Al fine di far emergere le caratteristiche specifiche della trattazione satirica varroniana in relazione al culto della Grande Madre ritengo opportuno attuare un confronto anche con la satira di “tipo luciliano”, da Lucilio a Giovenale, laddove è possibile individuare riferimenti più o meno espliciti alla Mater Magna e ai suoi sacerdoti eunuchi. L’unico satirico che non sembra presentare passaggi riferibili ai galli o a Cibele è Orazio.
Lucilio. Nel VII libro delle Satire di Lucilio i vv. 278-280 M.293
hanc ubi vult male habere, ulcisci pro scelere eius, testam sumit homo Samiam sibi, ‘anu noceo’ inquit, praecidit caulem testisque una amputat ambo
presentano una specifica allusione alla auto-castrazione rituale dei famuli di Cibele. L’elemento-chiave che rimanda ad essa è infatti lo strumento che viene usato, poiché la (Samia) testa appare associata all’auto-evirazione rituale dei galli in vari testi: cfr. Plin. nat. 35. 165 samia testa Matris deum sacerdotes, qui galli
vocantur, virilitatem amputare; Mart. 3. 81. 3 (in relazione ad un gallo) abscisa est quare Samia tibi mentula testa; Iuv. 6. 514 (sc. ingens semivir) mollia qui rapta secuit genitalia testa294.
293 Non. p. 398. 31 ‘Samium’ rursum acutum; unde et samiare dicimus acuere, quod in Samo hoc
genus artis polleat. Lucilius satyrarum lib. VII.
294 Già Graillot 1912, 296 in nota aveva associato questo passo luciliano a quelli degli altri autori
nei quali il riferimento alle samiae testae è senza dubbio relativo all’auto-evirazione dei galli. Per quanto riguarda i due principali commenti a Lucilio, Marx 1905, 105-106 ritiene che si tratti di una sorta di “licenza poetica”, di una generalizzazione della particolare modalità di auto-castrazione che avevano i galli, perché questi sarebbero stati tra i pochi “modelli” di riferimento al riguardo. Krenkel 1970, 1, 208-209 pensa invece ad un gioco di parole tra testa e testis, ma senza riferimenti al culto cibelico.
Anche se fino ad ora non mi sembra sia stato rilevato, mi domando se anche in altri due frammenti afferenti al VII libro (vv. 264-265 e 288-289 M.) non siano ipotizzabili dei riferimenti agli effeminati sacerdoti di Cibele.
I vv. 264-265 M.295
rador subvellor, desquamor, pumicor, ornor, expilor, ‹ex›pingor296
vengono usualmente riferiti ad una donna che elencherebbe i vari procedimenti estetici cui si sarebbe sottoposta297. Questa lettura sembrerebbe in effetti confer- mata dal confronto con un passo plautino: Plaut. Poen. 219-222 ex industria
ambae numquam concessamus / lavari aut fricari aut tergeri aut ornari, / poliri expoliri, pingi fingi; et una / binae singulis quae datae nobis ancillae, / eae nos lavando eluendo operam dederunt.
È però a mio avviso possibile anche un’interpretazione diversa del passo che potrebbe essere riferito ad un uomo effeminato, e quindi forse ad un gallo. In particolare mi sembrerebbe rimandare a quest’ambito l’uso del verbo pumicor che forse non a caso è assente nel passo plautino. Infatti, anche se da Plinio298 appren- diamo che la pomice era uno strumento depilatorio usato normalmente dalle donne, tutte le attestazioni letterarie che fanno riferimento ad essa relativamente alla depilazione, come tutte le occorrenze del verbo pumicor, sono, a quanto mi è noto, relative però a personaggi effeminati, e talora proprio a galli.
Così la depilazione con la pomice è presentata esplicitamente come marca caratteristica dei cinaedi in Manil. 5. 150 illis (sc. tauri sidere nati) cura sui cultus
frontisque decorae / semper erit: tortos in fluctum ponere crines / aut vinclis
295
Non. p. 95. 15 ‘desquamat’ squamis spoliat . (…) Lucilius satyrarum lib. VII.
296 L’integrazione ‹ex›pingor si deve a Marx, mentre rador e subvellor sono correzioni di Turnèbe
rispetto alle lezioni sador e subbellor tradite.
297 Vedi Marx 1905, 100 e Krenkel 1970, 1, 202-203. 298
Plin. nat. 36. 154 (sc. pumices) sunt in usu corporum levandorum feminis, iam quidem et viris,
revocare comas et vertice denso / fingere et appositis caput emutare capillis / pumicibusque cavis horrentia membra polire / atque odisse virum teretisque optare lacertos; Mart. 5. 41. 6 spadone cum sis eviratior fluxo / (...) / pumicata pauperes manu monstras e 14. 205. 1 sit nobis aetate puer, non pumice levis, / propter quem placeat nulla puella mihi; Plin. epist. 2. 11. 23 che allude ad un
personaggio chiaramente effeminato definendolo pumicatus e Iuv. 8. 16 tenerum
attritus Catinensi pumice lumbum, / squalentis traducit avos e 9. 95 nam res mortifera est inimicus pumice levis. Un gioco di parole tra la pomice come
strumento usato per raschiare le estremità del rotolo di papiro e come strumento depilatorio “impropriamente” utilizzato da maschi è ravvisabile anche in Hor.
epist. 1. 20. 1-2 Vortumnum Ianumque, liber, spectare videris, / scilicet ut prostes Sosiorum pumice mundus. Mi sembrerebbe poi particolarmente interessante per il
suo specifico riferimento ai galli un passo dell’Ars amatoria: Ov. ars 1. 505-508
sed tibi nec ferro placeat torquere capillos, / nec tua mordaci pumice crura teras.
/ Ista iube faciant, quorum Cybeleia mater / concinitur Phrygiis exululata modis. La persona loquens dei vv. 264-265 M. potrebbe essere quindi un uomo che descriverebbe il suo “travestimento” da gallo. Così anche il verbo rado potrebbe ben rimandare ad un personaggio maschile299 e negli uomini la rasatura, al pari della depilazione, era considerata un segno di mollezza: cfr. Varro Men. fr. 186 B.
quotiens priscus homo ac rusticus Romanus inter nundinum barbam radebat?; e
parimenti l’uso del verbo subvello risulterebbe coerente con la descrizione di un personaggio effeminato: l’unica sua altra occorrenza300 è infatti in un frammento appartenente ad un’orazione di Scipione Africano minore (orat. 10) in cui appare riferito ad un ben poco virile personaggio dalla barba rasata: qui barba vulsa
feminibusque subvulsis ambulet. Del tutto eccezionale, e di chiaro effetto caricatu-
rale in relazione alla cura del corpo, è poi l’utilizzo dell’espressivo verbo
299
Cfr. OLD, s. v. rado, 1571.
desquamor301, propriamente “squamo” e quindi anche “spello, scortico” con allu- sione molto probabilmente alla depilazione, forse da parte di un personaggio non abituato ad essa. Anche il riferimento all’ornamentazione (ornor) potrebbe ben addirsi alla “divisa” dei galli, baroccamente adorni di orecchini e di un gran numero di collane sovrapposte le une alle altre302; l’archigallo addirittura di una corona d’oro. Non meno appropriata in riferimento ad un gallo sarebbe l’allusione al trucco (expingor): il loro vistoso maquillage era infatti comunemente oggetto di riprovazione303. Costituisce invece un hapax il verbo expilare usato nel senso di “depilare”, probabilmente in riferimento ad un tipo di depilazione non per fri- zione, ma per asporto, forse relativa a parti del corpo diverse da quelle che potevano essere lisciate con la pomice304.
Neppure i vv. 288-289 M.305
iactari caput atque comas, fluitare capronas, altas, frontibus inmissas, ut mos fuit illis306
a quanto mi risulta, sono mai stato riferiti a dei galli, ma fino ad ora sono stati interpretati o come un’allusione agli homines temporis acti307 o come un paragone
tra i cavalli e le donne308. L’elemento che però mi induce a vedere anche qui la possibilità – si intende del tutto ipotetica – di un riferimento ai sacerdoti di Cibele è la presenza del sintagma iactari caput atque comas che sembrerebbe riprendere il “linguaggio tecnico” del delirio fanatico dei galli. La iactatio comae era infatti un momento essenziale della loro danza rituale ed era il mezzo che permetteva
301 Cfr. ThLL, s. v. desquamo, 5/1, 752-753 e OLD, s. v. desquamo, 527. 302
Cfr. Graillot 1912, 299.
303 Cfr. Graillot 1912, 300. 304
Cfr. ThLL, s. v. expilo, 5/2, 1702.
305 Non. p. 22. 5: ‘Capronae’ dicuntur comae quae ante frontem sunt, quasi a capite pronae. 306 Iactari è correzione operata da Iunius su actari dei codici, mentre fluitare è correzione di Marx
rispetto a fruitare tradito.
307
Marx 1905, 108-109.
loro di raggiungere l’estasi: cfr. Varro Men. fr. 132. 3 B.309 teretem comam
volantem iactant tibi galli; Ov. fast 4. 244 mollesque ministri / caedunt iactatis vilia membra comis e Quint. 11. 3. 71 iactare id (sc. caput) et comas excutientem rotare fanaticum est. Anche le parole che seguono, nelle quali viene descritto, in
un linguaggio molto espressivo, l’effetto della iactatio comae, e cioè il volteggiare disordinato dei capelli riversi sulla fronte, mi sembrerebbero ben riferibili a dei galli: viene infatti usato il raro termine capronae (corrispondente forse al nostro “frangia” o “ciuffo”310) che ricorre solo in questo frammento e in un passo dei
Florida di Apuleio311 in relazione alla ricercata acconciatura di Apollo, derisa da Marsia come simbolo di luxuria. Ora, la mollezza, l’effeminatezza era proprio il vizio più tipicamente ascritto ai galli e si potrebbe quindi forse vedere in questo frammento luciliano un’allusione alla loro pittoresca, lunga chioma, riversa sulla fronte per la violenza del vorticoso movimento rotatorio della testa.
L’inciso ut mos fuit illis, secondo questa mia proposta, sarebbe allora da interpretare come un riferimento al “fanatico” costume dei galli di roteare la testa così da raggiungere una condizione di trance. Tenderei quindi a considerare fuit come un perfetto gnomico, senza doverlo forzatamente riferire ad una condizione passata e non più attuale: a conforto di questa ipotesi si può citare un passo degli
Epodi di Orazio, 7. 11 neque hic lupis mos nec fuit leonibus, / numquam nisi in dispar feris, nel quale ricorre la medesima espressione mos fuit che Porfirione
mostra di interpretare come un perfetto gnomico312: (Porph. Hor. ep. 7. 11) sensus
est: ferae non faciunt, quod vos, o Romani, sanguinem invicem petentes. Si po-
trebbe altrimenti pensare anche al racconto di un’esperienza diretta dell’estasi frenetica dei galli da parte della persona loquens; la perdita del contesto di
309 Vedi supra pp. 26-29.
310 Cfr. Non. p. 22. 5 cit. n. 305 e Paul. Fest. p. 33. 32 ‘Capronae’ equorum iubae in frontem
devexae, dictae quasi a capite pronae.
311 Apul. Fl. 3 crines eius (sc. Apollinis) praemulsis antiis et promulsis caproneis anteventuli et
propenduli. Cfr. ThLL, s. v. capron(e)ae, 3, 361.
312 Così lo interpreta anche Watson 2003, 278 al quale rimando per un’accurata discussione dei
riferimento non permette di fatto di privilegiare alcuna ipotesi. L’uso del pronome
ille nell’inciso finale mi sembrerebbe comunque suggerire come il soggetto-
parlante dovesse essere estraneo al gruppo di individui (secondo la mia ipotesi di galli) designati come usualmente dediti alla pratica della iactatio comae.
Si potrebbe quindi ipotizzare di mettere in relazione i vv. 288-289 M. con i vv. 264-265 M. riferendoli allo stesso “apprendista-gallo” che descriverebbe la sua “metamorfosi” in sacerdote di Cibele sia nell’aspetto esteriore (vv. 264- 265 M.) che nell’adesione alle “barbare” pratiche dei galli (vv. 288-289 M.), ma inevitabilmente lo stato gravemente frammentario di questi passi e la perdita del contesto rendono estremamente incerta e fragile qualsiasi ipotesi esegetica.
Persio. Un riferimento polemico ai galli e due menzioni di Attis sono presenti nelle Satire di Persio. Nella quinta satira, al v. 186, i galli appaiono associati al culto di Iside come emblemi della superstitio:
hinc grandes galli et cum sistro lusca sacerdos.
Secondo Kißel313, in questo verso si farebbe riferimento all’eccezionale grandezza fisica dei galli, determinata dalla loro condizione di eunuchi castrati in età prepuberale; lo studioso cita come parallelo un passo di Giovenale (6. 112- 113314) in cui viene nominato un ingens semivir. Le testimonianze di Persio e di Giovenale sembrerebbero in effetti confortarsi vicendevolmente, ma vi è un’obiezione di fondo che credo possa essere mossa a quest’interpretazione. Non ritengo infatti probabile che il rituale cruento del dies sanguinis che sanciva la consacrazione al culto di Cibele potesse avere come protagonisti dei giovinetti impuberi, né vi sono, a mia conoscenza, testimonianze letterarie o iconografiche che possano essere addotte a conforto di quest’ipotesi315. Anzi, un passo
313 Kißel 1990, 751. 314
Analizzo questa testimonianza più oltre, alla p. 106.
dell’Eunuchus di Luciano (cap. 8) sembrerebbe sottolineare proprio la distinzione tra gli eunuchi evirati da bambini e i galli auto-castratisi da adulti: to; tou'
eujnouvcou kai; tw'n bakhvlwn cei'ron ei\nai: tou;" me;n ga;r ka]n pepeira'sqaiv pote ajndreiva", tou'ton de; ejx ajrch'" eujqu;" ajpokekovfqai kai; ajmfivbolovn ti zw'/on ei\nai kata; taujta tai'" korwvnai".
Gli Scholia a questo passo di Persio glossano grandes con pingues
sacrificiis ed in nota Kißel316 sottolinea come l’attributo ingens presente in Giovenale possa evocare anche l’idea di una certa corpulenza, grassezza, che sarebbe a sua volta connessa alla condizione della castrazione. L’attribuzione a
grandis di un valore negativo come quello suggerito dagli Scholia, e cioè relativo
ad una loro particolare corpulenza, mi sembrerebbe coerente con la caratterizza- zione, parimenti negativa e degradante, della sacerdotessa di Isis come lusca presente subito dopo317, mentre un riferimento alla straordinaria altezza dei galli sarebbe a mio avviso meno significativo in questo contesto. In relazione al v. 186 di Persio si potrebbe però forse avanzare anche l’ipotesi che l’aggettivo grandis sia da interpretare come un sarcastico riferimento all’età avanzata degli effeminati sacerdoti di Cibele318 alla quale, come ho detto, mi sembrerebbe accennare ironicamente Varrone nel fr. 119 B. delle Eumenides319 e alla quale anche Giovenale, come vedremo tra breve, fa sarcasticamente riferimento in due casi (2. 112 e 6. 515).
Nella prima satira di Persio ricorrono due menzioni di Attis dalle quali emerge come il dio frigio dovesse essere un soggetto “alla moda” in poesia, tanto da poter assurgere ad emblema della mancanza di virilità sia formale che conte- nutistica della produzione poetica del tempo, alla quale il poeta contrappone
316 Kißel 1990, 751 n. 379.
317 A questo proposito vedi infra pp. 201-202.
318 Cfr. ThLL, s. v. grandis, 6/2, 2179 e OLD , s. v. grandis, 771-772. 319
Vedi in particolare p. 40 e cfr. anche l’oscena immagine di un senex cinaedus in Apul. met. 8. 24.
fieramente l’acre mordacità delle proprio sermo satirico, coraggiosamente improntato alla denuncia del vero: vv. 92-93
‘sed numeris decor est et iunctura addita crudis. Cludere sic versum didicit “Berecyntius Attis”
e, con un’immagine ancora più aspra e violenta, vv. 103-105 haec fierent si testiculi vena ulla paterni viveret in nobis? Summa delumbe saliva hoc natat in labris et in udo est Maenas et Attis.
In questi versi viene teorizzato, ed espresso in termini crudi ed espliciti, il pro- fondo legame esistente tra materia e modalità del canto, per cui una poesia che tratti dell’effeminato Attis è destinata ad essere molle e priva di virilità al pari del suo oggetto: cfr. Mart. 2. 86. 4-5 nec dictat mihi luculentus Attis / molle debilitate
galliambon.
Giovenale. Come in Pers. 5. 186, anche nella sesta satira di Giovenale un sarca- stico riferimento ai sacerdoti di Cibele è inserito nell’ambito di una più ampia denuncia della superstizione religiosa: vv. 511-521
ecce furentis Bellonae matrisque deum chorus intrat et ingens semivir, obsceno facies reverenda minori, mollia qui rapta secuit genitalia testa
iam pridem, cui rauca cohors, cui tympana cedunt 515
plebeia et Phrygia vestitur bucca tiara.
Grande sonat metuique iubet Septembris et Austri adventum, nisi se centum lustraverit ovis
et xerampelinas veteres donaverit ipsi,
ut quidquid subiti et magni discriminis instat 520
in tunicas eat et totum semel expiet annum.
In questi versi viene offerto un ritratto molto vivido e sarcastico di un sacerdote della Grande Madre320 che è definito ingens semivir (cfr. Varro Men. fr. 132 B.
nunc semiviri ... galli). Come ho accennato in precedenza, in base al confronto
con Pers. 5. 186 l’attributo ingens è stato usualmente considerato come un riferi- mento alla taglia elevata del gallo qui descritto, dovuta alla sua castrazione in età prepuberale321, ma, come ho detto, l’ipotesi che il rituale dell’auto-evirazione connesso al culto cibelico avesse come protagonisti soggetti tanto giovani non mi sembrerebbe trovare conferma nelle testimonianze a noi note, né la riterrei proba- bile. Si potrebbe allora forse interpretare l’espressione ingens semivir, secondo la proposta di Kißel, come un riferimento ironico alla ragguardevole corpulenza del gallo alla testa del corteo in onore della Grande Madre322, forse da connettere a quello che sembrerebbe un topos della descrizione dei galli, e cioè l’allusione alla loro (presunta) voracità: cfr. Mart. 14. 204. 1 in cui viene ridicolizzato un gallo
esuriens e Apul. met. 8. 25 che presenta un personaggio del tutto associabile ad un
gallo che viene definito lurchonem.
Il riferimento alla condizione di castrazione del gallo, introdotto al v. 513 dalla sua definizione di semivir, viene per così dire ripreso e sviluppato al v. 514 con un preciso riferimento al rituale dell’auto-emasculazione praticato dai galli, che, come ho già detto323, usavano in genere pietre o cocci (come la samia testa qui nominata), ma non strumenti di metallo. In posizione di rilievo, all’inizio del v. 516 viene sottolineato anche un altro elemento piuttosto frequente nei ritratti dei galli, evidentemente perché considerato particolarmente urtante e riprovevole in relazione a dei personaggi ritenuti dei cinaedi, e cioè l’età avanzata di questo grottesco ministro del culto della dea frigia, la cui rinuncia alla virilità, viene detto, era avvenuta “ormai da tempo”.
Anche in un passaggio della seconda satira Cibele ed i suoi sacerdoti eunu- chi sono addotti quali modelli esemplari di depravazione, ed ancora una volta al 1980, 327. 321 Vedi Courtney 1980, 327. 322 Cfr. ThLL, s. v. ingens, 7/1, 1536. 323 Vedi sopra p. 35 n. 85.
v. 112 si ha la descrizione di un gallo del quale viene sottolineata, evidentemente con finalità denigratoria, la vecchiaia: è infatti presentato come un senex fanaticus dai capelli bianchi:vv 111-116
hic turpis Cybeles et fracta voce loquendi libertas et crine senex fanaticus albo
sacrorum antistes, rarum ac memorabile magni gutturis exemplum conducendusque magister.
quid tamen expectant, Phrygio quos tempus erat iam 115
more supervacuam cultris abrumpere carnem?
Questo gallo di età avanzata viene prima definito maestro del culto (antistes
sacrorum324), quindi modello esemplare di grande gola (rarum ac memorabile
magni / gutturis exemplum) e poi maestro prezzolato (conducendus magister).
Due sono le possibili interpretazioni del riferimento al magnum guttur del sacer- dote della Grande Madre: questa espressione si può infatti intendere sia come allusione ironica ai “canti a squarciagola” che avevano grande importanza nel rituale cibelico325: cfr., oltre a Iuv. 6. 515 rauca cohors, anche Varro Men. fr. 150 B. gallantes vario recinebant studio e i frr. 131 e 132 B. che, come abbiamo visto, sembrerebbero appunto riferibili ad un inno in galliambi intonato da alcuni famuli di Cibele, sia in riferimento alla riprovevole voracità del personaggio326, poiché, come ho detto in precedenza, l’accusa di avida golosità doveva essere una caratteristica ricorrente della polemica nei confronti dei galli.
Dagli Scholia apprendiamo poi che in un altro punto di questa stessa satira, ai vv. 15-16
verius ergo et magis ingenue Peribomius
324 Per l’uso dell’appellativo di antistes in riferimento a galli vedi Courtney 1980, 142. 325
Così interpretano Courtney 1980, 142 e Morton Braund 1996, 153.
Giovenale avrebbe fatto allusione ad un archigallo notorio per la sua impudici- zia327 e con un nome parlante di origine greca particolarmente adatto ad un sacerdote: Peribomius “colui che si aggira attorno all’altare” 328: Schol. Iuv. 2. 15 (verius ergo) et magis ingenue Peribomius: nomen archigalli cin‹a›edi, qui
publice inpudicitiam professus est. Questo gallo screditato sarebbe stato preso dal
poeta come paradossale termine di paragone per i falsi filosofi attaccati nella prima parte del componimento come campioni di turpitudine: rispetto alla (mal)celata perversione di questi il comportamento manifestamente osceno dell’archigallo sarebbe risultato (paradossalmente) più sincero e addirittura più onorevole.
Nella ottava satira si ha ancora un’immagine degradata dei galli ai quali il poeta accenna solo brevemente, ma inserendoli tra la feccia della popolazione, a chiudere quasi con una climax discendente per violenza, ma ascendente per igno- minia, una serie aperta dai percussores, dai sicari, oggetto di disprezzo e condanna evidentemente per motivi totalmente opposti rispetto agli imbelli ed effeminati galli, vv. 173-176
invenies aliquo cum percussore iacentem, permixtum nautis et furibus ac fugitivis, inter carnifices et fabros sandapilarum et resupinati cessantia tympana galli.
Così anche nella nona satira, vv. 60-62
meliusne hic rusticus infans cum matre et casulis et conlusore catello cymbala pulsantis legatum fiet amici?
327 Courtney 1980, 125 non ritiene invece possibile un riferimento qui ad un archigallo: “Juvenal
probably did not have an historical person in mind, but chose the name for the associations indicated by the scholiast”.
328
Cfr. ThLG, s. v. peribwvmio", 6, 799: a quanto sembra questo termine era usato anche per designare genericamente i sacerdoti dei culti orientali.
si ha un’allusione sprezzante ai galli come cinaedi attraverso uno degli strumenti loro propri: i cymbala (cfr. Varro Men. fr. 149 B. praeter Matris deum aedem