alla crescita economica. In primo luogo, la Grecia, (come del resto tutti i paesi della zona euro) non è “più in grado di determinare la quantità di moneta nazionale, di modificare il tasso d’interesse a breve e di modificare il prezzo della propria valuta” (Marzovilla & Romagnoli, 2013, pp. 23-24). È vero che la Grecia non è un’economia orientata alle esportazioni, ma una svalutazione avrebbe reso più attrattivi alcuni settori come quello turistico. Gli unici modi per recuperare competitività sono quindi la riduzione dei prezzi dei prodotti o l’acquisizione di un vantaggio competitivo sul piano tecnologico79 (Marzovilla & Romagnoli, 2013, pp. 23-24; Rothenhöfer, 2011). In Grecia si è affermato certamente il primo fattore (vedi tasso d’inflazione nella figura 18), aggravando la recessione in corso.

Allo stesso tempo, anche le agenzie di rating hanno contribuito ad alimentare la crisi del debito. In primo luogo, hanno sottovalutato la crisi dei mutui subprime prima del suo scoppio, e poi hanno declassato rapidamente i titoli governativi della Grecia aggravando lo spread e portando il paese

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78 La Commissione europea nel 2004 ha aperto una procedura contro la Grecia, dato che aveva realizzato

un disavanzo troppo elevato nel 2003. In quell’occasione Eurostat ha giudicato insufficiente la qualità dei dati statistici forniti dalla Grecia, e pertanto non li ha certificati. Revisioni seguenti dei dati statistici hanno confermato che dal 2000 in avanti la Grecia ha sempre realizzato dei disavanzi superiori al 3% e che il rapporto debito/PIL era superiore al 60%. Tuttavia, la Commissione europea ha chiuso la procedura nel 2007, ritenendosi soddisfatta che la Grecia avesse adottato misure correttive sufficienti e che dunque avrebbe registrato, con certezza, disavanzi inferiori al 3% negli anni seguenti (Nelson et al., 2010, p. 6).

79 Marzovilla e Romagnoli (2013) ritengono che “la rinuncia alla politica monetaria obbliga ad affrontare

shock asimmetrici con strumenti reali, ovvero strutturali, invece che monetari. In un mondo economico globalizzato ciò costringe i paesi a partecipare, almeno per quanto riguarda la competitività dell’offerta di prodotti merceologicamente e tecnologicamente simili, a una convergenza dei prezzi con paesi che impongono alle loro popolazioni livelli di benessere molto minori rispetto ai paesi europei” (p. 24).

all’esclusione dai mercati finanziari nel momento in cui si stava scatenando il panico tra gli investitori (Kouretas & Vlamis, 2010, p. 393).

Tutti questi aspetti combinati hanno portato quindi la Grecia e l’eurozona ad affrontare un problema tutt’altro che semplice e sicuramente non risolvibile in tempi brevi.