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Cenni alle proposte di riconoscimento del Parlamento italiano

Nel documento I PATTI DI CONVIVENZA (pagine 57-64)

CAPITOLO I: LA FAMIGLIA DI FATTO

7. Cenni alle proposte di riconoscimento del Parlamento italiano

Come si è avuto modo di argomentare nei paragrafi precedenti, la famiglia di fatto non è una realtà che trova una precisa collocazione nell'ambito del codice civile o in altre norme organiche, ma è emersa grazie a un'evoluzione giuridico-sociale che si è tradotta in interventi normativi e giurisprudenziali su determinate questioni.

Il diverso modo di concepire la famiglia, non più necessariamente come istituzione posta a presidio di interessi superindividuali, ma innanzitutto come luogo di sviluppo e realizzazione della persona (rilevante come formazione sociale protetta ai sensi dell'art. 2 Cost.), ha condotto una parte sempre più ampia della dottrina ad affermare che tali relazioni non siano sufficientemente tutelate dall'ordinamento, che lascerebbe irrisolte varie problematiche ad esse sottese.

Dagli accesi dibattiti degli ultimi decenni, svolti anche in sede di interessanti convegni nazionali151, è emersa, da un lato, la tendenza da parte della dottrina ad abbandonare quasi

totalmente gli indirizzi equiparativi152 che avevano puntato a porre sullo stesso piano la

famiglia legittima e quella di fatto attraverso l’estensione analogica ai familiari di fatto della normativa dedicata ai coniugi, dall'altro, un atteggiamento di progressivo favore per

151 ASTONE, Ancora sulla famiglia di fatto: evoluzione e prospettive, cit., 1462, che indica per una paronamica esaustiva di tali incontri: Una legislazione per la famiglia di fatto?, 760 ss. Si tratta degli atti di un convegno svolto a Roma nell'87, raccolti e pubblicati da MARINI, Napoli, 1988, contenenti gli scritti di vari autori, tra cui Busnelli, Falzea, Perlingieri, Santilli e Trabucchi.

152 Gli indirizzi equiparativi, prendendo le mosse dalla rilevanza delle famiglia di fatto ai sensi dell'art. 2 Cost., sostengono che l’ordinamento giuridico, in ossequio all’articolo 3 Cost. ed alle sue esigenze egualitarie, dovrebbe riconoscere la parità delle funzioni svolte dalle sue formazioni, quella legittima e quella di fatto, quindi la parità di Statuto o, comunque, la dovuta tutela. Tra gli autori che hanno sostenuto che una regolamentazione sia già possibile de iure condito o ricorrendo all'applicazione analogica delle norme della famiglia legittima, si veda PROSPERI, La famiglia non fondata sul matrimonio, cit., 245.

un'adeguata regolamentazione normativa organica del fenomeno.

Accanto al dibattito dottrinale, la crescente affermazione della convivenza more uxorio quale alternativa all'unione matrimoniale ha decretato, negli anni più recenti, un sensibile aumento delle rivendicazioni in termini di tutela. Così, dalla fine degli anni ottanta, si assiste alla presentazione in Parlamento di numerosi disegni di legge. In questa sede si limiterà l'analisi alle proposte più significative.

La prima presentazione di una proposta di legge (c.d. Cappiello) per la "Disciplina della famiglia di fatto"153, risale al 1988, durante la X legislatura, che fu affiancata da

alcune previsioni di norme ad hoc inserite in un’altra proposta (c.d. Calvanese) recante "Nuove norme in materia di diritto di famiglia"154.

Nella proposta c.d. Cappiello, la coppia destinataria della normativa era preventivamente individuata attraverso un tempo minimo di convivenza (di tre anni) risultante da iscrizione anagrafica, effettuata su richiesta delle parti, oppure da un atto pubblico, applicandosi automaticamente in presenza di figli naturali. La proposta di legge conteneva disposizioni regolanti i rapporti patrimoniali, economici e personali tra i partners con la previsione di forme di tutela per il convivente più debole. Il testo mirava a dare vita ad una forma tipizzata ed istituzionale di rapporto, dal regime legale, attraverso una disciplina modellata in buona sostanza su quella della famiglia legittima, prevedendo obblighi di contribuzione, obblighi alimentari , estensione dei diritti legali del coniuge in materia di impresa familiare ecc...; dal punto di vista dei rapporti patrimoniali si riconosceva una certa autonomia in materia.

La proposta c.d. Calvanese non richiedeva particolari formalità per l’applicazione delle disposizioni ad una coppia di conviventi, lasciando aperto, da un lato, il problema della

153 La prima proposta di legge per il riconoscimento delle convivenze ‘tra persone’ fu avanzata da Alma Agata Cappiello, avvocato e parlamentare socialista, (n. 2340, 12 febbraio 1988) ed ebbe ampia risonanza sulla stampa (che parlò di "matrimonio di serie b"); per un approfondimento ASTONE, Ancora sulla

famiglia di fatto: evoluzione e prospettive, cit., 1467, secondo cui: "il progetto di legge si prefigge di

introdurre un limitato riconoscimento giuridico della famiglia di fatto, con la previsione di talune forme di tutela per il convivente più debole dalla nascita del rapporto more uxorio sino allo scioglimento. Accanto a norme, quali gli articoli 1 e 2, che fissano i presupposti e le condizioni di rilevanza giuridica della coppia non sposata."

154 Atti Camera n. 1647, d’iniziativa dei deputati Calvanese ed altri. Per una analisi critica delle suddette proposte si rimanda a MAZZOCCA, La famiglia di fatto, cit., 99 ss.

prova, e, dall’altro, quello della imposizione di norme a chi volontariamente si era posto al di fuori del loro campo applicativo.

Entrambe le proposte citate, vennero criticate da molti autori come accentuatamente statalistiche. Si contestò il fatto che gli effetti ricollegati sarebbero risultati eccessivamente legati alla disciplina matrimoniale155.

La XIII e la XIV legislatura sono state particolarmente prolifiche di proposte di legge a favore della convivenza: viene abbandonata la formula di "famiglia di fatto", così come quella di "convivenza more uxorio", per privilegiare, da un lato, l’espressione "unioni civili", e, dall’altro, la sperimentazione della nuova frontiera contrattuale156.

Un passaggio importante si è avuto l' 8 febbraio 2007 con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Disegno di legge Bindi-Pollastrini, che avrebbe formalizzato il riconoscimento di tali unioni sotto il nuovo nome di Dico, indicante i "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi".

L’iscrizione finalizzata a costituire un Dico era particolarmente mirata: riguardava solo due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, capaci, unite da vincoli reciproci di affetto e da una convivenza stabile; i soggetti non dovevano essere legati da un atto di matrimonio ancora valido, né da parentela o affinità entro il secondo grado, o da legami di adozione, affiliazione, tutela, curatela, amministrazione di sostegno157.

Il disegno di legge, formalmente si agganciava alla disciplina dell’anagrafe, regolata dal D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, (di cui si è già parlato al par. 4), infatti prevedeva che

155 BERNARDINI, La convivenza fuori dal matrimonio, cit., 175, secondo il quale "è difficile sottrarsi a un

mini-mariage forcé". Secondo VECCHI, Alcune osservazioni sulle proposte italiane, in MOSCATI e

ZOPPINI (a cura di), I contratti di convivenza, cit., 283 e ss i progetti di legge ad oggi formulati non tengono in debita considerazione la volontà delle parti, prevedendo che la convivenza protratta per un certo periodo di tempo risultante all’anagrafe ovvero con atto pubblico, sia l’unico presupposto per la costituzione dell’unione civile, indipendentemente quindi da qualsivoglia volontà degli interessati. Non convincono neppure per la grave mancanza di una forma di pubblicità dei regimi patrimoniali convenzionali.

156 COCUCCIO, Convivenza e famiglia di fatto: problematiche e prospettive, cit., 935, segnala a tale proposito, la proposta di legge n. 3308, d’iniziativa dei deputati De Simone e altri; nonché la proposta n. 3296, d’iniziativa dei deputato Grillini e altri, intitolata "Patto civile di solidarietà a famiglia di fatto" (a cui seguì una seconda proposta sempre dei deputati Grillini e altri, presentata il 28 aprile 2006) sulla quale per un approfondimento: MANTOVANO, La guerra dei Dico, 2007, 5 ss.

157 Il rapporto di convivenza rilevante poteva essersi dunque instaurato anche tra fratelli, tra nonne e nipote, o anche tra due amici, legati da vincoli di solidarietà reciproca.

la convivenza fosse "provata dalle risultanze anagrafiche" mediante una dichiarazione all'ufficio anagrafico, che poteva esser resa contestualmente da entrambi i conviventi o da uno solo di essi, in tal caso con l'onere di darne comunicazione all'altro con raccomandata con ricevuta di ritorno.

Con la dichiarazione all'ufficio anagrafe, si stabiliva l'automatica acquisizione dello "status di convivente registrato" al quale si collegava una serie di diritti individuali, tra quali, ad esempio, i diritti di assistenza per malattia o ricovero e relativi alla decisione sulla salute o in caso di morte, diritti sugli alloggi di edilizia pubblica; in tema di locazione, di agevolazioni in materia di lavoro, nonché garanzie nella disciplina previdenziale e pensionistica, assimilando per certi aspetti la condizione di convivente a quella di coniuge. Ma la svolta più significativa riguardava i diritti successori ed il mantenimento del convivente economicamente più debole previsti nel caso in cui la convivenza si protraesse oltre un determinato periodo di tempo (rispettivamente nove anni e tre anni).

La proposta, che effettivamente presentava lacune ed incongruenze, sollevò molte critiche158.

Ma il punto più delicato consisteva nella dichiarata volontà di escludere ogni atto di fonte negoziale volto a certificare, nella sua tendenziale stabilità, il rapporto di convivenza159. Come evidenziato da molti autori, per non tradire quest'impostazione,

158 Le quali sono evidenziate dettagliatamente da CANATA, La legalizzazione della vita di coppia:

panorama europea e prospettive di riforma in Italia, cit.; CAVANA, La famiglia nella Costituzione italiana,

cit.; LIPARI, Rapporti coniugali di fatto e rapporti di convivenza (Note a margine di un iter legislativo), cit.,

1026; ROSSI, La Costituzione e i Dico, ovvero della difficoltà di una disciplina legislativa per le convivenze, cit., 130, ricorda che si criticò la scelta di estendere l'ambito applicativo del disegno di legge a tutte le relazioni caratterizzate da elementi di solidarietà e assistenza che non fossero prettamente riconducibili al rapporto para-coniugale. Alcuni poi evidenziarono come la norma, per di più risultasse incoerente poiché, se da un lato, includeva le unioni solidaristiche e di mutuo aiuto, dall'altro, escludeva irragionevolmente quelle formate da più di due persone.

159 LIPARI, Rapporti coniugali di fatto e rapporti di convivenza (Note a margine di un iter legislativo), cit., 1029: si è ritenuto che una simile ipotesi avrebbe indotto una sorta di matrimonio di seconda serie. CANATA, La legalizzazione della vita di coppia: panorama europea e prospettive di riforma in Italia, cit., 211, afferma che la relazione illustrativa del disegno di legge evidenzia che "l'obiettivo è quello di disciplianre le situazioni di fattto esistenti tra due persone, anzichè definire i contenuti di un atto pattizio di volontà". Tuttavia tale affermazione è poi in parte contraddetta in quanto per l'applicare la disciplina si richiede oltre alla sussistenza di una relazione di fatto, anche la dichiarazione da parte di uno o di entrambi i conviventi all'ufficio anagrafico, adempimento che conferirebbe natura pattizia.

sarebbero state previste delle modalità di acquisizione dello "status di convivente registrato" che, nel caso in cui la dichiarazione all'anagrafe fosse stata eseguita da uno solo dei conviventi, non avrebbero tenuto in debita considerazione la libera scelta delle parti e avrebbero lasciato aperte alcune importanti questioni tecniche (l'altro convivente avrebbe potuto opporsi alla dichiarazione? Con quali effetti?)160.

Accanto a queste critiche, se ne affiancarono altre, di natura maggiormente politica ed ideologica, secondo le quali il Dico avrebbe rappresentato un istituto sovrapponibile al matrimonio, come una sorta di "matrimonio di serie b" (violando il disposto dell'art. 29 Cost.), per l'estensione ai conviventi di "diritti ed obblighi che, nella sostanza, si differenzierebbero da quelli previsti per i coniugi unicamente sul piano quantitativo". Su quest'ultimo punto in realtà, è il caso di evidenziare come la tutela giuridica offerta non sia equiparabile né paragonabile a quella dei coniugi, restando nel crinale delineato dalla Corte Costituzionale161.

I Dico, con la caduta del Governo Prodi, furono ben presto accantonati per essere sostituiti dal nuovo disegno di legge volto ad introdurre i "Contratti di unione solidale"162,

volgarmente detti Cus, che si distinguevano nettamente dalla precedente proposta, da un lato per la tecnica utilizzata (prevedendo un intervento sul Codice Civile, con l’inserimento, all’interno del Libro Primo, Delle Persone e della Famiglia, di un titolo VI- bis, denominato "Del contratto d’unione solidale", formato da undici nuovi articoli), dall'altro per la previsione di un vero e proprio contratto concluso dai soggetti interessati. Il contratto di unione solidale (in base al nuovo art. 230-ter e art. 230-quater del Codice Civile) avrebbe dovuto definirsi "un contratto concluso tra persone maggiorenni per

160 CALO', Matrimonio à la carte. Matrimoni,convivenze registrate e divorzi dopo l'intervento comunitario, cit., 146, poiché la dichiarazione all'ufficio anagrafico può esser fatta anche da parte di uno solo dei conviventi con raccomandata rivolta all'altro convivente, "non è dato sapere come possa evitare l'insorgere degli effetti della convivenza il destinatario di cotanta notizia".

161 In tal senso ROSSI, La Costituzione e i Dico, ovvero della difficoltà di una disciplina legislativa per le

convivenze, cit., 128; nonché CANATA, La legalizzazione della vita di coppia: panorama europeo e prospettive di riforma in Italia, cit., 211 che sostiene come anche se a detta di molti i Dico istituiscono

un'ambigua forma di riconoscimento pubblico della convivenza, questi non avrebbero tolto niente all'unicità del patto matrimoniale.

162 Adottato a firma del Senatore Salvi, come testo base dalla Commissione Giustizia del Senato nella seduta del 4 dicembre 2007.

l’organizzazione della vita in comune o dopo la sua cessazione".

A differenza dei Dico, la conclusione del Cus sarebbe dovuta avvenire tramite una dichiarazione congiunta all’ufficio di notaio o al giudice di pace (nel comune dove uno dei due partners ha la residenza o nel comune dove entrambi sono residenti) iscritta in un apposito registro, tenuto dall’archivio notarile competente. In questo modo il Cus, pur essendo un accordo di tipo privato, avrebbe acquistato rilievo pubblicistico.

Per quanto riguarda i diritti o doveri dei contraenti, il testo riproduceva in parte i contenuti dei Dico (ad esempio in tema di decisioni sulla salute del convivente, di tutela del lavoro, di agevolazioni in materia previdenziale e pensionistiaca, di diritti successori), ma si differenziava per la valorizzazione dell'autonomia contrattuale dei conviventi.

Da un lato il Cus prevedeva che gli stipulanti si dessero un aiuto reciproco e contribuissero alla necessità della vita in comune in proporzione ai propri redditi, al proprio patrimonio e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo163, tuttavia, a

differenza dei Dico, non stabilivano in caso di cessazioine dell'unione, un preciso obbligo di mantenimento nei confronti del convivente che versasse in stato di bisogno, il quale pertanto, salva diversa pattuizione contrattuale, sarebbe rimasto senza alcuna garanzia.

Quest'ultimo aspetto è stato ritenuto da molti l'elemento più debole dei Cus che, non garantendo tutela nel momento più delicato della cessazione della convivenza per il convivente debole, paleserebbe in tal modo la loro inutilità164.

D'altra parte nel Cus è apprezzabile l'aver indicato la soluzione del contratto quale modello normativo in grado di soddisfare le specifiche esigenze delle coppie di fatto, e per non destare, come invece i Dico, dubbi di incostituzionalità e irragionevolezza. Tuttavia, neanche in questo caso, il testo giunse alla definitiva approvazione.

163 La proposta in questione prevedeva la possibilità per le parti di scegliere il regime patrimoniale e di inserire nel contratto i contenuti che preferiscono. Prevedeva inoltre, salva diversa volontà espressa, che le parti dell’unione solidale fossero solidamente responsabili verso i terzi per i debiti contratti da ciascuno in ragione dei bisogni della vita in comune e delle spese relative all’alloggio.

164 ROSSI, La Costituzione e i Dico, ovvero della difficoltà di una disciplina legislativa per le convivenze, cit., 135, che fa una disamina degli altri punti critici; anche COCUCCIO, Convivenza e famiglia di fatto:

problematiche e prospettive, cit., 937. Il Cus costituirebbe "una sorta di matrimonio a vincolatività attenuata,

essendo gli effetti di natura familiare subordinati al consenso delle parti manifestato in forma solenne e, nel contempo, potendo il rapporto risolversi anche per decisione unilaterale di uno dei contraenti, senza che venga in rilievo alcuna esigenza di protezione della parte debole".

Un'ulteriore proposta meritevole di menzione, è il disegno di legge depositato alla Camera dei deputati conosciuto con il nome di Didore, ovvero "Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi"165.

Riconoscendo che i maggiori ostacoli all'introduzione delle unioni civili derivavano in gran parte dalla forte opposizione delle rappresentanze cattoliche, che hanno sempre fermamente condannato tanto le unioni civili omosessuali, quanto quelle eterosessuali come "matrimoni di serie b", come tali, pericolosi per la stabilità della famiglia legittima, si tentò allora di formulare una proposta minimalista, ovvero che offrisse ai conviventi una tutela minima.

I promotori dei Didore infatti, dichiararono espressamente che, a differenza dei Dico e dei Cus, con il testo proposto si intendeva riconoscere ai conviventi soltanto diritti individuali di natura privatistica, non assimilabili ai diritti dei membri di una famiglia legittima (come ad esempio le agevolazioni in materia pensionistica e previdenziale o i diritti di successione), preoccupandosi di specificare che in tal modo la nuova disciplina non avrebbe comportato alcun riconoscimento dei diritti delle unioni di fatto in quanto tali e non avrebbe arrecato pregiudizio ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrinomio166. Nonostante ciò, neanche una proposta tanto minimalista ebbe seguito

legislativo.

I molteplici tentativi, sommariamente richiamati, che sono stati posti in essere dai vari rappresentanti parlamentari nel corso degli ultimi venti anni, dimostrano che l'ordinamento nel suo insieme ha compreso la necessità di legittimare e riconoscere come istituzione del diritto familiare la famiglia di fatto.

Tuttavia, nonostante i progetti di legge non si siano proposti di modificare la concezione positiva del matrimonio nel diritto italiano, nessuno ha raccolto il consenso politico sufficiente per tradursi in legge167.

165 Proposta n. 1756 del 2008, presentate nel corso della XVI Legislatura, dai deputati Barani e De Luca, su iniziativa del Ministro Brunetta.

166 Per una più ampia descrizione della proposta si veda CANATA, La legalizzazione della vita di coppia:

panorama europeo e prospettive di riforma in Italia, cit., 218.

167 Anche il recente disegno di legge presentato nel dicembre 2013, consutabile sul sito

http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/D ocumenti/Notizie/2014/01/ddl-registro-coppie-gay.pdf?uuid=ABOcxUn, non sembra abbia visto, almeno ad

Aldilà delle incongruenze e delle questioni tecniche che possono di volta in volta presentarsi, il più grande ostacolo all'approvazione di una regolamentazione sulle convivenze è rappresentato attualmente dalla difficoltà di trovare una soluzione compromissoria in grado di conciliare l'anima laicista e l'anima cattolica presenti all'interno della maggioranza del nostro governo. Come si è ricordato, la questione che puntualmente è stata sollevata, in primis dagli esponenti delle autorità ecclesiastiche, riguarda infatti il paventato rischio che il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto possa togliere al patto matrimoniale la sua unicità168.

Nel documento I PATTI DI CONVIVENZA (pagine 57-64)