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L’ INTERVENTO ANTERIORE ALLA COSTITUZIONE DEL COLLEGIO ARBITRALE

Tratto in comune delle ipotesi di intervento sopra evidenziate, tan-to quelle ai sensi dell’art. 816 quinquies comma 1° c.p.c. che del comma 2°, è l’ingresso del terzo nel procedimento arbitrale già avviato. Più preci-samente a giudizio arbitrale già instaurato, cioè una volta che il collegio arbitrale era stato già costituito. Bisogna ora invece analizzare breve-mente l’intervento del terzo, successivo alla stipulazione della convenzio-ne arbitrale, ma precedente alla costituzioconvenzio-ne del collegio.

In tale caso la paritaria partecipazione del terzo alla composizione del collegio arbitrale non dipende in alcun modo dal previo scioglimento del precedente collegio169. Ciò posto, anche nell’ipotesi in esame, qualora il meccanismo di designazione originariamente previsto non garantisca la parità tra le parti, sarà necessario procedere alla costituzione del collegio secondo una via alternativa. Sarà quindi possibile avvalersi della nomina giudiziale dell’arbitro qualora le parti non dissentano sul raggruppamen-to in due poli di interessi. Parimenti, qualora non ci sia l’accordo sulla scelta del meccanismo alternativo di nomina degli arbitri, sarà possibile il ricorso alla nomina ai sensi degli artt. 809 e 810 c.p.c.

Tuttavia ben potrebbe avvenire che, esperito l’intervento prima del-la costituzione del collegio arbitrale, del-la convenzione non preveda nuldel-la né in ordine al meccanismo di composizione, né in ordine al numero degli ar-bitri. Se così fosse l’applicabilità dell’art. 809 comma 3° anche al procedi-mento plurilaterale consente il ricorso al Presidente del Tribunale ai sen-si dell’art. 810 c.p.c. Come già spiegato infatti “sen-sia la mancata specifica-zione del numero degli arbitri, sia la mancata nomina degli stessi ovvero, il che è lo stesso, la mancata specificazione delle modalità per pervenire alla loro nomina (giacché anche da tale omissione deriva o può derivare

una mancanza di nomina)”170.

169 Cfr. invece supra § 2.5.

94 Fin qui, in quanto a meccanismi di costituzione del collegio arbitra-le, non si è riscontrata una sensibile differenza tra l’intervento preceden-te alla costituzione del collegio e quello successivo. Eppure un elemento che contraddistingue l’intervento del terzo anteriormente alla costituzio-ne del collegio arbitrale vi è.

Nel caso dell’intervento successivo alla costituzione del collegio ar-bitrale si ritiene che l’interveniente non possa nominare un proprio arbi-tro in aggiunta a quelli già designati. Si è detto difatti che venuto meno

un arbitro se ne deve sostituire uno, ergo se ne deve nominare uno.

Tut-tavia al di fuori di questo caso nulla esclude che, se la convenzione arbi-trale dispone che a ciascuno spetta di nominare un arbitro, anche l’interveniente abbia diritto a nominare il proprio. In tale caso, se le parti sono tre ed ognuna nomina l’arbitro di spettanza, con la nomina congiun-ta del Presidente, si ha un collegio composto da un numero pari di arbitri. Si afferma pertanto che l’improcedibilità conseguirebbe: tanto alla

viola-zione dell’art. 816 quater c.p.c. comma 1°; quanto al contrasto con il

prin-cipio di disparità del collegio arbitrale171.

Si devono in verità distinguere diversi casi. In primo luogo quello in cui dall’attribuzione a ciascuna delle parti, terzo incluso, del diritto di nominare un arbitro si arrivi alla costituzione di un collegio composto da un numero dispari di arbitri. Un simile collegio potrebbe essere composto in maniera equilibrata, ovverosia in modo che nessuno degli interessi in gioco risulti maggiormente rappresentato rispetto all’altro. Se così fosse, nulla quaestio. Se invece il collegio dovesse essere squilibrato, si dovrebbe valutare la possibilità di procedere alla costituzione del collegio secondo altri metodi.

Potrebbe però accadere che le parti originarie siano due e interve-nuto il terzo, in ipotesi prima della costituzione del collegio, queste nomi-nino un arbitro ciascuno. Si immagini che la clausola preveda che il Pre-sidente del collegio giudicante venga designato dagli arbitri o dalle parti unanimemente. Tre più uno, quattro. Se così accadesse, si porrebbero due ulteriori opzioni. Le parti potrebbero accordarsi al fine di nominare

171 Cfr. SALVANESCHI L., sub Art. 816 quinquies, op. cit., p. 1289. Nega altresì la possibilità che un polo nomini più di un arbitro RICCI G.F., sub art. 816 quater c.p.c., in Arbitrato, a cura di CARPI F., op. cit., p. 448.

cordemente un ulteriore arbitro. Ebbene, in questa eventualità il collegio verrebbe validamente costituito. Nell’ipotesi opposta ci si dovrebbe chie-dere se sia possibile ricorrere alla nomina giudiziale dell’ulteriore arbitro ai sensi dell’articolo 809 comma 3° c.p.c.

5.1. L

A DESIGNAZIONE GIUDIZIALE DELL

ULTERIORE ARBITRO

La possibilità di ricorrere alla designazione giudiziale dell’ulteriore arbitro viene generalmente esclusa sulla scorta del seguente argomento. “La nuova disciplina specificatamente ideata per regolare il caso in esame [l’art. 816 quater c.p.c.] non potrà che imporsi sull’uso analogico dell’art. 809 comma 2° [recte 3°] c.p.c.”172. Detto in altre parole, la designazione giudiziale dell’ulteriore arbitro sarebbe in contrasto con i meccanismi di costituzione di cui all’art. 816 quater c.p.c. comma 1°.

Due sono le ragioni a sostegno dell’idea per cui l’art. 816 quater c.p.c. si impone ai danni dell’art. 809 c.p.c. In primis si invoca la succes-sione delle leggi nel tempo  “la nuova disciplina (...)”. In secundis si af-ferma che, per il principio di specialità, l’art. 816 quater c.p.c. discipline-rebbe specificatamente i vizi della composizione del collegio arbitrale nel procedimento plurilaterale. Pertanto, in quanto lex specialis nonché po-steriore, l’art. 816 quater c.p.c. si imporrebbe sull’art. 809 c.p.c. comma 3°.

Il ragionamento sta e cade con il presupposto per cui la nomina di un arbitro per ciascuno dei convenuti si ponga in contrasto con l’art. 816 quater comma 1° c.p.c. Ebbene ciò non lo si crede: né qualora così facendo si arrivi ad avere un collegio composto da un numero pari di arbitri; né qualora costoro siano in numero dispari. A ben vedere, pur se il collegio risultasse composto da un numero pari di arbitri, l’art. 816 quater c.p.c. non verrebbe violato. Non una singola parola di quest’articolo prescrive infatti che il collegio debba essere composto da un numero dispari di arbi-tri. Né si prevede la nullità della convenzione di arbitrato nel caso in cui il collegio risulti essere composto da un numero pari di arbitri. Il tema

96 della necessaria disparità del collegio è invece disciplinato dall’art. 809 c.p.c.; non dall’art. 816 quater c.p.c.

Il tema del rispetto dell’art. 816 quater c.p.c. è ben diverso e va va-lutato in un’altra fase. Si è detto infatti che l’articolo in questione è a tu-tela della parità delle parti nella composizione del collegio arbitrale e che i metodi ivi disposti sono tassativi. Allora ci si deve domandare se l’attribuzione a ciascuna parte, terzo incluso, della possibilità di nominare un arbitro sia conforme all’art. 816 quater c.p.c. A questo interrogativo si è già risposto affermativamente. Infatti, qualora nessuna delle parti ma-nifestasse il proprio dissenso circa le nomine effettuate dalle altre, si

for-merebbe una sorta di unanime consenso implicito173. Pertanto, si

realizze-rebbe la seconda ipotesi di cui all’art. 816 quater c.p.c. comma 1°. Vale a

dire quella per cui tutti gli arbitri sono nominati con il consenso unanime – seppur implicito – delle parti. Pertanto, se nominando un arbitro cia-scuno, il collegio risultasse composto da un numero dispari di arbitri, l’art. 816 quater c.p.c. non verrebbe violato.

Si ritiene pertanto che la nomina di un arbitro ciascuno, terzo in-cluso, non viola l’art. 816 quater c.p.c. Si deve ora porre il caso in cui, no-minando un arbitro ciascuno, si arrivi alla costituzione di un collegio composto da un numero pari di arbitri. Posto che l’articolo 816 quater c.p.c. non verrebbe ad essere violato in una simile circostanza, si tratta di capire se siano applicabili le disposizioni dell’art. 809 c.p.c., in particolare

la prima parte del comma 3°. Dispone infatti la norma che “in caso di

in-dicazione di un numero pari di arbitri un ulteriore arbitro è nominato dal Presidente del Tribunale (...)”.

Il primo passo da compiere è capire se la designazione dell’ulteriore arbitro ai sensi dell’art. 809 comma 3° sia compatibile con la tassatività dei metodi di nomina dell’art. 816 quinquies c.p.c. comma 1°.

Circa l’articolo in questione si è detto che l’elencazione ivi contenu-ta è contenu-tassativa. Questo perché all’atto pratico non vi sarebbero altri mec-canismi che consentano il rispetto del principio di parità delle parti. Ciò posto, un meccanismo di composizione del collegio arbitrale dove le parti

173 Cfr. LIPARI G., sub Art. 816 quater, in Commentario alle riforme del pro-cesso civile, op. cit., p. 747, 748.

nominano ciascuno un arbitro e quello ulteriore all’occorrenza viene no-minato ope iudicis rientra nella seconda delle ipotesi di cui all’art. 816 quater c.p.c. comma 1°. Sarebbe cioè possibile ritenere che il ricorso al giudice poggi sul presupposto implicito del consenso unanime del litigan-ti.

Pertanto, qualora il terzo intervenga prima della costituzione del collegio arbitrale e la convenzione preveda che ciascuno dei litiganti pro-ceda alla designazione del proprio arbitro, tale facoltà potrà essere eserci-tata anche dal terzo. Ciò anche nel caso in cui così facendo si abbia un col-legio composto da un numero pari di arbitri. Come detto infatti, applican-dosi l’art. 809 comma 3° c.p.c., l’ulteriore arbitro verrà designato dal Pre-sidente del Tribunale salvo che le parti abbiano diversamente convenuto.

Si ritiene pertanto che alle parti unanimemente spetti la modifica della convenzione arbitrale che prevede un numero pari di arbitri. Se tale modifica all’unanimità non viene apportata, nel silenzio delle parti, l’interessato può ricorrere al Presidente del Tribunale affinché designi l’ulteriore arbitro. Si ritiene quindi che anche nel caso in esame, la desi-gnazione dell’arbitro che avvenga per il tramite del giudice sia sostan-zialmente riferibile alle parti. Ciò però a condizione che nessuna delle parti, nel corso del giudizio camerale instaurato ai sensi degli articoli 809 comma 3° e 810 c.p.c. ovvero nella prima difesa utile, si opponga alla no-mina giudiziale. In tal caso infatti non sarebbe possibile riferire la desi-gnazione alla volontà, seppur implicita, di tutte le parti.

Ciò posto è chiaro che la soluzione appena esposta causa una proli-ferazione di arbitri e di parcelle e pertanto non appare consigliabile. Piut-tosto che procedere con un giudizio il cui collegio sia composto da un ele-vato numero di arbitri appare di gran lunga preferibile modificare l’originario meccanismo di costituzione previsto nella convenzione. Tutta-via ciò non toglie che l’alternativa sia comunque, almeno dal punto di vi-sta teorico, praticabile. Spetta poi alle parte nel singolo caso concreto va-lutare la scelta più opportuna.

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6. LE MODALITÀ DELL’INTERVENTO DEL TERZO ALLA LUCE