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Cenni storici su origine ed evoluzione del carcere

Nel documento Manuale di diritto penitenziario (pagine 119-133)

LA STORIA E LE FONTI DELLA MATERIA PENITENZIARIA

2.1. Cenni storici su origine ed evoluzione del carcere

Nell’ampio arco della storia dell’umanità non è facile individuare nel suo preciso momento temporale la nascita dell’idea di realizzare una strut- tura carceraria ove restringere i condannati1. Tuttavia, l’esigenza della col-

lettività di allontanare dalla comunità umana coloro che si erano macchiati di fatti antisociali è antica quanto la volontà di punire.

Interrogando le fonti antiche è da escludere che il carcere, intesa come istituzione strutturata e organizzata, fosse un luogo di espiazione noto ai greci e, del resto, ai romani, i quali provvedevano alla realizzazione di strutture di detenzione finalizzate unicamente alla fase che precedeva il giudizio, per assicurare la presenza dell’imputato al processo che, una volta condannato, poteva essere sottoposto alla pena di morte, a pene corporali o all’esilio – interdictio acquae et ignis –2. Si trattava di una

funzione me- ramente custodiale piuttosto che punitiva3.

Non mancano in questo periodo storico, tuttavia, significativi esempi non istituzionalizzati di particolari forme di espiazione della condanna che nei secoli successivi saranno in larga parte recuperati come modelli opera-

1

Per tutti i relativi riferimenti bibliografici sul tema cfr. O. VOCCA, Il carcere. Linee di poli-

tica criminale, Liguori, Napoli, 2003, pag. 7 e ss.; D. PALAZZO, Appunti di storia del carcere dai tempi antichi fino alla prima metà del XIX secolo. Parte I, in Rass. studi penit., 1967, pag. 3.

2

Per il diritto romano si veda V. GIUFFRÈ, La repressione criminale nell’esperienza romana,

Giuffrè, Milano, 1998.

3

V. GIUFFRÈ, Il “diritto penale” nell’esperienza romana. Profili, Jovene, Napoli, 1989, pag. 107: “L’imprigionamento non costituisce, neppure in età imperiale, una vera e propria pena: “il car- cere infatti – scrive Ulpiano – è destinato a custodire gli uomini, non a punirli”.

tivi, come quello dell’ergastulum, ossia la “casa di lavoro” dove il condan- nato veniva incatenato con gli schiavi per essere adibito ai lavori agricoli, il c.d. servo della pena (servus poenae). Il sistema punitivo era sostanzialmen- te articolato in pene private e pene pubbliche, a seconda della natura del- l’interesse violato se individuale o collettivo.

Prima che l’ordinamento assumesse una struttura normativa definita, la giustizia penale si occupava unicamente della categoria dei “delitti natura- li”, ossia di quei fatti che non sfuggivano ad una precisa valutazione di ri- provazione da parte della coscienza collettiva, sia se commessi ai danni di singoli cittadini che dell’organizzazione sociale nel suo complesso. La fina- lità della pena si risolveva, in questo modo, in una vera e propria vendetta

sociale, secondo l’originale rozzezza della formula “occhio per occhio, dente

per dente”4.

Nell’ampia parabola del periodo medioevale si affermò il concetto di espiazione attraverso l’attività riparatrice del responsabile del crimine nei confronti della vittima. Per questo scopo si fece ricorso ad un istituto di derivazione germanica, il guidrigildo, ossia il “prezzo dell’uomo libero”. Si trattava del valore in beni o in danaro che il responsabile del delitto doveva pagare, soprattutto l’omicida, alla famiglia dell’ucciso per andare esente dalla vendetta. Con il ricorso sempre più frequente a questa singolare ipo- tesi di estinzione della pena furono elaborati dei veri e propri canoni di commisurazione dell’importo, per cui il prezzo variava a seconda del profi- lo soggettivo dell’autore e della vittima, dal rango di appartenenza dell’uc- ciso e anche da altre imprevedibili ed arbitrarie variabili. La pena assume in questo periodo la fisionomia della vendetta privata consumata dalla vit-

tima e dai suoi parenti.

A partire dai secoli XIV e XV con l’affermazione dell’età comunale5 si

valorizzano come centrali al sistema della pena i concetti di “isolamento” e di “privazione della libertà personale” che dopo la pena di morte rappre- sentano i nuovi contenuti della punizione, senza mai trascurare le pene corporali e le mutilazioni eseguite in pubblico6. Secondo un lento ed ine-

4 Per avere un esauriente quadro storico in ordine alle tipologie sanzionatorie che progressi-

vamente si affermano a partire dalle originarie strutture collettive sia del mondo greco che di quello romano, si veda E. CANTARELLA, I supplizi capitali. Origini e funzioni delle pene di morte

in Grecia e a Roma, Bur, Milano, 2005.

5

Per la storia della sanzione penale dell’epoca si veda A. ZORZI, Negoziazione penale, legit-

timazione giuridica e poteri urbani nell’Italia comunale, in Criminalità e giustizia in Germania e Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo medioevo ed età moderna, a cura di M. BELLABARBA-G.SCHWERHOFF-A.ZORZI, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 13.

6

Per la storia delle pene e della prigione nell’epoca dogale a Venezia, si veda G. RUGGIERO,

sorabile divenire inizia in questo ampio periodo la edificazione dei luoghi di pena dove gli istinti della ferocia umana consegneranno poi ai secoli successivi le proprie testimonianze più autentiche: la prigione dei “Piom- bi” di Venezia; le “segrete” della maremma toscana; la “Torre della fame” di Pisa e così via7

.

In tutte le stagioni della storia, tuttavia, la pena viene caratterizzata da aspetti rituali che ne mettono in luce i tratti di spettacolarizzazione della sofferenza, ad esempio condurre i condannati su di un carro per mostrarlo alla cittadinanza, anche per indurre effetti di esemplarità in chiave di pre- venzione generale8

. A ben vedere: “La prigione, nell’insieme, è incompatibi-

le con tutta la tecnica della pena-effetto, della pena-rappresentazione, della pena-funzione generale, della pena-segno e discorso”9.

Intorno al 1500 si registrano le prime vere concentrazioni penitenziarie ove il carattere di penalità assume connotazioni di tipo sociale e culturale mirato alla repressione della categoria dei “disturbatori dell’ordine socia- le”. In questo modo l’istituzione penitenziaria si individua soprattutto per una particolare popolazione carceraria che finisce per raccogliere in gran parte soggetti emarginati e vagabondi10.

La nascita dell’idea dell’espiazione della pena, vista come assoluta pri- vazione della libertà, trova dunque la sua naturale correlazione con l’idea del carcere, ossia di una struttura costruita ad hoc che assicuri la giusta re- tribuzione per il male inflitto.

La vera svolta al concetto di pena e di supplizio, ma soprattutto per la necessità di garantire una procedura tipica da cui scaturisse la punizione, viene impressa con l’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione. In questo contesto si registra la confusione dei concetti di morale e di diritto con una

7

Secondo una ricognizione delle carceri svolta all’inizio del 1900 risultarono ancora esisten- ti antichi luoghi di pena, si veda F. BELLAZZI, Prigioni e prigionieri nel Regno d’Italia, Tip. Mili-

tare, Firenze, 1866.

8

F. CORDERO, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Laterza, Roma-Bari, 1986; M. SBRIC-

COLI, “Vidi communiter observari”. L’emersione di un ordine penale pubblico nelle città italiane

del secolo XIII, in Quaderni fiorentini, 1988, pag. 231 e ss. Per gli effetti indotti dalla rappresen- tazione pubblica della pena può essere interessante la lettura di M.S. MAZZI, “Gente a cui si fa

notte innanzi sera”. Esecuzioni e poteri nella Ferrara estense, Viella, Roma, 2003. Per il valore della iconografia e dei simboli in materia di giustizia è particolarmente affascinate l’indagine svolta da M. SBRICCOLI,La benda della Giustizia. Iconografia, diritto e leggi penali dal medioevo all’età moderna, in AA.VV., Ordo Juris. Storia e forma dell’esperienza giuridica, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 47 e ss.

9

M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976, pag. 124.

10

R. CANOSA-I.COLONNELLO, Storia del carcere in Italia dalla fine del ’500 all’unità, Roma, Sapere 2000, 1984; E. FASSONE, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria. Il

evidente ricaduta sul significato della pena che finirà per identificarsi esclu- sivamente nell’emenda del condannato11.

Soltanto con l’avvento delle idee illuministiche si avvia un processo ra- dicalmente nuovo che, seppure molto lentamente, porrà termine alla espia- zione più bieca delle pene, attraverso l’affermazione della dimensione sta- tuale della irrogazione della sanzione penale, legata a presupposti di legali- tà che passano per esplicite previsioni normative delle forme di illecito.

Una concezione assolutamente nuova nel panorama storico delle forme di esecuzione della sanzione penale di tipo detentivo fu progettata nel 1791 da Jeremy Bentham in Inghilterra, su commissione del Parlamento inglese, anche se mai divenuta oggetto di concreta attuazione per un espresso di- vieto del sovrano dell’epoca Giorgio III12. La premessa teorica è rappre-

sentata da una ben definita visione della struttura carceraria sulla base di uno schema edilizio reso funzionale ad una precisa idea di espiazione della pena: il Panopticon (o panottico), definito anche Inspection House13.

Il progetto di Bentham, seppure non realizzato secondo le diverse arti- colazioni strutturali immaginate dal suo autore, divenne successivamente oggetto di realizzazione in occasione dell’edificazione di alcune prigioni degli Stati dell’America del nord.

Il concetto di fondo era quello di creare una struttura, una perfetta

macchina di controllo, dove l’isolamento e la privazione della libertà per-

sonale fossero accompagnate dalla visibilità della sofferenza del condanna- to che doveva rimanere privo di spazi di intimità, sempre sotto lo sguardo vigile e indiscreto di un secondino che, al centro di un sistema di celle con- cepito su di una pianta a stella, riuscisse ad osservare contemporaneamen- te, senza essere osservato, tutti i reclusi in celle formate di sbarre, attraver- so un sistema di specchi, di lampade e di scuri. Si pone per la prima volta la necessità di associare all’idea della pura azione repressiva dello Stato quella di recupero della dimensione morale del condannato, smarrita per effetto della sua condotta illecita.

Intanto, in Europa si andavano diffondendo le tesi di Cesare Beccaria espresse nel celebre volumetto Dei delitti e delle pene sulla soppressione della pena di morte e della tortura che saranno gli elementi di sicura novità su cui verrà a proporsi il diritto penale di matrice illuministica, fondato

11 A. P

ROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino,

1996; B. BENNASSAR, Storia dell’inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano, 1994.

12

G. TESSITORE, L’utopia penitenziale borbonica. Dalle pene corporali a quelle detentive, Fran-

co Angeli, Milano, 2001, pag. 50 e ss.

13

J. BENTHAM, Panopticon ovvero la casa d’ispezione, a cura di M. FOUCAULT-M. PERROT,

sulla legge scritta secondo i caratteri di generalità e di astrattezza14. Anche

l’idea carceraria si allinea ai nuovi principi che sollecitano una progressiva umanizzazione del vasto catalogo delle sanzioni criminali, nel tentativo di sciogliere la sanzione penale dal vincolo della esemplarità, funzionale ad un esclusivo fine di prevenzione generale.

L’arco temporale che copre la fine del XVIII e il XIX secolo vede il concretizzarsi di una precisa idea dell’istituzione carceraria, filtrata attra- verso lo spettro delle nuove concezioni economiche che governano la cul- tura del tempo. Il carcere, nella sua struttura e nella sua funzione viene as- similato alla fabbrica, per cui si lega all’idea del lavoro da imporre al con- dannato, come la forma più adeguata per assicurare alla società un ritorno di carattere economico, per il mantenimento della struttura e dei suoi ad- detti, e di carattere morale per l’espiazione e la sofferenza che spettano come contropartita del male inflitto alla comunità sociale15. Il tipo di espe-

rienza penitenziaria più vicina al modello economico di espiazione della sanzione penale è certamente quello detto “Filadelfiano”, dove l’espiazione coincideva con il lavoro obbligatorio dei detenuti in laboratori all’interno del carcere, per coglierne un duplice vantaggio: l’autofinanziamento della struttura; mettere in grado il detenuto-lavoratore di imparare un lavoro per poi sostenersi una volta espiata la condanna.

L’idea moderna delle ragioni dell’istituzione e della funzione di una struttura penitenziaria organizzata si afferma in realtà con l’epoca della co- dificazione. Con il Codice penale napoleonico la legislazione penale assu-

14

Cesare Beccaria era un giovane aristocratico milanese che senza l’indicazione del suo no- me diede alle stampe, presso un editore di Livorno, nel 1764 la prima versione dell’opuscolo intitolato Dei delitti e delle pene. Il lavoro venne subito messo all’indice dalla Serenissima Re- pubblica di Venezia e successivamente dallo Stato Pontificio. Utile per l’approfondimento è M. MAESTRO, Cesare Beccaria e le origini della riforma penale, Feltrinelli, Milano, 1977. In ulti-

mo va precisato che le idee del Beccaria erano il frutto dell’elaborazione anche di altri pensatori dell’epoca, tra cui i fratelli Verri e tutti gli intellettuali che gravitavano a Milano nei circoli pro- gressisti. Interessante può essere a tale proposito la lettura di P. VERRI, Osservazioni sulla tortu- ra, Feltrinelli, Milano, 1979.

15

M. IGNATIEFF, Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale in- glese (1750-1850), Mondadori, Milano, 1982; G. RUSCHE-O.KIRCHHEIMER, Pena e struttura

sociale, Il Mulino, Bologna, 1978; M. PAVARINI, “Concentrazione” e “diffusione” del penitenzia-

rio. La tesi di Rusche e Kirchheimer e la nuova strategia del controllo sociale in Italia, in G. RU- SCHE-O.KIRCHHEIMER, Pena e struttura sociale, cit., pag. 341 e ss.; M. FOUCAULT, Sorvegliare e

punire, cit., pag. 132 e ss.; D. GARLAND, Pena e società moderna. Uno studio di teoria sociale, Il

Saggiatore, Milano, 1999; M. SBRICCOLI, La storia, il diritto, la prigione. Appunti per una discus-

sione sull’opera di M. Foucault, in La Questione criminale, 1977, n. 2, pag. 407; M. PAVARINI,

Struttura sociale ed origine dell’istituzione penitenziaria, in Il Mulino, 1974, pag. 564; D. MELOS- SI-M.PAVARINI, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario (XVI-XIX secolo), Il

me quelle connotazioni di legalità che si andranno sempre più affinando nei decenni successivi, fino a giungere ai codici penali di matrice liberale di fine ottocento. Tutto il secolo XIX è percorso da correnti ideologiche e politiche che saranno alla base delle svolte di unificazione di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia e la Germania.

La prerogativa della legislazione penitenziaria è quella di essere rappre- sentata da fonti normative autonome, seppure di rango amministrativo- regolamentare, che tuttavia accompagnano l’entrata in vigore della legisla- zione penale di rango primario. Nel Regno delle Due Sicilie riveste un par- ticolare interesse storico e giuridico il Regolamento per gli stabilimenti car-

cerari varato nel 1817 sotto il regno di Ferdinando II di Borbone16, come

allo stesso modo viene varato negli Stati Sardi, sotto il regno di Carlo Feli- ce il 25 novembre 1828, il Regolamento provvisorio pella nuova casa di re-

clusione e di lavoro di Saluzzo.

Con l’avvento dell’unità d’Italia, dopo una temporanea vigenza del co- dice sardo riformato, accompagnato dal Regolamento generale per le carceri

giudiziarie del Regno emanato con R.D. 27 gennaio 1861, entra in vigore il

codice penale Zanardelli, che prende nome dal Ministro guardasigilli del- l’epoca, nel 1889, cui si accompagna il primo Regolamento generale per gli

Stabilimenti carcerari e pei Riformatori governativi del Regno, entrato in vi-

gore con il R.D. 1 febbraio 1891, n. 260, che conteneva la prima disciplina organica varata dal nuovo Stato posta a regolare l’organizzazione della struttura carceraria17. Da questo momento storico in poi la scienza penali-

stica offre il suo deciso contributo alla elaborazione di nuove e moderne concezioni della sanzione penale che non mancheranno di influenzare le leggi e le normative regolamentari volte a disciplinare la vita e l’organizza- zione interna dell’istituzione penitenziaria18.

2.2.1. Le fonti legislative del diritto penitenziario italiano

Il diritto penitenziario è costituito da quell’apparato normativo appar- tenente alla legislazione italiana posto in generale a disciplinare: a) gli isti- tuti giuridici che presiedono alla esecuzione della sanzione penale, caratte- rizzate come misure alternative alla detenzione o come diverse modalità di

16 G. T

ESSITORE, L’utopia penitenziale borbonica, cit., pag. 10 e ss.

17

Diritto penale dell’ottocento. I codice preunitari e il codice Zanardelli, a cura di S. VINCI- GUERRA, Cedam, Padova, 1993.

18

A. LONNI, Stampa e problema carcerario nell’età giolittiana, in Riv. St. contemp., 1976, pag.

espiazione; b) le strutture del sistema penitenziario ed i compiti e le fun- zioni del personale in esse operante19.

Si possono, in questo modo, nettamente distinguere due diversi profili della legislazione penitenziaria nel suo complesso, dove da un lato si coglie l’insieme delle norme poste a regolare l’organizzazione e la vita ammini- strativa nell’ambito delle strutture carcerarie; dall’altro la specifica disci- plina relativa al tipo ed alle modalità di trattamento del soggetto a qualsiasi titolo ivi internato.

L’ordinamento penitenziario italiano era originariamente disciplinato dal “Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena” adottato con R.D. 18 giugno 1931, n. 787 che trovò la sua normativa di integrazione e di completamento nella Legge 9 maggio 1932, n. 547 “Disposizioni sulla ri-

forma penitenziaria” entrambi frutto dell’iniziativa normativa del Ministro

Guardasigilli Alfredo Rocco che venivano a completare il quadro legislati- vo in materia penale, raccordandosi ai contenuti dei codici penali, sostan- ziale e di rito, del 193020.

Il regolamento del 1931 era caratterizzato da una particolare connota- zione repressiva, funzionale ad una concezione della pena improntata a ca- ratteri di prevenzione generale e di emenda. Nella relazione di accompa- gnamento al Regolamento degli istituti di prevenzione e pena così si espri- meva il Rocco: “norme di vita carceraria che siano bensì idonee ad emendare

il condannato, ma non tolgano alla pena il carattere afflittivo e intimativo, e viene ribadito in termini non equivoci l’austero carattere della esecuzione pe- nale che, per conciliare le varie finalità che si propone la pena, dev’essere mez- zo di repressione, d’espiazione, di prevenzione generale e di emenda”21

.

19

Particolarmente utile per ricerca sistematica della normativa il Codice penitenziario. Nor- mativa esplicata ed annotata con giurisprudenza, circolari e formulario, con prefazione di F. Scla- fani, Simone, Napoli, 2000.

20

Interessante è la lettura della Relazione sul disegno di legge n. 890 “Disposizioni sulla ri- forma penitenziaria” presentata da Alf. Rocco al Senato del regno il 26 maggio 1931, ora in AL- FREDO ROCCO, Discorsi parlamentari, con saggio introduttivo di GIULIANO VASSALLI, Il Mulino,

Bologna, 2005, pag. 663 e ss. Per chi intendesse approfondire il quadro storico a partire dall’istituzione carceraria dagli anni dell’Unità d’Italia, può consultare i seguenti testi di riferi- mento: F. BELLAZZI, Prigioni e prigionieri nel Regno d’Italia, cit.; M. BELTRANI SCALIA, La ri- forma penitenziaria in Italia. Studi e proposte, Tip. Artero e Comp., Roma, 1879; G. NEPPI MO- DONA, Carcere e società civile, cit., pag. 1903 e ss.; E. FASSONE, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, Il Mulino, Bologna, 1980; A. RICCI-G.SALIERNO, Il carcere in

Italia. Inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l’ideologia carceraria, Einaudi, Torino, 1978; C.F. GROS-

SO-G.NEPPI MODONA-L.VIOLANTE, Giustizia penale e poteri dello Stato, Garzanti, Milano, 2002,

pag. 677 e ss.; O. VOCCA, Il carcere, cit., pag. 67 e ss.

21

ALF. ROCCO, Relazione al regolamento degli Istituti di prevenzione e pena, Roma, 1931; F. SIRACUSA, Istituzioni di diritto penitenziario, Hoepli, Milano, 1938; G. PIERRO, Istituti di pre-

Con la evoluzione dei principi del diritto penale imposti dalla entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 1948 si rese necessario la radi- cale revisione dei principi ispiratori di quel regolamento. L’importanza che aveva acquisito la materia portò anche una decisa innovazione del livello della fonte normativa che avrebbe compreso la nuova disciplina peniten- ziaria. Non più un regolamento amministrativo ma, per la peculiarità del- l’ambito in cui viene regolata la vita di coloro cui è temporaneamente ri- dotta la libertà personale, la fonte sarebbe stata di diretta emanazione par- lamentare, attraverso una legge formale di rango ordinario.

Con la Legge 26 luglio 1975, n. 354 entrava in vigore la nuova disciplina penitenziaria contenente le “Norme sull’Ordinamento penitenziario e sulla

esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà”22. Questa legge

era composta di 91 articoli che si distinguevano in norme sul trattamento penitenziario e in norme che riguardavano l’organizzazione penitenziaria. Tuttavia, la concreta normativa di attuazione della disciplina generale del- la legge veniva adottata con il D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 “Regolamen-

to di esecuzione”. Tale regolamento di esecuzione era particolarmente si-

gnificativo poiché stabiliva nel dettaglio quali erano le infrazioni disciplina- ri sanzionabili e quali le procedure di irrogazione e di esecuzione delle san- zioni.

Per effetto del principio di gerarchia delle fonti che caratterizza l’ordi- namento giuridico italiano, la legislazione del settore penitenziario deve, dunque, essere orientata secondo i caratteri di compatibilità e di armoniz- zazione alle norme fondamentali sancite dalla Carta costituzionale e prima

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