• Non ci sono risultati.

Che fare?

Nel documento Selezioni di alcuni scritti (pagine 91-95)

«non v’è dubbio – dice Detti – che se si arriva a novembre senza aver preso alcuna iniziativa

(e qui bisogna richiamare alla loro responsabilità le forze politiche), può considerarsi definitiva

la distruzione del suolo italiano, assoluto e incondizionato il trionfo della speculazione più cieca

e bestiale. Basti pensare che, se non si interviene, ogni porzione dei territori comunali diventa

edificabile, saltano tutti i piani regolatori, ogni proprietario può chiedere che gli sia concesso

di edificare anche se l’area di sua proprietà è destinata a verde, a scuole, a strade, ecc.

Il governo tace. D’altra parte non credo che un governo, come l’attuale [V° Governo Moro, Mi-

nistro Lavori Pubblici Gullotti; monocolore DC, ndc], possa avere la capacità e la forza di far

passare un provvedimento di riforma radicale quale la situazione richiede. Si può solo pensare che nell’immi- nenza della scadenza di novembre possa essere appro- vato un ennesimo provvedimento transitorio, un’ennesi- ma “toppa”: naturalmente “in attesa di una organica riforma che il governo intende porre allo studio al più presto”, per dirla secondo la formula d’uso».

Che questo governo non sia in grado di avviare un qua- lunque discorso riguardo alla riforma urbanistica è fuori di dubbio e lo prova, fra l’altro, impegnandosi in una azione tendente a svuotare di ogni significato la legge per la casa, facendola oggetto di un sistematico boicot- taggio, minacciando di sottoporla a una revisione di sa- pore contro riformatore. A questo è diretto il «pacchetto» di proposte elaborato in sede di governo, di cui è annun- ciata la prossima presentazione al Consiglio del Ministri. Ebbene, l’attacco alla legge per la casa appare oggi tanto più grave, proprio perché diretto a quei principi, introdotti nella legge e conquistati grazie alla mobilita- zione di un vasto schieramento di forze sociali, sindacali, politiche e culturali, che hanno carattere di «cerniera» con la riforma urbanistica, la cui urgenza viene riproposta oggi dalla scadenza di novembre. Non è così?

«Certo – risponde Detti – facciamo il caso dell’art. 35. Con l’art. 35 della legge per la casa si è ottenuto l’esproprio preventivo di tutte le aree destinate a inter- venti pubblici e privati per la realizzazione di edilizia sociale. Nonostante le contraddizioni derivanti dal dop- pio regime di utilizzazione dei suoli (contraddizioni che l’Inu ha più volte denunciato) bisogna riconoscere che realmente l’art. 35 costituisce una “cerniera” fra legge per la casa e riforma urbanistica. Con questa norma

si è ottenuta una prima netta distinzione fra proprietà fondiaria e attività edificatoria, una prima affermazio- ne – anche se parziale – del principio fondamentale, ai fini della riforma urbanistica, dell’indifferenza dei proprietari rispetto alla destinazione dei piani (tale principio, come si ricorderà, era stato accettato all’atto della costituzione del primo governo di centro-sinistra). D’altra parte, le stesse contraddizioni dell’art. 35 (il doppio regime al suo interno, la sua estensione a una parte soltanto delle zone edificabili, la difficoltà utilizzarlo per le zone già edificate) potevano essere riscattate dalla prospettiva di una rapida generalizza- zione della prassi basata sull’esproprio, sull’assegnazio- ne delle aree agli utenti singoli o associati, sul regime di concessione temporanea, sul convenzionamento dei prezzi e delle pigioni. Il fatto è che questa cerniera sta per saltare. Proprio mentre si avvicina la scadenza della legge-tampone, la manovra a largo raggio delle forze della speculazione e del privilegio sta convergen- do verso la pratica soppressione dell’art. 35. La posta in gioco non è solo quella di una profonda alterazione della legge per la casa, ma dalla vanificazione di ogni prospettiva seria di riforma urbanistica.

Se l’art. 35 sarà modificato così come propone Andre- otti, non credo che, almeno per un certo numero di anni, ci possa essere speranza per una riforma urbanistica come noi la intendiamo. Anche se sarà approvata una legge, sarà una legge di “controriforma”. È per questo che io sono convinto che oggi la carta della riforma urbanistica si gioca sul tavolo dell’art. 35, per difender- lo innanzitutto nella sua integrità, e poi per generaliz- zarlo».

Per tutto quello che c’è detto, i tempi appaiono dunque maturi per riproporre il discorso d’una profonda riforma urbanistica, che abbracci sia il momento giuridico istitu- zionale (trasformazione del regime dei suoli, emanazione di una legge-quadro) che quello politico-amministrativo (rinnovamento e potenziamento delle strutture pubbliche di decisione, intervento e gestione, insomma di program- mazione: ministero dei LL.PP., Regioni, Comuni). Ripro- porre il discorso, significa rilanciare la battaglia: il che implica una mobilitazione di forze a tutti i livelli. Orbene, qual è, in questo quadro il ruolo della cultura urbanisti- ca?

«Cominciamo da quest’ultimo punto – risponde Detti –. L’organizzazione della cultura, oggi, deve fare i conti con una situazione ben diversa da quella tradizionale. La libera professione, che fino a qualche tempo fa era lo sbocco più ambito per i giovani intellettuali, si dibatte in una crisi probabilmente definitiva. E non saremo cer- tamente noi a rimpiangere la fine di una figura (quella del libero professionista) storicamente superata, di un tecnico che – almeno nel campo dell’urbanistica – si riteneva investito di un enorme potere di mediazione fra interessi pubblici e privati. Questo potere, per il modo in cui era condotta la professione (i piani regolatori redatti nel chiuso degli studi, sottratti ad ogni verifica democra- tica), finiva, poi, di fatto, con l’essere subordinato agli interessi privatistici.

oggi il tecnico “proletarizzato”, che esce dalle università di massa, e che intende operare nel campo dell’urba- nistica, ha di fronte a sé potenzialmente due strade. Da una parte le offerte di lavoro, peraltro scarse, di quelle società di consulenza che sono costituite dai grandi gruppi monopolistici pubblici e privati per operare nei

settori dell’edilizia, dei trasporti, della prefabbricazione, della programmazione e della pianificazione territoria- le. Sono una sorta di studi professionali di dimensione aziendale, con enormi risorse tecniche e finanziarie, che cercano di operare per conto delle pubbliche ammini- strazioni (e in primo luogo delle Regioni) avvalendosi, come lasciapassare, dell’efficienza tecnica e della rapidità operativa. Ma non è difficile scoprire, dietro quest’efficienza e questa funzionalità, l’interesse dei grandi gruppi industriali – di cui le società di consulen- za sono un’emanazione – a condizionare e controllare l’attività dei pubblici poteri. L’altra strada che si apre ai giovani è quella di operare direttamente alle dipenden- ze della pubblica amministrazione. È una strada difficile: pur essendo infatti sconfinato il bisogno di tecnici qua- lificati presso le pubbliche amministrazioni, queste non sono in grado, a causa di incrostazioni burocratiche, di adeguare le loro strutture alle esigenze da soddisfare. È una strada tuttavia più aderente all’aspirazione propria dei giovani di oggi a stabilire un collegamento orga- nico, tecnico e politico, con le esigenze di fondo della collettività. Lavorare “dentro le istituzioni” credo sia infatti l’unico modo per dare un contributo, attraverso le proprie specifiche capacità professionali, alla soluzione dei problemi nodali della società nazionale.

Per esempio, per restare nel tema della riforma urba- nistica, c’è da svolgere una azione puntuale e diffusa perché le rivendicazioni di massa, che dal 1969 ad oggi continuano a svilupparsi per una casa a basso costo, per la scuola, per i trasporti, per la salute, siano orientate in direzione di una spinta per la riforma urbanistica che, in un certo modo, è una premessa ed una condizione per le altre riforme.

È evidente comunque che, senza un’ampia vertenza dal basso per l’urbanistica e senza un deciso impegno delle forze politiche democratiche, la riforma resta un’utopia. Che cosa c’è oggi di diverso dagli anni ’60 che possa dar fiducia? C’è un movimento operaio e popolare che fa proprie certe rivendicazioni allora riservate ad una élite di intellettuali illuminati; e ci sono le Regioni. Nell’ultimo convegno dell’Inu, tenuto ad Aric- cia nel luglio scorso, abbiamo suggerito che siano le Regioni a prendere in mano la situazione, proponendo esse al Parlamento un provvedimento di legge-cornice per l’urbanistica. In questo senso stiamo operando con alcune Regioni, quelle più sensibili al problema; stiamo anche organizzando un convegno che dovrebbe svolgersi entro i prossimi mesi. Mi auguro che tutte le Regioni italiane aderiscano all’iniziativa e che, insieme a un massiccio schieramento del movimento autonomisti- co, si realizzi un largo fronte che raccolga tutte le forze politiche favorevoli a sciogliere finalmente il nodo dell’urbanistica».

C’era una volta il programma di fabbricazione, un’allegato grafico del regolamento edili-

Nel documento Selezioni di alcuni scritti (pagine 91-95)

Outline

Documenti correlati