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L A CHIAMATA DEL TERZO DA PARTE DEGLI ARBITRI

3. L A CHIAMATA IN ARBITRATO DEL TERZO

3.4. L A CHIAMATA DEL TERZO DA PARTE DEGLI ARBITRI

Sebbene l’art. 816 quinquies c.p.c. non affronti il tema

dell’intervento del terzo su istanza degli arbitri è comunque opportuno dedicarvi un breve cenno. In queste eventualità infatti, non meno che con l’intervento volontario ovvero con la chiamata ad istanza di parte, si può realizzare la successiva pluralità di parti nel procedimento. Ciò posto tut-tavia l’istituto in questione si presenta di applicazione particolarmente incerta. In primo luogo infatti è opportuno notare come la disciplina della chiamata iussu arbitrorum viene attinta da quella della chiamata ex art. 107 c.p.c. Laddove, già di per sé, l’istituto della chiamata issu iudicis ap-pare tra quelli di più difficile configurazione del processo civile. Queste

difficoltà crescono esponenzialmente per l’intervento iussu arbitrorum in

ragione della sede ove la chiamata si svolge e, per giunta, del fatto che gli ordinanti sono privi di poteri autoritativi.

In principio, benché la questione appaia incerta103, per ragioni di brevità, occorre postulare che la chiamata in causa del terzo su ordine del giudice non possa derogare al principio della domanda104. Da ciò deriva quindi che per effetto della chiamata non si possa avere un allargamento dell’oggetto della controversia. Detto questo però, non si ritiene che la chiamata possa essere rivolta solo a terzi portatori di diritti connessi per pregiudizialità dipendenza a quello oggetto della lite. Appare infatti cor-retto osservare che, di per sé, la chiamata del terzo non significa la propo-sizione di alcuna domanda nei suoi confronti. Tant’è che nel rito del lavo-ro vi plavo-rovvede la cancelleria. Per effetto della chiamata il terzo viene one-rato di partecipare al giudizio innanzi al giudice. Così come, per altro ver-so, nel rito ordinario di cognizione, vengono onerate le parti di provvedere

alla chiamata105. Ma solo quello. La chiamata del terzo rimane sempre la

103 Cfr. BALENA G., Intervento iussu iudicis e principio della domanda, in Riv. dir. civ., 1997, fasc. 2, p. 465 e ss.

104 In questo senso SATTA R., PUNZI C., Diritto processuale civile, CEDAM, Padova, 1996, p. 190; MONTELEONE G., intervento in causa, in Noviss. dig. it., Appendi-ce, IV, UTET, Torino, 1983, p. 352; LUISO F.P., Diritto processuale civile, op. cit., p. 346. Per i dovuti approfondimenti la necessità della sintesi suggerisce di rinviare a BALENA

52 stessa, sia che venga esperita nel rito del lavoro che nel rito ordinario di cognizione. Pertanto, se nel primo caso vi provvede la cancelleria su ordi-ne del giudice e pacificamente la cancelleria non può proporre domanda alcuna, ne consegue che anche nel secondo, benché vi provveda una parte, parimenti non si proponga una domanda.

Non pare neanche possibile ritenere che per effetto della chiamata del terzo da parte del giudice, le domande formulate dalle parti si esten-dano automaticamente al chiamato. Vi osta, come postulato, il principio

della domanda; ne procedat iudex ex officio. In buona sostanza l’istituto

della chiamata del terzo su ordine del giudice rappresenta una deroga al

divieto di proporre in corso di causa domande nuove106. Se inteso in

que-sto senso l’istituto è applicabile anche all’arbitrato ove, tra l’altro, la di-sciplina della mutatio ed emendatio libelli è sicuramente più permissiva rispetto a quella del processo civile. Rimangono da vedere i rapporti tra la chiamata del terzo su ordine degli arbitri e i requisiti dell’accordo delle parti e del terzo posti dall’art. 816 quinquies c.p.c. comma 1°.

In ordine a quest’ultimo elemento è da ritenere che tanto se la chiamata giunga dalle parti o dagli arbitri, il terzo chiamato non possa comunque essere coartato a partecipare all’arbitrato qualora sia estraneo alla convenzione arbitrale, ovvero ritenga che il collegio nominato non sia rappresentativo dei suoi interessi.

Un approfondimento maggiore è invece necessario per ciò che con-cerne il rapporto tra chiamata su ordine degli arbitri e consenso delle par-ti. In primo luogo è da escludere l’ammissibilità di una chiamata del ter-zo, estraneo alla convenzione di arbitrato, innovativo dell’oggetto delle li-te, senza il consenso delle parti. Ciò pure se constasse il consenso del

105 Cfr. Cass. Sez. Lav., Sent. n. 7338 del 10.12.1986: “In ipotesi di chiamata nel terzo jussu judicis nel rito del lavoro, in cui è previsto - a differenza del rito ordina-rio - che alle notificazioni necessarie deve provvedere la cancelleria e non già la parte, non trova applicazione il disposto dell'art. 102 c.p.c. che prevede l'estinzione del proces-so, nè quella dell'art. 270 c.p.c. che contempla la cancellazione della causa dal ruolo se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo. Pertanto la conseguenza della mancata tempestiva notifica al terzo del provvedimento del giudice e degli atti di ca usa ad opera sia dell'ufficio che della parte interessata comporta soltanto l'obbligo per il giudice di fissare un nuovo termine per il compimento degli atti omessi”.

106 In questo senso pare orientato TROCKER N., L’intervento per ordine del giudice, CEDAM, Milano, 1984, p. 123.

zo. All’evidenza infatti in siffatto caso si giungerebbe ad estendere i limiti oggettivi della convenzione di arbitrato; estensione alla quale gli arbitri non sono chiaramente legittimati con o senza il consenso del terzo. In questo caso non pare quindi possibile parlare di un vero e proprio ordine degli arbitri; semmai di un invito alle parti a voler acconsentire alla chiamata del terzo e, conseguentemente, a voler provvedere in ordine alla chiamata.

Rimane da vedere la chiamata, non innovativa dell’oggetto della li-te, del terzo estraneo alla convenzione di arbitrato. A riguardo nulla di nuovo rispetto a quanto detto nel paragrafo precedente in ordine alla ne-cessità del consenso delle parti. I casi sono due: o il terzo chiamato,

liti-sconsorte necessario o ad aiuvandum, estraneo alla convenzione è

d’accordo a partecipare – allora egli interverrà ai sensi dell’art. 816 quin-quies c.p.c. comma 2°, senza il bisogno del consenso delle parti. Altrimen-ti, se il terzo non presta il consenso ad agire innanzi agli arbitri allora, data l’impossibilità di coartarlo, a fortiori l’accordo delle parti non sarà necessario.

Si possono ora, in ultima battuta, analizzare le conseguenze della trasgressione delle parti all’ordine di provvedere alla chiamata del terzo. La questione che si pone è se sia legittimo che gli arbitri si rifiutino “di decidere la causa solo perché le parti omettano di estendere la stessa ad

un terzo che essi ritengono opportuno chiamare in giudizio”107. Ad

ulterio-re specificazione si potulterio-rebbe formulaulterio-re la domanda in altro verso. Vale a dire se, come conseguenza della mancata chiamata, gli arbitri possano le-gittimamente rifiutarsi di decidere la controversia. Alcuni ritengono in-concepibile un simile rifiuto in quanto, in buona sostanza, gli arbitri ac-cettando la nomina si sarebbero tout court obbligati a decidere la cau-sa108. A questo ordine di pensiero si potrebbe tuttavia replicare che, data l’inadempienza delle parti all’onere della chiamata, arbitri non sunt adimplendi. Altri invece ritengono che, in difetto dell’assolvimento dell’onere della chiamata, tanto il giudice togato possa disporre la

107 PUNZI C., Disegno sistematico dell’arbitrato, op. cit., Vol. II, p. 127 e 128. L’A. è fermamente contrario, ammette invece tale possibilità LUISO F.P., Diritto proces-suale civile, op. cit., p. 145.

54 lazione della causa dal ruolo, quanto gli arbitri possano rifiutarsi di deci-dere il merito della causa109. In entrambi i casi si ritiene che la soluzione non possa che giungere dall’analisi dei motivi di opportunità che hanno indotto gli arbitri ad effettuare la chiamata. Se tali motivi di opportunità fossero di fondata gravità sarebbe necessario concedere agli arbitri la fa-coltà di esimersi dalla decisione della causa. Ciò però, più che attraverso l’emanazione di un lodo non definitivo110, presumibilmente mediante la rinuncia al mandato.

109 LUISO F.P., op. ult. cit., ibidem.

4. LA SOSTITUZIONE DELL’ARBITRO VENUTO A MANCARE