• Non ci sono risultati.

Da 11 a 15 punti Megaprotesi o spaziatore intercalare modulare (B1; B2)

4. CHIRURGIA FOCALIZZATA AD ULTRASUONI (HIFU)

La HIFU è una metodica ablativa di recente sviluppo che utilizza il calore generato nel punto di concentrazione di un fascio di ultrasuoni ad alta intensità (Figura 7).

Gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (High- Intensity Focused Ultrasound HIFU) vengono erogati per scaldare e distruggere il tessuto (tipicamente maligno) tramite ipertermia.

Si tratta di una procedura ad alta precisione appartenente alle modalità dell'ultrasonografia, ma si distingue da questa in quanto l’ultrasonografia, sebbene anch’essa induca ipertermia, scalda il tessuto molto meno rapidamente e a temperature molto più basse (generalmente al di sotto dei 45°C).

Il fascio di ultrasuoni raggiungerà dunque il tessuto bersaglio e a questo livello la sua energia in parte viene assorbita dal tessuto stesso ed in parte temperatura locale di 80-95 °C, il tessuto viene coagulato termicamente ovvero si determina quindi la necrosi del tessuto bersaglio.

Gli ultra-suoni sono generati dalle vibrazioni di un trasduttore elettro-meccanico piano e focalizzati da una lente acustica.

Figura 7: generatore di fascio di ultrasuoni ad alta intensità per applicazione HIFU

La concentrazione del fascio può avvenire geometricamente, attraverso lenti o mediante trasduttori sferici, ed elettronicamente adeguando le relative fasi di più elementi in una matrice di trasduttori.

Gli ultrasuoni permettono l’ablazione sicura dei tessuti perché possono essere precisamente messi a fuoco su un volume predeterminato ben definito (volume focale).

Quando il fascio di ultrasuoni viene concentrato in un solo fuoco, la zona interessata è molto piccola, viceversa concentrando il fuoco in più punti può essere ablato un volume più grande.

Oltre alla prerogativa principale rappresentata dalla focalità del trattamento, altri importanti vantaggi comprendono la non invasività e l’efficacia sia su lesioni litiche che addensanti. Il trattamento, inoltre, è ripetibile.

Poiché il volume del tessuto danneggiato dal fascio di ultrasuoni si presenta come una regione altamente ecogena sarà possibile sfruttare questa proprietà utilizzando una parte di un array trasduttore ad ultrasuoni per mostrare il tumore e, contemporaneamente, gli altri elementi dell’array che emettono una maggiore intensità per visualizzare la distruzione del tessuto, il cui grado di ablazione può essere monitorato in tempo reale

La tecnica può essere guidata anche attraverso altre modalità imaging come la RM, si parla di Magnetic Resonance-guided Focused Ultrasound (MRgHIFU). In tal caso la RM guida sia la pianificazione del trattamento che il monitoraggio in tempo reale.

Recenti studi hanno valutato l’efficacia di questa tecnica nel trattamento delle metastasi ossee [17,18], tuttavia già da tempo è stata dimostrato il suo ruolo positivo nel trattamento dei fibromi uterini.

Tuttavia la metodica necessita di una linea diretta tra la lesione da trattare ed il trasduttore di ultrasuoni, senza che vi siano interposte aria o strutture vitali; non è applicabile ad oggi sulla colonna vertebrale, in presenza di mezzi di sintesi metallici o in pazienti portatori di elettrostimolatori e pacemakers. Inoltre, va considerato il rischio di fratture patologiche post-trattamento nelle ossa lunghe degli arti.

5. EMBOLIZZAZIONE

L'embolizzazione arteriosa è una metodica di radiologia interventistica il cui scopo è di sopprimere l'apporto vascolare di una neoformazione provocando l'occlusione dei vasi afferenti con conseguente necrosi ischemica della lesione. L'occlusione deve avvenire il più distalmente possibile (arteriole terminali prive di collaterali unica fonte di apporto ematico al territorio da ischemizzare) ed il materiale embolizzante viene introdotto mediante cateterismo dei vasi arteriosi afferenti alla neoplasia.

Le finalità di questo trattamento saranno arrestare la crescita della neoplasia ( più frequentemente) ed interrompere un eventuale versamento emorragico della lesione. L’utilizzo di tale tecnica può pertanto avere intento sia curativo, solitamente in regime neo- adiuvante così da aumentare la radicalità dell’intervento, sia palliativo ( è ciò che avviene più frequentemente nel caso delle metastasi ossee).

L'effetto antalgico è strettamente correlato alla necrosi ischemica che determina sia una riduzione delle dimensioni del tumore con conseguente minor compressione sul periostio le cui fibre sarebbero responsabili del dolore, sia un rallentamento dei processi di osteolisi neoplastica e minor rischio di frattura patologica. Inoltre l'effetto antalgico risulterebbe superiore a quello prodotto dalla radioterapia in quanto è meno influenzato dalle dimensioni della massa neoplastica.

La procedura viene eseguita in anestesia locale (in anestesia generale nei pazienti pediatrici) previa puntura dell'arteria femorale comune all'inguine (vie di accesso alternative: omerale od ascellare) introducendo sotto controllo fluoroscopico il catetere per via retrograda al fine di raggiungere la lesione da embolizzare.

Viene quindi eseguito, mediante l'introduzione di mezzo di contrasto attraverso il catetere, l'esame diagnostico (angiografia) per la precisa valutazione del tipo e grado di

vascolarizzazione della lesione. Se da tale studio emerge la fattibilità della procedura, viene introdotto un materiale embolizzante che occluderà i vasi patologici.

La procedura può essere ripetuta anche più volte a distanza di tempo. In assenza di complicanze è sufficiente una degenza di 24-48 ore.

I materiali embolizzanti differiscono per caratteristiche fisico-chimiche (liquidi e solidi) e per tipo di occlusione (permanente o temporanea).

I materiali embolizzanti liquidi sono generalmente N-Butil(2)Cianoacrilato, Alcool puro ed Onyx mentre i materiali embolizzanti solidi sono Microsfere, Spirali metalliche, Alcool polivinilico e Spongostan. L'embolizzazione arteriosa è una metodica non scevra da rischi che va eseguita soltanto presso centri specializzati al fine di ridurre eventuali complicanze, che in determinati distretti, come il rachide, possono essere estremamente invalidanti. Le complicanze sono essenzialmente rappresentate dalla embolizzazione di territori non lesionali.

6. ALCOLIZZAZIONE

Questa tecnica consiste nell’iniezione di alcool al 95% all’interno della lesione neoplastica. L’azione antineoplastica deriva dall’azione diretta dell’alcool che genera necrosi coagulativa della neoplasia e dalla trombosi del micro-circolo tumorale ( causata dall’induzione dell’aggregazione piastrinica) e quindi dall’ischemia tissutale. L'alcolizzazione consiste nell’introduzione, sotto guida ecografica o fluoroscopica di un ago nella zona patologica. Una volta posizionato correttamente l’ago, si procede ad iniezione di contrasto e, successivamente, a iniezione di alcol nella zona patologica. L’alcol ha la facoltà di occludere i vasi patologici.

Difficilmente si riesce a eliminare tutta la patologia in una seduta per cui possono essere necessari vari trattamenti che, man mano, occludono i vasi displasici. È poco utilizzata in ambito ortopedico a causa della scarsa efficacia. Mentre invece trova sicuramente maggiore responsività a livello epatico nel trattamento di noduli di epatocarcinoma (HCC) di diametro inferiore ai 2 cm.

Utilizzata soprattutto in passato anche per il trattamento di tumori pancreatici e tiroidei, ad oggi si predilige tecniche mini-invasive più efficaci come la chemio- embolizzazione o la termoablazione RFA.

Trova ancora oggi applicazione nella terapia del dolore, dove la procedura si effettua su alcuni plessi nervosi (per es. plesso celiaco) in modo da impedire il funzionamento delle fibre deputate alla trasmissione del dolore.

7. ELETTROCHEMIOTERAPIA (ECT)

La moderna ricerca biomedica nella lotta contro il cancro è incentrata sulla individuazione e lo sviluppo di metodi di drug delivery (rilascio controllato dei farmaci) direttamente all’interno di cellule e tessuti tumorali, con l’obiettivo di incrementare i benefici terapeutici e ridurre gli effetti collaterali delle molecole terapeutiche. È da questo principio che si è visto nascere l’Elettrochemioterapia (ECT).

Il principale ostacolo alla realizzazione di questo principio terapeutico è la scarsa efficienza di bio-distribuzione e assorbimento di farmaci chemioterapici a causa delle caratteristiche impermeabili della membrana plasmatica.

L'elettrochemioterapia (ECT) è una terapia antitumorale, in cui la somministrazione di un farmaco chemioterapico è seguita dalla applicazione locale di impulsi elettrici cui conseguirà il fenomeno dell’ elettroporazione. L’elettroporazione è un transitorio aumento della permeabilità di membrana delle cellule tumorali che consente la diffusione di un farmaco chemioterapico (bleomicina o cisplatino) dentro le cellule aumentandone quindi l’effetto citotossico (fino a cento volte).

Gli impulsi elettrici destabilizzano transitoriamente la membrana plasmatica creando strutture permeabili, ad esempio difetti nella membrana o pori (Figura 8)

La Elettrochemioterapia (ECT) è quindi un trattamento combinato che sfrutta la somministrazione di farmaci chemioterapici in associazione con la elettroporazione (EP) della membrana cellulare.

Nella letteratura, EP ed elettropermeabilizazione sono entrambe terminologie utilizzate per indicare cambiamenti strutturali nella membrana cellulare, a doppio strato lipidico, indotti da un campo elettrico locale pulsante.

La EP si verifica quando viene applicato un campo elettrico esterno alla membrana cellulare, il cui livello supera il valore di soglia del potenziale transmembranale (approssimativamente 1,5 V).

Oltre all’azione permeabilizzante sulla membrana delle cellule neoplastiche l’ECT ha anche un effetto sulle cellule stromali neoplastiche ed in particolare sulle cellule endoteliali. Questo effetto si traduce in due azioni:

vascular desrupting effect (effetto distruttivo vascolare)

Questa azione conduce alla morte (apoptosi) la cellula endoteliale e, conseguentemente, alla eliminazione del flusso di sangue al tumore [19]

vascular lock ( vasocostrizione)

Questo effetto definito blocco vascolare (vascular lock) induce un prolungato intrappolamento del farmaco dentro il tumore, migliorando l’efficacia dell’azione della BLM o della CDDP [20, 21].

Tuttavia affinché questa azione eserciti un effettivo ruolo anti-neoplastico sarà necessario che l’isolamento perfusionale della neoplasia si realizzi una volta che il farmaco è diffuso nel contesto della neoplasia e non prima.

Figura 8: rappresentazione schematica della modifica indotta dalla elettroporazione nella membrana plasmatica

Il contributo relativo dei due effetti nella efficacia della ECT (distruttivo vascolare e blocco vascolare), rimane ancora da comprendere analiticamente. Alcuni clinici enfatizzano la loro grande importanza soprattutto nei tumori molto vascolarizzati.

Tuttavia, l’effetto della distruzione vascolare non è osservato sui grandi vasi del sangue, come nelle maggiori arterie e vene epatiche, consentendo il trattamento di tumori anche in vicinanza di queste e ciò costituisce un elemento di vantaggio della ECT rispetto all’ablazione in radiofrequenza che è una tecnica ablativa termica che non è efficace lungo i più grossi vasi del sangue a causa dell’effetto di raffreddamento creato dalla circolazione stessa.

La procedura può essere eseguita sia con anestesia locale che con anestesia generale, in relazione alla scelta del trattamento chirurgico, ma con pochi e piccoli noduli è raccomandata l’anestesia locale, mentre negli altri casi quella generale.

Sono utilizzati impulsi elettrici a onda quadra e l'ampiezza dell'impulso desiderato dovrebbe essere mantenuta costante attraverso l'intera durata dell'impulso. Il preciso controllo dei parametri di EP, ottenuto con una adeguata progettazione dei dispositivi, permette l’applicazione di tensioni più basse, riducendo il disagio per il paziente e mantenendo elevata l’efficacia del trattamento locale della ECT. Nella pratica clinica, vengono utilizzati impulsi elettrici brevi e intensi, con corrente continua monopolare. Infine, il generatore di impulsi elettrico dovrebbe misurare, in tempo reale, l'ampiezza della corrente elettrica nel tessuto per impedire eccesso di corrente, per la sicurezza del paziente.

Gli applicatori più comunemente utilizzati in ECT sono elettrodi a piastra o ago [23]. Gli elettrodi a piastra sono principalmente utilizzati per il trattamento di lesioni

di lesioni profonde. A differenza degli elettrodi a piastra, gli elettrodi ad ago devono essere inseriti nel tessuto tumorale fino al margine profondo del tumore [22].

Indipendentemente dal tipo di elettrodi, piastra o ago, il campo elettrico locale è massimo intorno all’elettrodo e tra gli elettrodi mentre decresce molto rapidamente lontano dagli elettrodi. Se il tumore è più esteso della distanza tra gli elettrodi, l’intero tumore può , quindi, essere trattato in modo efficiente solo con successivi spostamenti degli elettrodi, in modo da coprirne l’intera superficie.

Come l’intensità dell’impulso elettrico, la scelta ed il posizionamento degli elettrodi devono essere stabiliti attentamente a seconda di forma, dimensione e posizionamento del tumore. La moderna tecnologia di guida attraverso l’immaging, consente oggi il posizionamento ottimale degli elettrodi. La responsività della neoplasia all’ECT varia in base all’istotipo, ovvero la dose terapeutica di chemioterapici varia in relazione alla tipologia neoplastica. Ciò è riconducibile principalmente alla variabilità di cinque importanti parametri:

 Sensibilità intrinseca delle cellule tumorali al farmaco [24,25]  Livello di permeabilità della cellula neoplastica

 Grado di vascolarizzazione della neoplasia  Immunogenicità della neoplasia

 Dimensione della neoplasia

Raramente l’ECT è utilizzata in regime esclusivo. Più frequentemente il suo ruolo è quello di trattamento neo-adiuvante. Tale modalità, il più delle volte, consente di ridurre le dimensioni della neoplasia aumentando così la radicalità chirurgica e riducendo i possibili rischi legati all’intervento (lesione di strutture fondamentali come vasi o nervi).

Il possibile utilizzo come trattamento adiuvante necessita di ulteriori sviluppi e di sperimentazioni, prima di poter essere introdotto nella pratica clinica. Un’altra possibile strategia terapeutica è quella di un trattamento concomitante con la radioterapia; in cui si sfrutta il sinergismo tra le due tecniche; l’ECT è in grado di generare un effetto radiosensibilizzante.

L’ECT è una tecnica che agli albori ha mostrato la sua efficacia nel trattamento delle lesioni cutanee e sub-cutanee; con il tempo si è riusciti ad ampliare il campo di applicazione alle lesioni viscerali sempre più profonde e infine appunto alle neoplasie ossee.

Benché i pochi studi pre-clinici preliminari tutt’ora in corso debbano ancora essere confermati da un più lungo follow-up e da numeri maggiori di pazienti, i primi risultati sono incoraggianti e sono in corso continui miglioramenti per le tecniche disponibili compresi gli sforzi per la pianificazione dei pretrattamenti.

Sono stati infatti evidenziato numerosi vantaggi nell’utilizzo di tale metodica tra cui un alto tasso di risposta nel controllo locale di tumori, un effetto limitato sui tessuti sani con riduzione degli effetti collaterali sistemici, tipici della chemioterapia, la possibilità di trattamento anche del margine tumorale e non solo del volume centrale, la conservazione della risposta immunitaria, l’efficacia anche in aree precedentemente trattate e rapporto costi-benefici vantaggioso, sia per la tecnologia che per i farmaci utilizzati.

L’efficacia e la sicurezza della ECT sono state valutate accuratamente nel corso di studi clinici e ad oggi è ritenuto un trattamento caratterizzato da buona sicurezza e da un basso profilo di tossicità.

Non sono mai stati riportati seri effetti negativi della ECT. Tuttavia, alcuni minori immediati effetti sono stati osservati, come lievi irritazioni e una non confortevole sensazione di dolore, associata con la contrazione dei muscoli, posti in vicinanza degli elettrodi, che si placa immediatamente dopo l’applicazione di ciascun impulso elettrico, se applicato in anestesia locale [26,27]. In aggiunta, si possono avere alcuni effetti ritardati, come un lieve eritema ed edema. La ECT è controindicata in pazienti che hanno avuto reazioni allergiche alla bleomicina o al cisplatino (o farmaci corrispondenti), così come in quelli, in cui la durata della dose cumulativa di bleomicina supera determinati valori soglia[26].

Documenti correlati