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L O SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO PARTI – ARBITRI

Nella migliore delle ipotesi possibili lo scioglimento avrebbe carat-tere consensuale. Ovverosia, qualora la permanenza in carica del collegio nominato senza la partecipazione del litisconsorte necessario pretermesso causasse l’improcedibilità dell’arbitrato, gli arbitri potrebbero acconsenti-re allo scioglimento del rapporto tra loro e le parti. Salvi ad ogni modo gli onorarî e i compensi per le attività già espletate.

Potrebbe però ben darsi che gli arbitri si rifiutino di risolvere il rapporto con le parti. In questo caso allora, posta impossibilità di perve-nire alla ricostituzione del collegio arbitrale secondo le forme dell’art. 816 quater c.p.c., l’intero giudizio sarebbe improcedibile. Detto in altri termini significa che, qualora le parti volessero procedere con il giudizio arbitrale, se l’arbitro dovesse negare lo scioglimento del rapporto, l’arbitrato sareb-be improcedibile. Significa quindi che la volontà degli arbitri di determi-nare l’arresto del giudizio arbitrale prevarrebbe su quella delle parti di decidere la controversia. Attenzione: non che gli arbitri ritengono il

giudi-42 zio improcedibile e le parti dissentono; bensì che i primi non vogliono che si celebi il giudizio mentre i secondi sì.

Ritenere che una tale volontà degli arbitri possa prevalere su quella delle parti appare inaccettabile. Ciò vorrebbe dire, in buona sostanza, consentire a chi non è parte della convenzione arbitrale di determinarne la risoluzione o comunque l’inefficacia. Ovviamente non si sostiene che se gli arbitri ritengono che il giudizio arbitrale sia improcedibile debbano dimettersi, o si risolva il loro rapporto con la parte. Semplicemente, quando gli arbitri sono la causa dell’improcedibilità del giudizio, allora sì, questi dovrebbero rinunciare all’incarico. Tanto più che comunque, in ca-so contrario, posto il vizio di costituzione del collegio, dovrebbe dichiararsi l’improcedibilità dell’arbitrato e il contratto di arbitrato sarebbe destinato a risolversi.

La possibilità di sciogliere il rapporto tra le parti e gli arbitri nel loro complesso verrà analizzata successivamente92. Quello che invece oc-corre verificare in questa sede è se sia possibile lo scioglimento del singolo rapporto tra la parte che si rifiuti di condividere l’arbitro originariamente nominato e quest’ultimo. Ebbene si ritiene che, qualora la parte “affianca-ta” non voglia condividere l’arbitro nominato con l’interveniente, il con-tratto di arbitrato si risolva per l’impossibilità sopravvenuta della presta-zione. Ciò in applicazione del principio giurisprudenziale per cui “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha [..] anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della contro-parte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa c o n c r e t a del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”93. In altre e più semplici parole, il convenuto originario perderebbe interesse a ricevere la prestazione dell’arbitro – la decisione della controversia. Quest’ultima diverrebbe così c o n c r e t a m e n t e im-possibile in quanto l’adempimento di essa porterebbe all’improcedibilità

92 Cfr. infra § 4.5.

93 Cass. Sez. III, 20/12/2007 n. 26958; Cass. Sez. III, 24/07/2007 n. 16315; in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, fasc. 5, p. 531 e ss., con nota di NARDI

del giudizio. Eventualità contrastante con gli interessi della parte che stipulò una convenzione arbitrale, non per vedersi opporre l’improcedibilità, ma proprio allo scopo di procedere con la via arbitrale. Rimane però salva la possibilità che l’interesse del convenuto originario non sia semplicemente la decisione della controversia, bensì la decisione della controversia ad opera di quel particolare arbitro. Se così fosse non vi sarebbe modo di scongiurare l’improcedibilità dell’arbitrato.

Tuttavia affinché il rifiuto della parte di condividere il proprio arbi-tro porti alla risoluzione del contratto di arbitrato deve verificarsi un’ulteriore condizione. Nello specifico occorre infatti accertare che il ri-fiuto alla condivisione sia una causa sopravvenuta di impossibilità della prestazione non imputabile alla parte stessa. La soluzione da dare dipen-de allora dalla nozione di ‹‹imputabilità››. Per tal verso infatti si potrebbe sostenere che provenendo il rifiuto alla condivisione dalla stessa parte la causa di impossibilità, per definizione, le sarebbe imputabile.

Detta ricostruzione non è in verità plausibile. Si sostiene infatti che è “priva di fondamento (...) l’affermazione (...) secondo cui causa non im-putabile al debitore è quella che risiede in fatti estranei alla sua perso-na”94. Ai fini della imputabilità della causa della impossibilità non si può avere esclusivo riguardo alla provenienza del fatto. Ciò che conta invece è l’imputabilità di esso alla ‹‹colpa›› del debitore. Difatti per definire il con-tenuto della causa non imputabile si afferma che “il debitore e il creditore debbono comportarsi secondo buona fede e correttezza e che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede pertanto il creditore non può esi-gere (ed il debitore non è tenuto a) sacrifici sproporzionati alla natura ed alla entità della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligato-rio”95. Ebbene, condividere coll’interveniente l’arbitro originariamente nominato in presenza di fondati dubbi sulla equidistanza di quest’ultimo

94 PERLINGERI P., Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Commentario al codice civile, a cura di SCIALOJA A., BRANCA G., Zanichelli, Bologna, 1975, sub art. 1256, p. 460 ivi ulteriori riferimenti in dottrina e giurisprudenza.

95 DI PRISCO N., I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Tratt. Dir. Priv., a cura di RESCIGNO P., UTET, Torino, 1999, Vol IX, Tomo I, p. 442, 443; MENGONI L., Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm., 1954, fasc. 1, p. 185 e ss.; cfr. MOSCO L., Impossibilità sopravenuta del-la prestazione, in Enc. Dir., Vol. XX, op. cit., §§ 16, 18.

44 è, a parere di chi scrive, ‹‹u n s a c r i f i c i o s p r o p o r z i o n a t o ››. Ciò in primo luogo per l’importanza fondamentale che la volontà delle parti nel-la designazione degli arbitri riveste nel procedimento arbitrale. Infatti è facile notare che l’arbitro, giudice privato designato dalle parti, non gode “dei fisiologici presidî che al Giudice dello Stato assicurano la Costituzio-ne e l’Ordinamento Giudiziario”96. Eppure questi presidî servono e sono indispensabili. Ecco allora che l’unica via che hanno le parti per surrogare tali presidî è attraverso la scelta e la ponderazione della persona dell’arbitro. Ebbene, se si concorda su questo punto, non si può negare che l’obliterazione della volontà delle parti nella valutazione della persona dell’arbitro sia un ‹‹s a c r i f i c i o s p r o p o r z i o n a t o ›› sotto tutti i profi-li. Se così è, il rifiuto di condividere col terzo l’arbitro originariamente nominato non può essere considerato una ‹‹colpa››, bensì l’esercizio di una legittima facoltà ed in quanto tale non imputabile alla parte. Da quanto detto consegue quindi che, qualora la parte si rifiuti di condividere l’arbitro originariamente nominato con il litisconsorte necessario, il con-trato di arbicon-trato si risolve per l’impossibilità sopravvenuta della presta-zione non imputabile al debitore.

Posto ciò, si deve però ribadire che a divenire impossibile non è propriamente la prestazione degli arbitri. Questi ben potrebbero decidere la controversia. Più esattamente sono le parti che perdono interesse a ri-cevere la prestazione degli arbitri. Tuttavia, “la sopravvenuta impossibili-tà di utilizzazione della prestazione deve distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione di cui agli articoli 1463 e 1464 c.c., ma (...) soltanto sul piano concettuale, e non su quello degli effetti. Il venir ogget-tivamente meno dell’interesse creditorio non può che determinare l’estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto del suo elemento funzionale e se (...) tale rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto il venire meno del predetto interesse si risolve in una so-pravvenuta irrealizzabilità della causa concreta del contratto”97.

96 BRIGUGLIO A., Amleto, la pluralità di parti sopravvenuta e la nomina de-gli arbitri, op. cit., p. 1544.

97 Cass. Sez. III, 20/12/2007 n. 26958; Cass. Sez. III, 24/07/2007 n. 16315; in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, fasc. 5, p. 531 e ss., con nota di NARDI

Si sostiene quindi che la parte originaria, successivamente all’intervento del litisconsorte necessario, sia legittimata a rifiutarsi di condividere l’arbitro. A detto rifiuto, qualora la parte originaria abbia in-teresse a procedere in via arbitrale, consegue la risoluzione del rapporto tra questa e il proprio arbitro per l’impossibilità sopravvenuta della pre-stazione di quest’ultimo non imputabile al debitore.

A corti discorsi quindi l’arbitrato in cui il convenuto originario si ri-fiuti di condividere l’arbitro nominato con l’interveniente necessario è procedibile qualora sia possibile sanare il vizio di costituzione del collegio. Per fare ciò occorre in primo luogo eliminare il vizio. L’eliminazione del vizio può essere realizzata per due vie: mediante la consensuale rinuncia all’incarico; in difetto, tramite la risoluzione del rapporto con il singolo arbitro per la sopravvenuta impossibilità della di lui prestazione. Sarebbe allora necessario procedere alla ri-costituzione del collegio. Il fulcro del discorso si sposta quindi sulle modalità di ricostituzione del collegio nel procedimento litisconsortile. Tema affatto affine, per i motivi che si an-dranno a vedere, alla questione della sostituzione dell’arbitro nel proce-dimento bilaterale. Prima però, al fine di esaurire il discorso sulle tipolo-gie di intervento di cui all’art. 816 quinquies c.p.c., occorre soffermarsi sulla chiamata in arbitrato del terzo.

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