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4. LA CINESERIA NELLA LETTERATURA ROMANTICA INGLESE

4.3 Charles Lamb Old China

La cineseria fa la sua comparsa anche nel celebre saggio Old China di Charles Lamb, composto nel 1823 e pubblicato dieci anni dopo nella raccolta The Last Essays of Elia. Quest’opera, appartenente al genere del saggio autobiografico, contiene una serie di articoli scritti dall’autore per il London Magazine, nei quali Lamb sviluppò un personaggio immaginario chiamato Elia, pseudonimo ispirato dal nome di un impiegato italiano della South-Sea House, dove l’autore aveva lavorato da giovane.

In apertura del saggio troviamo quelli che possiamo definire i maggiori topoi dell’epoca sulla cineseria: la descrizione di un set da tè in porcellana, l’accenno alla presenza di una vetrinetta per le porcellane in ogni casa signorile che si rispetti, la passione per la cineseria vista come un capriccio femminile e infine l’iper-femminilizzazione degli uomini e delle donne orientali nella cultura occidentale.

Proprio come il bordo di una tazzina di porcellana, il saggio ha un andamento circolare. In questo suo andamento, la cineseria apre e chiude l’opera, ma la vera protagonista qui è l’individualità dell’io narrante. I primi quattro paragrafi, infatti, iniziano con il pronome soggetto “I” e al loro interno tale pronome viene espresso ben undici volte:

The essay begins by talking of old china but at every point touches and pursues other elements, especially the linkage of persons and economics. […] And if “Old China” returns to old china at the end, […] in between has gone through

110 extraordinary flights of the soul. That is, begins with a ground and ends with a return to that ground, much happening within that circuit. In “Old China” the ground is old china; but the introductory paragraphs had already offered the clue that much more would be broached31.

La struttura dell’opera è molto particolare: si tratta di quello che Mochi definisce il “viaggio di un pensiero”32. Elia, l’io narrante, riflette su una delle sue più grandi passioni, quella per le porcellane cinesi, “I have an almost feminine partiality for old china. When I go to see any great house, I inquire for the china- closet, and next for the picture-gallery.” 33 In questa sua ammissione il protagonista conferma la femminilizzazione del gusto per la porcellana cinese, un pregiudizio ben radicato nella cultura inglese già dal secolo precedente. L’intento di Elia, però, appare ben diverso da quello dei detrattori delle cineserie. Egli sembra voler riabilitare l’immagine delle cineserie, affermando di non vergognarsi di questa sua predilezione “I had no repugnance then – why should I now have ?”34 e sembra voler universalizzare il gusto per questa nuova arte “we have all some taste or other”35:

Interestingly, however, his admiration for china also universalizes porcelain: although he can neither recall when his “introduc[tion]” to porcelain took place, nor defend his preference, Elia nevertheless insists his predilection is socially widespread (“we have all”). By thus stressing the taste for porcelain as nearly primordial (a “taste ... of too ancient a date”), and privileging it over traditional aesthetic experiences (such as the paintings, plays, and exhibitions to which he contrasts it), “Old China” figures porcelain as a stimulus to “imagination” and

31 Garber, F., “The Romantic Familial Essay”, in Sondrup, S. P., Nemoianu, V., Gillespie, G.

(eds.), Nonfictional Romantic Prose: Expanding Borders, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 2004, pp. 272-273.

32 Cfr. Mochi, G., “La prosa del Romanticismo: i saggisti”, in Marenco, F. (a cura di), Storia

della civiltà letteraria inglese. Il Settecento, il Romanticismo, il Vittorianesimo, Torino, Utet, 1996,

p. 526.

33 Lamb, C., The Essays of Elia, and the Last Essays of Elia, London, New York and Toronto,

Henry Frowde, Oxford University Press, 1912, p. 332.

34 Ibidem. 35 Ibidem.

111 thereby conflates commodity culture with aesthetic inspiration to suggest an inclusive, consumer version of the romantic tradition36.

Come sostiene Karen Fang, il protagonista, oltre a universalizzare il gusto per la porcellana, sembra collocare l’origine della sua predilezione in uno stadio precognitivo: egli riesce a ricordarsi con precisione la prima volta in cui fu portato a vedere una rappresentazione teatrale o una mostra, ma non ha coscienza di quando per la prima volta fece il suo incontro con le porcellane cinesi: “I can call to mind the first play, and the first exhibition, that I was taken to; but I am not conscious of a time when china jars and saucers were introduced into my imagination37.

Quello delle cineserie è un mondo di fantasia dominato dall’immaginazione:

I had no repugnance then – why should I now have? – to those little, lawless, azure-tinctured grotesques, that, under the notion of men and women, float about, uncircumscribed by any element, in that world before perspective – a china teacup38.

Il mondo dipinto sulla vecchia tazza di porcellana è un “world before perspective” con le sue strane geografie e dimensioni. I disegni raffigurano un universo lontano spazialmente ma anche temporalmente, come quello descritto da Joanna Baillie nella sua Lines to a Teapot. Si tratta di un mondo quasi primitivo, bidimensionale, dove non vigono ancora i canoni prospettici occidentali.

In questa realtà “lawless”, non toccata dai principi dell’arte occidentale, le piccole, grottesche figure sembrano fluttuare nel vuoto, non fosse che per una sottile linea di blu scuro a imitazione della terraferma (“that speck of deeper blue, which the decorous artist, to prevent absurdity, had made to spring up beneath their sandals”39). Anche la caratterizzazione di genere viene persa in questo

36 Fang, K., op. cit., pp. 815-816. 37 Lamb, C., op. cit., p. 332. 38 Ibidem.

112 mondo immaginario: “I love the men with women’s faces, and the women, if possible with still more womanish expressions”40. L’autore anticipa così quelli che saranno i cliché sulla femminilizzazione dell’uomo orientale nella concezione occidentale41.

Elia si sente tanto vicino a quelle figure impresse nella sua mente da definirle “my old friends”42 . Le distanze spaziali e temporali vengono così annullate. Attraverso una descrizione ecfrastica delle raffigurazioni sulla porcellana (definite “speciosa miracula”43), l’oggetto prende forma. Quella che Lamb vede raffigurata nelle tazzine è una Cina immaginaria, la Cina del mitico Catai:

Here is a young and courtly Mandarin, handing tea to a lady from a salver – two miles off. See how distance seems to set off respect! And here the same lady, or another, – for likeness is identity on teacups, – is stepping into a little fairy boat, moored on the hither side of this calm garden river, with a dainty mincing foot, which in a right angle of incidence (as angles go in our world) must infallibly land her in the midst of a flowery mead – a furlong off on the other side of the same strange stream! Farther on – if far or near can be predicated of their world – see horses, trees, pagodas, dancing the hays. Here, a cow and rabbit couchant, and coextensive – so objects show, seen through the lucid atmosphere of fine Cathay44.

I riferimenti alla natura particolare della prospettiva cinese (“two miles off”, “in a right angle of incidence (as angles go in our world)”, “if far or near can be predicated of their world”) sembrerebbero apparentemente allontanare la scena descritta dalla realtà del racconto. Proseguendo nella lettura, invece, possiamo notare come la scena fittizia del Mandarino che serve il tè alla signora funga da corrispettivo per la scena che si sta svolgendo nella realtà del racconto, il tè pomeridiano di Elia e sua cugina Bridget:

40 Ibidem.

41 Cfr. Alayrac‐Fielding, V., op. cit., pp. 609-610. 42 Lamb, C., op. cit., p. 332.

43 Ivi, p. 333. 44 Ivi, pp. 332-333.

113 La scena fittizia richiama quella, molto reale e molto vicina, del tè pomeridiano della attempata coppia Elia e sua cugina Bridget (“La sera scorsa stavo dicendo a mia cugina, mentre prendevamo il nostro Hyson”): una conversazione un po’ stanca, le preziose tazzine, il senso di autocompiacimento che deriva da quel bene posseduto – e poi la percezione di un’ombra sul volto di Bridget (“Io colgo subito queste nubi estive”) 45.

L’occasione del tè, bevuto per la prima volta in uno splendido set di porcellane appena acquistato, dà a Elia lo spunto per una riflessione sulle loro recenti fortune economiche che hanno permesso l’acquisto di un bene così lussuoso (“could not help remarking, how favorable circumstances had been to us of late years, that we could afford to please the eye sometimes with trifles of this sort”46).

Significativamente, il titolo del saggio Old China, presenta un’ambivalenza. Da un lato esso fa riferimento al vecchio set di porcellana posseduto da Elia, una merce di lusso divenuta ormai accessibile, ma dall’altro la lettera maiuscola del sostantivo China indica il Paese, e in particolare quella che era la Cina prima dell’incontro-scontro con l’impero britannico. Essendo stato scritto un decennio prima dello scoppio della prima guerra dell’oppio, il saggio di Lamb assume quasi un carattere profetico: il possesso da parte di Elia delle tazze da tè cinesi diventa una sorta di metafora dell’ingresso della Gran Bretagna in Cina.

All this lexical play upon the word “china” that Elia performs has an imperial logic: because it more explicitly makes the object metonymize the East Asian empire, the conceit pretends that porcelain collecting is a way of possessing the country when porcelain purchasers such as Elia display a piece of China earth in British domestic space47.

In replica alle riflessioni di Elia inizia il lungo monologo di Bridget. Ella sostiene che in passato, quando si trovavano ad affrontare molte più difficoltà

45 Mochi, G., op. cit., p. 527. 46 Lamb, C., op. cit., p. 333. 47 Fang, K., op. cit., p. 823.

114 economiche e quando non potevano permettersi lussi a buon mercato, fossero molto più felici:

“I wish the good old times would come again,” she said, “when we were not quite so rich. I do not mean that I want to be poor; but there was a middle state,” – so she was pleased to ramble on, – In which I am sure we were a great deal happier”48.

Ora che hanno abbastanza soldi per comprare qualunque cosa desiderino, non trovano alcun piacere speciale in un acquisto. Ai vecchi tempi, quando bramavano comprarsi un lusso a basso costo, dovevano riflettere intensamente sui pro e i contro dell’acquisto, se davvero ne valesse la pena, e alla fine la felicità di potersi permettere l’oggetto tanto desiderato era impagabile: “A purchase is but a purchase, now that you have money enough and to spare. Formerly it used to be a triumph”49.

Bridget si lascia così trasportare dai ricordi e dalle emozioni. Ricorda i suoi sensi di colpa per aver acquistato una stampa a buon mercato di Leonardo, gli sforzi fatti da Elia per comprare un libro particolare, i risparmi per poter andare a teatro a vedere uno spettacolo dal loggione. Al tempo il denaro per loro possedeva tutto un altro valore e questi piccoli acquisti rappresentavano per Bridget una grande gioia.

Elia, però, non è d’accordo. Egli cerca di far notare a Bridget che sebbene la sua osservazione sulla loro felicità precedente sia vera, è altrettanto vero che quei sentimenti positivi erano maggiormente legati alla loro giovinezza piuttosto che alla loro condizione di ristrettezza economica. Se tale condizione fosse durata anche nel presente, non sarebbe stata certamente tollerabile. Alla fine della conversazione con Bridget, e quindi del saggio, Elia torna a contemplare le figure sulle sue tazzine di porcellana.

Per citare ancora una volta le parole di Giovanna Mochi:

48 Lamb, C., op. cit., p. 333. 49 Ibidem.

115 Alla lunga battuta di Bridget fa seguito quella, più breve ma altrettanto articolata, di Elia che, con una leggera correzione del percorso retorico – “È vero che eravamo più felici quando eravamo più poveri, ma eravamo anche più giovani, cara cugina” – punta nelle ultime righe, intensissime e brevissime, verso il vero tema […] della riflessione: la irreversibilità del tempo, e il desiderio impossibile di fermarlo – così come sono fermi, giovani e felici, il Mandarino e la Dama che prendono il tè sulla tazzina di porcellana50.

In questo senso, similmente a Lines to a Teapot, anche Old China rimanda alla keatsiana Ode on a Grecian Urn. Il tema centrale di entrambe le opere è, infatti, la celebrazione dell’arte, che però viene usata come veicolo per riflessioni più complesse. Così come in Ode on a Grecian Urn la descrizione dei motivi classici che decorano l’urna funge da stimolo per la riflessione sugli effetti del deterioramento nel tempo e la ricerca dell’immortalità, le tazzine di porcellana che Elia adora inducono i personaggi a una conversazione più profonda, un dibattito che commenta la fugacità del tempo e i cambiamenti di prospettiva che derivano dalla maturità.

Il poeta Keats si proponeva di contrastare la transitorietà della vita e ricercare l’immortalità attraverso la bellezza dell’opera d’arte. Come l’urna greca, infatti, le tazze di porcellana simboleggiano la realtà eterna dell’arte. Entrambi i manufatti rappresentano un elemento statico in un mondo in continua evoluzione. Il potere dell’arte poetica, infatti, è quello di presentare un mondo ideale cristallizzandone le azioni e i gesti attraverso l’immaginazione: come il giovane raffigurato sull’urna resterà per sempre nella trepidante attesa di baciare la ragazza, così il Mandarino cerimonioso servirà per sempre il tè alla Dama. La loro immutabilità, resa eterna attraverso la poesia, è espressione di bellezza. E se per Keats la contemplazione della bellezza coincide con la scoperta della verità (“Beauty is truth, truth beauty”51, verso 49), al termine di Old China Elia invita Bridget a

50 Mochi, G., op. cit., p. 527.

51https://www.poetryfoundation.org/poems/44477/ode-on-a-grecian-urn (consultato in data

116 osservare attentamente le tazzine di porcellana per dissipare i suoi dubbi sulla felicità presente: “And now do just look at that merry little Chinese waiter […]52.

Entrambi gli autori, inoltre, esprimono la loro vicinanza emotiva ai manufatti. Per Keats la bellezza dell’opera d’arte è l’unica consolazione in una vita di tristezza e dolore, perciò definisce l’urna “friend to a man”53. Similmente, Lamb definisce i personaggi disegnati sulle porcellane come “my old friends”54.

Infine, come l’urna di Keats non è soltanto il tema della poesia ma la poesia stessa, anche le raffigurazioni di cineseria, le opere d’arte all’interno della composizione di Lamb, diventano il simbolo dell’opera d’arte che le contiene, il saggio55.

I generi letterari scelti dai due poeti emulano così gli oggetti al centro dell’opera. Keats sceglie un genere letterario alto, come la poesia e in particolare l’ode, per parlare di un manufatto artistico dalla bellezza perfetta e sublime come l’urna greca. Lamb, al contrario, sceglie il saggio familiare dal tono intimo e di argomento domestico, adatto a quella che veniva definita una “minor art”, la cineseria56.

52 Lamb, C., op. cit., p. 338.

53 https://www.poetryfoundation.org/poems/44477/ode-on-a-grecian-urn (consultato in data

15/01/2020).

54 Lamb, C., op. cit., p. 332.

55 Cfr. Haven, R., “The Romantic Art of Charles Lamb” in ELH, 30, 2, Jun. 1963, p. 141. 56 Cfr. Fang, K., Romantic Writing and the Empire of Signs: Periodical Culture and Post-

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CONCLUSIONI

Nelle Letters from England del 1807 Robert Southey faceva affermare al suo personaggio in visita in Inghilterra, Don Manuel Alvarez Espriella: “plates and tea-saucers have made us better acquainted with the Chinese than we are with any other distant people”1. Nelle parole del fittizio viaggiatore spagnolo troviamo sintetizzati quasi due secoli di rapporti culturali tra Inghilterra e Cina.

Benché l’Inghilterra si fosse avvicinata alla Cina mossa da mire puramente economiche, l’influenza che lo stato orientale esercitò sul popolo inglese si rivelò ben più profonda.

I rapporti tra i due paesi furono segnati da forti incomprensioni culturali, che minarono profondamente lo svilupparsi di relazioni economiche e politiche.

Il senso di superiorità della Cina, che considerava l’Inghilterra alla stregua di uno stato vassallo, il pressoché totale disinteresse verso scambi economici paritari e l’atteggiamento di disprezzo che il governo cinese aveva adottato verso i diplomatici inglesi provocarono sentimenti contrastanti nel popolo britannico. Da un lato la Cina rappresentava una minaccia per la loro economia e un affronto all’integrità del loro onore, ma dall’altro lato il fatto di essere una nazione così impenetrabile ne aumentava il fascino, complici gli sporadici e spesso poco veritieri resoconti che giungevano da un mondo così lontano. Il Catai dell’immaginario europeo era così mitico proprio perché inaccessibile, esattamente come la Cina.

Nonostante i resoconti delle due ambasciate, Macartney e Amherst, avessero descritto una Cina arretrata, in grave declino politico e sociale e quindi ben diversa da quella comunemente immaginata, ciò non servì a sminuire il mito che si era ormai creato.

Quando i dazi per l’importazione di merci e porcellane cinesi divennero troppo elevati e la richiesta di prodotti si fece sempre più insistente, gli artigiani inglesi

1 Southey, R., Letters from England, by Don Manuel Alvarez Espriella., 2 vols, London,

118 iniziarono a produrre manufatti “pseudo-cinesi” fabbricati in Inghilterra, che imitavano uno stile cinese, le cosiddette “cineserie”.

La Cina veniva in questo modo percepita soprattutto attraverso oggetti che corrispondevano a una visione europea dell’Oriente piuttosto che a una sua rappresentazione autentica. Hugh Honour definisce la cineseria come “the expression of the European vision of Cathay”2.

Questa nuova moda fu determinante nel rafforzare la presenza materiale della Cina in Inghilterra. Nell’arco del Settecento porcellane, stoffe, carte da parati e complementi d’arredo fecero la loro sempre più frequente comparsa all’interno delle abitazioni inglesi. L’ormai consolidata abitudine di bere il tè, altro prodotto cinese divenuto icona dell’“inglesità”, era strettamente connessa con il possesso di porcellane cinesi. Un’attività sociale così alla moda necessitava infatti di strumenti e ambienti adeguati a questo rituale.

Spesso le abitazioni dell’upper class inglese ospitavano una “stanza cinese” con qualche frivolo mobile laccato all’orientale oppure un giardino in stile cinese.

L’onnipresenza domestica di motivi in stile cinese dà origine a quel fenomeno che Elizabeth Hope Chang chiama “familiar exotic”, una categoria paradossale che definisce ciò che è allo stesso tempo totalmente estraneo eppure ben conosciuto3. Le cineserie erano infatti un prodotto interamente inglese, che era ormai entrato a far parte della quotidianità domestica, ma pur sempre con un referente “altro”.

Si instaurò così quel rapporto metonimico per il quale la porcellana (china, in lingua inglese) divenne il segno concreto del suo referente culturale e geografico (China). Si tratta di un rapporto più complesso di un semplice riferimento geografico. Esso è la testimonianza della stretta interconnessione tra i due stati e del ruolo che la Cina ha rivestito nella formazione dell’identità britannica: “That imagined Chinese aesthetic system, for a wide variety of British writers and artists, became a defining corollary to an evolving British self-image”4.

2 Honour, H., op. cit., pp. 7-8. 3 Cfr. Hope Chang, E., op. cit., p. 6. 4 Cfr. Ivi, p. 4.

119 Oltre a essere considerati oggetti da collezionare e sfoggiare, le cineserie fecero ben presto il loro ingresso nel mondo della letteratura, a dimostrazione del profondo impatto culturale che esse esercitavano nell’Inghilterra dell’epoca.

Le opere che ho analizzato, infatti, mostrano il ruolo chiave rivestito dalle porcellane. Da metafora settecentesca dei desideri consumistici femminili e allo stesso tempo della fragilità della femminilità stessa, la porcellana ha assunto in alcune opere di inizio Ottocento un valore narrativamente e culturalmente significativo.

Thomas Henry Sealy si serve della cineseria per operare una riscrittura della celebre tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta in chiave tragicomica nella sua opera Hyson e Bohea. A Tale of the Tea-Pot. Il poeta finge perfino un intento interculturale affermando di aver tratto la storia da una poesia tradizionale cinese di sua invenzione.

Il poema, con la sua invocazione alla Musa del Tè, è una vera e propria celebrazione delle “intercultural commodities”, la porcellana e il tè. I due protagonisti portano i nomi dei due più celebri tè verde e nero dell’epoca, Hyson e Bohea. Essi sono due giovani innamorati, figli di due produttori di porcellane

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