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4) Il Parisinus gr. 2327 (XV sec.; redatto a Creta dal copista Teodoro Pelecano nel 1478), da cui dipendono lo Scorialensis I.Φ.11 (XV sec.) e probabilmente il

Laurentianusgr. 86,16 (XV sec.)96.

I testi antologizzati e preservati da questi codici costituiscono le fonti principali per ricostruire la storia dell’alchimia greca, rappresentando ciò che rimane delle opere di autori che operarono nell’arco di un lungo periodo, dai primi secoli dopo Cristo fino alla tarda età bizantina.

Se da un lato tale processo di scrematura e di epitomazione delle opere alchemiche greche ci ha privato di numerosi scritti, non confluiti o confluiti solo parzialmente nelle suddette raccolte, dall’altro esso rappresenta un importante filtro attraverso cui osservare il materiale conservato nei manoscritti bizantini, nati dalla ricopiatura di collezioni redatte verosimilmente a partire dal regno di Eraclio. Ciò che rimane, se si escludono le inevitabili perdite dovute a fortuiti accidenti nella trasmissione dei testi, si presenta come il frutto del vaglio di una tradizione che ha riconosciuto nelle opere selezionate importanti esempi di quella scienza alchemica, la cui diffusione nell’impero bizantino è stata brevemente tratteggiata nel paragrafo precedente. L’analisi delle opere conservate può dunque aiutare a meglio comprendere quali tipologie di testi e quali problematiche fossero connesse a quella disciplina che nel corso della propria evoluzione fu denominata col nome di chēmeia,

al-kīmiyā’ e infine alchimia.

A questo riguardo, particolarmente interessante è un passo della Lettera sulla fabbricazione dell’oro di Psello, che esplicita come gli specifici interessi di un mecenate – nel caso specifico, Michele Cerulario – potessero incidere sulla scelta dei soggetti da indagare nel corso di una ricerca sull’alchimia:

Psellus, Epistola de auri confectione, § 5 partim (CMAG VI 30,16-31,9): Ἐπεὶ οὖν ἱκανῶς ἡμῖν πεπροοιμἰασται ὡς αἱ τῶν ὑλῶν μεταβολαὶ φυσικήν τινα ἀλλοίωσιν ἔχουσιν καὶ οὐκ ἐξ ἐπῳδῆς τινος ἢ τερατείας ἢ ἄλλης ἀρρητουργίας (διὸ καὶ θαυμάζειν οὐ χρή), ἐπ’ αὐτὴν ἢδη σοι τὴν τέχνην χωρῶ τῆς μεταβολῆς. Ἐβουλόμην μὲν οὖν καθολικήν τινά σοι τεχνολογίαν ποιήσασθαι καὶ πᾶσαν ὑλουργίαν διερευνήσασθαι, πύκνωσίν τε φυσέων καὶ ἀραίωσιν

37 CAP.1.L‘‘ALCHIMIA‘ E LA TRASMISSIONE DEI TESTI ALCHEMICI χρωματουργίαν τε καὶ άλλοίωσιν, διδάξαι τε τί μὲν τὸ τὸν κρύσταλλον ἀραιοῦν, τί δὲ τὸ τὸν ὑάκινθον, καὶ πῶς ἂν τις καὶ σμάραγδον οὐκ ὄντα ποιήσῃ καὶ βήρυλλον, τίς δὲ ἡ φύσις τοῦ τὰς λίθους ἁπάσας μαλάττοντος, καὶ πῶς μὲν ἡ μαργανῖτις λυθείη καὶ εἰς ὕδωρ ἀναλυθείη, πῶς δ’ αὖθις συμπαγείη καὶ σφαιρωθείη, τίς δὲ ὁ λόγος τῆς τοῦτων λευκάνσεως, καὶ ἀπλῶς μηδὲν καταλιπεῖν ἀνεξέταστον τῶν ἐν τούτοις γινομένων ὑπὸ τῆς φύσεως, τέχνην τε ποιῆσαι τὸ μάθημα καὶ ὑπὸ κανόνας ἀνενεγκεῖν· ἐπεὶ δὲ σὺ σχολάζειν ἡμᾶς ἐν τοῖς περιττοῖς οὐκ ἐᾷς οὐδὲ ἐν τοῖς ἀσπουδάστοις καταναλίσκειν πᾶν τὸ φιλότιμον, τοῦτο δὲ μόνον διερευνῆσαι προῄρησαι ἐκ τίνων ὑλῶν καὶ διὰ ποίας τῆς ἐπιστήμης χρυσὸν ἄν τις ποιήσειε, ταῦτην μόνην τὴν τεχνολογίαν σοι δίειμι.

«Poiché ho dunque insistito abbastanza per voi nel proemio su come le trasformazioni delle materie avvengano per un’alterazione naturale e non grazie ad un qualche incantesimo o miracolo o per qualche altra ragione misteriosa (per questo, infatti, non bisogna nemmeno meravigliarsi), per te ora procedo con quell’arte della trasformazione. Io certo volevo comporre un discorso completo sull’arte e esporre tutti gli aspetti della lavorazione della materia, come le nature si condensino, diventino rarefatte, siano colorate o alterate, e insegnare che cosa rende rarefatto il cristallo, il giacinto, e come si possa produrre un finto smeraldo o berillo, quale sia la natura di ciò che ammorbidisce ogni pietra, e come si sciolgano le perle e si dissolvano in acqua, e come di nuovo si condensino e si rendano tonde, e quale sia il discorso su come renderle bianche; insomma non volevo lasciare inesplorato assolutamente nulla di ciò che la natura opera in esse, e volevo rendere l’arte (alchemica) una materia di studio, riconducendola a regole paradigmatiche. Tuttavia, poiché tu non ci concedi di indugiare in tali ricerche superflue, sciupando tutta la nostra diligenza in ciò che non è degno d’interesse, ma preferisci che si esamini soltanto da quali materie e con quale metodo si possa produrre l’oro, io mi accingo a spiegarti solo quest’arte».

Ad una visione più ampia dell’alchimia, che comprendeva uno studio generale di diverse tecnologie non legate alla sola chrysopoeia, si oppone un interesse specifico verso quelle pratiche metallurgiche tese alla fabbricazione dell’oro, che Psello prediligerà nella composizione del suo scritto in ossequio alla volontà del suo mecenate. Un tale interesse, d’altro canto, richiama la stessa definizione del termine

(χ 280 Adler): χημείαˑ ἡ τοῦ ἀργύρου καὶ χρυσοῦ κατασκευή κτλ. «Chēmeia, la preparazione dell’oro e dell’argento97 etc.».

La stessa lettera di Psello prosegue con l’elencazione di sette ricette che descrivono la preparazione di diverse ‘medicine’ (φάρμακα) da applicare su vari corpi metallici con l’intento di ‘trasformarli’ in oro. Inoltre, alcune di queste ricette, presentate dall’erudito come la scienza dell’antico Democrito, ovvero di uno dei supposti fondatori dell’Arte, sono state ad un certo punto della tradizione estratte dal corpo della Lettera e ricopiate – con alcune varianti e aggiunte – come testi indipendenti all’interno di vari manoscritti98, come il Parisinus gr. 2327 (ff. 159v-160v) e il Laurentianus gr. 86,16 (f.

283v-284r), nei quali portano il semplice titolo di Ἑτέρα ἑρμηνεία, «Un’altra spiegazione

(scil. per la fabbricazione dell’oro)»99.

Tale accidente nella trasmissione del testo di Psello, seppure risalente alla tarda età bizantina, costituisce un esempio significativo e in qualche modo paradigmatico per poter meglio comprendere la genesi delle antologie alchemiche ricopiate nei codici medievali, frutto delle numerose manipolazioni subite da un materiale ritenuto in qualche modo fluido e adattabile a diversi contesti. Del resto, le parole del dotto bizantino testimoniano un’analoga fluidità nella definizione della medesima ‘arte’ oggetto della ricerca, i cui limiti erano in qualche modo determinati dagli interessi dei medesimi eruditi o mecenati che commissionavano la compilazione delle collezioni e dei trattati alchemici. La trasmutazione dei metalli vili in oro o argento costituì di certo uno degli elementi più accattivanti della disciplina, che poteva alimentare le speranze

97 Cfr. supra, fr. 248 (Roberto) di Giovanni d’Antiochia, che usa l’espressione χημεία χρυσοῦ καὶ

ἀργύρου per descrivere il contenuto dei libri fatti bruciare dall’imperatore Diocleziano.

98 Cfr. CMAG VI, pp. 16-19.

99 Edite in CAAG II, pp. 443,17-444,22. Berthelot-Ruelle pubblicano tali ricette assieme ad altri

procedimenti tramandati sotto il titolo di Ἑρμημεία τῆς ἐπιστήμης τῆς χρυσοποιίας Ἰερομανάχου τοῦ Κοσμά, «Spiegazione della scienza sulla fabbricazione dell’oro dello ieromonaco Cosmas»; in realtà i codici distinguono le ricette tramandate sotto tale rubricatura (= CAAG II, pp. 442,1- 443,2) da quelle estratte dalla lettera di Psello (= CAAG II, pp. 443,17-444,22), introdotte dalla semplice dicitura «Un’altra spiegazione». Si veda ora la recente edizione di Colinet 2011, pp. 66-76.

39 CAP.1.L‘‘ALCHIMIA‘ E LA TRASMISSIONE DEI TESTI ALCHEMICI

di facili e ingenti guadagni: le medesime testimonianze storiografiche sopra analizzate, che rivelano la presenza di diversi chymeutes presso le corti di imperatori e califfi, insistono soprattutto sulla loro presunta – e spesso smentita – abilità nel fabbricare i metalli preziosi.

Tuttavia, se da un lato un simile focus può avere inciso sulla selezione delle opere da inserire nelle antologie alchemiche100, un’analisi più dettagliata del contenuto

tramandato dai codici sopra menzionati permette di riconoscere la persistenza di una tecnologia più ampia, che non si esaurisce nella semplice chrysopoeia. Particolare attenzione meritano, a questo riguardo, i testi dal carattere più propriamente tecnico (in primis le ricette), che, sebbene in alcune collezioni siano più incentrati sulla fabbricazione dei metalli preziosi, in altri casi trattano delle medesima varietà di argomenti già in parte rilevata nell’analisi della tradizione alchemica siriaco-araba e latina, e ben messa in evidenza nella lettera di Psello appena letta: ad esempio, la fabbricazione delle pietre preziose e delle perle, il trattamento di diverse sostanze (quali, ad esempio, il cinabro e il mercurio) e la metallurgia del ferro (non legata esclusivamente alla sua eventuale ‘trasformazione in oro’).

Un interesse incentrato maggiormente su questioni metallurgiche, e in particolare sulla chrysopoeia e argyropoeia, caratterizza la selezione di testi tramandata dal codice più antico, il Marcianus gr. 299. Sotto il nome di Democrito (ff. 66-72) sono preservate due ampie sezioni di ricette per la fabbricazione dell’oro (13 ricette) e dell’argento (9 ricette), precedute però dalla descrizione di un procedimento per tingere la lana in porpora101. Inoltre, il nome di Mosè (f. 185r = CAAG II, pp. 38s.) e di Eugenio

(f. 185r = CAAG II, p. 39) sono associati a due brevi testi che descrivono due processi

di δίπλωσις (lett. ‘raddoppiamento’) dell’oro, consistenti nella produzione di leghe che, pur contenendo una bassa percentuale del metallo prezioso, ne mantenevano inalterato l’aspetto. Due ricette analoghe sono quindi tramandate sotto il nome di

100 Si veda, in particolare, la selezione tramandata dai codici alchemici dei libri attribuiti a

Democrito: di quattro trattati riguardanti l’oro, l’argento, le pietre e la porpora, solo i primi due (e un breve lacerto del quarto) sono stati epitomati e inseriti nelle antologie alchemiche conservate dalla tradizione bizantina.

Ieroteo (ff. 185v-186r = CAAG II, pp. 450s.)102, che descrive la composizione di leghe

aurifere contenenti piccole quantità del metallo prezioso. L’invocazione alla trinità che chiude questi ultimi testi permette di datarli verosimilmente ad un’età tarda: si tratta probabilmente di ricette coeve ad alcuni estratti di età bizantina trascritti nella parte finale del codice (ff. 128-131 = CAAG II, pp. 375-379), che illustrano diverse tecniche di lavorazione del rame, del piombo e delle foglie dorate. Infine, una sezione centrale del manoscritto (f. 118 + ff. 104-111)103 tramanda varie ricette riguardanti la lavorazione di

differenti metalli o sostanze. La prima parte descrive differenti modi per temprare il ferro (CAAG II, pp. 342-345 e 347s.), alcuni dei quali sono attribuiti agli Indiani, e per lavorare il rame (CAAG II, pp. 346s.). Seguono quindi tre ricette (CAAG II, pp. 36s.) sulla fabbricazione dell’argento, tre ricette (CAAG II, pp. 37s.) sulla fabbricazione del cinabro (il minerale del mercurio, HgS) e tre ricette sull’estrazione del mercurio (CAAG

II, pp. 220-222). Due dei tre estratti sull’ἄσημος104, ad esempio, recitano:

CAAG II, p. 37,7-12 Περὶ ἀσήμου ποιήσεως. Λαβὼν κασσίτερον, χώνευσον καὶ μετὰ πέντε χωνείας ἐπίβαλλε εὶς τὸ πρόσωπον αὐτοῦ εἰς τὴν χώνην ἄσφαλτον· καὶ ὁσάκις ἀποχύσεις αὺτὸ κένωσον κοινόν, ἕως ἄν γένηται ἄσημος τέλειος καὶ πολύς. Εἰ δὲ βούλει είς ἔργον ἐκκλησίας ποιῆσαι ἐξ αὐτοῦ ἀφ’ αὐτοῦ ἀφ’ οὗ χωνεύσεις, καὶ γένηται σκληρόν, ποίησον. «Sulla fabbricazione dell’argento. Preso dello stagno, fondilo e alla quinta fusione aggiungi nel crogiuolo, sulla superficie del metallo, del bitume; e ogni volta che opererai la fusione, versalo su sale comune, finché non diventi perfetto e abbondante argento. Se tu vuoi usare quest’argento per fabbricare un’opera per la chiesa, falla dopo che lo avrai fuso, finché non diventa duro».

102 Berthelot-Ruelle non segnalano che il testo edito é tramandato dal codice Marcianus gr. 299,

che costituisce il più antico testimone conosciuto; cfr. Letrouit 1995, p. 83.

103 Questi fogli, che originariamente dovevano essere contigui, sono stati riposizionati in un

ordine scorretto durante una rilegatura del codice successiva al suo confezionamento: cfr. Saffrey 1995, p. 6.

41 CAP.1.L‘‘ALCHIMIA‘ E LA TRASMISSIONE DEI TESTI ALCHEMICI

CAAG II, p. 37,12-16 Περὶ ποιήσεως ἀσήμου. Ἀπὸ κοινοῦ μολύβδου καθαροῦ εἰς τὴν ἀνωτέραν στήλην γέγραπται. Δεῖ γινώσκειν ὅτι ἐκβάλλει ὁ κοινὸς μόλυβδος εἰς τὰς ἑκατὸν λίτρας τοῦ μολύβδου, ἀσήμου λίτρας δέκα.

«Sulla fabbricazione dell’argento. (Processo a base di) piombo ordinario purificato; è iscritto sulla stele superiore. Bisogna sapere che il piombo ordinario, all’incirca centro libbre, produce dieci libbre di argento».

Sono in sostanza elencati due procedimenti di cementazione dello stagno e del piombo, di cui solo il primo è descritto con dovizia di particolari105. L’uso del bitume e

del sale doveva purificare il metallo di base, conferendogli una particolare brillantezza, simile a quella dell’argento. Particolarmente interessanti sono i riferimenti all’«opera per la chiesa» e alla «stele superiore», presenti rispettivamente nel primo e nel secondo testo. Tali richiami, infatti, sembrano tradire una diversa derivazione delle due ricette: la prima potrebbe essere stata recepita in ambiente cristiano, come la descrizione di un processo metallurgico utile alla decorazione di edifici religiosi; la seconda, invece, conserva l’antico topos della segreta arte alchemica iscritta sulle colonne o steli dei templi egiziani, richiamato probabilmente per conferire maggiore autorità alla tecnica illustrata. L’accostamento di elementi così diversi mostra come nel codice siano state accorpate, probabilmente a causa della similarità del processo descritto, ricette provenienti da tradizioni differenti e cronologicamente distanti tra loro. Tale patrimonio tecnico, che nel codice Marciano abbraccia soprattutto tecniche di lavorazione dei metalli (seppure non limitate alla sola fabbricazione dell’oro e dell’argento), si amplia notevolmente se si considerano i ricchi ricettari tramandati dai due codici parigini – i Parisini gr. 2325 e 2327 – che aggiungono alle sezioni finora descritte vari testi di cui costituiscono i più antichi testimoni. In particolare, un’intera parte del manoscritto più antico (Parisinus gr. 2325, ff. 152-173) – che l’anonimo copista ha ben distinto dal resto del codice, lasciando una mezza pagina vuota prima

105 Simili trattamenti dei due metalli sono già descritti nel papiro di Leida (Halleux 1981, p. 40);

per lo stagno, si veda in particolare P.Leid.X. 2, 4, 36 e 59; per il piombo, invece, P.Leid.X. 1, 3 e 80.

dell’incipit e dopo l’explicit106 – conserva numerose ricette sulla fabbricazione delle

perle e delle pietre artificiali. Nello specifico il codice tramanda:

1) Un trattato intitolato Μέθοδος δι’ ἧς ἀποτελεῖται ἡ σφαροειδὴς χάλαζα, κατασκευαθεῖσα παρὰ τοῦ ἐν τεχνουργίᾳ περιβοήτου ἄραβος τοὺ Σαλμανᾶ, «Metodo tramite cui si fabbrica la perla tonda, preparato dal celebre artista arabo Salmanas» (ff. 152v-156r = CAAG II, pp. 364-367). Vi è descritto un complesso procedimento in cui

non precisati ‘granuli’ o ‘chicchi’ (χάλαζαι)107 di partenza sono disciolti tramite l’impiego

di diverse sostanze liquide, quindi mischiati a vari ingredienti – principalmente sale e mercurio – e modellati con specifici strumenti d’argento. Ottenuta la forma sferica, questi granuli sono fissati con un filo e cotti in forno all’interno del ventre di un pesce ben pulito: il risultato è un prodotto artificiale in tutto simile alle perle naturali. La datazione della ricetta è difficile, forse posteriore alla conquista araba, data l’iniziale menzione di Salmanas e la presenza di una pianta chiamata ζώκαρος, nome che potrebbe tradire un’origine semitica. Un’annotazione marginale nel codice (f. 153v),

comunque, recita: ὅρα τὴν οἰκονομίαν τῆς χρυσοποιίας108 καὶ μὴ πλανηθῇς, «Ammira il

procedimento per la fabbricazione dell’oro e non vacillare». Come notavano Berthelot- Ruelle109, l’anonimo commentatore bizantino probabilmente vedeva, dietro la

complessa tecnica descritta, la spiegazione ‘in codice’ di un processo di chrysopοeia, che, come si è già sottolineato, ha costituito uno degli interessi centrali di chi ha antologizzato i testi qui presi in esame.

2) Sedici procedimenti per lavare, lucidare o produrre perle artificiali (ff. 156r-159v

= CAAG II, pp. 368-371). Ciascuna ricetta è preceduta da un titolo autonomo che esplicita l’operazione descritta. Abbiamo, tra gli altri: Λύσις μαργάρου, «Dissoluzione di una perla»110, Λεύκωσις μαργαρίτων, «Imbianchimento delle perle»111 e Ἑτέρα ποίησις,

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