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La storia del Cedro e la sua diffusione nel mondo è strettamente legata alle tradizioni giudaiche. Per il popolo Ebreo, infatti, tale agrume ha da sempre avuto un profondo significato religioso (Sacerdoti, 2003).

Fin dalle epoche remotissime del Secondo Tempio, dopo il periodo dell’esilio, secondo le prescrizioni del libro del “Levitico”, gli Ebrei conoscevano il Cedro (Etrog), al quale hanno attribuito un’importante funzione simbolica, che risulta legata alla celebrazione annuale della “Festa delle Capanne” (Sukkòth) o “Festa dei Tabernacoli”, di cui parla il Vecchio Testamento (Lev XXIII-33), certamente la più importante e la più celebrata delle tre ricorrenze religiose ebraiche.

29 La ricorrenza celebra nel suo originario carattere agricolo le raccolte di fine anno (nei primi quindici giorni di Ottobre); è, quindi, anche la festa del lavoro e della fede, della gioia per il lavoro compiuto e per i frutti raccolti, durante la quale gli ebrei vivono per una settimana intera in una capanna (sukkà) che, secondo la tradizione orale, viene costruita all’aperto, con materiali vegetali, come rami e foglie, canne e listelli di legno, che non siano attaccati al suolo, con un tetto che permetteva di vedere il cielo, quasi a ricordo dei precari ricoveri sotto i quali i loro padri soggiornarono dopo l’esilio in Egitto, nell’inospitale deserto ed a memoria della protezione concessa da Dio al popolo di Israele. Durante questi sette giorni, fatta eccezione del sabato, gli Ebrei recano nella mano destra un ramo di palma da dattero (lulàv) due rami di salice di fiume (aravà) e tre rami di mirto (hadas), che agitano in ogni direzione a riconoscimento dell’onnipotenza di Dio, mentre nella sinistra recano un frutto di Cedro. Queste quattro specie vegetali hanno nella tradizione ebraica dei significati particolari, la cui simbologia è continuamente ricordata dagli israeliti. Secondo un’interpretazione allegorica, la palma eretta e diritta, paragonabile alla colonna vertebrale umana, richiama alla mente il peccato d’orgoglio, che fa sollevare la testa; il mirto, le cui foglie ricordano l’occhio umano, simboleggia il peccato della curiosità di chi si guarda attorno con invidia; il salice, la cui foglia può essere paragonata ad una bocca, serve a rendere l’uomo guardingo dal peccato della maldicenza; ed infine il Cedro, con la sua forma di cuore, suggerisce di confessare i peccati che si sono compiuti.

Secondo un’altra interpretazione del Talmud, però, le stesse piante possono significare le diverse qualità dei diversi tipi umani. Il Cedro, infatti, essendo un frutto che ha sapore e odore, rappresenta l’uomo che alla saggezza fa seguire le buone opere; la palma, con il suo frutto che sapore, ma non profumo, richiama l’immagine dell’uomo che alla saggezza non fa seguire le buone opere; il mirto, che ha un buon odore, ma è senza profumo, rappresenta l’uomo che opera senza possedere la saggezza; il salice, infine, privo sia di odore sia di sapore, rappresenta l’uomo privo di saggezza e di opere.

Non mancano le credenze legate alle tradizioni talmùdiche, secondo cui chi sognava un Cedro doveva ritenersi amato da dio oppure una donna incinta che avesse mangiato del Cedro avrebbe avuto un figlio maschio. Tutto questo proprio secondo quanto prescritto da Dio stesso a Mosé: “Ora il quindici del settimo mese, quando avrete

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frutti dell’albero più bello, dei rami di palma e dell’albero più frondoso, dei salici del torrente e vi rallegrerete dinnanzi al Signore, Dio vostro per sette giorni…dimorerete in capanne per sette giorni; tutti i cittadini di Israele dimoreranno in capanne, perché i vostri discendenti sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dal paese d’Egitto…”.

Per gli Ebrei i frutti dell’albero più bello erano proprio i Cedri; pertanto, li elessero a frutto sacro. Senza tali frutti la “Festa delle Capanne” non si poteva fare; perciò, se ne portarono dietro i segreti della coltivazione dovunque andarono. Di secolo in secolo, questo speciale legame fra Cedro e religione ebraica non è venuto mai meno. Ancora oggi, ogni anno, nel mese di Luglio e Agosto, i rabbini vengono nella parte della Calabria più famosa per la coltivazione dei Cedri, ossia la “Riviera dei Cedri” per raccogliere e controllare personalmente i piccoli Cedri, indispensabili per la “Sukkoth”, che cade nel mese di ottobre e che è per gli Ebrei di tutto il mondo l’avvenimento religioso più importante dell’anno. La cerimonia della raccolta dei Cedri è molto suggestiva e caratteristica e, soprattutto, segue tradizioni e regole strettissime. Per essere utilizzato in questa festa, però il frutto deve avere delle precise caratteristiche. I testi rabbinici elencano minuziosamente quali debbano essere tutte le qualità che rendano l’agrume sacro “kashe” o “kasher”, cioè buono, adatto alla cerimonia. Esso, infatti, deve provenire da una pianta non innestata, al quarto anno di produzione; deve, inoltre, risultare perfettamente sano, senza buchi o screpolature; deve essere di colore verde e avere una forma conica, con l’apice perfettamente sano, che conservi ancora la vestigia del fiore e deve recare un pezzo di peduncolo. E’, invece, inadatto ed inservibile, secondo i precetti della “Torah”, un Cedro secco o rubato, o ancora proveniente da una pianta adorata o coltivata in una città scomunicata; è inservibile un frutto di offerta impura o di pianta nuova o di dubbia provenienza. Così, ogni mattina i rabbini si alzano alle 5 e vanno nelle cedriere con i contadini. Nei fondi arrivano presto e presto cominciano a lavorare.

Il rabbino va avanti lentamente, guarda con attenzione alla base, proprio nel punto in cui il tronco spunta dalla terra: se è liscio vuol dire che non c’è stato innesto e si possono raccogliere i suoi frutti. Con estrema attenzione, il rabbino esamina poi la buccia, il colore e la forma del frutto. Se tutto va bene il piccolo frutto, avvolto nella stoppa, è posto nella cassetta.

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CAPITOLO 2