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Inquadramento prognostico e terapeutico del carcinoma ovarico recidivante

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(1)

Universita’ di Pisa

Dipartimento di

medicina clinica e sperimentale

Anno accademico 2012/2013

Inquadramento prognostico e terapeutico

del carcinoma ovarico recidivante

Candidata:

Margherita

Notarnicola

Relatore:

Prof. Angiolo

Gadducci

(2)

Riassunto

Introduzione Il carcinoma ovarico ha un’incidenza pari a 10,2/100 000 nuovi casi all’anno in Italia, al settimo posto tra tutti i tumori maligni nella popolazione fem-minile. Per mortalit`a, tuttavia, si colloca al quarto posto. La strategia terapeutica del carcinoma ovarico prevede chirurgia citoriduttiva seguita da chemioterapia a base di carboplatino e taxolo. Recentemente, anche il bevacizumab, farmaco anti VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor ) `e stato incorporato nella terapia di prima linea, sulla base di studi di fase III. Nel caso si presenti una recidiva di malattia, evento che interessa il 50% circa delle pazienti affette, il trattamento `e determinato dalla durata dell’intervallo libero da platino (PFI, platinum-free

inter-val ); questo si definisce come il periodo intercorso dall’ultima somministrazione di

terapia a base di platino nell’ambito della chemioterapia di prima linea e la com-parsa di recidiva. Sulla base del PFI, la malattia recidivante viene classificata in: malattia platino-resistente (PFI <6 mesi); malattia parzialmente sensibile al platino (PFI 6 - 12 mesi); malattia platino-sensibile (PFI >12 mesi).

Materiali e metodi Il campione considerato `e costituito da 132 pazienti, seguite presso il dipartimento di Ginecologia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera Univer-sitaria di Pisa, da marzo 1996 a novembre 2013. Si tratta di pazienti con carcinoma ovarico (stadio FIGO IIb - IV) sottoposte a intervento citoriduttivo e a chemiote-rapia di prima linea a base di platino. Dopo aver mostrato un quadro di risposta completa, sono andate incontro a recidiva di malattia. Sono stati valutati, retrospet-tivamente, il PFI e la sopravvivenza globale delle pazienti (OS, Overall Survival ), definita come l’intervallo di tempo tra la chirurgia citoriduttiva di prima istanza e l’ultimo follow-up o la morte. Con analisi univariate e multivariate, sono stati studiati i fattori che possono incidere su queste variabili temporali.

Risultati Dall’analisi univariata, `e risultato che i fattori che incidono sulla durata del PFI sono: il grado istologico (p = 0,01), la presenza di ascite alla diagnosi (p = 0,001), la tipizzazione secondo la classificazione di Kurman (p = 0,015), il valore

(3)

del Ca125 pre-chemioterapia di prima linea (p = 0,006). Dall’analisi multivariata, `e possibile confermare la presenza di ascite alla diagnosi come fattore in grado di influenzare la durata del PFI (p = 0,006, HR 1,766, IC 95% 1,178 - 2,647). In termini di OS, i fattori rivelatisi prognostici all’analisi univariata sono: la presenza di ascite alla diagnosi del tumore primitivo (p = 0,015); il valore del Ca125 misurato alla comparsa di recidiva (p = 0,016); la durata del PFI (p <0,0001). Con l’analisi multivariata, si sono confermati statisticamente significativi il PFI (p<0,001, HR 2,908, CI 95% 1,775 - 4,766) e il Ca125 alla recidiva (p = 0,043, HR 1,652, CI 95% 1,016 - 2,685).

Conclusioni I risultati ottenuti sono in linea con la letteratura. Il PFI `e un parametro a cui rivolgere particolare attenzione: dato il suo valore prognostico, le pi´u recenti linee di ricerca puntano a prolungarlo artificialmente, somministrando terapie prive di platino anche a pazienti che risulterebbero parzialmente sensibili a questo farmaco. Il prolungamento artificiale del PFI agisce secondo un meccanismo indiretto: favorisce il ripristinarsi della platino-sensibilit`a e, pertanto, lascia spazio a ulteriori linee di chemioterapia a base di platino stesso. Ulteriori ricerche di fase III in corso potranno avvalorare queste strategie. Un altro campo che offre ottime prospettive per il trattamento del carcinoma ovarico recidivante `e la terapia a bersaglio molecolare: sia per i casi platino-resistenti che per quelli platino-sensibili, sono stati identificati farmaci in grado di migliorare la prognosi delle pazienti.

(4)

Indice

Elenco delle figure 5

Elenco delle tabelle 6

Abbreviazioni 7

Introduzione 8

1 Introduzione 9

1.1 Epidemiologia . . . 10

1.2 Classificazione anatomo-patologica classica . . . 10

1.2.1 Cisto-adenocarcinoma sieroso-papillare . . . 11

1.2.2 Carcinoma indifferenziato . . . 11

1.2.3 Cisto-adenoarcinoma endometrioide . . . 11

1.2.4 Cisto-adenocarcinoma mucinoso . . . 12

1.2.5 Carcinoma a cellule chiare . . . 12

1.2.6 Carcinoma misto . . . 12

1.3 Patogenesi . . . 13

1.3.1 Ipotesi Ovarian surface epithelium, OSE . . . 13

1.3.2 Ipotesi dei residui m¨ulleriani . . . 13

1.3.3 Ipotesi Tube inner surface epithelium, TSE . . . 14

1.3.4 Esiste un’ipotesi unificante? . . . 15

1.4 Tipizzazione molecolare del carcinoma ovarico . . . 16

1.4.1 Carcinomi ovarici di tipo I e carcinomi ovarici di tipo II . . . . 17

1.4.2 Mutazioni aggiuntive incluse nella classificazione tipo I/tipo II 20 1.4.3 Geni mutati non associati alla tipizzazione di Kurman . . . 24

1.5 Fattori di rischio . . . 24

1.5.1 Fattori genetici . . . 24

(5)

1.6 Screening . . . 25

1.7 Clinica . . . 26

1.8 Diagnosi . . . 27

1.9 Storia naturale della malattia . . . 28

1.10 Terapia . . . 29

1.10.1 Chirurgia del carcinoma ovarico di nuova diagnosi . . . 29

1.10.2 Chemioterapia adiuvante in malattia non avanzata . . . 34

1.10.3 Chemioterapia citostatica di prima linea in malattia avanzata 34 1.10.4 Terapia a bersaglio molecolare . . . 37

1.10.5 Chemioterapia di consolidamento in malattia avanzata . . . . 39

1.10.6 Follow-up e sorveglianza . . . 40

1.10.7 Terapia della malattia recidivante . . . 41

1.11 Prognosi . . . 42

2 Obiettivi della tesi 44 3 Materiali e metodi 45 4 Risultati 47 4.1 Statistica descrittiva . . . 47

4.1.1 Malattia primitiva, chirurgia citoriduttiva e chemioterapia di prima linea . . . 47

4.1.2 Malattia recidivante: intervallo libero da platino, sede e terapia 51 4.1.3 Prognosi . . . 57

4.2 Valutazione dei fattori che incidono sull’intervallo libero da platino . . 58

4.2.1 Analisi univariata . . . 58

4.2.2 Analisi multivariata . . . 62

4.3 Valutazione dei fattori che incidono sulla sopravvivenza globale . . . . 63

4.3.1 Analisi univariata . . . 63

4.3.2 Analisi mulivariata . . . 66

5 Discussione 67

(6)

Elenco delle figure

1.1 Carcinomi intraepiteliali sierosi tubarici e p53 signature . . . 15

1.2 Mutazione di KRAS e BRAF nel carcinoma ovarico . . . 19

1.3 EGFR: cascata di attivazione del segnale . . . 21

1.4 Wnt: cascata di attivazione del segnale . . . 22

4.1 Distribuzione di frequenza della durata dell’intervallo libero da platino 52 4.2 Distribuzione di frequenza delle sedi di malattia recidivante . . . 53

4.3 Statistica descrittiva: frequenze delle sedi di malattia recidivante VS intervallo libero da platino . . . 53

4.4 Sopravvivenza globale (OS) . . . 57

4.5 Analisi univariata: grado istologico vs Intervallo libero da platino . . 59

4.6 Analisi univariata: ascite alla diagnosi vs Intervallo libero da platino . 60 4.7 Analisi univariata: tipizzazione di Kurman vs Intervallo libero da platino . . . 60

4.8 Analisi univariata: Ca125 pre-chemioterapia di prima linea vs Inter-vallo libero da platino . . . 61

4.9 Analisi univariata: intervallo libero da platino vs Sopravvivenza globale 64 4.10 Analisi univariata: presenza di ascite alla diagnosi vs Sopravvivenza globale . . . 65

4.11 Analisi univariata: Ca125 alla comparsa della recidiva vs Soprav-vivenza globale . . . 65

(7)

Elenco delle tabelle

1.1 Stadiazione del carcinoma ovarico secondo la FIGO, Federazione In-ternazionale di Ginecologia ed Ostetricia . . . 31 4.1 Statistica descrittiva: stadio FIGO, grado, istotipo . . . 49 4.2 Statistica descrittiva: malattia residua dopo citoriduzione (MR), tipo

secondo Kurman, chemioterapia di prima linea . . . 50 4.3 Statistica descrittiva: PFI (Platinum free interval) . . . 51 4.4 Statistica descrittiva: terapia della recidiva . . . 54 4.5 Statistica descrittiva: intervallo libero da platino VS platino alla

recidiva . . . 55 4.6 Statistica descrittiva: intervallo libero da platino VS Chirurgia alla

recidiva . . . 56 4.7 Analisi univariata: variabili che incidono sull’intervallo libero da platino 58 4.8 Analisi multivariata: fattori che incidono sull’intervallo libero da platino 62 4.9 Analisi univariata: variabili che incidono sulla sopravvivenza globale

(OS) . . . 63 4.10 Analisi multivariata: fattori che incidono sulla sopravvivenza globale . 66

(8)

Abbreviazioni

ASCO American Society Clinical Oncology CC Clear Cell carcinoma

CDK2 Cyclin-Dependent Kinase 2 CSC Conventional Serous Carcinoma

DESKTOP OVAR Descriptive Evaluation of preoperative Selection KriTeria for OPerability in recurrent OVARian cancer

DNA Deoxyribonucleic acid DSB Double-Stranded Break

EGFR Epidermal Growth Factor Receptor EM Endometrioid Carcinoma

EORTC European Organization for Research and Treatment of Cancer FIGO International Federation of Gynecology and Obstetrics

HE4 Human Epididymis protein 4

HER Human Epidermal Growth Factor Receptor ICON International Collaborative Ovarian Neoplasm iMPSC invasive Micropapillary Serous Carcinoma JGOG Japanese Gynecologic Oncology Group m-TOR mammalian Target of Rapamycin MAPK Mitogen-activated protein kinase

(9)

OCEANS Ovarian Cancer study comparing Efficacy and safety of chemotherapy and Anti-Angiogenic therapy in platinum-Sensitive recurrent disease

OSE Ovarian Surface Epithelium OSE Ovarian Surface Epithelium PARP Poly (ADP-ribose) Polymerase PCR Polymerase Chain Reaction PFI Platinum Free Interval PI3K PhosphoInositide 3 Kinase pRB RetinoBlastoma protein

PTEN Phosphatase and TENsin homolog ROMA Risk Ovarian Malignancy Alghorithm SBT Serous Borderline Tumor

SSB Single-Stranded Break

STIC serous tubal intraepithelial carcinomas TP53 Tumor protein p53

TSE Tube inner Surface Epithelium TSE Tube inner Surface Epithelium VEGF Vascular Endothelial Growth Factor

(10)

Capitolo 1

Introduzione

Tra gli individui di sesso femminile, il cancro primitivo a carico dell’apparato genitale si colloca in quarta posizione per incidenza in Europa, dopo il cancro della mam-mella, del colon-retto e del polmone. Le sedi interessate sono il corpo dell’utero, la cervice, la vagina e la gonade; tra questi, il tumore maligno dell’ovaio presenta il minor numero di nuovi casi/anno, ma a questo corrisponde il tasso di mortalit`a pi`u alto [105], [90].

Per cominciare a individuare l’insieme di neoformazioni alla base di tali dati epi-demiologici `e necessario introdurre la patologia tumorale ovarica nel suo insieme.

La neoplasia dell’ovaio si articola in diverse malattie, che differiscono notevol-mente per caratteristiche patogenetiche, istologiche e cliniche.

La classificazione istologica dei tumori primitivi dell’ovaio ricalca in primo luogo l’istogengesi della gonade stessa. Si riconoscono pertanto [89]:

• tumori epiteliali: derivano dall’epitelio celomatico e dai dotti m¨ulleriani; • tumori a cellule stromali o dei cordoni sessuali: si sviluppano da quelle cellule

dell’epitelio celomatico che, proliferando e portandosi verso la profondit`a delle creste genitali, danno forma ai cordoni sessuali dell’ovaio embrionale. Nella gonade matura corrispondono alle cellule tecali e della granulosa, ormono-sensibili e indispensabili per garantire lo sviluppo follicolare;

• tumori a cellule germinali: tali neoformazioni hanno origine da cellule

prove-nienti dall’endoderma del sacco vitellino. Hanno pertanto una origine annes-siale e raggiungono l’ovaio primitivo migrando con movimenti ameboidi verso

(11)

le creste genitali, a partire dalla quinta settimana gestazionale.

Tra questi, i tumori di gran lunga pi´u frequenti sono quelli epiteliali: oltre il 90% dei casi sono ascrivibili a questo istotipo.

I tumori epiteliali sono distinti in benigni, border-line e maligni. Tale distinzione `e finalizzata a stratificare le differenze in termini di capacit`a invasiva, caratteristiche istologiche e prognosi. I tumori border-line sono formazioni dall’aspetto macrosco-pico benigno, nella maggior parte dei casi. All’esame istologico presentano figure mitotiche atipiche, stratificazione epiteliali lungo il profilo di estroflessioni papillari, con un numero di strati non maggiore di tre. A differenza dei tumori francamente maligni, `e assente l’invasione dello stroma ovarico [72],[99].

Nel presente elaborato si prende in considerazione il tumore epiteliale maligno, il carcinoma ovarico.

1.1

Epidemiologia

Il carcinoma ovarico ha un’incidenza pari a 10,2/100 000 nuovi casi all’anno in Italia [105], al settimo posto tra tutti i tumori maligni nella popolazione femminile. Per mortalit`a, tuttavia, si colloca al quarto posto, dopo le patologie maligne a carico di mammella, polmone e colon-retto. Il rischio di incorrere in questa patologia in-teressa una donna su 90, a cui corrisponde un tasso di mortali`a del 50% [105]. Se si considerano esclusivamente le donne oltre i 40 anni, l’incidenza aumenta e la pa-tologia interessa una donna su 58 [90].

A livello globale, l’incidenza ´e maggiore nelle aree pi´u sviluppate (America setten-trionale, Europa) [105].

1.2

Classificazione anatomo-patologica classica

Le variet`a istologiche pi`u comuni di carcinoma ovarico sono sei: cisto-adenocarcinoma sieroso-papillare, cisto-adenocarcinoma mucinoso, cisto-adenocarcinoma endometrioi-de, cisto-adenocarcinoma indifferenziato, cisto-adenocarcinoma a cellule chiare, car-cinoma misto.

(12)

trioidi all’epitelio endometriale e i mucinosi a quello intestinale.

Tali analogie hanno suscitato interesse riguardo la reale origine dei tumori epiteliali ovarici.

1.2.1

Cisto-adenocarcinoma sieroso-papillare

Il carcinoma sieroso (il pi`u frequente, 42% dei casi [90]) `e di grandi dimensioni e bilaterale nel 66% dei casi [103]. Presenta una struttura macroscopica mista, sia solida che cistica. L’invasione oltre la capsula ovarica e la crescita sulla superficie della gonade sono frequenti. Si distinguono foci emorragici e necrotici [35].

Al microscopio si osservano cellule epiteliali, di forma cuboidale [72], stratificate in almeno quattro strati; le cellule hanno un’architettura papillare che ricalca quella dell’epitelio delle tube [52]. Il grado proliferativo `e elevato, le atipie nucleari sono pi`u evidenti che nei tumori border line ed `e presente invasione stromale. Possiamo ritrovare, inoltre, delle formazioni calcifiche, i corpi psammomatosi, espressione di danno distrofico-ischemico [72].

Rientra tra i carcinomi sierosi anche una forma micropapillare che, pur essendo invasiva, presenta un grado proliferativo non troppo marcato, paragonabile a quello dei tumori border-line [92]. La forma micropapillare `e detta a basso grado, per di-stinguerla dalla lesione sierosa con malignit`a maggiore, detta ad alto grado.

1.2.2

Carcinoma indifferenziato

Il carcinoma indifferenziato, secondo per frequenza dopo quello sieroso (17% dei casi [90]) non presenta elementi ascrivibili alle altre categorie istologiche. Si caratterizza per la presenza di atipia cellulare marcata, cellule giganti e mitosi atipiche [35]. Da un punto di vista clinico `e quello con la prognosi pi`u grave.

1.2.3

Cisto-adenoarcinoma endometrioide

La variante endometrioide ´e terza per frequenza, con il 15% dei casi [90]. Si tratta di endometriosi cistica dell’ovaio (endometrioma) che va incontro a degenerazione ma-ligna; pertanto ricalca le caratteristiche di un adenocarcinoma dell’endometrio: la componente solida `e caratterizzata da estesa fibrosi; le cisti contengono liquido color

(13)

cioccolato, di natura emorragica (cisti cioccolato). La componente ghiandolare, ap-prezzabile con la microscopia ottica, `e costituita da ghiandole tubulari con epitelio colonnare mono- o pseudostratificato, con frequenti atipie nucleari.

1.2.4

Cisto-adenocarcinoma mucinoso

Il carcinoma mucinoso (12% dei casi [90]) `e unilaterale nel 75% dei casi e di grandi dimensioni. Macroscopicamente, si presenta multiloculare con qualche gettone soli-do [72]; le cavit`a contengono materiale viscoso, talvolta emorragico.

Al microscopio, appare costituito da cisti irregolari e strutture ghiandolari, delimi-tate da cellule mucinose cilindriche atipiche, disposte su quattro o pi`u strati, che invadono lo stroma [35].

Nell’ambito dei tumori mucinosi si distinguono due istotipi: uno con elementi in comune con gli adenomi villosi dell’intestino [103], l’altro con caratteristiche tipica-mente endocervicali, perci`o detto m¨ulleriano; tuttavia, quest’ultima tipologia non ha riscontro nella patologia maligna, ma solo in quella benigna e border-line.

1.2.5

Carcinoma a cellule chiare

La presenza di cellule chiare (6% dei casi [90]) `e dovuta al contenuto abbondante di glicogeno all’interno delle cellule tumorali. Talvolta si ritrovano cellule a chiodo di scarpa, chiamate cos`ı per la loro forma appuntita ad un polo [35]. Questa tipologia di carcinoma deriva dal paraooforon, cio´e dai residui embrionali paraovarici dei dotti mesonefrici.

1.2.6

Carcinoma misto

Il carcinoma misto ha frequenza pari al 2% [90]. Sono riconoscibili due o pi´u degli istotipi sopracitati.

In aggiunta alla classificazione istologica della OMS, si considera una classificazione della International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO) in 3 gradi di architettura microscopica. Questa considera la proporzione tra componente papil-lare/ghiandolare e componente di crescita solida. Ai gradi 1, 2, 3 corrispondono

(14)

rispettivamente fino al 5% , tra 5 e 50 % , oltre 50% di aspetto microscopico solido [9].

1.3

Patogenesi

L’eterogeneit`a degli istotipi del carcinoma ovarico riflette la variet`a dei processi pato-genetici che portano al suo sviluppo.

1.3.1

Ipotesi Ovarian surface epithelium, OSE

Negli anni ’70, venne ipotizzato che il tessuto di origine dei tumori ovarici fosse l’epitelio di rivestimento della gonade, ovvero il mesotelio. Questo, mensilmente, ´e sottoposto al processo di lesione e cicatrizzazione al momento dell’ovulazione. Il mi-crotrauma che si viene a formare ´e colmato dall’invaginarsi dell’epitelio circostante. Tali inclusioni epiteliali tendono ad andare oltre la superficie della gonade e ad essere incluse nello stroma, dapprima come formazioni peduncolate e poi come cisti. Una possibile causa di cancerogenesi `e riconosciuta proprio in questo avvicendarsi di mi-crotrauma e riparazione. Questa ipotesi ´e suffragata da Fathalla nel 1971 sulla base di dati epidemiologici: l’incidenza del carcinoma ovarico ´e maggiore per quelle donne che, nel corso della vita, vanno incontro ad un numero pi´u alto di ovulazioni. La nulliparit`a, il menarca precoce, la menopausa tardiva, l’infertilit`a sono condizioni as-sociate in maniera significativa con l’insorgenza di carcinoma ovarico. Al contrario, risultano fattori protettivi la multiparit`a, la menopausa precoce, l’allattamento e l’assunzione di contraccettivi orali. Viene cos´ı formulata l’ipotesi patogenetica del-l’ovulazione incessante [18].

1.3.2

Ipotesi dei residui m¨

ulleriani

Tuttavia, l’ipotesi OSE ha come limite il fatto che alcuni tra gli istotipi sopra de-scritti sono morfologicamente affini a strutture di derivazione m¨ulleriana (tube, en-dometrio, cervice)[72], [52], che, a differenza della superficie ovarica, che si svilup-pano dall’epitelio celomatico. Per giustificare questa discordanza, si ipotizza l’esi-stenza di un sistema m¨ulleriano secondario in sede paratubarica e paraovarica: si tratterebbe di residui embrionali, da cui prenderebbero origine formazioni

(15)

neoplas-tiche cisneoplas-tiche che si addossano agli annessi [46], [43].

Due principali critiche sono state mosse contro l’ipotesi del sistema m¨ulleriano secondario [43]. In primo luogo, seppure spesso nella corticale ovarica si riscontri-no formazioni cistiche, riscontri-non soriscontri-no mai state evidenziate delle lesioni paratubariche o paraovariche di carattere precanceroso, che facciano presagire lo sviluppo della neoplasia maligna. In secondo luogo, non sono state evidenziate cisti che, per le loro caratteristiche istologiche, siano accostabili all’epitelio simil-intestinale tipico dei tumori mucinosi: rimane cos´ı del tutto inspiegata la genesi del 12% dei tumori maligni dell’ovaio.

1.3.3

Ipotesi Tube inner surface epithelium, TSE

Lo studio delle lesioni precancerose ha subito un’importante svolta nel 2001: un gruppo di ricerca olandese ha evidenziato delle formazioni preneoplastiche in sede tubarica in donne che erano sottoposte a salpingo-ovariectomia bilaterale profilat-tica, perch´e portatrici di mutazione germinale di BRCA1 [75]. Successive conferme ([7], [19], [68], [76]) su casi analoghi hanno portato alla definizione di una nuova ipotesi: i precursori del cancro ovarico derivano da cisti di epitelio tubarico ciliato-sieroso, andate incontro a displasia e migrate per esfoliazione dalle fimbrie alla su-perficie ovarica [74]. Queste formazioni vengono indicate come serous tubal

intraep-ithelial carcinomas (STIC, [43]). Come mostrato in figura 1.1, una caratteristica

di questi precursori consiste nell’iperespressione di p53 mutata, che si accumula nel citoplasma, perch´e non funzionale [17]. Questo pattern di colorazione ´e stato eviden-ziato, oltre che in concomitanza con le STIC, anche in tube apparentemente sane, in assenza di lesioni tumorali. Tale osservazione ha aperto le porte a ipotesi riguardanti il ruolo patogenetico di mutazioni specifiche di p53, che fungano da primum movens delle lesioni maligne. L’espressione coniata per indicare queste mutazioni ´e

p53 signature [34]. Tuttavia, ci sono molte questioni da risolvere prima che questa

ipotesi possa essere accettata [43]. A titolo di esempio, in primo luogo le mutazioni della p53 signature non sempre corrispondono a quelle presenti nelle STIC dello stes-so campione. In secondo luogo, le p53 signature hanno un’elevatissima prevalenza nella popolazione (generale e predisposta al carcinoma ovarico) ma fortunatamente non tutte le lesioni vanno incontro a trasformazione maligna. La connessione tra la p53 signature e le STIC appare interessante, ma necessita senz’altro di ulteriori ricerche prima di essere compresa appieno.

(16)

Figura 1.1

Carcinomi intraepiteliali sierosi tubarici e p53 signature

A sinistra: carcinomi intraepiteliali sierosi tubarici ad alto ingrandimen-to (STIC) colorate con emaingrandimen-tossilina-eosina. A destra: colorazione im-munoistochimica per p53 di STIC, che mette in evidenza la p53 signature [43]

Il passo successivo in questo ambito di ricerca `e stato quello di verificare il nesso tra lesioni tubariche e carcinoma ovarico anche in soggetti affetti da tumore, non geneticamente predisposti. Diversi studi sono stati condotti in questo senso: sono state valutate attentamente le tube di pazienti sottoposte a chirurgia citoriduttiva per carcinoma ovarico in diversi stadi. Nell’ambito dei tumori sierosi di alto grado, sono state riscontrate STIC nel 59-75 % dei casi [40], [82]. E’ stato studiato il pattern di mutazione della p53 ed ´e stato verificata corrispondenza tra quello delle STIC, del tumore ovarico e anche delle eventuali metastasi [42].

1.3.4

Esiste un’ipotesi unificante?

La ricerca di precursori neoplastici ha portato delle risposte non del tutto soddisfa-centi, per diversi motivi.

• L’evidenza delle lesioni tubariche (STIC) fornisce una base patogenetica per

un’alta percentuale dei tumori sierosi, ma rimane incerta l’origine dei rima-nenti. Si pu´o supporre che siano sfuggite alla dissezione tubarica, oppure che, per esfoliazione, abbiano abbandonato completamente la tuba per impiantarsi sulla superficie ovarica [43].

• In alcuni casi, in concomitanza con tumori di alto grado, si ritrovano lesioni

(17)

mancanza delle tipiche mutazioni di p53 e, al contrario, la presenza di forme mutate di altri geni (KRAS o BRAF). Questo ha portato a supporre che i pattern di mutazioni siano molteplici. Inoltre, `e stato ipotizzato che in una parte della casi si riesca a ricostruire una sequenza di evoluzione, a partire da lesioni non invasive verso carcinomi veri e propri [43]. Questo concetto `e ripreso nell’ambito della classificazione su base molecolare secondo Kurman.

• E’ necessario differenziare la patogenesi dei tumori sierosi da quella degli altri

istotipi. L’eziopatogenesi dei tumori di basso grado endometrioidi e a cellule chiare, al pari di quella della malattia endometriosica in generale, cui spesso sono associati, `e legata alla disseminazione di residui endometriali per me-struazione retrograda. La morfologia microscopica del tessuto e lo studio della genetica molecolare forniscono prove a riguardo [43]. Secondo questo model-lo, dunque, l’ovaio risulterebbe interessato solo secondariamente dal tumore, sviluppatosi per trasformazione maligna di cellule di endometriomi [43].

• Il tumore mucinoso con fenotipo simil-intestinale non presenta i caratteri tipici

dei tumori di origine m¨ulleriana. E’ stato osservato che tende ad associarsi con foci di tessuto neoplastico transizionale benigno di Brenner e con i nidi di Walthard (aggregati di epitelio a carattere transizionale, del tutto benigni). Seppure questa associazione sia stata evidenziata in una percentuale esigua di casi (18%), pu´o costituire un punto di partenza per lo studio di questi istotipi: ´e stata avanzata l’ipotesi che i due istotipi abbiano origine comune. Ulteriori studi sono necessari per avvalorare questo modello.

Una spiegazione univoca della patogenesi del carcinoma non ´e attualmente pre-sente in letteratura.

La caccia ai precursori non si ferma, nonostante i risultati spesso contrastanti o poco incoraggianti: la rilevanza di questi studi risiede nell’impatto clinico potenziale, in termini di prevenzione secondaria della malattia.

1.4

Tipizzazione molecolare del carcinoma

ovari-co

Parallelamente allo studio dei precursori, esiste una linea di ricerca che si concentra sulla patogenesi molecolare dei carcinomi ovarici, con lo scopo di trovare i possibili obiettivi della terapia a bersaglio molecolare.

(18)

Per agevolare la messa a fuoco di un quadro di insieme, questa sezione `e divisa in tre parti: nella parte iniziale si presenta una classificazione su base molecolare dei carcinomi ovarici proposta nel 2004 [92]; nella seconda parte si considerano nuove evidenze che hanno arricchito la classificazione del 2004; nella terza parte, si approfondiscono ulteriori aspetti molecolari che esulano da questa classificazione, ma che si sono rivelati molto utili ai fini della ricerca farmacologica.

1.4.1

Carcinomi ovarici di tipo I e carcinomi ovarici di tipo

II

Il carcinoma ovarico, nelle sue diverse forme istologiche e nei suoi diversi gradi di invasivit`a, costituisce una patologia di difficile incasellamento. Tuttavia, gli studi condotti fino al 2004 hanno portato Robert J. Kurman a proporre un modello di progressione del tumore. In questo modello, i tumori sono divisi in due categorie, tipo I e tipo II. Queste diciture si riferiscono a percorsi di genesi tumorale molecolare che, in maniera trasversale rispetto alla classica distinzione anatomo-patologica, forniscono informazioni circa il grado di malignit`a della malattia e la rapidit`a del suo decorso.

Carcinoma ovarico di tipo I

Comprende quei cancri ovarici che si sviluppano da una lesione pre-esistente di tipo border-line e, pertanto, giungono al fenotipo aggressivo e maligno dopo diversi anni di progressione indolente [92]. Da un punto di vista istologico, hanno questo comportamento le forme mucinosa, endometrioide e a cellule chiare, e la forma sierosa invasiva micropapillare, detta anche di basso grado [92], [59].

Da un punto di vista molecolare, il tipo I `e caratterizzato da mutazioni a livello della via della MAPK (Mitogen-activated protein kinase), ovvero di una famiglia di serina-treonina chinasi ubiquitarie nella cellula e coinvolte in diversi processi, dalla risposta infiammatoria alla mitosi [44]. In particolare, nei carcinomi di tipo I, si ritrovano mutazioni a carico dei protoncogeni KRAS e BRAF, mutualmente esclusive: `e infatti sufficiente che uno dei due geni sia mutato per attivare la via delle MAPK [44], [92]. La sequenza enzimatica in questione `e la seguente: RAS / RAF / MEK / ERK / MAP, che termina con l’attivazione della mitosi, per passaggio dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare, con attivazione della duplicazione del DNA [56].

(19)

• KRAS Utilizzando la PCR, `e stato osservato che i tumori con mutazioni

di KRAS sono le forme sierose border-line e le lesioni maligne micropapillari sierose invasive (vedi §1.2.1), nella percentuale del 30-50% [59]; in misura mi-nore sono interessati anche i carcinomi a cellule chiare. Le forme sierose diverse da quelle micropapillari, rappresentate dai carcinomi maligni ad alto grado, non presentano questa mutazione [59], [93].

La presenza di mutazioni di KRAS in tumori sierosi border-line e tumori ma-ligni di basso grado micropapillari fa supporre l’esistenza di una continuit`a patogenetica tra le due forme. Al contrario (vedi figura 1.2), la forma sierosa ad alto grado risulta esclusa da questa progressione [92], [59].

• BRAF La mutazione interessa il 28-30% dei tumori sierosi border-line e

carci-nomi a basso grado micropapillari nel loro complesso. Attraverso studi attuati con metodiche molto sensibili (valutazione di SNP marcatori per mutanti di BRAF) si giunge a definire il profilo di frequenza della forma mutata di BRAF per l’istotipo sieroso. La differenza `e statisticamente significativa solo se si con-sidera la stadiazione FIGO (vedi§1.10.1): negli stadi pi`u avanzati la mutazione `e significativamente meno frequente [29]. Non viene rilevata, al contrario, una differenza significativa sul piano istologico tra i carcinomi sierosi di basso grado e quelli di alto grado [29].

Riguardo ai tumori a cellule chiare ed endometrioidi i dati sono discordanti: le percentuali di mutazioni oscillano tra il 10 e il 40%

I risultati sulle forme mucinose sono discordanti.

L’unico dato costante, indipendentemente dalle altre caratteristiche, `e la mu-tua esclusivit`a delle mutazioni di KRAS e BRAF [59], [56], [27], vedi figura 1.2.

(20)

Figura 1.2

Mutazione di KRAS e BRAF nel carcinoma ovarico

SBT: Serous Borderline Tumor. iMPSC: invasive Micropapillary Serous Car-cinoma. CSC: Conventional Serous CarCar-cinoma. EM: Endometrioid arCar-cinoma. CC: Clear Cell carcinoma. Per ogni tipologia istologica, si riportano le per-centuali di casi che presentano mutazioni di KRAS (barra nera) e BRAF (barra grigia). I dati sono ricavati da studio con PCR su pezzi operatori. Le due mutazioni sono entrambe assenti nei tumori CSC, ovvero i carcinomi sierosi di alto grado, mentre accomunano le forme sierose border-line e sierosa a basso grado, ovvero micropapillare invasiva. Non sono riportate mutazioni di BRAF in carcinomi a cellule chiare; BRAF prevale su KRAS nella forma endometrioide. Tuttavia ricordiamo che i dati su queste forme meno frequenti di carcinoma ovarico sono discordanti.[93]

Carcinoma ovarico di tipo II

I carcinomi ovarici di tipo II hanno rapida evoluzione e non sono associati a lesioni riconoscibili morfologicamente come precursori. Sono molto aggressivi e metastatiz-zano precocemente.

La mutazione associata a questo profilo clinico `e stata, fin dalla prima classificazione del 2004 [92], quella del gene TP53 (tumor protein p53). La proteina codificata, p53, funge da oncosoppressore: in relazione alla presenza di danni al DNA, pu`o indurre l’arresto del ciclo cellulare al checkpoint tra la fase G 1 e la fase S e innescare l’apo-ptosi cellulare [41].

Gli studi basati sull’immunoistochimica di p53 su tumore ovarico sono numerosis-simi. Considerando a titolo di esempio una metanalisi del 2003 [41], si ricava che mutazioni di questo gene sono presenti nel 45% dei tumori maligni ovarici. Tra questi, le patologie maggiormente interessate da mutazioni di TP53 sono i carcino-mi sierosi di alto grado, i carcinocarcino-mi endometrioidi di alto grado, i carcinocarcino-mi ovarici indifferenziati e i carcinosarcomi, ovvero tumori mesodermali misti, identici, nella loro parte epiteliale, agli altri appena citati [43]. Considerando questi tumori nel loro insieme, la frequenza di mutazioni di TP53 `e del 45-50% [9], [59].

Tuttavia, con metodiche pi`u accurate, basate sulla purificazione dei campioni e stu-dio mediante PCR delle mutazioni, si identifica una frequenza dell’80% di forme

(21)

anomale di TP53 [91] nei tumori sierosi di alto grado; di contro, i tumori di basso grado presentano un dato minore (7,7%). Anche se non `e riportata la significativit`a statistica di tale differenza, i dati sono sufficientemente diversificati da poter sup-portare la dicotomia tra tipo I e tipo II.

Dalla proposta della classificazione in tipo I e tipo II, sono stati pubblicati nu-merosi studi che vanno in diverse direzioni: da un lato, confermare con metodi sempre pi´u precisi la dicotomia, concentrandosi sui marcatori primariamente in-dividuati, cio´e KRAS/BRAF e TP53; dall’altro, indagare sul ruolo patogenetico di mutazioni di altri geni. In numerosi casi si prova a incasellare le mutazioni di recente evidenziate nello schema proposto da Kurman nel 2004, nel tentativo di affermare con coerenza la duplicit`a della malattia neoplastica maligna dell’ovaio.

Di seguito si evidenziano tali ulteriori ipotesi dati, indicando l’eventuale analogia con il tipo I o il tipo II.

1.4.2

Mutazioni aggiuntive incluse nella classificazione tipo

I/tipo II

Geni associati al carcinoma dell’ovaio di tipo I

ERBB2/HER2/neu Il gene ERBB2, detto anche Neu o HER2 (Human EGF

Receptor ) rientra nella famgilia ERB dei recettori per EGFR (EGFR, Epidermal Growth Factor Receptor ). E’ situato all’origine di una catena di trasduzione del

seg-nale che coinvolge anche i geni KRAS e BRAF, nell’ambito della via delle MAPK (vedi figura 1.3).

Per queste sue caratteristiche `e stato studiato come oggetto di possibile mutazione nella patogenesi dei carcinomi ovarici di tipo I, in alternativa rispetto alle mu-tazioni dei due geni caratterizzanti. Studi attraverso microarray mettono in evi-denza l’espressione di HER2/ERBB2 in carcinomi sierosi di basso grado [2] (9% ), [9], [2]). L’assenza di questa mutazione in tumori di alto grado e la mutua esclusivit`a rispetto alle mutazioni di KRAS e BRAF lasciano supporre che si tratti di una via relativamente rilevante per l’attivazione della via delle MAPK nei tumori di tipo I [43].

(22)

Figura 1.3

EGFR: cascata di attivazione del segnale

EGFR: Epidermal growth factor receptor. TGF alpha: Transforming Growth Factor alpha. PI3-K: PhosphoInositide 3 Kinase. m-TOR: mammalian Tar-get of Rapamycin.. L’EGFR, attivato da ligandi quali TGF alpha o EGF, omodimerizza. Il sito autocatalitico tirosin-chinasico lega il fosfato. A valle ci sono tre vie: SX via di IP3-k, Akt e mTOR, CENTRO via di JaK/Stat, DX via delle MAP chinasi. Tali vie di propagazione del segnale influenzano diret-tamente l’azione nucleare di fattori di replicazione e trascrizione: innescano la progressione del ciclo cellulare, la mitosi, bloccano l’apoptosi e favoriscono un fenotipo tumorale.

CTNNB1 Il gene CTNNB1 codifica per la beta-catenina, implicata nella via di Wnt (vedi figura 1.4). Tramite analisi con PCR, `e stato rilevato che il 23% dei car-cinomi endometriodi (classificati come tipo I) presentano mutazioni di questo gene [106], con una differenza statisticamente significativa rispetto all’istotipo sieroso.

(23)

Figura 1.4

Wnt: cascata di attivazione del segnale

GSK 3 beta: Glycogen Synthase Kinase 3 beta. Wnt si lega ai recettori di membrana frizzled in presenza del corecettore LPR5/6. Il reclutamento di dishevelled causa l’inibizione della GSK 3 beta, che, costituitivamente, degrada la beta-catenina. In presenza di Wnt, dunque, la beta-catenina pu`o agire a livello nucleare, come fattore di trascrizione o attivazione del ciclo cellulare. [53]

PTEN Lo stesso tipo istologico endometrioide presenta nel 31% dei casi mutazioni a carico di PTEN [106]. PTEN `e un gene oncosoppressore che codifica per una fosfatasi, Pten (Phosphatase and tensin homolog), la quale defosforila il substrato PI3. In questo modo, blocca la via della Akt (vedi figura 1.3).

Geni mutati associati al carcinoma dell’ovaio di tipo II

In aggiunta a p53, nei tumori di tipo II sono stati evidenziati altri geni mutanti [59]. A questo proposito, `e stato messo a punto uno studio dell’amplificazione genica in tumori sierosi di alto grado [64] attraverso l’analisi degli SNP. I geni in questione sono i seguenti.

(24)

CCNE1 codifica per la ciclina E1. Questa si lega alla chinasi ciclina-dipendente 2 (CDK2), che fosforila pRb (proteina del retinoblastoma). Di conseguenza il fattore di trascrizione E2 (E2F), costitutivamente inibito da pRb, `e libero di attivare la duplicazione del DNA a livello nucleare. Il gene CCNE1 `e amplificato per un numero maggiore di tre volte nel 33% dei carcinomi sierosi di alto grado [64].

PARP Il gene PARP codifica per la poli(ADP-ribosio) polimerasi, un enzima che implicato nella riparazione dei danni a singola elica (SSB, Single-Stranded Break ) ma interviene anche nella riparazione dei DSB attraverso la ricombinazione non omologa. In caso di mutazioni di BRCA 1-2 nella linea germinale, questo mecca-nismo di riparazione rimane l’unico in grado di ovviare ai danni al DNA. Quando si verificano alterazioni anche a carico di PARP, le rotture al DNA non possono essere riparate e la cellula va in apoptosi. L’utilizzo di inibitori di PARP `e pertanto indicata per il trattamento di pazienti portatrici della mutazione germinale BRCA 1-2. Tuttavia `e stato evidenziato che lo stesso ragionamento pu´o essere fatto per quei tumori sporadici con mutazioni somatiche di BRCA [24] (11-35% dei casi di carcinoma epiteliale ovarico [51]). Non necessariamente si tratta di danno diretto ai codoni dei BRCA: ci sono diversi meccanismi epigenetici di silenziamento di queste sequenze, quale per esempio la metilazione del promotore. A questo, si associano mutazioni di p53 e PTEN. Nel complesso, questo profilo `e definito BRCAness. Una caratteristica tipica di tale sottogruppo `e la sensibilit`a a tutti i farmaci che agiscono alterando il DNA, come i composti di coordinazione del platino.

AKT2 e PIK3CA codifica per una serina/treonina chinasi contentente un do-minio SH2-like (Src homology 2-like). E’ implicata in diverse vie di trasduzione del segnale, tra cui quella di mTor (vedi figura 1.3). Risulta amplificata nel 28% dei carcinomi ovarici sierosi di alto grado [64]. Anche PIK3CA codifica per una chinasi implicata nella via di mTor, situata immediatamente a monte di Akt; tuttavia la sua frequenza di amplificazione `e solo del 9% [64].

Da quanto detto si pu`o dedurre che anche nei tumori di tipi II si verifica una dis-regolazione a carico della via di mTor, ma a livelli diversi rispetto ai tumori di tipo I.

(25)

1.4.3

Geni mutati non associati alla tipizzazione di Kurman

Diversi geni non classificati secondo la suddivisione in carcinoma ovarico di I e II tipo sono stati analizzati. Se ne riporta una categoria, che risulta particolarmente utile come bersaglio terapeutico.

Fattori e recettori angiogenetici L’angiogenesi `e una evento indispensabile al-la crescita di un tumore al di sopra di 1-2 mm [86]. La regoal-lazione `e deputata al bilancio dinamico tra fattori pro-angiogengetici a anti-angiogenetici.

Nei tessuti tumorali, la sovraregolazione dei geni per i fattori di crescita endoteliali (VEGF, Vascular Endothelial Growth Factor , indicati dalla A alla E) e dei cor-rispettivi recettori causa la formazione di vasi anomali, tortuosi, privi di periciti; Ci´o determina un flusso non adeguato di ossigeno e nutrienti.

Nel carcinoma dell’ovaio `e stata ricercata e trovata iperespressione di VEGF; l’immunoistochimica ha permesso di visualizzare in maniera qualitativa l’iperespres-sione di questo fattore di crescita.

1.5

Fattori di rischio

1.5.1

Fattori genetici

Il 95% dei tumori ovarici sono sporadici, mentre il 5% `e determinato da fattori genetici [72].

• BRCA 1 e BRCA 2 Le mutazioni dei geni BRCA su linea germinale sono

autosomiche dominanti. Sono associate ad un rischio di sviluppare la cosiddet-ta sindrome familiare della mammella e dell’ovaio. Il BRCA 1 mucosiddet-tato induce un rischio di carcinoma della mammella del 50% entro i 50 anni, e dell’ovaio del 20-40% entro i 60 - 70 anni.

• MSH1, MLH1, PMS1, PMS2, MSH6/GTBP Sono i geni le cui

mu-tazioni determinano la sindrome di Lynch o HNPCC (Hereditary Non Polyposis

Colon Cancer ).

• TP53 La mutazione ereditaria del gene TP53 determina la sindrome di

Li-Fraumeni, associata ad aumentato rischio di neoplasie in generale, e di tumore della mammella e dell’ovaio in particolare.

(26)

Nell’ambito delle sindromi ereditarie, i tumori insorgono in et`a pi´u precoce e sono pi´u aggressivi.

1.5.2

Fattori endocrini

Gli studi epidemiologici di Fathalla [18] (vedi 1.3) hanno evidenziato che la nullipari-t`a, il menarca precoce, la menopausa tardiva, l’infertilit`a sono condizioni associate in maniera significativa con l’insorgenza di carcinoma ovarico. Al contrario, risultano fattori protettivi la multiparit`a, la menopausa precoce, l’allattamento e l’assunzione di contraccettivi orali. Per ogni anno di uso di estroprogestinici, il rischio relativo (RR) si riduce del 7% ; l’assunzione per pi´u di 5 anni riduce il rischio di tumore del 30% per i successivi 10-15 anni.

Studi in vitro hanno meglio evidenziato il ruolo dei fattori endocrini: gli estro-geni hanno un effetto anti-apoptotico sulle cellule della superficie ovarica, attivando il gene Bcl-2; al contrario, i progestinici giocano un ruolo pro-apoptotico, agendo tramite la i recettori del TGF - β e la via di Fast/Fast-ligando [96]. Pertanto, l’ipotesi della ovulazione incessante formulata da Fathalla non si `e rivelata corretta. Altri fattori che sono stati chiamati in causa per la patogenesi dei tumori ovarici sono le gonadotropine: da un lato `e stato osservato che queste neoplasie si svilup-pano all’inizio della menopausa, in cui le concentrazioni di FSH e LH sono elevate; dall’altro, sulle cellule dell’epitelio di rivestimento ovarico (e anche sulla mucosa delle tube) sono presenti recettori per le gonadotropine. A proposito di questi fat-tori stimolanti, l’attenzione si `e soffermata sul possibile ruolo del clomifene acetato o delle stesse gonadotropine usati come farmaci per la stimolazione follicolare. Tut-tavia, bisogna sottolineare che questa tipologia di terapie `e somministrata in caso di infertilit`a, che di per s´e costituisce un fattore di rischio: si tratta di un elemento confondente. In base ai dati attualmente disponibili in letteratura, la stimolazione con questi farmaci non ha un impatto significativo nel determinare il cancro ovarico [65].

Al contrario, `e stato dimostrato che la terapia estrogenica sostitutiva, se non asso-ciata a progestinici, causa un aumento di rischio di tumore, che decresce nel tempo [4].

1.6

Screening

L’elevata mortalit`a del carcinoma ovarico `e dovuta al fatto che la diagnosi `e molto frequentemente tardiva. Purtroppo, ad oggi non esiste un programma di screening

(27)

validato per questo tumore. La diagnosi si basa su esame ginecologico, ecografia transvaginale, valutazione del marcatore Ca125, che di per s´e incrementa la speci-ficit`a degli altri due esami.

E’ in corso nel Regno Unito uno studio prospettico randomizzato che punta a ve-rificare se uno screening a tappeto basato su esame ginecologico, misura del Ca125 e ecografia possa incidere sulla mortalit`a del carcinoma ovarico nella popolazione generale.

Lo studio ha reclutato pi´u di 200 000 donne, randomizzate in tre bracci: il primo, si sottopone a ecografia transvaginale annualmente; il secondo, viene valutato con il Ca125 ed esegue l’ecografia solo come esame di secondo livello; il terzo `e un braccio di controllo. Da un’analisi preliminare dei dati, si evince che lo screening multi-modale ha maggiore specificit`a. I risultati in termini di impatto epidemioligico e di mortalit`a non sono ancora disponibili [58].

E’ stato evidenziato un nuovo marcatore per il carcinoma ovarico, l’HE4 (Human

Epididymis protein 4). Ritrovato per la prima volta nel liquido prostatico, l’HE4 ha

maggiore specificit`a del Ca125, in quando non si positivizza in caso di endometriosi ed endometriomi [45].

Un altro sistema di screening `e l’OVALIFE test: questo combina le misurazioni di prolattina, leptina, osteopontina, insulin-like growth factor II, macrophage inibitory factor e Ca125. Con altissima sensibilit`a ( 95,3% ) e specificit`a ( 99,4% ), pu´o essere di valido aiuto nella diagnosi del carcinoma, in combinazione con l’esame clinico e l’ecografia, soprattutto nelle pazienti ad alto rischio [104]. In generale, nelle pazienti BRCA-mutate, tutte le metodiche di screening hanno un valore predittivo positivo maggiore che nella popolazione generale.

1.7

Clinica

La sintomatologia precoce del carcinoma ovarico `e aspecifica e, pertanto, general-mente sottovalutata o ignorata. Si tratta di dolore lieve addominale, senso di pesan-tezza pelvica, vomito, che vengono accostati alle comuni patologie gastrointestinali. Anche se sono costanti e ingravescenti nel tempo, non vengono avvertiti come cam-panelli di allarme. Compaiono circa 32 - 12 mesi prima che la patologia diventi manifesta. Quando questi sintomi si presentano pi´u di 12 volte al mese e sono di nuova insorgenza (<1 anno), va presa in considerazione l’ipotesi di carcinoma ovari-co. E’ stato verificato che la soddisfazione di entrambi i criteri ha una sensibilit`a del 56,7% nel caso di malattia precoce, del 79,5% in caso di malattia tardiva. La

(28)

specificit`a arriva al 90% per le donne >50 anni.

In fase avanzata, oltre ai sintomi tipici di malattia neoplastica, quali cachessia, anoressia, astenia, si ritrovano dolore addominale, rigonfiamento dovuto alla presen-za di ascite e evidenpresen-za di massa pelvica alla palpazione.

Il quadro pu´o talvolta presentarsi sottoforma di patologia subocclusiva o diretta-mente come addome acuto, per la compressione ab estrinseco esercitata dalla massa tumorale [72].

1.8

Diagnosi

La diagnosi di certezza pu´o essere effettuata solo sul tavolo operatorio, con lo studio macroscopico e microscopico della lesione.

Tuttavia, il sospetto di neoplasia viene gi`a determinato dalle indagini preliminari. In primo luogo, bisogna valutare l’anamnesi della paziente: l’et`a, la familiarit`a, la sintomatologia, se avvertita, la presenza di segni di malattia gi`a avanzata, come l’ascite. Gli esami dei marcatori sierici, il test di gravidanza negativo in caso di pazienti pi´u giovani, l’esplorazione vagino-rettale e gli esami di imaging completano il quadro.

All’esame ginecologico, una massa immobile, solida o semisolida, >5 cm, irrego-lare e bilaterale `e da considerarsi sospetta, soprattutto se si tratta di una donna in menopausa.

L’ecografia permette di individuare la presenza dell’ascite e della massa ovarica, nonch´e di caratterizzarla. Se si tratta di una formazione tondeggiante, con pareti regolari e sottili, priva di sepimentazioni interne, con diametro <5 cm, nell’am-bito di parenchima normale, `e probabilmente benigna. Le caratteristiche opposte, vale a dire maggiori dimensioni, sepimentazioni e papille interne, disomogeneit`a e vascolarizzazione irregolare, sono indicative di probabile malignit`a. Le lesioni con caratteristiche intermedie, per dimensioni e costituzione vanno valutate in funzione dell’et`a della paziente: se la donna `e in menopausa, sono difficilmente ascrivibili a patologia funzionale.

La TC e la RM sono utili a capire il livello di diffusione della patologia a livello addominale e extra-addominale.

Il ruolo della PET in fase di diagnosi non `e ben definito. Risulta maggiormente utile per il riconoscimento della recidiva, per la quale ha sensibilit`a maggiore rispetto alla TC. La colon/gastroscopia pu´o essere utile per escludere la compresenza di lesioni sincrone gastroenteriche, come per esempio succede nel caso di tumore di

(29)

Kruken-berg.

I marcatori sierici sono indispensabili per la diagnosi.

Il Ca125 rappresenta il gold-standard per la diagnosi di carcinoma ovarico, indipen-dentemente dal tipo istologico. A questo, da poco si `e aggiunto l’HE4 (vedi §1.6) che, per la sua alta specificit`a, `e pi´u affidabile per la diagnosi differenziale.

Lo score ROMA (Risk Ovarian Malignancy Alghorithm) valuta il Ca125 e l’HE4 in funzione dello stato menopausale o meno. Ha sensibilit`a elevata, soprattutto negli stadi I e II [62].

Si devono valutare anche i marcatori CEA e Ca19.9, per escludere patologia gastro-enteriche o per vagliare i tumori di tipo mucinoso.

1.9

Storia naturale della malattia

La diffusione del cancro ovarico avviene per via trans-peritoneale, linfatica e, meno comunemente, ematica.

Via trans-peritoneale

Le cellule sfaldatesi dalla massa ovarica si distribuiscono nell’addome veicolate dal liquido peritoneale [72]. I movimenti peristaltici intestinali e la respirazione deter-minano le variazioni di pressione responsabili del continuo movimento del liquido addominale. Di conseguenza, le cellule tumorali tendono a depositarsi nei pun-ti in cui queste correnpun-ti indugiano maggiormente, ovvero la doccia parieto-colica di destra, l’ampia superficie del ventaglio mesenteriale e dell’omento, le cupole diafram-matiche. La disseminazione nella doccia parieto-colica di sinistra ´e limitata dalla presenza del ligamento freno-colico sinistro, che ne ostruisce parzialmente l’accesso.

Via linfatica

Seconda per importanza, la disseminazione linfatica o retroperitoneale avviene prin-cipalmente attraverso due vie. La prima ´e quella che parte dal peduncolo gonadico: a destra drena nei linfonodi intercavoaortici, paracavali e precavali, a sinistra a quelli preaortici e para-aortici. La seconda drena verso i linfonodi iliaci esterni e comuni, poi a quelli aortici.

Anche i linfonodi inguinali possono essere interessati, per via retrograda o per an-terograda tramite il ligamento rotondo. E’ meno comune il coinvolgimento dei

(30)

Via ematica

La diffusione per via ematica `e pi´u rara e generalmente avviene in fase avanzata. I distretti principalmente interessati sono i polmoni e il fegato, meno frequentemente le ossa (metastasi osteolitiche) e il sistema nervoso centrale.

1.10

Terapia

Il trattamento del carcinoma ovarico consta di due componenti: l’intervento chirur-gico e la terapia farmacologica.

1.10.1

Chirurgia del carcinoma ovarico di nuova diagnosi

La chirurgia riveste un ruolo essenziale, in primo luogo per la diagnosi di certezza della neoplasia, ottenuta attraverso lo studio istopatologico della massa. In secondo luogo, consente di stadiare correttamente la malattia, secondo le direttive della FIGO. Infine, rappresenta l’occasione per attuare la citoriduzione, laddove possibile.

Stadiazione chirurgica

L’approccio chirurgico richiede un’operazione in laparotomia mediana, con incisione xifo-pubica, al fine di poter esaminare e controllare tutta la cavit`a addominale. In sede intraoperatoria, si attuano, ai fini della stadiazione [72], [10], [50]:

• esame citologico del liquido addominale libero o dell’ascite; se non presenti, si

esegue il washing peritoneale di pelvi e addome superiore;

• ispezione e palpazione degli organi addominali e retroperitoneali;

• esplorazione della pelvi, in particolare degli organi ginecologici, segnalando

eventuali masse o aderenze;

• ispezione attenta di tutto il peritoneo;

• isterectomia ed ovaro-salpingectomia bilaterale con asportazione del ligamento

infundibolo-pelvico all’origine dei vasi ovarici;

• omentectomia ed appendicectomia;

• biopsie multiple random nelle docce parieto-coliche, alla radice del mesentere,

sulla cupola vescicale, sul peritoneo del Douglas, cavo di Morrison, emidia-frammi e ad ogni area sospetta;

(31)

• valutazione linfonodale.

(32)

Stadio Descrizione

Stadio I Tumore limitato alle ovaie

IA

Tumore limitato ad un ovaio, non sulla superficie, con capsula intatta, senza cellule neoplastiche in ascite o nel lavaggio peritoneale

IB

Tumore limitato ad entrambe le ovaie, non sulla superficie, con capsula intatta, senza cellule neo-plastiche in ascite o nel lavaggio peritoneale

IC

Tumore limitato ad una o entrambe le ovaie, sulla superficie o con capsu-la rotta o con cellule neopcapsu-lastiche in ascite o nel lavaggio peritoneale.

Stadio II Tumore contenuto entro la pelvi

IIA

Tumore esteso all’utero e/o alle tube, senza cellule neoplastiche nell’ascite o nel lavaggio peritoneale.

IIB

Tumore esteso ad altri organi pelvici, senza cellule neoplastiche nell’ascite o nel lavaggio peritoneale.

IIC

Tumore esteso alla pelvi, con cellule neoplastiche nell’ascite o nel lavaggio peritoneale

Stadio III

Tumore esteso ad organi al-l’esterno della pelvi, oppure tu-more con coinvolgimento

lin-fonodale, oppure tumore con

metastasi transcelomatiche

IIIA Tumore con micrometastasi

peri-toneali

IIIB

Tumore con metastasi

macro-scopiche peritoneali di dimensioni non superiori a 2 cm.

IIIC

Tumore con metastasi

macro-scopiche peritoneali di

di-mensioni superiori a 2 cm, o

con coinvolgimento linfonodale

lomboaortico Stadio IV Tumore con metastasi ematogene

Tabella 1.1: Stadiazione del carcinoma ovarico secondo la FIGO, Federazione Internazionale di Ginecologia ed Ostetricia

(33)

Stadiazione e chirurgia nella malattia non avanzata

L’accuratezza della stadiazione chirurgica ´e essenziale per rivelare la presenza di malattia avanzata occulta.

La stadiazione chirurgica completa ´e indicata anche se apparentemente la malattia ´e limitata alle gonadi, come dimostrato da diversi recenti studi: il 29% delle pa-zienti ha beneficiato del riconoscimento di diffusione microscopica di malattia grazie all’applicazione metodica di tutti i passaggi previsti dalla stadiazione chirurgica [26].

Un’altra questione dibattuta ´e rappresentata dalla necessit`a di effettuare o meno la linfadenectomia sistematica pelvica e para-aortica. Attualmente, non ´e stato di-mostrato un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza globale[50].

A pazienti giovani, con malattia in stadio Ia e Ic, di basso grado (1-2) e/o istolo-gia sierosa, mucinosa o endometrioide si pu´o proporre chirurgia conservativa, con preservazione dell’utero e dell’annesso controlaterale; bisogna eseguire per´o la sta-diazione chirurgica peritoneale e retroperitoneale. Sulla base di analisi multivariate, esclusivamente il grado G3 risulta essere associato in maniera statisticamente signi-ficativa con la recidiva di malattia [21]. La paziente deve essere messa in grado di valutare i rischi connessi ad una chirurgia conservativa e di ponderarli in base al proprio desiderio di maternit`a.

Chirurgia primaria nella malattia avanzata

L’obiettivo della chirurgia primaria in presenza di malattia avanzata ´e la citoridu-zione, definita ottimale se la malattia residua macroscopica ´e zero. Questo obiettivo ´e stato definito sulla base di tre studi prospettici (AGO-OVAR 3, 5, 7), riunendo una casistica di pi´u di 3000 pazienti: la assenza di malattia residua alla fine del debulking peritoneale primario ´e uno dei fattori che influiscono maggiormente e in maniera statisticamente rilevante sia sulla sopravvivenza globale che sulla soprav-vivenza libera da progressione di malattia (p<0.0001)[16].

La necessit`a di effettuare linfadenectomia sistematica pelvica e para-aortica ´e un tema di acceso dibattito. Sulla base della stessa casistica degli studi AGO-OVAR 3, 5, 7, in cui non erano state date direttive precise riguardo la linfadenectomia, ´e stata condotta un’analisi retrospettiva che ha dimostrato un impatto positivo sulla sopravvivenza in pazienti con malattia residua zero (p = 0.0038)[15]; si pu´o obi-ettare che non ´e possibile capire se questo risultato fosse dovuto effettivamente alla linfadenectomia o alla citoriduzione condotta in maniera ottimale. Al contrario, uno

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studio prospettico randomizzato condotto su pazienti con malattia residua diversa da zero ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenze libera da progressione, ma non della sopravvivenza globale [50].E’ in corso attualmente uno studio prospet-tico randomizzato multicentrico, che ha terminato recentemente l’arruolamento di pazienti (LION Trial, AGO-OVAR OP.3), per risolvere tale dibattito.

Terapia neo-adiuvante e chirurgia di intervallo

Al momento della chirurgia, la malattia pu´o apparire talmente diffusa che la possi-bilit`a di effettuare la citoriduzione, seppure subottimale, ´e remota; inoltre, in caso di pazienti con comorbidit`a e basso performance status, un atto chirurgico d’at-tacco molto aggressivo risulterebbe mal tollerato, con conseguente prolungamento dei tempi di recupero in vista della chemioterapia. La chemioterapia neoadiuvante si ´e dimostrata non inferiore alla chirurgia citoriduttiva primaria in pazienti al-lo stadio IIIC - IV in uno studio prospettico randomizzato del 2010 condotto dall’EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer ). At-tualmente, l’indicazione alla chemioterapia neoadiuvante riguarda pazienti con basso

performance status, bassa albuminemia e con disseminazione massiva, per le quali

un intervento primario immediato risulterebbe pi´u gravoso e di minore utilit`a [50]. Un recentissimo studio retrospettivo condotto dalla stessa EORTC ha evidenziato due sottogruppi, nell’ambito di malattie allo stadio IIIC e IV, sulla base di un cri-terio dimensionale (p = 0.008): la malattia IIIC con lesione metastatica < 45 mm beneficia maggiormente della chirurgia primaria seguita da chemioterapia, mentre alle pazienti in stadio IV, con lesione metastatica > 45 mm, ´e indicato procedere con chemioterapia neoadiuvante. Le pazienti con malattia in stadio IIIC con malattia metastatica >45 e le pazienti in stadio IV con malattia metastatica <45 beneficiano di entrambi i trattamenti allo stesso modo [100].

Second-look chirurgico

Si intende con questa espressione una esplorazione chirurgica laparotomica o la-paroscopica condotta al termine della chemioterapia di prima linea, per monitorare direttamente la malattia. Attualmente, va considerata una pratica obsoleta. Non ´e stato dimostrato che abbia alcun impatto sulla sopravvivenza [50].

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1.10.2

Chemioterapia adiuvante in malattia non avanzata

Il 10-15% dei carcinomi ovarici viene diagnosticato in fase iniziale. La chirurgia costituisce il primo momento terapeutico; il dibattito ´e aperto sull’utilit`a del trat-tamento adiuvante chemiotarapico.

L’ultimo studio di metanalisi a riguardo, che si basa sulla scelta randomizzata di studi clinici dal database Cochrane, ha evidenziato che la monoterapia con platino migliora i dati di sopravvivenza nelle pazienti in stadio I/IIa. Lo scopo dello studio risiede anche nell’evidenziare se sottogruppi di pazienti possano beneficiare di un trattamento adiuvante. I fattori da tenere in considerazione sono: la stadiazione ottimale, il grado, il sottostadio e il tipo istologico. Pazienti ottimamente stadiate, con malattia in stadio Ia di grado G1-2, oppure Ib di grado G1-2, di istotipo sieroso o endometrioide possono evitare di sottoporsi alla terapia medica adiuvante. In tutti gli altri casi (Ia G3, Ib G3, istotipo a cellule chiare), con particolare riferimenti alle pazienti stadiate non ottimamente, `e indicata una chemioterapia adiuvante a base di platino [107].

Un ulteriore dibattito si concentra sul numero ottimale di cicli di chemioterapia adiuvante. Le due alternative (tre cicli e sei cicli) sono messe a confronto in uno studio del gruppo GOG del 2010 (GOG 157) [8]. Lo studio non ha evidenziato dif-ferenze statisticamente significativo per rischio di recidiva tra le pazienti sottoposte a tre cicli e quelle sottoposte a sei cicli. Tuttavia dallo studio emergeva che on caso di istotipo sieroso, un trattamento per 6 cicli riduceva significativamente il rischio di recidiva rispetto ai non sierosi (p = 0,04).

Le attuali linee guida prevedono Carboplatino AUC 6 in monochemioterapia per 4-6 cicli o della combinazione Carboplatino AUC 5/Taxolo 175mg/m2 per 3-6 cicli. Non esistono dati che dimostrino che la terapia di combinazione abbia migliori risultati. Si tende, senza precise evidenze, a somministrare la monoterapia esclusivamente alle pazienti con malattia di stadio I, a rischio medio-elevato di recidiva [50].

1.10.3

Chemioterapia citostatica di prima linea in malattia

avanzata

La citoriduzione ottimale nella malattia avanzata (stadi II-IV) prepara il terreno all’azione della chemioterapia di prima linea: la rimozione delle masse (debulking)

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di grosse dimensioni e con focolai necrotici contribuisce a migliorare la cinetica del farmaco.

Prima del 1996, lo standard della chemioterapia di prima linea per malattia avanzata prevedeva l’associazione di ciclofosfamide e cisplatino. In quell’anno, viene pubbli-cato uno studio di fase III [57] che mette in evidenzia la superiorit`a di azione della combinazione di taxolo e platino. Da allora [14] fino ad oggi [85], [50], le linee gui-da prevedono l’associazione di questi farmaci antineoplastici, con poche variazioni: paclitaxel 175 mg/m2 e carboplatino (AUC 6-5), per somministrazione endovenosa,

ogni tre settimane per sei cicli.

I composti derivanti dal platino sono agenti alchilanti in grado di interferire in maniera aspecifica con la duplicazione del DNA in fase S, formando dei legami covalenti tra le basi azotate [87]. Il paclitaxel `e un chemioterapico tassano, in grado di compromettere l’prolungamento e la corretta conformazione dei microtubuli du-rante la mitosi [87].

Entrambi gli agenti in uso, dunque, sono degli inbitori aspecifici della progressione del ciclo cellulare.

Sono state valutate diverse alternative a questa combinazione. Di seguito vengono riassunte.

Carboplatino VS Cisplatino Uno studio randomizzato GOG di fase III ha di-mostrato che in termini di rischio di recidiva di malattia e sopravvivenza globale i due farmaci antineoplastici sono sovrapponibili (rischio relativo di recidiva = 0.88, 95% [CI] 0.75 - 1.03; rischio relativo di decesso = 0.84, 95% [CI], 0.70 - 1.02). Tuttavia, il cisplatino ´e associato a effetti collaterali renali, gastrointestinali, metaboliche e leucopenici maggiori [67]. Si preferisce pertanto somministrare il carboplatino.

Aggiunta di un terzo chemioterapico Il tentativo di migliorare la prognosi delle pazienti attraverso l’aggiunta di un terzo farmaco allo schema standard di car-botaxolo ´e stato ampiamente studiato in molti trials. Il pi´u ampio ´e lo studio GOG 182-ICON 5[5], nato dalla collaborazione di molto centri americani e inglesi e pub-blicato nel 2009. In questo studio si pongono a confronto con il braccio di controllo (carbo/cisplatino + taxolo) cinque braccia alternative, che prevedono rispettiva-mente l’aggiunta di gemcitabina (sequenziale in un braccio, in combinazione in un altro), topotecan (sequenziale in un braccio, in combinazione in un altro,

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inter-rotto per eccessiva tossicit`a ematologica), doxorubicina liposomiale. Nessuno dei bracci sperimentali mostra un guadagno statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione.

Terapia intraperitoneale Il razionale della somministrazione intraperitoneale consiste nel migliorare la farmacocinetica, garantendo una somministrazione mirata sui noduli neoplastici e contemporaneamente riducendo la circolazione sistemica del farmaco, responsabile degli effetti collaterali.

Lo studio GOG 172 ha confrontato lo schema standard con la somministrazione intraperitoneale di cisplatino al giorno 2 e 8, con taxolo intravenoso al giorno 1 [3]. La sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da malattia risultano migliorate, ma il catetere per la somministrazione intraperitoneale fa peggiorare la qualit`a della vita delle pazienti. Alle stesse conclusioni si ´e giunti attraverso una metanalisi sulla base dei database Cochrane [33]. Bisogna notare che questo approccio ´e indicato se la malattia residua dopo la chirurgia ´e zero o minore di 1 [50], [22].

Terapia dose-dense Alcuni autori hanno proposto una modifica del regime car-botaxolo ogni tre settimane, proponendo la somministrazione settimanale del taxolo a dose minore, in aggiunta alla somministrazione classica ogni 21 giorni del car-boplatino. Il gruppo giapponese JGOG (Japanese Gynecologic Oncology Group)ha pubblicato i risultati di uno studio di fase III (NOVEL-JGOG 3062) con taxo-lo settimanale dose-dense (80mg/m2), ottenendo risultati significativi per il

brac-cio sperimentale sia per quanto riguarda la sopravvivenza libera da progressione (p=0.0015) che la sopravvivenza globale (p=0,03) [37]. del 2012 [36] Tuttavia, non si pu´o stabilire se questi risultati siano o meno inficiati dalle differenze genomiche tra la popolazione giapponese e quella caucasica. Inoltre, il 36% delle pazienti ha dovuto sospendere questo regime per gli effetti collaterali, soprattutto la neutrope-nia [50].

Uno studio di fase II svedese [95] ha dimostrato buoni risultati in termini di soprav-vivenze e progressione, ma si ´e anche soffermato sulla valutazione della qualit`a della vita e degli effetti collaterali: complessivamente, viene sottolineato che gli effetti ematologici sono rilevanti ma solo nel 6% dei casi tali da costringere e modificare la terapia sperimentale; epifora, astenia, onicopatie sono registrati frequentemente; la neuropatia si mantiene entro i gradi 1-2. Tutto questo fa supporre che la sommin-istrazione di taxolo dose-dense sia una strada alternativa percorribile.

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Uno studio multicentrico europeo di fase III (MITO 7), pubblicato nel 2014, ha concluso che regime con taxolo dose-dense effetivamente `e un ottimo regime alterna-tivo alla somministrazione standard trisetttimanale, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione, che in termini di effetti collaterali [79].

1.10.4

Terapia a bersaglio molecolare

Parallelamente alla terapia antineoplastica citotossica, a fronte dell’inquadramen-to molecolare del carcinoma ovarico, che si sta facendo strada nelle teorie padell’inquadramen-toge- patoge-netiche, si sviluppa un importante ambito di ricerca traslazionale basato sui farmaci a bersaglio molecolare.

Anti-angionenesi

I farmaci che interferiscono con l’angiogenesi sono utilizzati per il trattamento di moltissimi tumori, tra cui quello della mammella, accomunato alle forme familiari di carcinoma ovarico per le mutazioni a carico dei geni BRCA 1-2 [72]. Gli elementi che hanno portato a sperimentare questa categoria di farmaci sul carcinoma ovarico sono diversi: prima di tutto la considerazione che si tratta di un tumore solido, che pu`o raggiungere dimensioni notevoli, e pertanto interessato dal fenomeno della neoangiogenesi; in aggiunta a questo, gli studi sull’espressione del VEGF hanno per-messo di definire in maniera semiquantitiva la presenza di questo fattore nel tessuto tumorale (vedi §1.4.3); inoltre, l’alterazione del VEGF `e stata riconosciuta come causa di quegli squilibri di permeabilit`a vascolare che causano ascite nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato [32].

Le strategie farmacologiche contro l’angiogenesi sono gli anticorpi monoclonali uman-izzati VEGF-specifici, gli inibitori delle tirosin-chinasi associate al VEGFR (vascular

endothelial growth factor ) e le trappole per VEGF [97]. Di seguito, ci si sofferma

sulla prima tipologia di farmaco.

Il farmaco in questione `e il bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato specifico per il VEGF A. Esso `e studiato generalmente in associazione con un altro farmaco chemioterapico, perch´e `e in grado di migliorarne la farmacocinetica nel tes-suto tumorale (vedi §1.4.3).

Due grandi studi randomizzati di fase III del 2011 (GOG 218 e ICON 7) hanno stabilito che il bevacizumab in combinazione con carboplatino+taxolo, seguito da 12-16 somministrazioni trisettimanali in monoterapia prolunga in maniera statisti-camente significativa la sopravvivenza libera da progressione (hazard ratio 0.717;

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95% CI, 0.625 - 0.824; p<0.001, [6]; hazard ratio 0.81; 95% CI, 0.70 - 0.94; p=0.004 [71]).

Recentemente, sono stati pubblicati i risultati della prosecuzione del trial ICON 7: l’impatto positivo ´e stato confermato, a fronte di una diminuzione della qualit`a della vita percepita dalle pazienti trattate con bevacizumab rispetto ai controlli [12], in maniera significativa per una ridotta tolleranza dello sforzo fisico e per la perdita del proprio usuale ruolo sociale/lavorativo. A fronte di queste osservazioni, si pone la necessit`a di valutare attentamente il rapporto costi/benefici della terapia con be-vacizumab.

Da novembre 2013, anche in Italia ´e disponibile il bevacizumab per il trattamento del carcinoma ovarico, secondo la disposizione dell’AIFA (Agenzia Italiana del FAr-maco).

Anti-tirosin chinasi associate a EGFR

L’EGFR `e coinvolto nell’attivazione della via delle MAPK, gi`a citata a proposito della tipizzazione molecolare del carcinoma ovarico di tipo I (vedi §1.4.2). Un stu-dio di fase III del 2012 [102] ha proposto l’erlotinib, un inibitore reversibile della tirosin-chinasi specifica per il recettore EGFR. Si tratta di uno studio di grosse di-mensioni(835 pazienti), sotto l’egida di EORTC, GCG, GCIS.

Erlotinib ´e somministrato come terapia di mantenimento dopo terapia di prima linea basata sul platino. Non sono stati riscontrati miglioramenti statisticamente signi-ficativi rispetto al braccio di controllo. Studi di fase II con esito positivo avevano lasciato sperare che potesse essere una terapia vincente [97]. Tuttavia, in precedenza era stato dimostrato, in modelli pre-clinici, che i farmaci a base di platino associati agli inbitori delle tirosin- chinasi del EGFR causano la comparsa di resistenza far-macologica incrociata [63].

Lo studio del 2012 ha avuto seguito nel 2014 [101]: il nuovo quesito a cui dare rispo-sta riguarda la possibilit`a o meno di selezionare pazienti maggiormente sensibili al farmaco a bersaglio, mediante l’immunoistochimica. Purtroppo non sono stati indi-viduati sottogruppi che possano beneficiare della terapia con erlotinib. Addirittura, si sottolinea che la qualit`a della vita nel braccio sperimentale sia significativamente peggiore rispetto a quello di controllo.

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