1.10 Terapia
1.10.3 Chemioterapia citostatica di prima linea in malattia avanzata
La citoriduzione ottimale nella malattia avanzata (stadi II-IV) prepara il terreno all’azione della chemioterapia di prima linea: la rimozione delle masse (debulking)
di grosse dimensioni e con focolai necrotici contribuisce a migliorare la cinetica del farmaco.
Prima del 1996, lo standard della chemioterapia di prima linea per malattia avanzata prevedeva l’associazione di ciclofosfamide e cisplatino. In quell’anno, viene pubbli- cato uno studio di fase III [57] che mette in evidenzia la superiorit`a di azione della combinazione di taxolo e platino. Da allora [14] fino ad oggi [85], [50], le linee gui- da prevedono l’associazione di questi farmaci antineoplastici, con poche variazioni: paclitaxel 175 mg/m2 e carboplatino (AUC 6-5), per somministrazione endovenosa,
ogni tre settimane per sei cicli.
I composti derivanti dal platino sono agenti alchilanti in grado di interferire in maniera aspecifica con la duplicazione del DNA in fase S, formando dei legami covalenti tra le basi azotate [87]. Il paclitaxel `e un chemioterapico tassano, in grado di compromettere l’prolungamento e la corretta conformazione dei microtubuli du- rante la mitosi [87].
Entrambi gli agenti in uso, dunque, sono degli inbitori aspecifici della progressione del ciclo cellulare.
Sono state valutate diverse alternative a questa combinazione. Di seguito vengono riassunte.
Carboplatino VS Cisplatino Uno studio randomizzato GOG di fase III ha di- mostrato che in termini di rischio di recidiva di malattia e sopravvivenza globale i due farmaci antineoplastici sono sovrapponibili (rischio relativo di recidiva = 0.88, 95% [CI] 0.75 - 1.03; rischio relativo di decesso = 0.84, 95% [CI], 0.70 - 1.02). Tuttavia, il cisplatino ´e associato a effetti collaterali renali, gastrointestinali, metaboliche e leucopenici maggiori [67]. Si preferisce pertanto somministrare il carboplatino.
Aggiunta di un terzo chemioterapico Il tentativo di migliorare la prognosi delle pazienti attraverso l’aggiunta di un terzo farmaco allo schema standard di car- botaxolo ´e stato ampiamente studiato in molti trials. Il pi´u ampio ´e lo studio GOG 182-ICON 5[5], nato dalla collaborazione di molto centri americani e inglesi e pub- blicato nel 2009. In questo studio si pongono a confronto con il braccio di controllo (carbo/cisplatino + taxolo) cinque braccia alternative, che prevedono rispettiva- mente l’aggiunta di gemcitabina (sequenziale in un braccio, in combinazione in un altro), topotecan (sequenziale in un braccio, in combinazione in un altro, inter-
rotto per eccessiva tossicit`a ematologica), doxorubicina liposomiale. Nessuno dei bracci sperimentali mostra un guadagno statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione.
Terapia intraperitoneale Il razionale della somministrazione intraperitoneale consiste nel migliorare la farmacocinetica, garantendo una somministrazione mirata sui noduli neoplastici e contemporaneamente riducendo la circolazione sistemica del farmaco, responsabile degli effetti collaterali.
Lo studio GOG 172 ha confrontato lo schema standard con la somministrazione intraperitoneale di cisplatino al giorno 2 e 8, con taxolo intravenoso al giorno 1 [3]. La sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da malattia risultano migliorate, ma il catetere per la somministrazione intraperitoneale fa peggiorare la qualit`a della vita delle pazienti. Alle stesse conclusioni si ´e giunti attraverso una metanalisi sulla base dei database Cochrane [33]. Bisogna notare che questo approccio ´e indicato se la malattia residua dopo la chirurgia ´e zero o minore di 1 [50], [22].
Terapia dose-dense Alcuni autori hanno proposto una modifica del regime car- botaxolo ogni tre settimane, proponendo la somministrazione settimanale del taxolo a dose minore, in aggiunta alla somministrazione classica ogni 21 giorni del car- boplatino. Il gruppo giapponese JGOG (Japanese Gynecologic Oncology Group)ha pubblicato i risultati di uno studio di fase III (NOVEL-JGOG 3062) con taxo- lo settimanale dose-dense (80mg/m2), ottenendo risultati significativi per il brac-
cio sperimentale sia per quanto riguarda la sopravvivenza libera da progressione (p=0.0015) che la sopravvivenza globale (p=0,03) [37]. del 2012 [36] Tuttavia, non si pu´o stabilire se questi risultati siano o meno inficiati dalle differenze genomiche tra la popolazione giapponese e quella caucasica. Inoltre, il 36% delle pazienti ha dovuto sospendere questo regime per gli effetti collaterali, soprattutto la neutrope- nia [50].
Uno studio di fase II svedese [95] ha dimostrato buoni risultati in termini di soprav- vivenze e progressione, ma si ´e anche soffermato sulla valutazione della qualit`a della vita e degli effetti collaterali: complessivamente, viene sottolineato che gli effetti ematologici sono rilevanti ma solo nel 6% dei casi tali da costringere e modificare la terapia sperimentale; epifora, astenia, onicopatie sono registrati frequentemente; la neuropatia si mantiene entro i gradi 1-2. Tutto questo fa supporre che la sommin- istrazione di taxolo dose-dense sia una strada alternativa percorribile.
Uno studio multicentrico europeo di fase III (MITO 7), pubblicato nel 2014, ha concluso che regime con taxolo dose-dense effetivamente `e un ottimo regime alterna- tivo alla somministrazione standard trisetttimanale, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione, che in termini di effetti collaterali [79].
1.10.4
Terapia a bersaglio molecolare
Parallelamente alla terapia antineoplastica citotossica, a fronte dell’inquadramen- to molecolare del carcinoma ovarico, che si sta facendo strada nelle teorie patoge- netiche, si sviluppa un importante ambito di ricerca traslazionale basato sui farmaci a bersaglio molecolare.
Anti-angionenesi
I farmaci che interferiscono con l’angiogenesi sono utilizzati per il trattamento di moltissimi tumori, tra cui quello della mammella, accomunato alle forme familiari di carcinoma ovarico per le mutazioni a carico dei geni BRCA 1-2 [72]. Gli elementi che hanno portato a sperimentare questa categoria di farmaci sul carcinoma ovarico sono diversi: prima di tutto la considerazione che si tratta di un tumore solido, che pu`o raggiungere dimensioni notevoli, e pertanto interessato dal fenomeno della neoangiogenesi; in aggiunta a questo, gli studi sull’espressione del VEGF hanno per- messo di definire in maniera semiquantitiva la presenza di questo fattore nel tessuto tumorale (vedi §1.4.3); inoltre, l’alterazione del VEGF `e stata riconosciuta come causa di quegli squilibri di permeabilit`a vascolare che causano ascite nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato [32].
Le strategie farmacologiche contro l’angiogenesi sono gli anticorpi monoclonali uman- izzati VEGF-specifici, gli inibitori delle tirosin-chinasi associate al VEGFR (vascular
endothelial growth factor ) e le trappole per VEGF [97]. Di seguito, ci si sofferma
sulla prima tipologia di farmaco.
Il farmaco in questione `e il bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato specifico per il VEGF A. Esso `e studiato generalmente in associazione con un altro farmaco chemioterapico, perch´e `e in grado di migliorarne la farmacocinetica nel tes- suto tumorale (vedi §1.4.3).
Due grandi studi randomizzati di fase III del 2011 (GOG 218 e ICON 7) hanno stabilito che il bevacizumab in combinazione con carboplatino+taxolo, seguito da 12-16 somministrazioni trisettimanali in monoterapia prolunga in maniera statisti- camente significativa la sopravvivenza libera da progressione (hazard ratio 0.717;
95% CI, 0.625 - 0.824; p<0.001, [6]; hazard ratio 0.81; 95% CI, 0.70 - 0.94; p=0.004 [71]).
Recentemente, sono stati pubblicati i risultati della prosecuzione del trial ICON 7: l’impatto positivo ´e stato confermato, a fronte di una diminuzione della qualit`a della vita percepita dalle pazienti trattate con bevacizumab rispetto ai controlli [12], in maniera significativa per una ridotta tolleranza dello sforzo fisico e per la perdita del proprio usuale ruolo sociale/lavorativo. A fronte di queste osservazioni, si pone la necessit`a di valutare attentamente il rapporto costi/benefici della terapia con be- vacizumab.
Da novembre 2013, anche in Italia ´e disponibile il bevacizumab per il trattamento del carcinoma ovarico, secondo la disposizione dell’AIFA (Agenzia Italiana del FAr- maco).
Anti-tirosin chinasi associate a EGFR
L’EGFR `e coinvolto nell’attivazione della via delle MAPK, gi`a citata a proposito della tipizzazione molecolare del carcinoma ovarico di tipo I (vedi §1.4.2). Un stu- dio di fase III del 2012 [102] ha proposto l’erlotinib, un inibitore reversibile della tirosin-chinasi specifica per il recettore EGFR. Si tratta di uno studio di grosse di- mensioni(835 pazienti), sotto l’egida di EORTC, GCG, GCIS.
Erlotinib ´e somministrato come terapia di mantenimento dopo terapia di prima linea basata sul platino. Non sono stati riscontrati miglioramenti statisticamente signi- ficativi rispetto al braccio di controllo. Studi di fase II con esito positivo avevano lasciato sperare che potesse essere una terapia vincente [97]. Tuttavia, in precedenza era stato dimostrato, in modelli pre-clinici, che i farmaci a base di platino associati agli inbitori delle tirosin- chinasi del EGFR causano la comparsa di resistenza far- macologica incrociata [63].
Lo studio del 2012 ha avuto seguito nel 2014 [101]: il nuovo quesito a cui dare rispo- sta riguarda la possibilit`a o meno di selezionare pazienti maggiormente sensibili al farmaco a bersaglio, mediante l’immunoistochimica. Purtroppo non sono stati indi- viduati sottogruppi che possano beneficiare della terapia con erlotinib. Addirittura, si sottolinea che la qualit`a della vita nel braccio sperimentale sia significativamente peggiore rispetto a quello di controllo.
Sorafenib, multi-chinasi inibitore
Sorafenib inibisce diverse chinasi, associate a recettori (PDGFR, VEGFR) e non (k-RAS, via delle MAP K). Sulla scia della sperimentazione del bevacizumab su pazienti con carcinoma avanzato come terapia di prima linea, all’ASCO 2013 ´e pre- sentato un abstract di uno studio di fase II che prevede il confronto tra un braccio di controllo che esegue la terapia standard con carboplatino + taxolo (6 cicli, ogni 21 giorni) e un braccio sperimentale a cui si aggiunge sorafenib in combinazione e come terapia di mantenimento. Nel corso della terapia, nell’ambito del bracci sperimen- tale, solo il 56% delle pazienti riesce a completare tutta la terapia di mantenimento, a causa della tossicit`a indotta. I dati di PFS e OS non sono incoraggianti: non vi ´e differenza significativa tra i due gruppi, a fronte della maggiore tossicit`a indotta dal farmaco a bersaglio molecolare [98].