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I rapporti tra Inghilterra e Cina nel periodo 1600-1850 e l’estetica della cineseria

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Academic year: 2021

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INDICE

TAVOLA DELLE ILLUSTRAZIONI ... 3

Elenco delle immagini ... 3

Elenco delle Tabelle ... 5

INTRODUZIONE ... 6

1. I RAPPORTI COMMERCIALI TRA INGHILTERRA E CINA ... 8

1.1 L’origine dei rapporti commerciali tra l’Europa e l’Estremo Oriente ... 8

1.2 L’incontro tra Inghilterra e Cina ... 12

1.2.1 Il commercio del tè ... 17

1.2.2 L’oppio ... 22

1.3 La cultura cinese e l’Occidente ... 26

2. I RAPPORTI POLITICI E LE IMPLICAZIONI CULTURALI: L’AMBASCIATA MACARTNEY ... 32

2.1 Il kowtow ... 35

2.2 Lo scambio dei doni ... 39

2.3 I resoconti dell’ambasciata ... 43

2.4 William Alexander dipinge la Cina ... 45

2.5 L’ambasciata inglese e la satira ... 51

2.6 L’ambasciata Amherst ... 59

3. L’ESTETICA DELLE CINESERIE E IL MITO DEL CATAI ... 68

3.1 L’immaginario del Catai ... 68

3.2 La nascita della moda della cineseria: la porcellana e le stoffe ... 72

3.3 La cineseria nelle decorazioni di interni ... 75

3.3 La cineseria come carta da parati ... 77

(2)

3.5 La cineseria e le donne. La porcellana come metafora della femminilità ... 86

3.5.1 La cineseria in The Rape of the Lock ... 88

3.5.2 Defoe e la cineseria come Humour ... 90

4. LA CINESERIA NELLA LETTERATURA ROMANTICA INGLESE ... 92

4.1 Thomas Henry Sealy - Hyson e Bohea. A Tale of the Tea-Pot ... 93

4.2 Joanna Baillie - Lines to a Teapot ... 99

4.3 Charles Lamb - Old China ... 109

CONCLUSIONI ... 117

BIBLIOGRAFIA ... 121

(3)

TAVOLA DELLE ILLUSTRAZIONI

Elenco delle immagini

Figura 1: Tè in Inghilterra, Mercurius Politicus, 23 Settembre 1658... 17

immagine tratta da: http://www.transcollectorsclub.org/annex/image-gallery/copeland-lectures/copeland-lecture-spode-and-the-china-trade/2-sct-trc-1625/

consultato in data 27/07/2019;

Figura 2: Cartolina di Mowbray & Son (1830), Victoria and Albert Museum... 20

immagine tratta da: https://collections.vam.ac.uk/item/O141276/trade-card-hoare-reeves/# consultato in data 28/07/2019;

Figura 3: Opium Smokers, Pu-Lun, Metropolitan Museum of Art, New York... 24

immagine tratta da: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/264366 consultato in data 06/06/2019;

Figura 4: William Alexander, The Emperor Receiving the Embassy (1793) ... 35

immagine tratta da: https://www.bl.uk/picturing-places/articles/william-alexander-pictures-china, consultato in data 27/05/2019;

Figura 5: William Alexander, A Peasant with his Wife and Family (1805) ... 46

immagine tratta da:

https://en.wikisource.org/wiki/The_costume_of_China,_illustrated_in_forty-eight_coloured_engravings, consultato in data 25/09/2019;

Figura 6: William Alexander, A View in the Gardens of the Imperial Palace at Pekin…... 48

immagine tratta da: https://collections.vam.ac.uk/item/O74234/the-emperor-of-chinas-gardens-watercolour-alexander-william/, consultato in data 25/09/2019;

Figura 7: Henry William Parish, View of the Emperor’s Park at Jehol (1793) ... 50

immagine tratta da: https://ohsapah.files.wordpress.com/2018/02/picturing-china.pdf, consultato in data 27/09/2019;

(4)

Figura 8: Alexander, View of the Eastern Side of the Imperial Park at Jehol (1804) ... 50

immagine tratta da:

https://britishlibrary.typepad.co.uk/.a/6a00d8341c464853ef01bb08b77f3f970d-pi, consultato in data 27/09/2019;

Figura 9: James Gillray, The reception of the diplomatique & his suite, at the court of Pekin

(1792) ... 54 immagine tratta da:

https://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.asp x?assetId=22721001&objectId=1477402&partId=1, consultato in data 05/08/2019;

Figura 10: Old Nick, The Chinese dinner. A fact, which occurred during Lord Macartney’s

Embassy to China ... 55 immagine tratta da:

https://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details. aspx?objectId=693200&partId=1, consultato in data 05/08/2019;

Figura 11: George Cruikshank, The court at Brighton à la Chinese!! (1816) ... 56

immagine tratta da:

https://research.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details/collect ion_image_gallery.aspx?assetId=785697001&objectId=3031651&partId=1, consultato in data 27/09/2019;

Figura 12: Robert Doyle, The Brother to the Moon’s Visit to the Court of Queen Vic (1842) ... 58

immagine tratta da: https://theprintshopwindow.wordpress.com/2017/02/13/the-brother-to-the-moons-visit-to-the-court-of-queen-vic-1842/, consultato in data 30/09/2019;

Figura 13: Porcellana di Bow, Londra, ca. 1765………... 74 immagine tratta da: http://collections.vam.ac.uk/item/O79607/dish-bow-porcelain-factory/, consultato in data 04/05/2019;

Figura 14: Secretaire attribuito a Thomas Chippendale, ca. 1773... 75

immagine tratta da: https://nttreasurehunt.wordpress.com/2010/05/15/lacquer-lost-and-found/, consultato in data 03/05/2019;

Figura 15: Claydon House, Buckinghamshire, 1760... 76 immagine tratta da: https://nttreasurehunt.wordpress.com/category/claydon-house/, consultato in data 05/05/2019;

(5)

Figura 16: Claydon House, Buckinghamshire, 1760... 76

immagine tratta da: https://nttreasurehunt.wordpress.com/category/claydon-house/, consultato in data 05/05/2019;

Figura 17: Pannello per carta da parati in stile cinese, Inghilterra, ca. 1740... 78

immagine tratta da: https://www.surfaceview.co.uk/va/vaa0145, consultato in data 15/05/2019;

Figura 18: Porzione di tappezzeria prodotta in Inghilterra ca. 1700... 78

immagine tratta da: https://www.vam.ac.uk/articles/chinese-wallpapers-and-the-chinoiserie-style,

consultato in data 15/05/2019;

Figura 19: Il giardino e la Grande Pagoda a Kew... 83

immagine tratta da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kew_Gardens_Pagoda.jpg, consultato in data 26/01/2020;

Elenco delle Tabelle

Tabella 1: Tè importato in Inghilterra (1664 – 1706) ………... 19 Tabella 2: Il commercio di tè della East India Company a Canton (1720 – 1760) ……….. 19 Tabella 3: Oppio importato in Cina……… 23

(6)

6

INTRODUZIONE

Tra il Seicento e il Settecento la Cina divenne una fonte di fascino e ammirazione per gli Europei. Voltaire nel suo Dictionnaire Philosophique, pubblicato nel 1754, parlava di quello cinese come di un governo illuminato, degno modello per i paesi europei1. Il filosofo ed economista Adam Smith, analizzando il sistema economico cinese nella sua opera del 1776 The Wealth of Nations, affermò: “China has been long one of the richest, that is, one of the most fertile, best cultivated, most industrious, and most populous countries in the world”2 e “China is much richer than any part of Europe”3. L’ammirazione verso la Cina, tuttavia, si estendeva al di là della sfera politica ed economica. Nel 1756 un corrispondente del settimanale inglese The World suggeriva ai giovani aristocratici di sostituire il Grand Tour attraverso l’Europa Occidentale con un viaggio a Pechino, verso il nuovo “impero del gusto”4.

In Europa si diffuse così un vero e proprio culto per i prodotti provenienti dalla Cina. Oltre alla seta e al tè, la porcellana, la carta da parati e i mobili laccati costituivano la maggior parte delle esportazioni cinesi ed esercitavano un’influenza diretta sulle arti decorative europee sotto forma di cineserie, uno stile decorativo che mirava a imitare i lussuosi manufatti orientali. L’Inghilterra fu uno dei Paesi che maggiormente subì il fascino delle cineserie e della Cina in generale. Oggetto del presente lavoro è pertanto lo studio dei rapporti tra Inghilterra e Cina nel periodo compreso tra il 1600 e il 1850, con una particolare attenzione all’arte della cineseria e ai suoi riflessi sulla letteratura del primo Ottocento.

Partendo dall’analisi dei primi rapporti commerciali tra l’Europa e Oriente, con la nascita della Via della Seta, verrà analizzata poi l’origine degli scambi tra Inghilterra e Cina all’inizio del diciassettesimo secolo. La fondazione di una base commerciale stabile a Canton permise alla Compagnia delle Indie Orientali di

1 Cfr. Voltaire, F., The Philosophical Dictionary, London, Printed for Wynne and Scholey,

1802, pp. 83-86.

2 Smith, A., The Wealth of Nations, New York, Collier, 1902, p. 129. 3 Ivi, p. 287.

4 Cfr. Kitson, P. J., Forging Romantic China: Sino-British Cultural Exchange 1760–1840, New

(7)

7 dare l’avvio a fiorenti traffici. In cambio di notevoli quantità di argento. venivano importate in Inghilterra spezie, seta e soprattutto tè. È grazie ai commerci con la Cina, infatti, che il tè, la futura bevanda inglese per eccellenza, iniziò a fare la sua comparsa nelle dimore britanniche, divenendo sempre più in voga.

Lo scarso interesse dei cinesi verso i prodotti inglesi e l’urgenza da parte degli inglesi di riportare nelle loro casse l’argento speso per l’acquisto dei prodotti orientali, soprattutto del tè, spinse i britannici a intraprendere il commercio illegale di oppio, che si rivelerà fatale per i rapporti tra i due Paesi.

L’arrivo in Cina delle due ambascerie inglesi, Macartney e Amherst, è al centro del secondo capitolo. Esse rivestirono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei rapporti politici e culturali che intercorrevano tra i due stati. Le profonde incomprensioni dovute alle notevoli differenze culturali tra i due mondi trasformarono radicalmente la visione della Cina da parte degli Inglesi e portarono allo scoppio dell’inevitabile conflitto tra i due stati e al lento declino dell’Impero cinese.

Il terzo capitolo tratterà nel dettaglio la moda della cineseria in Inghilterra. Dal termine francese Chinoiserie, “alla moda cinese”, questa moda europea dal gusto orientaleggiante ebbe origine nella secolare fantasia del Catai, la misteriosa terra d’Oriente che popolava l’immaginario europeo fin dal Milione di Marco Polo. Ne verranno così analizzate le origini e la diffusione nell’ambito delle porcellane, delle stoffe, della decorazione di interni e dei giardini, per dimostrare quanto ampiamente esse siano riuscite a penetrare nella cultura inglese.

Oltre alla sua presenza materiale in Inghilterra, la Cina fece la sua comparsa anche all’interno di opere letterarie. L’ultimo capitolo è infatti dedicato all’influsso dell’arte della cineseria sulla letteratura del primo Ottocento, attraverso l’analisi di tre opere: Hyson e Bohea. A Tale of the Tea-Pot di Thomas Henry Sealy, Lines to a Teapot di Joanna Baillie e Old China di Charles Lamb.

Con l’ingresso nella letteratura, gli ornamenti di cineseria perdono la loro funzione domestica e diventano opere d’arte con una storia da raccontare, media culturali che hanno il potere di mettere in comunicazione due mondi così diversi come Gran Bretagna e Cina.

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CAPITOLO PRIMO

I RAPPORTI COMMERCIALI TRA INGHILTERRA E CINA

1.1 L’origine dei rapporti commerciali tra l’Europa e l’Estremo

Oriente

Si possono trovare tracce di relazioni commerciali tra l’Europa e l’Estremo Oriente già nel III secolo a.C., quando i Greci estesero il loro controllo verso la Persia1. Proprio attraverso l’India e la Persia arrivavano in Europa prodotti cinesi e in Cina oggetti europei.

È però soltanto nel I secolo a.C., sotto la dinastia cinese Han, che gli scambi si intensificano lungo la via carovaniera che il geografo tedesco Ferdinand von Richthofen nel 1877 avrebbe battezzato come Seidenstraße, la “Via della Seta”2, la rotta commerciale che da Chang’an, l’odierna Xi’an, in Cina, giungeva ai paesi del Mediterraneo attraverso il Medio e Vicino Oriente. In questa sorta di globalizzazione ante litteram i prodotti viaggiavano così per oltre 7000 km tramite carovane trainate da cammelli. Queste carovane erano spesso soggette all’attacco di predoni ma venivano anche protette da milizie. I mercanti diretti alla volta della Cina portavano con sé una varietà di merci come spezie quali coriandolo, chiodi di garofano, sandalo, noce moscata, e mirra; prodotti di bellezza come indaco ed hennè; pietre preziose quali coralli, perle e diamanti; manufatti in vetro; bestiame e pellicce. La Cina a sua volta esportava altre tipologie di spezie (zenzero, curcuma, ginseng, cannella), tè, porcellana, avorio, giada e soprattutto la seta, che si era diffusa tra le classi più elevate divenendone il più ambito status symbol.

1 Cfr. https://www.britishmuseum.org/pdf/Chinese_trade.pdf (consultato in data 06/06/2019). 2 Hansen, V., The Silk Road: A New History, Oxford, Oxford University Press, 2012, p. 6.

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9 Nei tempi degli antichi Greci e Romani la Cina era conosciuta proprio come la patria della preziosa seta, chiamata serica, dal nome con il quale gli Ellenici chiamavano la Cina3.

È significativo come questa relazione metonimica si ripresenti secoli più tardi, quando gli inglesi nel Settecento avrebbero chiamato la porcellana china.

Gran parte della seta veniva importata dalla Cina grezza e fatta lavorare dai tessitori della Siria per ricavarne stoffe trasparenti che poi i ricchi Romani amavano portare sotto la toga. Lo sviluppo del commercio con l’Oriente, però, non incontrò il favore generale. Come fa notare lo studioso Hugh Honour, Plinio il Vecchio e Seneca erano disgustati dalla velatissima trasparenza della stoffa cinese, che minava il decoro di chi la indossava4.

Sotto l’imperatore Giustiniano (VI secolo) i commerci con la Cina subirono una battuta d’arresto. L’imperatore si rese conto che la brama di seta da parte dei Romani arricchiva i Persiani, con i quali erano in guerra, e decise di porre fine agli scambi facendo arrivare a Roma un carico di uova di bachi da seta di contrabbando.

Durante il Medioevo i contatti commerciali lungo la Via della Seta si affievolirono ulteriormente. L’Europa era troppo occupata con guerre intestine e crociate in Medio Oriente per interessarsi ancora dell’Estremo Oriente.

Soltanto verso la fine del XIII secolo la Via della Seta fu riaperta e i commerci con il resto dell'Asia rifiorirono. Questo grazie all’imperatore Kublai Khan, nipote del leggendario condottiero mongolo Gengis Khan, che conquistò cosa restava dell'Impero Cinese, stabilì la capitale a Dadu (l'odierna Pechino) e fondò la dinastia Yuan (1279-1368). Egli era solito ricevere a corte gli stranieri, il più famoso dei quali fu Marco Polo, che rimase al suo servizio per ben diciassette anni. È in questo periodo che grazie ai mercanti di ritorno dalla sontuosa corte di Kublai Khan tornano a fare il loro ingresso in Europa le creazioni degli artigiani cinesi. Per riprendere ancora una volta le parole di Honour “That this great influx of brocades and embroideries, so much finer in quality and richer in colour and

3 http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/serico/ sèrico1 agg. [dal lat. serĭcus «di seta», der.

di Seres, gr. Σῆρες, popolo dell’Asia centrale famoso nell’antichità per la fabbricazione e la lavorazione della seta] (pl. m. -ci), letter. – Di seta, della seta. (consultato in data 06/06/2019).

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10 design than any Europe could produce, should have aroused admiration and stimulated emulation is hardly surprising”5.

Così verso la metà del XIV secolo i tessitori di Lucca (all’epoca il più importante centro europeo di lavorazione della seta) iniziarono a cimentarsi nella riproduzione dei richiestissimi disegni orientali così alla moda in quel periodo: draghi, leoni e fenici.

Durante il Medioevo insieme alla seta cominciarono a giungere in Europa anche piccole quantità di porcellana, sebbene bisognerà aspettare fino al Cinquecento perché la moda del “bianco e blu” (prodotto ancora oggi a Jingdezhen, la capitale cinese della porcellana) prenda piede in Europa.

La loro singolare lucentezza le rese così desiderabili che i sovrani europei iniziarono a collezionarle. Perfino Enrico VIII e la regina Elisabetta I potevano annoverare tra i loro tesori preziosi esemplari di manufatti in porcellana. Come fa notare Donald Lach, intorno alla trasparente porcellana cinese oltre all’ammirazione aleggiava un’aura di mistero, tanto che il gesuita francese Loys Guyon decise di scriverne un trattato poiché “many of the collectors and connoisseurs of his day were still ignorant of what is was made of and where it came from”6. Si diceva inoltre che la porcellana avesse proprietà magiche, come quelle attribuite ad altre sostanze rare come il cristallo di rocca e le uova di struzzo7.

La richiesta di questo materiale in Europa era così grande che ancora prima della fine del XVI secolo gli artigiani cinesi avevano cominciato a fabbricare oggetti di porcellana bianca e blu destinati esclusivamente al mercato europeo.

In questo periodo cominciarono a fiorire anche i primi tentativi di imitazione, tra i quali il più celebre rimane quello della manifattura dei Medici a Firenze intorno al 1580, che però non riuscì a raggiungere la perfezione e la trasparenza delle porcellane cinesi.

Nel 1368, con la caduta della dinastia Yuan fondata da Kublai Khan e l’insediarsi al trono della dinastia Ming, che si protrarrà fino al 1644, il governo

5 Ivi, p. 35.

6 Lach D. F., Asia in the Making of Europe, Volume II: A Century of Wonder. Book 1: The

Visual Arts, Chicago, University of Chicago Press, 2010, p. 106.

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11 cinese decise di troncare ogni rapporto con l’Occidente e iniziare una politica rigidamente xenofoba.

A causa della disintegrazione dell’impero mongolo in una varietà di principati locali e della fine della cosiddetta pax mongolica, che aveva garantito una situazione di relativa tranquillità per i traffici, gli scambi commerciali lungo la Via della Seta si affievolirono. La scarsa sicurezza per i mercanti, spesso vittime di predoni, e l’aumento del commercio marittimo europeo contribuirono al declino della Via della Seta.

Nel Cinquecento, però, la richiesta dei prodotti orientali crebbe ulteriormente e di conseguenza i paesi europei cercarono di stabilire rotte marittime per scambi diretti tra Europa e Cina. Gli Europei, mossi dal rinascimentale “spirito di avventura” e dalla prospettiva di uno sviluppo economico, provarono a spingersi al di là delle rotte conosciute.

I primi ad arrivare in Cina furono i Portoghesi, i quali, grazie alla bolla Inter Caetera emessa da Papa Alessandro VI nel 1493, riuscirono a stabilirsi a Malacca, in Malesia, nel 1511. Proprio Malacca rappresentava il porto più occidentale di cui si servivano i mercanti cinesi, così in pochi anni i Portoghesi riuscirono a spingersi verso le coste cinesi e a inviare nel 1517 il loro primo ambasciatore, Tomé Pires, a Canton, dove fu costretto ad aspettare due anni prima di poter essere ricevuto a Pechino dall’imperatore cinese Ming Zhengde, per poi essere respinto in malo modo e imprigionato con l’accusa di spionaggio8.

Questo episodio, tuttavia, non riuscì a spegnere le speranze dei Portoghesi di poter ottenere un trattato commerciale, né riuscì a placare i mercanti cinesi, ansiosi di poter trarre profitto dai rinnovati contatti con gli Europei. Finalmente, nel 1557, i Portoghesi ottennero l’autorizzazione ufficiale a esercitare il commercio nella città di Macao, che rimase così sotto il dominio portoghese fino all’anno 1887, quando divenne a tutti gli effetti una loro colonia9.

Nel frattempo anche la Spagna si era spinta verso l’Asia, stabilendo una base commerciale nelle Filippine e fondando la città di Manila nel 1571. Proprio la

8 Cfr. Cortesão, A., The Suma Oriental of Tome Pires, 1512-1515, New Delhi, Asian

Educational Services, 1990, pp. 27-32.

9 Cfr. Gunn, G. C., Encountering Macau: A Portuguese City-State on the Periphery of China,

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12 fondazione di Manila proiettò la Spagna nel bel mezzo del network commerciale cinese10. Nel 1580 l’unione delle due corone, spagnola e portoghese, evitò il sorgere di rivalità commerciali tra le due potenze e per tutto il XVI secolo furono appunto i Portoghesi, insieme agli Spagnoli, a tenere le chiavi del commercio con la Cina, e gli oggetti cinesi giungevano in tutta Europa proprio grazie alle loro navi11.

Dopo i Portoghesi giunsero in Cina gli Olandesi, che approdarono nel porto di Canton per la prima volta nel 1600. Due anni più tardi fu fondata la loro Compagnia delle Indie Orientali, alla quale fu garantito il monopolio dei traffici commerciali olandesi tra il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Magellano12. Perpetrando atti di pirateria ai danni di vascelli spagnoli e portoghesi che trasportavano merci cinesi verso l’Europa, gli Olandesi riuscirono a diventare i principali esportatori in Europa di porcellana cinese nota come Kraak Porcelain, dalla deformazione in olandese del nome di un tipo di veliero usato comunemente dai portoghesi, la “caracca”13.

1.2 L’incontro tra Inghilterra e Cina

Anche il popolo inglese sentì il richiamo dell’Oriente, nel desiderio di trovare un mercato per la lana e soddisfare l’interesse nel commercio delle spezie ma, al contrario di quanto accaduto con le altre potenze europee dell’epoca, i rapporti commerciali tra Inghilterra e Cina furono inizialmente meno diretti.

Nel 1579 gli Inglesi ottennero il permesso dal sultano Murat III di commerciare nell’Impero Ottomano e di stabilire un consolato a Costantinopoli, fondamentale crocevia della rotta mercantile che univa Europa e Asia. Allo scopo

10 Cfr. Iaccarino, U., “Prime relazioni ispano-giapponesi. Dalla fondazione di Manila (1571)

alla morte di Toyotomi Hideyoshi (1598)”, in Amitrano G., De Maio, S. (a cura di), Nuove

prospettive di ricerca sul Giappone, Napoli, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 2012,

pp. 329-340.

11 Cfr. Flynn, D. O., and Giráldez, A., China and the Birth of Globalization in the 16th Century,

London, Ashgate, 2010, pp. 309-338.

12 Cfr. Capra, C., Storia moderna: 1492-1848, Firenze, Le Monnier Università, 2011, pp.

142-145.

13 Cfr. Vinhais, L., and Welsh, J., Kraak Porcelain: the Rise of Global Trade in the 16th and

early 17th Centuries, London, Jorge Welsh Books, 2008, p. 17 e Ketel, C., The First Supplies of Chinese Export Porcelain to the Netherlands at the Beginning of the 17th Century, paper given at symposium on Export Ware at Nanchang University, 2012, pp. 5-11.

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13 fu creata dalla regina Elisabetta I la compagnia commerciale Levant Company nel 1581, che portò i mercanti inglesi a diretto contatto con il commercio con l’Oriente e ne mostrò il reale potenziale.

I resoconti delle ricchezze dell’Estremo Oriente riportati da navigatori come Thomas Cavendish14 fornirono la spinta decisiva affinché l’esploratore Sir Robert Dudley e i due mercanti di Londra Richard Allen e Thomas Broomfield ottenessero dalla regina Elisabetta I l’autorizzazione e tre navi per il primo viaggio verso la Cina. Partirono nel 1596 portando con sé una lettera della regina per l’Imperatore cinese, con la richiesta di libertà di scambi commerciali e protezione. Questa spedizione, però, non raggiunse mai le coste cinesi, le malattie decimarono gran parte dell’equipaggio e il resto fu catturato e ucciso dagli Spagnoli15.

Il 31 dicembre 1600 la regina autorizzò la creazione della Compagnia inglese delle Indie Orientali. Come sottolinea lo storico Carlo Capra, sia nel caso della precedente Compagnia del Levante, sia nel caso di questa nuova e più fortunata Compagnia “non si trattava più di semplici corporazioni di mercanti, bensì di vere e proprie società per azioni che ottenevano dalla corona il «privilegio» esclusivo di commerciare con una certa area del globo, in cambio di prestiti e compartecipazioni agli utili”16.

La Compagnia inglese delle Indie Orientali ottenne dalla regina il monopolio per quindici anni di tutto il commercio inglese a est del Capo di Buona Speranza fino allo Stretto di Magellano. Successivamente, nel 1609, il re James I ne estese i privilegi, concedendo l’autorizzazione a commerciare in Cina, Giappone, Corea e Cambogia, e garantendo il monopolio del commercio con le Indie Orientali per un periodo indefinito. In poco tempo gli Inglesi riuscirono a stabilire basi commerciali a Bantam, in Indonesia, a Surat in India e a Hirado in Giappone17.

14 In un resoconto al suo mecenate Cavendish scriveva: “I navigated to the island of the

Philippines hard upon the cost of China, of which country I have brought such intelligence as hath not been heard of in these parts: the stateliness and riches of which country I fear to make report of, lest I should not be credited”, citato da Johnstone, C. I., Lives and Voyages of Drake, Cavendish,

and Dampier: Including an Introductory View of the Earlier Discoveries in the South Sea, and the History of the Bucaniers, New York, J. & J. Harper, 1832, p. 149.

15 Cfr. Pritchard, E. H., Anglo-Chinese Relations during the Seventeenth and Eighteenth

Centuries, Urbana, University of Illinois, 1929, p. 46.

16 Capra, C., op. cit., p. 131.

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14 Oltre alla seta, il commercio era incentrato soprattutto sulle spezie: pepe, chiodi di garofano, macis e noce moscata erano i maggiori oggetti di importazione, mentre ferro, stagno e lingotti d’argento erano le principali merci di esportazione18. Questa autorizzazione, però, non recò molti vantaggi alla Compagnia, a causa della presenza dei Portoghesi, che si erano ben consolidati in quei luoghi, e soprattutto a causa della rivalità con la Compagnia olandese delle Indie Orientali. Questi ultimi, infatti, avevano a loro disposizione inizialmente più navi, uomini e capitali degli Inglesi, e si immersero nel commercio orientale con maggiore energia. I contrasti tra le due compagnie culminarono con il cosiddetto “massacro di Ambonya” del 1623, che escluse di fatto gli Inglesi dal commercio a est dell’India e consolidò la supremazia olandese nel mercato delle spezie sulle coste cinesi e in Giappone.

Soltanto nel 1637 gli Inglesi tentarono di stabilire dirette relazioni commerciali con la Cina, inviando una flotta di quattro navi sotto il comando del capitano John Weddel diretta verso Macao. Queste navi non appartenevano alla Compagnia inglese delle Indie Orientali, bensì alla Courten’s Association, una compagnia rivale formatasi due anni prima e che godeva del favore del re Charles I. Questa spedizione incontrò l’astio dei Portoghesi, che tentarono di far rivoltare contro di loro i cinesi per impedire loro l’ingresso a Canton, ma senza successo. Il commercio andò quindi a buon fine e permise di far arrivare in Inghilterra un carico pieno di spezie, seta e porcellana19.

Questa spedizione, comunque, non servì a dare l’avvio a traffici fiorenti tra i due paesi. Le due ragioni principali furono la momentanea crisi della Compagnia, minacciata dalla nascita di compagnie rivali che godevano dell’appoggio e dei fondi del re Charles I prima e di Cromwell successivamente, e la grave situazione di lotte interne che stava vivendo la Cina tra il 1644 e il 1660, anni caratterizzati dal lungo conflitto tra la dinastia imperiale Ming e gli invasori Manciù, che daranno inizio alla dinastia Qing.

18 Cfr. Stevens, H., The Dawn of British Trade to the East Indies: As Recorded in the Court

Minutes of the East India Company, 1599-1603; Containing an Account of the Formation of the Company, the First Adventure, and Waymouth's Voyage in Search of the North-West Passage,

London, H. Stevens & son, 1886, pp. 36-37.

19 Cfr. Coates, A., Macao and the British, 1637–1842: Prelude to Hong Kong, Hong Kong,

(15)

15 Con l’ascesa al trono di Charles II (1660) e poi di James II (1685) la situazione per la Compagnia inglese delle Indie Orientali migliorò notevolmente. L’attuazione di una politica anti-olandese (conclusasi con il trattato di Westminster del 1674) e gli accordi con il Portogallo del 1654 e 1661 favorirono una notevole espansione dei commerci con l’Oriente. Gli Inglesi, inoltre, approfittarono della guerra civile cinese supportando gli avversari dei Manciù, che governavano le regioni meridionali della Cina, in cambio dell’apertura dei porti di Amoy e Formosa. Al termine della guerra intestina cinese ascese al trono l’imperatore Kangxi, che si era sempre mostrato favorevole verso una politica di apertura agli stranieri, al contrario della dinastia precedente. Fu proprio durante questo periodo di pace e prosperità per il Celeste Impero che il commercio con l’estero ebbe la possibilità di fiorire.

Nella seconda parte del diciassettesimo secolo il commercio inglese in Cina si sviluppò su tre porti, Amoy, Chusan (l’odierna Zhoushan) e soprattutto a Canton, che in breve tempo riuscì a diventare il centro gravitazionale degli scambi. Lo studioso Pritchard ne individua le ragioni:

The reasons for the gravitation of trade to Canton are not far to seek. At the other two ports the exactions were higher and more irregular; […] contracts were insecure; the stock and quality of goods were low, and the harbours were poor. At Canton a more regular system was established due to the greater experience of this port with foreign trade, exactions were lower and not so bald and raw, the harbour was good, and reliable merchants were found in the persons of Hunshunquin and Linqua. Supercargoes expressed their preference for Canton […]20.

Nel 1715 fu permesso alla Compagnia di aprire una propria stazione commerciale permanente (factory, come veniva definita nel diciassettesimo secolo) proprio a Canton, che diventò così la base delle loro operazioni cinesi e che mantennero fino alla fine del loro monopolio del commercio britannico nel 1834.

(16)

16 In questo periodo gli unici commercianti britannici a Canton erano gli agenti di questa compagnia oppure mercanti britannici e indiani autorizzati a commerciare lì sotto la licenza della compagnia. I vascelli di questi ultimi erano conosciuti come country ships, per distinguerli dalle maestose navi della Compagnia che facevano scalo tra Inghilterra e Cina.

Il commercio della Compagnia si sviluppava in un triangolo ai cui vertici si trovavano Inghilterra, India e Cina. Le merci venivano spedite in India (dove gli Inglesi avevano già fondato importanti basi commerciali) e scambiate con argento, il quale veniva esportato in Cina in cambio di tè e seta, che a loro volta venivano riportate in Inghilterra e vendute lì con grandi profitti. Parte dell'argento e una piccola quantità di merci venivano inoltre spediti direttamente in Cina21.

Erano gli agenti della Compagnia (supercargoes), organizzati in un consiglio con un comitato selezionato come organo esecutivo, a controllare le relazioni commerciali dell'Inghilterra con la Cina. Dal lato cinese, invece, a dominare il commercio erano l’Hoppo (nome in Chinese Pidgin English, probabilmente derivato dall'Hu Pu, o Commissione per le Entrate di Pechino), l’ufficio doganale imperiale incaricato della riscossione di tutti i dazi doganali e di misurazione, e i Cohong, una “gilda” di mercanti cinesi, autorizzata a esercitare il commercio con l'estero e che in regime di monopolio stabiliva prezzi e volumi degli scambi22.

E. H. Pritchard ci fornisce informazioni sulle merci di importazione in Cina e di esportazione verso l’Inghilterra in questo periodo:

The chief articles of import were broadcloths, long eels, other types of woollens, lead and silver. The most important exports, outside of tea and raw and woven silk, were: quicksilver, sugar, sugar candy, vermillion, camphor, china-root, alum, tutenague, china-ware, rhubarb, copper, fans, and gold. The China trade was at last on a sound basis, and in tea it had an article that made its permanence a necessity23.

21 Cfr. Treat, P. J., The Far East: A Political and Diplomatic History, New York, Harper &

Brothers, 1928, p. 58.

22 Cfr. Pritchard, E. H., op. cit., p. 82. 23 Ivi, p. 87.

(17)

17 1.2.1 Il commercio del tè

Nell’immaginario collettivo il tè rappresenta la bevanda inglese per eccellenza. Si trattava di un prodotto ampiamente conosciuto in Oriente, ma era praticamente sconosciuto in Europa prima che la Compagnia Olandese delle Indie Orientali lo introducesse nel Vecchio Continente agli inizi del quindicesimo secolo. I resoconti dei viaggi in Oriente contribuirono a creare interesse verso “the mysterious drink made from the ‘herb cha’, which travellers had tasted in China and described in glowing terms”24.

Il primo documento che attesta l’arrivo del tè in Inghilterra è una pubblicità sulla rivista Mercurius Politicus numero 435 del settembre 1658 per la coffehouse Sultaness Head a Londra:

That excellent drink and by all Physitians approved China Drink called by the Chineans Tcha, by other nations Tay, alias tee, is sold at Sultaness Head, a cophee-house in Sweeetings Rents, by the Royal Exchange, London25.

Del tè, quindi, venivano esaltate le proprietà medicinali, come mostra lo studioso William H. Ukers citando il medico olandese Nikolas Dirx che scriveva sotto lo pseudonimo di Nicolas Tulpius nelle sue Observationes Medicae del 1641:

Nothing is comparable to this plant. Those who use it are for that reason, alone, exempt from all maladies and reach an extreme old age. Not only does it procure great vigor for their bodies, but it preserves them from gravel and gallstones, headaches, colds, ophthalmia, catarrh, asthma, sluggishness of the

24 Honour, H., op. cit., p. 51.

25 Tratto da Encyclopædia Britannica:

https://archive.org/details/Encyclopaediabri26chisrich_201303/page/n513 (consultato in data: 27/07/2019).

Figura 1: Tè in Inghilterra, Mercurius

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18 stomach and intestinal troubles. It has the additional merit of makes it great help to persons desiring to spend their nights writing or meditating. Also, all of the utensils meant for the preparation of tea are objects of great luxury, and the Chinese prize them as highly as we do diamonds, precious stones and pearls; nor do they have, as to price, an inferior place to diamonds, jewels and pearl ornaments among us26.

Nel 1660 il tè, però, doveva essere ancora una novità, infatti il politico e scrittore Samuel Pepys annota nel suo diario il 25 settembre:

To the office, where Sir W. Batten, Colonel Slingsby, and I sat awhile, and Sir R. Ford coming to us about some business, we talked together of the interest of this kingdom to have a peace with Spain and a war with France and Holland; where Sir R. Ford talked like a man of great reason and experience. And afterwards I did send for a cup of tee (a China drink) of which I never had drank before, and went away27.

A causa degli alti costi di importazione, il tè rappresentava inizialmente un bene di lusso ed era quindi appannaggio della sola upper class inglese. Markman, Coulton e Mauger ne sottolineano il costo quasi proibitivo per l’epoca: “The expense of the commodity was astonishing: £6 for a pound of tea is equivalent, in purchasing power, to more than £847 today”28 e ancora “ […] tea was six to ten times more expensive than coffee, which, even allowing for the different manner of preparation, suggests that it was an outrageously expensive luxury”29.

Nonostante ciò, il fascino di questa merce esotica iniziò a diffondersi e il tè divenne presto la bevanda più in voga dell’epoca. La sua richiesta in Inghilterra subì così un’enorme crescita.

26 Ukers, W. H., All about Tea, 2 vols, New York, The Tea and Coffee Trade Journal Company,

1935, I, pp. 31-32.

27 https://www.pepysdiary.com/diary/1660/09/25/ (consultato in data: 02/08/2019).

28 Ellis, M., Coulton, R., Mauger, M., Empire of Tea: The Asian Leaf that Conquered the

World, London, Reaktion books, 2015, p. 32.

(19)

19 Dal 1650 l’importazione si sviluppò su basi commerciali, come possiamo vedere da questa tabella relativa alla quantità di tè importato in Inghilterra nel periodo 1664 -1706:

Year No. lbs. Year No. lbs. Year No. lbs.

1664 2 lbs. 2 oz. 1678 4,717 1695 132

1665 22 3/4 1685 12,070 1700 91,183

1670 79 1690 41,471 1706 137,748

Tabella 1: Tè importato in Inghilterra (1664 – 1706)30

Questa tabella, invece, illustra le importazioni di tè e seta negli anni successivi, tra il 1720 e il 1760:

Year Pounds of Tea

Sold at Co. Sales in London Amount realized on Sales £ Pounds of Silk Imported into England 1720 1729 1732 196,625 1,416,028 620,496 129,398 446,836 180,626 512 4,550 47,481 1737 2,895,529 592,504 ….. 1742 690,807 172,792 2,361 1746 1753 1760 2,524,165 2,824,604 2,626,552 573,028 637,367 831,894 2,116 83,124 75,693

Tabella 2: Il commercio di tè della East India Company a Canton (1720 – 1760) 31

Pritchard riesce a individuare i motivi di una così rapida crescita nelle importazioni di tè in Inghilterra:

Tea was the chief export from Canton. Despite the high duties levied in England the amount exported rose slowly until 1784. The chief causes for this

30 Pritchard, E. H., op. cit., p.71. 31 Ivi, p. 122.

(20)

20 growth were: the gradual expansion of the tea-drinking habit to the lower classes of England, the increased consumption on the part of the upper classes, and the increase of population generally, providing more mouths to be fed32.

Il fascino della bevanda esotica, quindi, dopo aver colpito per prima l’aristocrazia inglese, divenendone uno status symbol, si diffuse presto tra la middle class e, nel diciannovesimo secolo, anche tra working class inglese.

On the first introduction of it, the high price certainly rendered it a luxury attainable only by the most opulent classes: but afterwards, and especially since the reduction of the duty in the year 1784, tea has become an economical substitute to the middle and lower classes of society, for malt liquor, the price of which renders it impossible for them to procure the quantity sufficient for them as their only drink […]33.

Ovunque si potevano trovare pubblicità e cartoline che reclamizzavano il tè, il “fashionable drink” 34 per eccellenza dell’epoca.

Il tè divenne quindi parte integrante della vita degli Inglesi dell’epoca, dalle coffehouses all’intimità della famiglia e proprio questa bevanda è strettamente connessa con l’inizio della moda della cineseria in Inghilterra. Anche gli strumenti per il suo consumo, infatti, subirono l’influenza dell’Estremo Oriente, così fecero la loro comparsa sui tavolini da tè inglesi tazze, bricchi e teiere provenienti dalla Cina oppure autoctone ma con

32 Ivi, p. 161.

33 Macpherson, D., The History of the European Commerce with India: To which is Subjoined

a Review of the Arguments for and Against the Trade with India, and the Management of it by a Chartered Company, with an Appendix of Authentic Accounts, London, Longman, Hurst, Rees,

Orme, and Brown, 1812, p. 132.

34 Pritchard, E. H., op. cit., p. 70.

Figura 2: Trade card for Mowbray & Son (1830), Victoria

(21)

21 fattezze orientali: “genuine Chinese porcelain vessels were, of course, preferred, but before the end of the seventeenth century cups and teapots of an oriental flavour were being made in Staffordshire”35.

Purtroppo questo periodo di traffici fiorenti iniziò il suo lento declino con la morte dell’imperatore Kangxi e l’ascesa al trono prima dell’imperatore Yongzheng nel 1723 e successivamente di Qianlong nel 1736, i quali diedero gradualmente inizio a una politica di chiusura verso gli stranieri che, come vedremo, colpì duramente le sorti della Compagnia. Nel 1757, infatti, l’imperatore stabilì che tutto il commercio con l’estero fosse confinato nella città di Canton, “at which place it was conducted under very onerous conditions”36 e “under severe and humiliating regulations37, dando così inizio a quello che viene chiamato Canton System. Nello stesso editto venivano stabilite altre norme:

Other regulations were enforced with a considerable degree of effectiveness, such as that foreign ships of war must not enter the Pearl River ; that women must not be brought to the factories; that foreigners must not use sedan chairs or row on the river for pleasure; and that none should remain at Canton after the ships had laden and sailed away38.

Oltre alle vicende interne alla Cina, ci furono altri fattori che danneggiarono il monopolio dei commerci posseduto dalla Compagnia. Tra tutti ricordiamo i cospicui dazi imposti sul tè dal governo inglese, che nel 1744 raggiunsero il 44% ad valorem39. Ciò provocò un’intensa l’attività di contrabbando di questo prodotto, tanto che possiamo affermare che “one-half of the tea consumed in England was smuggled”40.

35 Honour, H., op. cit., p. 52. 36 Pritchard, E. H., op. cit., p. 92. 37 Ivi, p. 14.

38 Treat, P. J., op. cit., p. 61. 39 Pritchard, E. H., op. cit., p. 89. 40 Ivi, p. 90.

(22)

22 1.2.2 L’oppio

Accanto al tè cominciò ad affacciarsi nel mondo degli scambi commerciali con la Cina una nuova merce, l’oppio.

L’oppio deriva dal succo estratto dalla capsula alla base del fiore di papavero e rappresenta una vecchia conoscenza della medicina tradizionale cinese:

The poppy has been known in China for at least twelve centuries, its medicinal use for nine centuries, and that the medicinal properties lay in the capsule for six centuries. Opium has been made in China for four centuries41.

L’oppio, infatti, fece il suo ingresso in Cina fin dall’ottavo secolo, commerciato dai mercanti arabi. In quell’epoca veniva soprattutto assunto oralmente, in funzione di medicina. I primi mercanti a introdurre l’oppio da fumo, miscelato con il tabacco e utilizzato in una pipa, furono gli Olandesi nella prima metà del diciassettesimo secolo, e successivamente ne assunsero il mercato i Portoghesi42.

Sebbene le importazioni di oppio da parte dei Portoghesi fossero comunque esigue, contando circa 200 bauli all’anno43, l’imperatore cinese decise di adottare misure drastiche per contrastarle:

The year 1729 was notable for the first imperial decree prohibiting the selling of opium in China and providing for the confiscation of ships that brought it. A penalty of death was to be imposed on anyone who would buy the drug or operate an opium smoking house44.

41 Morse, H. B., The Trade and Administration of the Chinese Empire, London, New York,

Bombay, and Calcutta, Longmans, Green, and Co., 1908, p. 337.

42 Cfr. Dikötter, F., Laamann, L. P., Zhou, X., Narcotic Culture. A History of Drugs in China,

Chicago, University of Chicago Press, 2004, p. 32.

43 Cfr. Edkins, J., Opium: Historical Note: Or, The Poppy in China, Shanghai, American

Presbyterian Mission Press, 1898, p. 37.

(23)

23 Nonostante il decreto il commercio di oppio in Cina continuò fino a raggiungere la massima espansione proprio nelle mani degli Inglesi, dopo la loro conquista del Bengala da parte del generale Robert Clive nel 1773.

In 1773, after the East India Company had stood forth as the owners of the provinces of Bengal and Behar in India, where the best opium was produced, it created a monopoly of its manufacture. The product prepared in its establishments was of such superior quality that it soon commanded a premium in China. At first, licensed merchants carried the opium from Calcutta to Canton, and these were principally Parsees, but in 1780 the company began to participate directly in the carrying trade45.

Inizialmente, quindi, il commercio di oppio era affidato a mercanti indiani autorizzati dalla British East India Company con uno scopo ben preciso: “the money received for these articles was paid into the Company’s treasury at Canton in return for bills on London, and so could be used by the organization in balancing its accounts”46.

Year Lowest Estimate chest Highest Estimate chest Number of Chests sold at Bengal sales Selling Price per Chest in Canton Prior to 1767 per year 100 200 … £ 200 1767 200 1000 … £ 200 1773 1000 … … … 1780 … … … $ 200 - 550 1781 – 782 1400 1600 … $ 200 - 300 1786 1300 2000 … $ 388 1790 4054 5054 … $ 370 1795 – 796 1070 1814 5183 … 1800 – 3224 4570 4788 …

45 Treat, P. J., op. cit., p. 65. 46 Pritchard, E. H., op. cit., p. 159.

(24)

24 1801

Tabella 3: Oppio importato in Cina47

Quando la Compagnia iniziò a partecipare direttamente al commercio, la quantità importata aumentò notevolmente e il fumo di oppio da parte dei cinesi intorno a Canton cominciò ad allarmare i funzionari. L’oppio stava diventando una vera e propria piaga sociale. L’abitudine al fumo di questa sostanza si diffuse soprattutto tra i dipendenti governativi e tra i soldati, ma vi erano oppiomani anche tra i membri del clan imperiale, gli eunuchi e le guardie di palazzo.

Fino agli inizi dell'Ottocento, come si è accennato, la Cina era

un paese prevalentemente

esportatore (tè, seta, tessuti, porcellana), mentre erano falliti tutti i tentativi inglesi di crearvi un mercato per i loro prodotti, il cotone tra tutti. La bilancia dei pagamenti, quindi, era nettamente a

favore della Cina. Nelle mire del governo inglese e della Compagnia lo scopo della vendita di oppio doveva essere proprio questo: riportare nelle casse inglesi l’argento che era stato speso per l’acquisto dei prodotti cinesi, soprattutto del tè.

Come vedremo più avanti, la prima ambasciata inglese guidata da Lord Macartney nel 1793, allo scopo di aprire relazioni politiche ufficiali con la Cina per far fronte alle restrizioni imposte dal Canton System, non ottenne i risultati sperati e nel 1796 l'imperatore Jiaqing, successore di Qianlong, rinnovò i già stabiliti divieti contro la vendita della droga. Ciononostante, l'incapacità degli ufficiali e la dilagante corruzione dei funzionari non furono in grado di far fronte a una crescente domanda popolare.

Nel 1800 l'imperatore Jiaqing emise un ulteriore editto che proibiva l'importazione di oppio e la coltivazione del papavero in Cina. Da quel momento, fino al 1858, anno del trattato di Tientsin, l'importazione di oppio avvenne

47 Ivi, p. 160.

Figura 3: Opium Smokers, dell’artista Pu-Lun, conservato

(25)

25 attraverso il contrabbando, con la connivenza di ufficiali cinesi, come fa notare lo studioso Joseph Edkins:

They advocated the prohibition of the trade, and the Government consented to their advice, and frequently issued prohibitory edicts, but too often some of the officials themselves smoked, or their nearest friends smoked and so the hand of interference was paralysed […]48.

Come affermano Sabbatini, Santangelo e Ostellino nella loro Storia della Cina:

La richiesta della droga crebbe velocemente, determinando una serie di danni economici, morali, fisici e sociali, che provocarono la reazione delle autorità cinesi. Infatti, il crescere di grossi interessi attorno a tale spaccio aveva favorito notevolmente la diffusione della corruzione a tutti i livelli e la formazione di una rete di delinquenza organizzata. L'incremento delle vendite dell’oppio, inoltre, aveva portato ad un crescente drenaggio di argento. […] Di fatto, i reiterati divieti non fecero che accrescere il contrabbando: l'importazione di oppio salì da 120 tonnellate nel 1800 a 2.400 nel 183849.

Dopo il 1800, quindi, la quantità importata aumentò con grande rapidità. Per la prima volta i mercanti stranieri controllavano un prodotto che compensava quasi il costo dei beni cinesi che cercavano e l’argento cominciò a defluire dalle casse dell’Impero cinese in quelle dello stato inglese.

Questa situazione metteva in pericolo la stabilità dell’Impero, così il governo cinese decise di adottare una misura drastica. Nel 1839 venne inviato a Canton, il maggiore centro di smistamento dell’oppio, il commissario imperiale Lin Zexu, con l’obiettivo di porre fine al mercato illegale e punire gli oppiomani. Lin fece così requisire e bruciare ventimila casse d’oppio appartenenti ai mercanti inglesi e americani.

48 Edkins, J., op. cit., p. 43.

49 Sabattini, M., Santangelo, P., Ostellino, P., Storia della Cina, Roma-Bari, Laterza, 2005, p.

(26)

26 In risposta, le truppe britanniche attaccarono la Cina, dando inizio a quella che sarà ricordata come la I Guerra dell’Oppio50.

Nonostante l'esercito cinese fosse di gran lunga più numeroso di quello inglese, la loro tecnologia, le armi e le tattiche erano completamente inadeguate a una guerra. I Qing si arresero nel 1842 e ciò segnò un colpo decisivo e umiliante per la Cina.

Il trattato di Nanchino, che pose fine alla guerra, garantiva ai britannici l’apertura di alcuni porti dei porti di Canton, Shanghai, Ningbo, Xiamen e Fuzhou, il libero commercio dell’oppio e degli altri loro prodotti nelle province meridionali con basse tariffe doganali e stabiliva la cessione di Hong Kong all’impero inglese51.

Era iniziata così l’epoca dei cosiddetti “trattati ineguali” da parte di stati stranieri verso l’Impero Cinese, che ne sancirono il lento declino.

1.3 La cultura cinese e l’Occidente

Come fa notare Earl H. Pritchard nella sua opera Anglo-Chinese relations during the Seventeenth and Eighteenth centuries (1929) le relazioni internazionali tra Cina ed Europa in generale hanno sempre incontrato notevoli difficoltà dovute alle differenze culturali tra i due mondi:

the specific points of conflict have been first over trade; next over the treatment of foreigners, especially the official representatives of other nations; and finally over religious doctrines. […] The persons who led the movement to China were ambitious, grasping adventurers and businessmen, and the clashed with Chinese conservatism. The overstepped barriers and trampled on sacred traditions and customs. All of this created trouble and caused the Chinese to look with dislike upon the foreigners52.

50 Cfr. Ivi, p. 532. 51 Cfr. Ibidem.

(27)

27 Il carattere quieto e passivo che caratterizzava la cultura cinese dell’epoca si scontrava quindi con quello aggressivo degli occidentali, che venivano considerati alla stregua di invasori. I cinesi erano governati a livello locale da una classe di letterati-burocrati ai diretti ordini dell’imperatore, che esercitavano il loro potere attraverso ingiustizie, corruzione e malversazione. Tutto questo allo scopo di mantenere lo status quo delle cose con il minimo sforzo, in una condizione di tranquilla immobilità che il popolo accettava quietamente, imbevuto dalla dottrina di Confucio, che esaltava sopra ogni altra le virtù dell’obbedienza e della sottomissione gerarchica.

The Chinese generally submitted quietly to all forms of local exaction and oppression, and tried to avoid, as much as possible, relations with the imperial officials. Under such a system the mandarin practised his extortion and domination at will, each act of submission on the part of the people increasing his arrogance and conceit. However, when he tried the same tactics on the haughty and independent Europeans, serious conflict arose53.

I letterati, inoltre, avevano sviluppato una forte convinzione nella loro superiorità e nella superiorità del Regno di Mezzo, da loro ritenuto lo stato perfetto. L’ingresso in Cina da parte dei mercanti occidentali prima e successivamente dei missionari religiosi, veniva quindi malvisto e ostacolato:

These scholars were literally steeped in the ancient classics. They were convinced of the absolute superiority of Chinese culture. […] Thus they were naturally opposed to new ideas which would, as it were, spoil the market for their wares. The scholars, therefore, were opposed to Western learning and modern innovations, and as they were the recognized leaders of the people they blocked the encroachment of new ideas54.

Questo loro atteggiamento fu poi decisivo nel contribuire alla nascita di un sentimento antioccidentale in tutta la popolazione cinese:

53 Ivi, p. 19.

(28)

28 The Chinese did not seek intercourse with Western peoples. Their policy was one of seclusion rather than expansion. They considered their kingdom to be the greatest and the strongest in all the world. Their emperor was the Son of Heaven. They had never recognized any power to be on terms of equality, hence all relations with them had been considered those of a vassal with its overlord. They needed almost nothing which the Western merchants could bring to them, and the few articles they received were usually luxuries rather than necessities, or obtained to gratify an acquired taste. Their self-sufficiency, and their isolation due to physical barriers, strengthened their belief that they could fix their own terms in dealing with the foreigners. Trade regulations would be imposed according to the emperor's will, and not under the terms of formal treaties55.

L’atteggiamento di disprezzo che il governo cinese aveva adottato verso i mercanti occidentali è confermato dal fatto che il commercio venisse considerato un’attività subordinata a tutte le altre e che i mercanti fossero ritenuti l’ultimo gradino della scala sociale. L’unica attività lavorativa considerata fonte di ricchezza permanente era infatti l’agricoltura.

Un’altra fonte di problemi tra la cultura cinese e quella occidentale è rappresentata da quella che lo studioso Pritchard chiama “the doctrine of mutual responsibility”56, la dottrina che pervadeva l’intero sistema sociale cinese e che consisteva nel ritenere ogni cittadino cinese responsabile per qualsiasi cosa o persona intorno a lui. Come illustrato da George T. Staunton, figlio del segretario della missione Macartney e commissario di bordo a Canton:

In every situation under the government, both of a public and of a private nature, the master of a family was responsible for the inmates of that family, the father for his children, the magistrate for the inhabitants of his district […]

55 Ivi, p. 60.

(29)

29 the farmer was responsible for his neighbour, and the merchant for his fellow merchants57.

Questa “legge morale” prevedeva quindi che i mercanti e i traduttori cinesi fossero ritenuti responsabili delle azioni degli stranieri, così come anche i commissari di bordo della Compagnia delle Indie venivano considerati responsabili del comportamento di tutti gli Inglesi presenti in Cina. Come risultato, nel caso in cui un cinese fosse stato ucciso per mano o a causa di un occidentale, egli veniva condannato a morte senza possibilità di appello58.

Un ulteriore scoglio da menzionare nelle relazioni tra Europa e Cina era rappresentato dalla difficoltà nella comunicazione. Durante i primi anni di sviluppo dei commerci tra Inghilterra e Cina, ad esempio, l’unico mezzo di comunicazione tra i due popoli era una forma corrotta di portoghese. Più tardi iniziò ad emergere un incrocio tra cinese, inglese e portoghese conosciuto come Chinese Pidgin English o China Coast Pidgin, che aveva la funzione di lingua franca nelle comunità di commercianti occidentali che si trovavano nei porti della costa cinese intorno a Guangzhou (Canton).59

Gli inglesi, per rapportarsi con mercanti e ufficiali cinesi, dovevano comunque affidarsi a interpreti cinesi e, nonostante la buona fede di quest’ultimi, poteva sovente accadere che le relazioni commerciali e politiche risultassero ancora più complicate a causa dei loro errori spesso involontari. Ogni sorta di rapporto diretto con Pechino e con l’imperatore era proibita e qualsiasi comunicazione veniva mediata da ufficiali locali e dai loro traduttori, che generalmente si rifiutavano di inoltrarla.

57 Staunton, G. T., Miscellaneous Notices Relating to China: and our Commercial Intercourse

with that Country, London, J. Murray, 1850, p. 169.

58 Pritchard, E. H., op. cit., p. 146: “In 1773, a Chinese boy was accidentally killed at Macao;

an Englishman, Francis Scott, was charged with the crime. A Portuguese trial completely exculpated him, but the Chinese threatened dire vengeance upon Macao if he were not given up. The Portuguese finally surrendered him; he was tried, convicted, and put to death by the natives. Thus occurred the first juridical execution of an Englishman by the Chinese, and it was considered bad precedent”.

59 Cfr. Ivi, p. 39. Un’attenta analisi del China Coast Pidgin può essere trovata in: Ansaldo, U.,

Matthews, S., and Smith, G., “China Coast Pidgin: Texts and Contexts”, Journal of Pidgin and

Creole Languages, 25, 1, 2010, pp. 63-94; e in: Shi, D. X., “Learning Chinese Pidgin English

through Chinese Characters”, in Byrne, F. & Holm, J. (eds.), Atlantic Meets Pacific: A Global

View of Pidginization and Creolization, Amsterdam, John Benjamins Publishing Company, 1993,

(30)

30 I cinesi, dal loro canto, cercavano con ogni mezzo di impedire che gli stranieri apprendessero la loro lingua. Soltanto con la fondazione dell’Anglo-Chinese College a Malacca nel 1818 da parte dei missionari protestanti Robert Morrison e William Milne e con il contributo del diplomatico e sinologo George Thomas Staunton la British India Company poté avvalersi di linguisti competenti.

Infine, per comprendere pienamente la natura delle relazioni commerciali che si svilupparono tra Europa e Cina dobbiamo ricordare le parole dello studioso Payson J. Treat: “China wanted very little that the West could supply, while she possessed many things which the Westerners greatly desired”60 . Fin dal sedicesimo secolo, infatti, i mercanti cinesi si trovavano in una posizione forte rispetto a quelli europei. La seta, il cotone, le porcellane e le lacche riempivano carichi di navi dirette verso l’Europa, mentre più tardi il tè divenne l’articolo primario di commercio. L’Occidente aveva da offrire ben pochi prodotti che fossero allettanti per il popolo cinese: pellicce, alcuni metalli e soprattutto monete d’argento, fino a quando l’oppio esportato dagli Inglesi non riuscì a bilanciare lo scambio. Soltanto con la rivoluzione industriale in Europa, inoltre, fu possibile far uso di macchinari per tessere e filare il cotone e competere finalmente con i telai a mano a buon mercato di Cina e India.

Dalla precedente analisi appare chiaro come il conflitto tra Oriente e Occidente fosse stato inevitabile. Entrambi possedevano all’epoca una cultura altamente sviluppata e consideravano la propria civiltà come la migliore, ma soprattutto, nessuna delle due parti era disposta ad accogliere pacificamente le richieste dell’altra:

The conflict came because the two people did not, could not, and would not understand each other. Their viewpoints were totally at variance, their methods different, and their aims divergent; their every way of doing things collided. Each was haughty and arrogant, and under these circumstances trouble arose. When the missionaries seemed to endanger Chinese culture they were driven

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31 out and the traders suffered because of it. In the end the West chose to take up arms, in large part to defend the superiority of its cultural ideas61.

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32

CAPITOLO SECONDO

I RAPPORTI POLITICI E LE IMPLICAZIONI CULTURALI:

L’AMBASCIATA MACARTNEY

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel 1793 il governo britannico inviò in Cina la sua prima ambasciata diplomatica al fine di aprire relazioni formali tra i due imperi e regolarizzare il commercio allora in espansione di tè, porcellana, seta e altre merci, data l’insaziabile richiesta di prodotti cinesi in Gran Bretagna. Come già noto, i cinesi richiedevano il pagamento in lingotti d’argento, causando ingenti spese alla Compagnia delle Indie, e imponevano restrizioni sul commercio e pesanti dazi.

L’ambasciata rimane un momento fondamentale nello sviluppo delle relazioni tra Inghilterra e Cina poiché, oltre a rappresentare il primo contatto politico ufficiale in assoluto tra i due stati, si dimostra anche un punto di svolta cruciale per i rapporti culturali che intercorrono tra le due parti. È precisamente questo evento, infatti, a cambiare radicalmente la visione della Cina da parte degli Inglesi e a determinare le vicende future: “[…] the British view of Chinese civilization changed from one of admiration to contempt in the last decade of the eighteenth century”1.

Renata Pisu, giornalista e scrittrice, la prima donna italiana a studiare all’Università Beida di Pechino insieme a Edoarda Masi, scrisse così in un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica nel 1990:

Quando però Lord Macartney arrivò in Cina nel 1792 […] le due società che si trovarono d’improvviso a fronteggiarsi e che avevano conosciuto uno sviluppo

1 Chen, Jeng-Guo S., “The British View of Chinese Civilization and the Emergence of Class

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33 separato, erano su di un piede di parità, non c’erano un civilizzato e un selvaggio; anzi, per la prima volta accadeva che gli europei si sentissero giudicati loro, proprio loro, i selvaggi. C’è poi da aggiungere che gli inglesi sapevano molte cose anche se imprecise a proposito della Cina che era stata idealizzata da missionari e filosofi; mentre invece i cinesi dell’Europa non sapevano proprio niente e non erano per niente interessati a sapere di genti e paesi lontani e barbari. Allora, come d’altronde oggi, il narcisismo imperava: noi siamo la cultura, noi abbiamo tutto, noi sappiamo tutto. Voi siete tigri di carta2.

Per questa missione sulla quale gli Inglesi riponevano grandi speranze fu scelto Lord Macartney, un illustre diplomatico, già governatore di Madras, che si era distinto per le sue capacità. Venne stabilito che dovesse portare con sé una lettera indirizzata all’imperatore cinese Qianlong da parte del re Giorgio III e che la natura commerciale di questa impresa venisse mascherata dallo scopo apparente di portare gli auguri del re inglese all'imperatore per il raggiungimento del suo ottantatreesimo compleanno3.

H. B. Morse nel suo The Chronicles of The East India Company Vol. II riporta dettagliatamente le istruzioni consegnate a Lord Macartney dal re Giorgio III, che consistevano nel richiedere, oltre alla sopracitata espansione dei commerci, l’apertura di ulteriori porti in aggiunta a quello di Canton; la cessione di uno o più territori vicini all’area di produzione di tè e seta, dove i mercanti inglesi potessero risiedere e dove potesse essere esercitata la giurisdizione inglese; maggiore protezione per i cittadini inglesi dagli abusi perpetrati ai loro danni; l’avvio di relazioni commerciali con i loro possedimenti indiani e infine l’insediamento di un’ambasciata permanente a Pechino4.

Il 26 settembre 1792 Lord Macartney salpò così da Portsmouth alla volta della Cina con il suo equipaggio di tre navi composto da segretari, ingegneri, esperti finanziari, medici, orologiai, costruttori di strumenti matematici, due artisti, due

2

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/13/per-colpa-del-kotow.html (consultato in data 05/09/2019).

3 Cfr. Pritchard, E. H., op. cit., p. 181.

4 Morse, H. B., The Chronicles of the East India Company Trading to China, 1635–1834, 5

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34 interpreti cinesi della scuola di Napoli e due botanici. La presenza di questi ultimi era stata specificatamente richiesta da Sir Joseph Banks, presidente della Royal Society e grande sostenitore di questa ambasciata in Cina. Botanico lui stesso, si adoperava per raccogliere quante più informazioni possibili sulle piante cinesi in generale e in particolare sulla pianta del tè, allo scopo, come abbiamo visto, di dare il via a coltivazioni estensive in Bengala e risolvere così il problema del debito in argento con la Cina. Banks si aspettava che il Calcutta Botanic Garden

[…] would produce many things, including hemp, coffee, tobacco, medicines, sugarcane, sago, teak, dates, pepper, cinnamon, and indigo. These plants would be sent to all parts of the empire for transplanting; but most of all Banks was focused on the transplanting of the Chinese tea plant in British Bengal5.

Lo studioso Peter J. Kitson identifica il piano elaborato da Banks come la vera ragione della missione inglese in Cina:

The Macartney embassy, despite its idealized formal diplomatic aims to establish mutual recognition between the two empires, was simply another and more golden opportunity for obtaining young specimens of the tea plant for transplanting to India where they would mature and establish a native tea industry. […] Inspired by this imperative to discover ways in which both tea and silk production might be initiated in Bengal, Macartney’s team avidly sought opportunities to filch mulberry trees, silkworms, and tea plants6.

Lo scopo del progetto di Sir Joseph Banks era quindi quello di assorbire conoscenze scientifiche e tecnologiche da altre parti del globo e trasferirle all’interno dei confini dell’Impero inglese. Come afferma lo studioso John Gascoigne nel suo Science in the Service of Empire, per Banks “the advancement of science and the advancement of Britain’s imperial interests formed a natural

5 Kitson, P. J., op. cit., p. 136. 6 Ivi, p. 141.

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35 partnership”7. L’esito dei progetti dello scienziato si rivelò però sfortunato: quello che in realtà successe ai campioni di piante raccolte dai botanici per Banks rimane a noi ignoto8.

Nell’agosto 1793 Lord Macartney e i suoi accompagnatori giunsero al porto di Tianjin e da lì vennero scortati da ufficiali cinesi fino a Pechino. Successivamente una parte dei componenti dell’ambasceria fu accompagnata al palazzo imperiale di Jehol, la moderna Chengde, a nord della Grande Muraglia9. Lì, il 14 settembre, nel famoso Wanshu Yuan, il “giardino dai diecimila alberi”, avvenne il tanto atteso primo incontro diplomatico della storia tra Inghilterra e Cina.

2.1 Il kowtow

Il termine kowtow (chiamato anche kotow) è una forma occidentalizzata del pinyin kòutóu 叩头, espressione che letteralmente significa “colpire la testa (al suolo)”. Esso si riferisce al cerimoniale tipicamente cinese di estremo rispetto eseguito per dare tributo alle divinità o come saluto dinnanzi all’imperatore. Viene

7 Gascoigne, J., Science in the Service of Empire, Cambridge, Cambridge University Press,

1998, p. 112.

8 Cfr. Kitson, P. J., op. cit., p. 142.

9 Cfr. Ivi, p. 127 e Pritchard, E. H., “The Kotow in the Macartney Embassy to China in 1793”,

The Far Eastern Quarterly, 2, 2, 1943, p. 164.

Figura 4: William Alexander – The Emperor Receiving the Embassy

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