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I COV come biomarcatori di stati patologici

1.1 Cenni storici

L’analisi dei COV nell’espirato a scopo diagnostico è un campo di ricerca sviluppatosi piuttosto recentemente le cui radici però risalgono a più di due millenni fa. Già ai tempi degli antichi Greci, i medici erano soliti diagnosticare alcune patologie sulla base dell’odore dell’espirato dei pazienti (Morisco et al. 2013, Arasaradnam et al. 2014). Ad esempio: l’odore di pesce del respiro era associato a malattie epatiche, l’odore simile all’urina alle malattie renali, le infezioni da Pseudomonas (Fens et al. 2013, Morisco et al. 2013) erano caratterizzate da un odore gradevole del respiro simile a quello dell’uva, come gradevole era anche l’odore dolce della chetoacidosi diabetica in confronto a quello fetido dei pazienti con ascessi polmonari causati dalla proliferazione di batteri anaerobici (Probert et al. 2009, Patel 2010). Il merito di poter associare correttamente certe malattie agli odori espirati dai pazienti era ed è da attribuirsi al prodigioso sistema olfattivo umano, che è in grado di discriminare almeno un trilione di differenti stimoli olfattivi, come recentemente dimostrato da Bushdid

et al. (2014).

I primi approcci strumentali di analisi dei COV nell’espirato hanno avuto inizio alla fine degli anni ’50 - primi anni ’60 grazie alla disponibilità di una strumentazione analitica da laboratorio adeguatamente sofisticata (Beauchamp 2011). Da allora, numerosi scienziati hanno investigato la possibilità di utilizzare nuove tecniche per caratterizzare i COV nell’espirato umano; in particolare, acetone, etanolo e metanolo sono stati identificati per primi come componenti chiave generalmente presenti nell’espirato umano da Mackay et al. nel 1959, Eriksen et al. nel 1963 e Larsson nel 1965. Successivamente, come risultato del progresso nelle tecnologie analitiche e computeristiche, Pauling e i suoi collaboratori dell’Università di Stanford hanno rilevato più di 200 differenti COV nell’espirato umano e nello spazio di testa delle urine mediante utilizzo della gascromatografia capillare (Pauling

et al. 1971, Teranishi et al. 1972). Oggi, a distanza di più di 50 anni da queste prime scoperte,

i ricercatori possono disporre di strumenti analitici di elevata tecnologia che hanno spinto una rinascita dell’interesse nella prospettiva di utilizzare l’analisi dell’espirato come strumento diagnostico nella pratica clinica giornaliera. In particolare, lo sviluppo ed il progresso di sistemi di rilevazione online dei COV come PTR-MS (Lindinger et al. 1998), SIFT-MS (Smith e Spanel 1996) o IMS (Baumbach 2009) forniscono agli scienziati ed ai medici la capacità di analizzare campioni in continuo e di ottenere risultati in breve tempo.

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1.2 Presenza dei COV nell’espirato umano

La frazione volatile dell’espirato è composta principalmente da gas inorganici come azoto (N2), ossigeno (O2), diossido di carbonio (CO2), vapore acqueo e solo da quantità in tracce di COV. La concentrazione di tali COV, che sono stimati essere più di 3000 (Phillips et al. 1999), conta per meno di 100 ppm dell’intero volume dell’espirato (Hakim et al. 2012); alcuni tra questi, come acetone, isoprene e propanolo, sono più abbondanti, trovandosi nel

range di concentrazione tra i ppm e i ppb, mentre i chetoni e le aldeidi sono presenti in

concentrazioni minori, nel range tra i ppb e i ppt (Pauling et al. 1971, Fenske et al. 1999). La presenza di determinati composti nella frazione volatile dell’espirato riflette la composizione volatile degli stessi nel circolo sanguigno, in quanto si viene ad instaurare a livello degli alveoli polmonari un equilibrio gassoso tra aria alveolare e sangue presente nei capillari polmonari (Wilson et al. 1986). Il sangue impiega circa un secondo per attraversare i capillari polmonari, tempo durante il quale i composti inalati dall’ambiente esterno vengono assorbiti e quelli prodotti dall’organismo umano vengono espulsi. Bisogna però considerare che alcuni composti volatili sono originati direttamente nelle vie aeree e quindi non sono presenti nel circolo sanguigno (es. monossido di azoto, NO) (Pereira et al. 2015). Ciò comporta che vengano espulsi dall’organismo subito dopo essere stati prodotti e quindi l’unico modo per poterli rilevare è tramite la matrice biologica dell’espirato; tale approccio potrebbe essere di particolare interesse nella valutazione di patologie infiammatorie delle vie aeree (van de Kant et al. 2012).

Per poter ottenere dei risultati consistenti dall’analisi dei COV nell’espirato, che possano cioè fornire informazioni sullo stato di salute dell’organismo, è importante poter stabilire se tali composti sono:

 endogeni, ovvero originati da i processi metabolici che avvengono nel nostro organismo, da infezioni batteriche nella cavità orale o da batteri intestinali;

 esogeni, cioè prodotti di una contaminazione esterna avvenuta tramite inalazione, assorbimento cutaneo di sostanze xenobiotiche, o ingestione di cibo e/o bevande (Risby et al. 2006).

Dati a riguardo sono stati forniti per primi da Phillips et al. (1999), che durante il loro studio hanno analizzato l’espirato di 50 soggetti sani osservando un totale di 3481 COV; di questi, 1753 sono stati classificati come endogeni e 1728 come esogeni. Tale classificazione è stata effettuata sulla base del calcolo del “gradiente alveolare” per ciascun composto. Il concetto

134 di “gradiente alveolare” è legato alla rapidità con la quale una molecola viene sintetizzata ed espulsa dall’organismo; esso si calcola sottraendo al cromatogramma ottenuto dall’analisi dei campioni di espirato quello ottenuto dall’analisi di un campione del background ambientale. Se il valore del gradiente alveolare è positivo, la velocità di sintesi del composto è maggiore di quella di espulsione, e quindi il composto è endogeno; viceversa se il valore del gradiente alveolare è negativo, la velocità di espulsione è maggiore di quella di sintesi, e quindi il composto è esogeno (figura 3.1).

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Figura 3.1: esempio di calcolo del gradiente alveolare (immagine adattata da Phillips et al. 1999). A partire

dall’alto, in sequenza: cromatogramma di espirato, cromatogramma di background ambientale relativo al luogo in cui viene eseguito il campionamento, differenza tra i due cromatogrammi. Nell’ultimo cromatogramma, i picchi al di sopra della linea dello zero presentano gradiente alveolare positivo, quelli al di sotto della linea gradiente alveolare negativo.

Questo concetto è stato ulteriormente affinato negli anni a venire dagli studi di Schubert (Shubert et al. 2005) e Spanel (Spanel et al. 2013); i risultati del loro lavoro suggeriscono

136 che, se le concentrazioni di composti inalati dall’ambiente esterno sono maggiori del 5% rispetto alle loro concentrazioni esalate, essi non possono essere correlati con la circolazione sanguigna. Quanto detto è di fondamentale importanza per evitare di commettere errori nella fase di elaborazione dei dati ed in particolare se si vuole utilizzare l’analisi dei COV nell’espirato per scopi diagnostici.

Nel loro studio, Phillips et al. constatarono inoltre che, nonostante avessero individuato più di 3000 differenti COV, solo 27 tra questi erano stati rilevati in tutti gli individui (tra questi 9 avevano gradiente alveolare positivo e 18 gradiente alveolare negativo) (Phillips et al. 1999). Questa ampia variabilità riscontrata nei campioni raccolti deriva da: i) caratteristiche intrinseche dei singoli COV, ii) proprietà metaboliche e fisiologiche dei singoli individui e iii) fattori esterni, quali assunzione di cibo, alcol, fumo, esposizione a particolari condizioni ambientali (Lourenco e Turner 2014). Riguardo questi ultimi fattori, bisogna prestare molta attenzione nella fase di reclutamento degli individui da campionare, nella messa a punto del protocollo di campionamento e nello svolgimento della manovra stessa, nonché nella fase finale di trattamento dei dati.

1.3 Fattori che influenzano il profilo dei COV nell’espirato umano