Da 11 a 15 punti Megaprotesi o spaziatore intercalare modulare (B1; B2)
2.4 Chirurgia delle metastasi del rachide e del bacino
Il rachide è il segmento scheletrico interessato con maggior frequenza in caso di malattia neoplastica in fase avanzata. I corpi vertebrali vengono raggiunti prevalentemente per via ematogena a causa della particolare vascolarizzazione, sia dal punto di vista anatomico che emodinamico, che caratterizza tale distretto. I cambiamenti di direzione del flusso sono frequenti poiché l'assenza di valvole rende la pressione nel sistema venoso incostante e soggetta alle variazioni delle pressioni endotoracica ed endoaddominale. Qualunque modificazione pressoria che induca una chiusura della via cavale, come un colpo di tosse o la defecazione, spinge il sangue nel sistema vertebrale. Ciò può essere sfruttato dagli emboli neoplastici che così possono facilmente localizzarsi a livello del rachide senza impegnarsi nella circolazione sistemica, bypassando fegato e polmone.
Le indicazioni a trattare chirurgicamente una metastasi vertebrale sono il dolore intrattabile, la comparsa di deficit neurologici, causati da compressione della massa neoplastica sulle strutture mielo-radicolari oppure dalla frattura patologica della vertebra, e l'instabilità del tratto spinale interessato che causa un dolore meccanico ingravescente e/o un deficit neurologico.
Il disturbo più importante che caratterizza questi pazienti è appunto il dolore, sintomo molto comune e spesso aspecifico.
Le tecniche chirurgiche impiegate nel trattamento delle metastasi vertebrali possono quindi essere classificate in: escissione intralesionale (curettage, debulking), decompressione e stabilizzazione o resezione in blocco associate a varie tecniche ricostruttive. Raramente vengono impiegate anche tecniche mini-invasive come vertebro- e cifoplastica con PMMA per via percutanea.
Escissione intralesionale " debulking"
La massa neoplastica viene aggredita ed escissa così da decomprimere il più possibile il midollo spinale. Tale intervento è generalmente indicato in caso di metastasi radioresistenti con frattura patologica e/o segni di compressione midollare oppure quando è richiesta una riduzione della massa per poter eseguire terapie adiuvanti.
La via d'accesso chirurgico può essere sia anteriore che posteriore oppure addirittura combinata in due tempi. La tecnica varia solitamente in rapporto alla sede e all'estensione della metastasi; rispetto a quest'ultima è possibile distinguere le forme circoscritte al corpo vertebrale e le forme estese che vanno a coinvolgere anche strutture muscolari o vascolari.
Nelle localizzazioni lombari circoscritte al corpo è possibile eseguire un'escissione per via posteriore, previa laminectomia/e o emilaminectomia/e nelle forme più laterali, e borraggio con osso autologo, oltre alla stabilizzazione posteriore transpeduncolare.
Nelle localizzazioni cervicali, toraciche o anche lombari, purché estese oltre il corpo, è necessario ricorrere alla via anteriore o al doppio accesso, posteriore per la stabilizzazione e l'eventuale decompressione, e anteriore per escissione ed eventuale stabilizzazione supplementare.
Inoltre se il tessuto neoplastico ha distrutto >50% del corpo vertebrale o lo ha reso instabile è necessaria la sostituzione del corpo o della parte distrutta mediante l'uso di gabbie metalliche riempite con cemento.
Infine, è buona regola avvalersi dell'embolizzazione selettiva pre-operatoria con la duplice finalità di ridurre il sanguinamento e, in caso di metastasi da carcinoma tiroideo, l'improvvisa liberazione di ormoni, e i rischi intraoperatori che potrebbero conseguirvi, al momento dell'escissione.
Decompressione e stabilizzazione
Questa tecnica si propone di decomprimere circonferenzialmente il midollo spinale e stabilizzare la colonna vertebrale. È indicata nei pazienti con prognosi infausta a breve termine, in caso di danno neurologico acuto per frattura patologica in atto, ma anche in caso di radiosensibilità o responsività alla chemioterapia e/o alla terapia ormonale.
Un'embolizzazione preoperatoria delle afferenze vascolari alla lesione rende la procedura più semplice per l'ortopedico e sicura per il paziente.
Nelle localizzazioni posteriori con compressione posteriore è necessario eseguire una o più laminectomie o emilaminectomie fino a decompressione midollare completa.
Nelle localizzazioni anteriori somatiche la decompressione segue le regole dell'escissione, per sede ed estensione.
Nelle compressioni radicolari da compressione neoplastica, da frattura o condizioni osteoproduttive compensatorie la foraminotomia è spesso risolutiva.
Le stabilizzazioni con placca o protesi sono più indicate nel trattamento di metastasi a carico dei segmenti somatici cervico-toracici e sono generalmente di pertinenza neurochirurgica date le difficoltà di svolgimento della procedura associate agli importanti rischi di danno a carico del midollo spinale e delle strutture nobili del collo incontrate durante la via d'accesso chirurgico.
Le stabilizzazioni con viti transpeduncolari e barre, a seguito di laminectomia, vengono eseguite per via posteriore e sono il gold standard nelle stabilizzazioni del tratto lombo-sacrale e toracico distale. Sebbene presentino minor incidenza di rischio di danno neurologico, la posizione prona che deve assumere il paziente durante tutto l'intervento non sempre è compatibile con le sue condizioni cliniche e con le procedure anestesiologiche.
Resezione in blocco (corpectomia + laminectomia)
Tale procedura è maggiormente indicata in caso di tumori primitivi,ma può essere una soluzione corretta in caso di metastasi solitaria di tumori radioresistenti ma con buona aspettativa di vita a medio-lungo termine. Può essere eseguita un approccio doppio oppure uno solo posteriore [3]
Per quanto riguarda il bacino salvo rare eccezioni, il ruolo è essenzialmente di tipo palliativo ed è limitato alle lesioni dell'area periacetabolare che possono compromettere la funzionalità deambulatoria.
Le lesioni che determinano un'insufficienza della struttura acetabolare (Classe 2) possono essere classificate in tre tipi a seconda dell'estensione del tumore e del grado di compromissione ossea:
Tipo I :corticale laterale e parete superiore/mediale dell'acetabolo sono intatte.
Tipo II : insufficienza della parete mediale.
Tipo III: insufficienza di entrambe le pareti mediale e laterale.
Le lesioni di tipo I possono essere trattate con artroprotesi d'anca standard, cementata. Per le lesioni di tipo II si rende invece necessario il ricorso ad anelli di sostegno.
Le lesioni di tipo III prevedono invece la più complessa ricostruzione delle colonne mediale e laterale con infibuli metallici e cemento per supportare la componente protesica acetabolare.
Esistono poi tecniche di chirurgia mini-invasiva quali la termoablazione a radiofrequenza e la cementoplastica percutanea che possono risultare utili in lesioni singole, in sedi facilmente aggredibili, impending fractures o pazienti con bassa aspettativa di vita.
La termoablazione a radiofrequenza viene eseguita in anestesia loco-regionale, la lesione viene identificata sulla scansione TC e centrata con un filo di Kirschner introdotto a mano libera e poi con trapano, previa introduzione di una cannula di protezione. Una volta raggiunta la lesione viene rimosso il filo e lasciata in sede la cannula che farà da guida al manipolo di emissione delle radiofrequenze.
La finalità del trattamento è ottenere una necrosi del tessuto neoplastico senza però conferire alcuna stabilità al tessuto osseo perilesionale; tale metodica non è quindi indicata nelle lesioni che hanno implicazioni meccaniche.
La cementoplastica percutanea, eseguita in anestesia periferica, utilizza cemento per riempire il difetto osseo così da conferire nuova stabilità e resistenza alle sollecitazioni meccaniche all'osso ormai indebolito.
Particolare importanza ricopre in questo caso l'acetaboloplastica che risulta essere indicata per lesioni osteolitiche in pazienti plurimetastatici con ridotta aspettativa di vita, interessamento della zona sovracetabolare o delle colonne anteriore e/o posteriore purché sia mantenuta una continuità dell'osso subcondrale o della cartilagine articolare.