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europee ed extra

3.5 Centri Anti-Violenza

Nello studio e nella disamina dei fenomeni criminologici non può non essere tracciato un quadro in merito alle strutture assistenziali e di sostegno che operano sul territorio per aiutare le vittime dei reati di stalking e in modo più generale delle fattispecie di violenza, molestie e maltrattamenti. I centri anti-violenza si cominciano a

45 In

https://mail.google.com/mail/u/0/#imp/15494b93e717eb4c?compose=155a2df0c5 4ac2c1&projector=1

formare in Italia nei primi anni ’90 grazie ai movimenti femministi che sin dagli anni ’80 lottavano per uscire dall’assoggettamento dell’uomo padre padrone; chiave di volta di questo lungo processo è stata l’introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano con legge n.898 del 1970 che ha determinato nelle donne, spesso vittime di angherie e soprusi, il motus per uscire da situazioni di violenza. Le radici del movimento erano i gruppi di autocoscienza ove le donne condividevano storie di vita ed esperienza, analizzando i fenomeni storici della dominazione maschile e la difficoltà della donna nel reagire a questi atti di subordinazione. Fu all’interno di questi gruppi di autocoscienza femminista che cominciò ad emergere il fenomeno di violenza perpetrata da parte dell’uomo nella mura domestiche. L’istituzione della prima casa rifugio rappresenta il segno di un’evoluzione di una società che vuol dire NO al concetto di potere assoluto e insindacabile dell’uomo, una sfida al patriarcato sessuale. Dal 1989 anno di nascita della prima casa rifugio in meno di un anno sorsero più di 70 centri anti-violenza accumunati dal

principio comune di accogliere donne che si sentivano prigioniere e in pericolo, a causa delle ripetute violenze, nelle loro case46. Dopo una gestazione lunga, nel 2006 ,57 centri anti-violenza hanno deciso di uniformare la loro battaglia verso le violenze di genere redigendo un documento che fosse il faro e la guida per tutti i centri antiviolenza al cui interno si trovassero i principi ispiratori dei centri. Nasce a Roma il 21 gennaio 2006 la “Carta della Rete Nazionale dei Centri Anti-Violenza e della Casa delle Donne”. Il documento tesse i principi e le regole cui si uniformano i centri antiviolenza, preme indicare i principi fondanti: - I centri anti-violenza che si riconoscono in tale documento, ritengono che alla radice della violenza verso le donne risieda una disparità inconciliabile di potere tra i sessi,- I centri sono tassativamente costituiti da donne e vi lavorano donne che si occupano di violenza intra ed extra- familiare alle donne oltre che di violenza assista; molti sono

i casi di minori indirettamente coinvolti in questa realtà,-I Centri gestiscono l’attività telefonica, svolgono attività e progetti finalizzati a prevenire e contrastare tale violenza,- tutti gli operatori e consulenti di accoglienza, volontari e non, devono avere una formazione adeguata e che si innesti nel rispetto della metodologia di accoglienza praticata nei centri. La Carta delle rete nazionale dei centri anti-violenza precede di poco l’adozione dello statuto che ha dato nascita all’Associazione Nazionale “donne in rete contro la violenza”. Ad oggi l’associazione D.I.RE conta al suo attivo 76 centri anti-violenza47. Nonostante l’importanza delle tematiche trattata e l’urgenza di dover fronteggiare situazioni difficili, le istituzioni sono silenti nel coordinamento con i centri anti-violenza. I passaggi della legislazione italiana-in avvicinamento alla violenza di genere -sono stati scanditi da un lento adeguamento alla normativa comunitaria, che sul fenomeno era già attiva da

47 in http://www.direcontrolaviolenza.it/wp-

content/uploads/2015/03/Carta_della_Rete_Nazionale_dei_Centri_antiviolenza_e _delle_Case_delle_donne.pdf

diverso tempo. L’Italia solo tardivamente con la legge n.77 del 27 giugno 2013 ha provveduto alla ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Instanbul l’11 maggio 201148, questo adeguamento -seppur tardivo -ha fatto da ponte alla successiva normativa nazionale del femminicidio ex D.l n.93 del 14 agosto del 2013, convertito con legge n.119 del 15 ottobre 2013. La legge sul femminicidio -in adeguamento ai valori espressi nella convenzione di Istanbul -pone all’art 5 un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale di genere adottato dal ministro delegato per le pari opportunità che prefigga determinati obiettivi: 1) informazione e prevenzione della violenza contro le donne, 2) potenziare forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza,3) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo,

monitorando le diverse esperienze già realizzate nelle reti locali e sul territorio. L’art 5 bis al fine di dare attuazione a quanto previsto dall’art 5 comma 2, prevede uno stanziamento di fondi a favore delle regioni tenendo conto dei seguenti parametri: 1) programmazione regionale e degli interventi già operativi in contrasto alla violenza nei confronti delle donne, 2) numero dei centri anti-violenza pubblici e privati presenti in ogni regione, 3) numero di case -rifugio pubbliche e private presente in ogni regione.49 Il problema è che- al di là di quanto sia indicato in normativa all’art 5-bis- di fatto gli obiettivi cui dovrebbe tendere lo stesso sono disattesi. Indubbiamente, la mancanza, ad oggi, di una normativa nazionale è rilevante e la presenza di una normativa regionale a regolare un fenomeno di portata nazionale è tristemente poca cosa. In aggiunta a questo, vi è l’inefficienza e il mancato assolvimento della normativa sul femminicidio al comma 8 della Convenzione di Instanbul

che recita:” adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile”. L’associazione no profit- onlus del centro Anti-violenza di Parma lamenta l’inottemperanza del governo all’adeguamento della convenzione, sostenendo altresì come il criterio di destinazione dei fondi da parte del governo sia variato. I 15 milioni di euro che dovevano essere previsti, in ossequio alla convenzione di Instanbul e nel rispetto della normativa n.119 all’art 5 bis, per il biennio 2013-2014, sono stati dirottati a beneficio di centri e sportelli istituiti “last minute”, oltre che diretti a istituzionalizzare i percorsi di uscita dalla violenza delle donne. L’adozione di questi criteri lascia allo sbando i centri anti-violenza che ormai da 20 anni operano sul territorio per contrastare e prevenire fenomeni di violenza contro le donne. Dalla lettura di tali dati emerge che dei 15 milioni di euro previsti, solo

2.260.000 euro saranno destinati ai 352 Centri Antiviolenza e Case Rifugio presenti sul territorio nazionale, calcolando quindi una cifra di circa 6.000 euro a centri-anti violenza, cifre che chiaramente non possono essere sufficienti per permettere a tali centri di operare in modo adeguato. Inoltre grave aspetto da segnalare è che non vi è alcun criterio di ragionevolezza e di proporzionalità nella destinazione di tali fondi, venendo considerati centri pubblici e privati nello stesso modo. Ad oggi, passati ben due anni, nel 2016 ancora non vi è un Piano Nazionale Antiviolenza, e lasciamo che i centri-antiviolenza vadano avanti, elemosinando i fondi stanziati dal governo. Il problema non è,quindi, l’adeguamento o recepimento di una normativa che, seppur tardivamente, l’Italia ha recepito, quanto, il venir meno del principio di effettività, senza il quale non si può dire soddisfatto il diritto in senso sostanziale50.

50 In

http://www.acavpr.it/AcavPR/index.php?option=com_content&view=article&id= 147:ai-centri-antiviolenza-solo-le-briciole-dei-finanziamenti-stanziati-e-il-resto- dei-fondi-a-chi&catid=47:archivio&Itemid=189

CONCLUSIONI

La tesi è iniziata sostenendo che il 2009 fosse un anno di svolta per l’ordinamento, in quanto introduceva una fattispecie di reato ad hoc volta a punire una condotta che sino a quel momento trovava vuoti normativi. Debbo dire che l’entusiasmo iniziale è andato sempre più sbiadendosi sino a scomparire. Se infatti la necessità di introdurre il reato di stalking possa essere considerata da un lato una scelta ragionevole, dall’altro non si può non notare come sia impossibile pensare di contrastare e punire questo fenomeno criminologico senza il necessario apporto e finanziamento ai centri anti-violenza e alle case rifugio. Ne sono un triste esempio i dati che disattendono i fondi che dovevano essere destinati alle regioni ex lege n.119 del 15 ottobre 2013. Prevenire e contrastare sono le azioni meritorie sulle quali bisogna concentrare la nostra attenzione. Uso i verbi in questo preciso ordine perché questa credo sia la strada necessaria da percorrere per raggiungere dei buoni risultati di “governance” così come indicato e auspicato al punto 3

dell’art 5 della legge n.119 del 15 ottobre 2013. Per prevenire occorre che sia forte e viva la consapevolezza che -prima ancora di un fenomeno criminologico- stiamo parlando di un fenomeno sociale che vede l’uomo incapace di accettare la fine di una relazione rendendolo schiavo delle proprie paure e manifestando dunque una profonda immaturità. Primo passo dunque, insistere sull’educazione al sentimento, all’accettazione, combattendo la disparità dei sessi, consapevoli che una buona educazione sin da piccoli non potrà che formare uomini maturi e capaci di rispettare l’altro. Secondo passo il contrastare, investendo sulle misure di aiuto alle vittime, non abbandonandole a se stesse e formando una vera rete di collaborazione tra istituzioni, centri- anti violenza, case rifugio e forze di polizia.

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