1.14 Infiltrato infiammatorio e cancro
1.14.2 Cellule immunitarie nel microambiente tumorale
Il microambiente infiammatorio del tumore è caratterizzato dalla presenza di leucociti dell’ospite sia nello stroma di supporto peritumorale che nell’area tumorale vera e propria (Negus et al, 1997).
L’infiltrato linfocitario per esempio può avere un ruolo nello sviluppo del cancro e nella sua diffusione e anche sull’immunosoppressione sistemica associata spesso a patologie di tipo maligno.
1.14.2.1
Linfociti
Sebbene l’importanza dei linfociti T nell’immunità tumorale sia raramente messa in discussione, l’importanza relativa dei vari sottotipi di linfociti nel rigetto del tumore è ancora oggetto di controversie (Robins, 1986).
Alcuni studi hanno dimostrato che elevati livelli di linfociti infiltranti il tumore sono associati con una migliore prognosi dei pazienti con alcuni tipi di cancro (Clark et al, 1989; Zhang et al, 2003), ma altri studi suggeriscono che sia il sottotipo di cellule T, piuttosto che la quantità, ad essere critico per la prognosi dei pazienti (Curiel et al, 2004).
Le cellule T natural-killer sono rare nel microambiente tumorale; mentre la popolazione T predominante è costituta da linfociti T helper CD4+. Il pattern di citochine rilasciato da queste cellule non è stato studiato sistematicamente, se non in alcuni esempi, come il carcinoma bronchiale, il carcinoma della cervice e il sarcoma di Kaposi, dove vengono prodotte principalmente le interleuchine 4 e 5, ma non interferon-
γ (Van den Berg et al. 1999). Le interleuchine 4 e 5 sono di solito associate con le
cellule T-helper di tipo 2 che pare abbiano una scarsa risposta nei confronti di cellule tumorali e di virus (Mizoguchi et al. 1992).
È stato inoltre dimostrato che, sebbene le cellule T helper CD4+ siano sufficienti da sole ad eliminare le cellule tumorali in alcuni modelli tumorali (Beatty e Paterson, 2001), la maggior parte delle volte devono essere presenti anche i linfociti T citotossici CD8+ perché avvenga un effettivo rigetto del tumore (Beatty e Paterson, 2000). Quindi,
i linfociti CD4+ partecipano al processo di attivazione dei linfociti CD8+, mediando l’eliminazione delle cellule tumorali da parte dei linfociti T citotossici.
I linfociti citotossici CD8+ sono un altro sottotipo di linfociti T capaci di eliminare le cellule tumorali attraverso il riconoscimento di antigeni peptidici del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I espresso dalle cellule tumorali stesse. Quindi, questo sottotipo è uno dei maggiori effettori della risposta immunitaria contro il tumore.
Recentemente, è stato identificato fenotipicamente un sottotipo di linfociti T regolatori (Treg), distinti dalle cellule T helper CD4+ dall’espressione di CD25, una delle catene del recettore dell’interleuchina 2, e dall’espressione di un fattore nucleare di trascrizione, Foxp3 (Sakaguchi et al, 1985). Tale fattore è conosciuto essere un gene regolatore chiave per lo sviluppo e la funzione delle cellule T regolatrici ed è il marker più specifico di questo tipo cellulare (Hori et al, 2003; Fontenot e Rudensky, 2005). Queste cellule vengono richiamate nel microambiente tumorale e sopprimono la risposta immunitaria mediata dalle cellule T, inibendo il rigetto della neoplasia (Yu e Fu, 2006). Inoltre, tali linfociti sono anche strettamente legati all’angiogenesi tumorale; infatti l’overespressione di VEGF prodotto dalle cellule tumorali aumenterebbe il numero di linfociti Foxp3+ nel microambiente tumorale portando ad immunosoppressione e in modelli murini di cancro del colon e di melanoma il blocco di VEGF sembra ridurre il numero di tali linfociti (Li et al, 2006).
Quindi, per valutare l’impatto dei linfociti infiltranti il tumore sull’andamento della neoplasia e sulla prognosi dei pazienti è importante prendere in considerazione i diversi sottotipi delle cellule T.
1.14.2.2
Mastociti
I mastociti rivestono un ruolo molto importante nelle reazioni di ipersensibilità. Il legame di un antigene a due molecole di immunoglobulina E presenti sulla superficie dei mastociti conduce al processo di degranulazione, cioè al rilascio di mediatori dell’infiammazione dai granuli, presenti all’interno degli stessi mastociti, ed innesca la sintesi di nuovi mediatori (Schulman, 1993). Questo meccanismo, insieme ad altri, IgE- indipendenti, sono alla base delle reazioni allergiche e di reazioni infiammatorie acute e croniche di cui la fibrosi rappresenta un aspetto molto importante (Schneider et al. 2002). I mastociti sono di solito separati in due sottotipi, mastociti triptasi e chimasi positivi, sulla base del tipo e della quantità degli enzimi espressi, mentre il fenotipo può variare a seconda del microambiente tissutale.
Esempi di infiltrati infiammatori acuti e cronici ricchi di mastociti si hanno nella malattia di Crohn (Gelbann et al. 1999), nella fibrosi polmonare, nell’artrite reumatoide (Qu et al. 1995), nella pancreatite cronica (Esposito et al. 2001), ma anche in varie neoplasie umane (Chan et al. 2005).
L’accumulo di mastociti alla periferia delle neoplasie è stata descritta per la prima volta da Westphal nel 1891 (Westphal, 1891), ma gli studi sul loro ruolo sono stati approfonditi solo più recentemente. Sono state, infatti, ipotizzate capacità di sintetizzare fattori di crescita con funzioni mitogeniche su cellule epiteliali, endoteliali e fibroblastiche ed enzimi in grado di rimodellare la matrice extracellulare (Ch’ng et al, 2006) e fattori angiogenetici. In particolare, alcuni dei mediatori presenti nei granuli dei mastociti, come il “basic fibroblastic growth factor”, le interleuchine 4 e 8 e il “tumor necrosis factor” α e β, sono potenti induttori di angiogenesi (Ibaraki et al, 2005).
Il numero di mastociti è risultato essere associato alla presenza di metastasi linfonodali ed allo stadio negli adenocarcinomi polmonari (Takanami et al. 2000).
Inoltre, i melanomi metastatici mostrano un numero maggiore di mastociti rispetto a quelli senza metastasi (Toth-Jakatics et al. 2000) e nel carcinoma della mammella la produzione di enzimi litici da parte dei mastociti è stata correlata con l’invasività della neoplasia (Kankkunen et al. 1997).
D’altra parte, alcuni studi tendono ad ipotizzare che la presenza di mastociti possa essere un fattore positivo per la sopravvivenza dei pazienti (Samoszuk et al. 2005) per esempio nel carcinoma ovarico (Chan et al. 2005) e nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (Welsh et al. 2005).
Questi dati indicano come il ruolo dei mastociti possa essere duplice, soprattutto in relazione al microambiente, ed avere da un lato effetti positivi sulla crescita neoplastica, dall’altro effetti negativi.
1.14.2.3
Macrofagi
I macrofagi tumore-associati sono una delle maggiori componenti dell’infiltrato infiammatorio di molti, se non di tutti, i tumori umani (Mantovani et al 1992).
Tali cellule derivano da precursori monocitici circolanti e vengono richiamati all’interno del tumore da citochine chemoattrattive chiamate chemochine. Inoltre, molte cellule tumorali possono produrre citochine che prolungano la sopravvivenza dei macrofagi stessi.
Quando appropriatamente attivati, i macrofagi tumore-associati possono uccidere le cellule tumorali, ma producendo fattori di crescita, fattori pro-angiogenici ed enzimi proteasi che degradano la matrice extra-cellulare, possono anche stimolare la proliferazione cellulare, promuovere l’angiogenesi e favorire l’invasione tumorale e le metastasi. Quindi come i mastociti, i macrofagi possono avere un duplice ruolo, inibente o promuovente la crescita neoplastica in relazione al microambiente tumorale.
Esistono due pathways maggiori per l’attivazione dei macrofagi in vivo, attivazione M1 o M2. Normalmente i macrofagi vanno incontro ad attivazione M1
diventando potenti cellule immunitarie effettrici, mentre nel microambiente tumorale i macrofagi vanno più frequentemente incontro ad attivazione M2, e di conseguenza
rilasciano fattori solubili con promozione del processo neoplastico (Allavena et al, 2008).
1.14.2.4
Cellule dendritiche
Le cellule dendritiche hanno un ruolo cruciale sia nell’attivazione dell’immunità antigene-specifica sia nel mantenimento dell’immunosorveglianza, rappresentando quindi un punto di unione tra l’immunità innata e quella adattativa.
Nel microambiente tumorale, le cellule dendritiche hanno di solito un fenotipo immaturo con una non efficiente abilità a stimolare le cellule T (Allavena et al, 2000). Nel cancro della mammella, cellule dendritiche immature sono presenti all’interno della massa tumorale, mentre cellule dendritiche mature si trovano confinate all’area peritumorale (Allavena et al, 2000). Nel carcinoma papillare della tiroide, invece, tendono a essere confinate al vallo invasivo del tumore (Allavena et al, 2000). Questa distribuzione è differente da quella dei macrofagi tumore-associati che invece si trovano sparsi all’interno del tessuto tumorale.
L’immaturità delle cellule dendritiche nel microambiente tumorale potrebbe riflettere la perdita di segnali di maturazione adeguati o della migrazione delle cellule mature ai linfonodi, oppure riflettere la presenza di inibitori della maturazione. In ogni caso, queste cellule immature sono deboli induttori di una effettiva risposta immunitaria agli antigeni tumorali.