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La storia urbanistica di Firenze in questo secolo non è diversa nei processi e negli effetti da quella che presentano le città di una certa dimensione media In questa stessa rivista negli ul-

Nel documento Selezioni di alcuni scritti (pagine 75-79)

timi 15 anni periodicamente è stato messo in evidenza il tipo di problemi che ormai da tempo

stanno di fronte alla città con una progressione di chiarimento che è andata di passo con la

forte accelerazione del processo di involuzione dovuto all’ingrossamento agglomerante del

sistema urbano. I segni più manifesti di tale involuzione sono presenti ormai da tempo in una

crisi che non è soltanto una crisi di crescita, non è soltanto una crisi funzionale che ha i più chia-

ri riflessi, per esempio, nel traffico o nella ormai insopportabile insufficienza di alcuni servizi

fondamentali e di alcune attrezzature anche tipiche della città, ma una crisi che è soprattutto

segnata e dimostrata da una assoluta mancanza di rapporti fra lo svolgimento della città

e la sua radice storica, il suo ambiente urbano e quello inconfondibile del suo intorno immediato. Proprio in questa contrapposizione di contrasti è da ravvisarsi la condizione di una crisi che l’alluvione mette a nudo in uno stato di cruda verità, forse mai reso così dramma- tico nel corso di una storia urbana. E questo perché se i problemi della nuova forma delle città pongono di so- lito alternative di intervento più o meno pesanti e più o meno integrali, nelle quali tuttavia le possibilità di una manovra di ristrutturazione anche profonda si possono presentare, non foss’altro con i rimedi tecnologici che una azione di tipo organizzativo può procurare, qui al contrario le scelte possibili per un verso hanno meno alternative perché agiscono in condizioni urbane di natura eccezionale, e per un altro si presentano in ma- niera più precisa come uniche condizioni che possano assolvere a due obiettivi: la riqualificazione permanen- te della città antica e del suo ambiente e la conversio- ne di un sistema urbano profondamente malato in un sistema territoriale moderno.

L’alluvione ha colto la città ancora in una fase acuta di questa crisi dopo un ormai troppo lungo periodo in cui nessuno degli strumenti direttori per un rinnovamento, così come era sancito dal piano regolatore, aveva avuto realizzazione. Una vecchia città, quindi, con una grossa periferia sulla quale è entrata in aderenza con effetti diretti una infrastruttura potentissima quale l’autostrada, la quale in definitiva non ha trovato alcun elemento di mediazione col centro storico. Sotto un aspetto di morfologia interna, al di fuori del centro storico (e ci comprendiamo l’anello dei viali vecchio ormai di un secolo) non solo nessun episodio rilevan- te di struttura si è avverato, ma le stesse espansioni

di periferia e le ristrutturazioni anche recenti, sono, come un po’ dovunque, caratterizzate da una edilizia disordinata e modesta, che esclude la produzione di qualsiasi ambiente di livello urbano. L’ultimo piano regolatore (illustrato nelle pagine di questa rivista al n. 39) attraverso anche una operazione di ridimensiona- mento per restringere la massa espansiva che era nelle previsioni del precedente piano, cercava di potenziare per quanto possibile l’ossatura collettiva delineando inoltre, nell’iniziato piano intercomunale, alcune fon- damentali strutture del territorio: tuttavia la visione di questo piano si arresta ed è addirittura condizionata agendo solo in uno spazio amministrativo assai ristretto poiché non avendo avuto sino ad oggi uno svolgimento concretamente concordato a livello intercomunale è sottoposta ad uno scompenso esterno per espansioni ed ancor peggio per forti previsioni di sviluppo vicino che accentuano su un raggio più largo il processo d’in- voluzione ad effetti concentrici già tipico della parte interna al Comune.

È ben nota la configurazione dello spazio e dell’oro- grafia e il tipo di civilizzazione urbana degli immediati dintorni di Firenze per rendersi ancora una volta conto che nessun problema urbano può essere visto autono- mamente e singolarmente per lo stesso rincorrersi di cause ed effetti sui poli già congestionati. A questo punto l’unica azione possibile, l’unica carta da giocare per la città è quella a scala territoriale: un’azione che (e qui occorre sempre mantenere la visione della città nel trauma che ha subìto) deve essere di alleggerimen- to e di proiezione lontana, proprio allo scopo di deli- neare finalmente una morfologia urbana territoriale e per cogliere e fermare nei luoghi esterni il momento di

concentrazione che, per l’ininterrotto andamento della emigrazione vicina, si riversa sulla città e sui comuni adiacenti.

A chi ha presente i sottili caratteri dimensionali della città, tipici delle sue espressioni architettoniche e del rapporto fra natura civilizzata e spazio architettato, apparirà chiaro come ciò possa e debba corrisponde- re ad una pianificazione tipicamente moderna, dove le scelte e le articolazioni sono favorite e determinate dalla orografia del territorio e dalla linea della strut- tura storica del bacino.

La società dei cittadini ha dimostrato di saper affron- tare immediatamente, nei limiti delle possibilità che a ciascuno erano date, con un rigoroso e quasi freddo raziocinio, le circostanze tragiche di un evento insensa- to.

Con pari raziocinio stavolta è necessario affrontare i problemi di fondo dando inizio ad una ricostruzione sostenuta da una guida di piano sulle premesse del piano regolatore che la città possiede. Il più pressante richiamo in questo momento trova quindi motivo non solo nei pericoli dei rimedi di urgenza, che si volessero considerare stabili e definitivi, ma anche nell’esigere un’azione di piano. Nessuno pensa di chiedere leggi speciali, ma non si può pensare che l’inizio del cen- tro direzionale con la nuova università possa essere fermato dalle resistenze e dai raggiri della proprie- tà fondiaria come anche un programma territoriale possa sgranarsi e dissociarsi nelle lottizzazioni invece di seguire, per tempi precisi, operazioni concentrate e definite fino alla scala architettonica e nei mezzi di realizzazione. Ed è necessario che gli imbarazzi, sui quali si fa polemica, che trascinano la soluzione ferroviaria, che sola può consentire di attuare una

componente principale della organizzazione urbana, che è l’asse attrezzato di scorrimento, siano superati e rientrino nei progetti che le Ferrovie stanno eseguendo per accorciare la linea più importante della penisola, battuta dall’autostrada, nei tempi di percorrenza fra Firenze e Roma. Né il restauro del centro storico potrà fermarsi al solo consolidamento degli edifici danneg- giati ed alle imbiancature, se il sottosuolo della città è dissestato dalla alterazione della falda ed inquinato dalle vecchie fogne sconvolte accanto al centenario acquedotto interrato, se le strutture edilizie sono fradi- cie e malsane nelle fondamenta e nelle basi, e quindi inutilizzabili se non dopo un’opera di risanamento ed una integrale ricostruzione dei servizi e degl’impianti pubblici.

La preoccupazione che si debbano affrontare i pro- blemi alla radice e che un ripristino oltre un limite di emergenza venga ad utilizzare malamente la spesa pubblica, aggiungendo altro danno a quello che la città ha sopportato, ha fatto condensare a chi scrive e ad alcuni giovani amici urbanisti, una serie di proposte che, valutate anche in un’approssimata misura econo- mica, danno in un lasso di due quinquenni operativi, una spesa globale di circa cento miliardi. Cifra questa, com’è evidente, che ha un carattere di accessibilità e di doverosità, come spesa produttiva, per una città che ogni anno restituisce al paese sotto la sola voce del reddito turistico oltre quaranta miliardi. Dalla serie delle proposte motivate che qui di seguito illustriamo emerge, riteniamo in modo chiaro e non equivoco, che la garanzia per il risorgimento della città dopo la catastrofica alluvione, non sta solo in un problema di mezzi ma anche di metodi, Si insiste quindi:

inquadrati in un solo piano che contenga soluzioni in prospettiva e soluzioni vicine, dalla scala territoriale a quella del restauro e del risanamento;

2. che tale piano coordinato sia compilato nelle sue parti con studi e criteri di livello scientifico escluden- do improvvisazioni e scelte non meditate che si vo- lessero giustificare con l’urgenza; e che si utilizzino, per le ricerche economiche sociali ed urbanistiche, gli istituti universitari;

3. che la direzione dell’attuazione del piano sia attri- buita ai poteri locali e non si perda e si scomponga fra i vari enti dello Stato;

4. che il programma finanziario, per gli interventi che non sono di stretta emergenza, sia steso per i vari settori e le varie competenze secondo precisi tempi di attuazione in coordinamento fra il programma nazionale ed i bilanci degli Enti locali.

L’impegno urbanistico per Firenze, programmabile in dieci anni, appare di misura diremmo normale, se si pensa che esso impedisce un’ulteriore corruzione della struttura e della forma urbana e un successivo degradamento di quelle prerogative nelle quali sta il prestigio e il reddito della città, segnata altrimenti in modo perenne dal disastro subito.

Il presente volume documenta e completa una esposizione tenuta a Lucca per iniziativa del

Nel documento Selezioni di alcuni scritti (pagine 75-79)

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