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4. La chirurgia tiroidea

4.3 Tecniche chirurgiche

4.3.4 Chirurgia robotica

L'introduzione dell'uso del robot nella chirurgia tiroidea ha origine dall'esigenza di ovviare alla necessità di una incisione cervicale per asportare la ghiandola, per motivazioni essenzialmente estetiche, ed in alcune nazioni, culturali. Nei paesi asiatici in particolare, una cicatrice nella regione del collo è considerata un pregiudizio estetico molto importante; in queste popolazioni vi è inoltre una maggiore tendenza a sviluppare cicatrici ipertrofiche. Per questi motivi sono stati descritti, soprattutto da parte di chirurghi coreani, approcci alternativi extra- cervicali, quali ad esempio, presternali, inframammari, retroauricolari e

transascellari; queste procedure richiedono in genere tempi più lunghi rispetto all'accesso cervicale e sono tecnicamente molto impegnative. Grazie all'introduzione del robot Da Vinci, è stata sviluppata ed applicata con successo, da parte del chirurgo sudcoreano W.Y. Chung e la sua equipe, la tecnica denominata RAT (robotic-assisted thyroidectomy) con accesso trans-ascellare e senza utilizzo di gas per espandere i tessuti. L'approccio trans-ascellare era già stato proposto ed utilizzato nel corso di tiroidectomie endoscopiche; a causa della complessità dell'intervento tuttavia, era necessaria l'insufflazione di gas per divaricare i tessuti. Nella RAT invece viene utilizzato un divaricatore fisso per mantenere lo spazio di lavoro; il robot inoltre consente di operare con la necessaria abilità in spazi comunque ristretti.

La procedura viene eseguita con l'arto superiore esteso al di sopra della testa: questa posizione può potenzialmente sottoporre a stress eccessivo i rami del plesso brachiale, per cui alcuni chirurghi eseguono un monitoraggio elettromiografico intraoperatorio. L'operazione inizia con una incisione di 6-8 cm lungo il margine posteriore del muscolo pettorale nel cavo ascellare, quindi viene allestito un “piano di lavoro” soprapettorale, creando un lembo di cute, tessuti sottocutanei e muscolo platisma. Viene poi ricercato lo spazio avascolare compreso tra il capo sternale e quello clavicolare del muscolo sternocleidomastoideo; questo spazio viene poi sfruttato per raggiungere la loggia tiroidea, mediante la retrazione del muscolo omoioideo e l'elevazione dello sternoioideo e dello sternotiroideo. A questo punto viene esposto il lobo tiroideo omolaterale e il divaricatore fisso viene posizionato in modo da mantenere uno spazio operativo adeguato. Si passa quindi ad utilizzare il sistema robotico Da Vinci, che possiede un braccio con telecamera e tre bracci operativi, che possono essere introdotti tutti attraverso l'incisione ascellare, oppure, secondo la tecnica originale, tre per via transascellare ed un quarto attraverso un piccola incisione eseguita superiormente e medialmente al capezzolo omolaterale. Una volta introdotti i bracci robotici viene eseguita la tiroidectomia, iniziando dalla dissezione del polo superiore. Il polo inferiore viene poi separato dalla trachea e la ghiandola è mobilizzata ventralmente

e medialmente; a questo punto viene identificato e isolato il nervo ricorrente. Al termine della procedura viene posizionato un drenaggio e si esegue la sutura della ferita.

Una tecnica robotica alternativa alla precedente è stata sviluppata negli Stati Uniti, per ovviare dell'elevata percentuale di complicanze che l'accesso transacellare determinava nei pazienti statunitensi rispetto a quelli asiatici, per ragioni verosimilmente legate alla diversa anatomia delle due popolazioni ed alla grandezza dei noduli tiroidei trattati. Questa tecnica è chiamata RFT (robotic facelift thyroidectomy) e si avvale di una incisione cosiddetta “facelift”, situata dietro il padiglione auricolare ed estesa lungo l'attaccatura del capillizio in sede occipitale, frequentemente utilizzata nelle operazioni di chirurgia della parotide.

Solo pazienti selezionati possono essere sottoposti a questo intervento: lo sviluppo attuale della tecnica consente di eseguire una lobo-istmectomia, per cui deve essere riservata ai pazienti che necessitino di chirurgia monolaterale, con noduli di diametro inferiore a 4 cm, non obesi, che non abbiano subito altri interventi nella regione del collo; prima dell’intervento deve essere altresì verificata l’assenza di metastasi linfonodali e di gozzo retrosternale o tiroiditi.

L’intervento è condotto con paziente è in posizione supina e capo ruotato di circa 30° rispetto al lato dell'incisione. L'intervento procede lungo il bordo anteriore del muscolo sternocleidomastoideo, fino all'identificazione del muscolo omoioideo, attraverso il quale si ottiene l'accesso alla loggia tiroidea. Profondamente rispetto al predetto muscolo nel piano compreso tra esso e la capsula tiroidea, si procede alla dissezione, ottenendo il ribaltamento ventrale dei muscoli sottoiodei. Si inserisce quindi un divaricatore fisso, simile a quello ideato da Chung e colleghi per la RTA, e si posiziona il robot Da Vinci, utilizzando tre bracci, di cui uno ottico e due operativi. Il primo passo consiste nel legare il peduncolo superiore; il polo superiore viene quindi spostato ventralmente e viene condotta una dissezione in modo da mettere in evidenza il bordo inferiore del muscolo costrittore inferiore, lungo il quale decorre la branca esterna del nervo

laringeo superiore. Contemporaneamente viene identificata e separatala paratiroide superiore. Si procede quindi all’identificazione del nervo ricorrente nel suo punto di entrata al di sotto del muscolo costrittore inferiore ed alla sua dissezione. Successivamente si effettua la sezione del legamento di Berry e la divisione dell’istmo, nonché la legatura della vena tiroidea media. A questo punto viene identificata e separata dal parenchima tiroideo la paratiroide inferiore e legato il peduncolo vascolare inferiore; il lobo può quindi essere completamente asportato. L’incisione viene suturata e non sono posizionati drenaggi.

Le tecniche robotiche sono attualmente in fase precoce di sviluppo. Come illustrato finora esse eliminano il problema dell’incisione cervicale; tuttavia richiedono la creazione di un ampio spazio di lavoro ( presentano dunque una maggiore invasività) per poter asportare completamente la ghiandola. L’obiettivo rimane quello di renderle più efficaci e meno invasive [9, Cap. 7, pp. 65].