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Gli oli essenziali: caratteristiche chimiche e proprietà biologiche

Screening fitochimico del Citrus medica L cv Diamante (Cedro)

4.4. Isolamento degli oli essenziali di Cedro

4.4.1. Gli oli essenziali: caratteristiche chimiche e proprietà biologiche

Per olio essenziale, olio volatile o essenza, si intende una miscela complesse di sostanze organiche naturali bassobollenti, cioè volatili a temperatura ordinaria, prodotte da molte piante.

Gli oli esenziali sono intimamente connessi con i processi vitali che si svolgono nell’organismo vegetale e si possono localizzare in diverse strutture della pianta alle quali conferiscono l’odore caratteristico: foglie, steli, frutti, epicarpo dei medesimi, ei rami, legno, corteccia, resina, fiori, semi, radice, rizoma. Per alcune varietà di piante possono essere estratti oli essenziali differenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo, da parti diverse della stessa pianta. La quantità di olio essenziale contenuto in una pianta, è di solito molto ridotta, anche inferiore allo 0.001%, ma può essere anche molto abbondante (15% e oltre).

La proprietà di essere volatili a temperatura ambiente è apparsa da sempre evidente all’uomo nella fragranza di talune piante e nei conseguenti millenari usi alimentari (per tale ragione i costituenti degli oli volatili sono detti “aromatici”, termine tuttavia da non confondere con quello usato in chimica organica per le strutture altamente insature) e di

106 profumeria. A tali utilizzi si affiancano numerosi impieghi terapeutici e l’impiego più recente quale materiale di partenza per prodotti di emi-sintesi di interesse antropico.

Da sempre la medicina popolare ha fatto con abbondanza uso di droghe a essenza, attribuendo a esse svariate proprietà che, in taluni casi, sono state confermate dalle ricerche scientifiche.

Gli oli volatili presentano dal punto di vista sia chimico sia biologico le seguenti caratteristiche comuni:

a) spiccata volatilità;

b) composizione complessa, basata su numerosi costituenti a basso peso molecolare e limitata funzionalizzazione;

c) produzione dell’essenza in cellule oleose e successivo rilascio verso l’esterno o segregazione in spazi specializzati (peli ghiandolari, tasche schizo-lisigene, dotti ecc.);

d) specifiche caratteristiche organolettiche dovute ad interazione con i centri olfattivi; e) frequente attività antimicrobica.

La classificazione degli oli essenziali deriva dal fatto che sono generalmente costituiti da miscele di idrocarburi e loro composti derivati ossigenati. In alcuni oli gli idrocarburi sono predominanti, mentre in altri prevalgono i derivati ossigenati.

Gli oli essenziali possono essere suddivisi nelle seguenti categorie, basate sulla funzionalizzazione del loro (o dei loro) componente principale (componenti principali):

1) Idrocarburi terpenici; olio essenziale di trementina (pineni 80-90%, canfene), di ginepro (pinene, canfene, cadinene), di limone (limonene 90%).

2) Alcoli; oli essenziali di coriandolo (linalolo), del legno di sandalo (sandalolo 90-97%) ecc.

3) Miscela di esteri e alcoli; olio essenziale di lavanda, ecc.

Negli oli essenziali prevalgono le caratteristiche chimico-fisiche degli idrocarburi a basso peso molecolare, e cioè scarsa reattività, stato fisico liquido e volatilità. Queste proprietà sono alla base dei metodi di separazione, preparazione e conservazione.

Per quanto riguarda la separazione dei componenti volatili dagli altri costituenti presenti nella pianta, la distillazione in corrente di vapore costituisce da sempre il metodo più semplice ed efficace. Spesso alla distillazione seguono operazione di

107 raffinazione, ovvero una successiva distillazione che può rendersi necessaria per raggiungere due risultati principali:

a) allontanare dal distillato alcuni componenti non graditi, come nel caso dell’olio di arancio o della dementalizzazione della menta, o addirittura tossici come nel caso dell’allontanamento del tuione dall’assenzio;

b) l’arricchimento dell’olio nei componenti volatili più nobili, come nel caso dell’essenza di trementina dalla resina di pino.

Importante, infine, è la conservazione che va eseguita in recipienti inerti ben chiusi non di plastica, al riparo dalla luce, dall’umidità e dalle alte temperature. Infatti, se pur scarsamente funzionalizzati, gli oli essenziali contengono spesso doppi legami e funzioni ossigenate (alcoli, aldeidi, ecc.). L’azione ossidativa dell’aria può facilmente portare all’addizione di ossigeno sul doppio legame, attivando la sequenza epossido, glicole, alcool, aldeide, acido, oppure trasformando in acidi le funzioni ossigenate; queste reazioni cambiano irreversibilmente le caratteristiche organolettiche dell’olio.

Per quanto riguarda questi ultimi, in molte essenze si nota la presenza nettamente maggioritaria di uno o due componenti, che, tuttavia, spesso rivestono prevalentemente una funzione di solvente per i costituenti minoritari ossigenati, reali responsabili delle caratteristiche peculiari dell’olio, per quello che nell’industria profumiera viene detto il “bouquet”.

Anche le temperature elevate vanno evitate, in particolare per l’insorgere di fenomeni di auto-degradazione ossidativa operata dalle aldeidi presenti nello stesso olio. Ad esempio, nell’olio di Melissa officinalis il cariofillene è convertito in cariofillene ossido, il quale aumenta la sua percentuale dallo 0% al 17% in dieci mesi di conservazione a temperatura ambiente.

Un’alternativa recente per la conservazione è costituita dall’inclusione o dalla micro- incapsulazione in polisaccaridi vegetali e gomme idrosolubili, che permettono una conservazione per lungo periodo con ottimi risultati.

Riguardo alla diffusione degli oli essenziali, è possibile distinguere due grandi categorie:

1) oli essenziali la cui produzione e accumulo avviene principalmente a seguito dell’attività di struttura specializzate con rilascio all’esterno della pianta. Le specie produttrici sono le vere e proprie piante a essenza, principalmente della famiglia

108 Labiate (lavandula, menta, timo, ecc.) e della sottofamiglia delle Tubiflore delle Composite (camomilla, ecc.).

2) oli essenziali accumulati in struttura specializzate più o meno interne. Le specie e le famiglie interessate sono in ogni caso numerose e tra le più importanti ricordiamo: Rutaceae, Umbellifere, Lauraceae, Mirtaceae, Graminaceae e Miristicaceae. In questi casi non si ha rilascio verso l’esterno, l’essenza è localizzata in ampi spazi schizogeni, o lisigeni oppure schizzo-lisigeni originati principalmente dal progressivo accumulo dell’olio essenziale. La funzione di quest’ultimo appare in questi casi meno evidente rispetto ai precedenti; tuttavia la proprietà antibatterica e lo sgradevole sapore di molti oli essenziali porta decisamente ad ipotizzare un ruolo allelopatico.

Oltre alla tossicità intrinseca determinata dalla presenza di alcuni particolari costituenti (es. tuione, safrolo, ascaridolo, ecc.) è bene evitare l’iniezione, l’applicazione sulle mucose o le parti delicate includendo l’esposizione per periodi prolungati, ricordare la possibilità di effetti allergizzanti in soggetti a rischio, utilizzare la somministrazione in aerosol in pazienti soggetti ad asma bronchiale.

Riguardo alla somministrazione è bene ricordare il massaggio, diffuso soprattutto nei paesi anglo-sassoni, l’aromaterapia di scuola francese che predilige l’ingestione orale, e ancora l’inalazione, l’aerosol, la percezione olfattiva.

Il processo di produzione è complesso e diversificato a seconda della tipologia, ma può essere delineato nei seguenti passaggi adottati in particolare in caso di essenze delicate: estrazione, mediante distillazione semplice o estrazione con solventi o concreta assoluta, depurazione delle sostanze cerose, trattamento con alcol, filtrazione a freddo.

Recentemente a questa tipologia di estratti sono ascritte numerose proprietà biologiche: antimicrobica, antinfiammatoria, antiulcera, antiossidante, antiaggregante piastrinica, antitumorale e neuroprotettiva (Lamproni et al., 2006; Khanna et al., 2007; Corasiniti et al., 2007).

Per la produzione di oli essenziali e, in genere, composti con alta tensione di vapore, si può ricorrere alla distillazione in corrente di vapore con apparecchiature tipo Clevenger. Questa tecnica di estrazione solido-liquido è particolare in quanto richiede il trasporto dei composti volatili da parte di una corrente di vapore.

109 In ogni caso, poiché il sistema estrattivo è sottoposto a un certo riscaldamento, i composti termolabili possono subire delle trasformazioni e di conseguenza possono non essere recuperati integri. Per ovviare a tale inconveniente si ricorre a un’altra tecnica di distillazione denominata distillazione a pressione ridotta o sottovuoto, che avviene dopo aver tolto, mediante una pompa, l’aria dal recipiente in cui è raccolto il liquido, allo scopo di abbassare la pressione e quindi la temperatura di ebollizione.

L’apparecchio distillatore, utilizzato per la distillazione in corrente di vapore, è costituito da una caldaia in cui è collocata la droga, a sua volta collegata, mediante un raccordo, con un refrigerante ad acqua che permette la condensazione dei vapori, ottenendo così la trasformazione della fase gassosa in fase liquida. L’acqua, riscaldata, evapora e attraversa le parti della pianta fresca o secca, provocando l’evaporazione dei principi attivi volatili; i vapori attraversano il refrigerante, condensano e vengono infine raccolti in un recipiente dove si separano dall’acqua (idrolati) per il differente peso specifico. Questa tecnica è indicata per ricavare oli essenziali e altri componenti volatili da droghe.

Fra le più recenti tecniche estrattive si inserisce l’estrazione in fase supercritica (SFE).

L’utilizzo di fluidi supercritici come solventi di estrazione consente in molti casi di abbattere tempi, costi e rischi rispetto alle tradizionali tecniche con solventi liquidi, pur garantendo buona accuratezza, precisione e limiti di rilevazione comparabili con le metodologie ufficiali. Un fluido si definisce in stato supercritico quando presenta valori sia di pressione sia di temperatura superiori ai rispettivi valori critici. Le proprietà dei fluidi supercritici sono intermedie tra lo stato di gas e quello di liquido (densità simile a un liquido, viscosità e proprietà di trasporto riferibili a un gas); un fluido in queste condizioni potrebbe, infatti, essere definito, in maniera semplicistica, come un gas “molto denso”.

Poichè il potere solvente di un fluido è correlato direttamente alla propria densità, ne consegue che, rispetto a una classica estrazione con solvente liquido, l’utilizzo di un fluido supercritico di comparabile potere solvatante sarà effettuata in un minor periodo di tempo, grazie alle sue migliori proprietà di trasporto. Tutto questo può significare minor consumo di solvente, e di conseguenza costi e rischi ridotti rispetto alle tradizionali estrazioni liquido-liquido o mediante Soxhlet, considerando anche gli oneri

110 dovuti allo smaltimento dei solventi; altri vantaggi associabili a questa tecnica sono la possibilità di automazione e l'applicabilità ai settori più svariati (polimeri, alimentare, farmaceutico, ambientale).

Il fluido supercritico deve possedere valori critici non elevati, per ragioni di sicurezza e di possibile labilità della matrice da estrarre. L’anidride carbonica presenta, fra tutti i fluidi utilizzabili, i maggiori vantaggi: ha una bassa tossicità ed inoltre a condizioni normali è un gas, aspetto che la rende facilmente separabile dal soluto, una volta terminato il processo estrattivo. Infine, il suo costo è competitivo rispetto ai normali solventi.