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nelle Menippee di Varrone e nell’Attis di Catullo

Come ho notato, tra l’Attis di Catullo e alcuni frammenti delle Menippee di Varrone sono riscontrabili delle rispondenze testuali che ritengo ora opportuno

analizzare in modo più dettagliato per tentare di mettere meglio a fuoco il rapporto tra questi due testi. I versi del componimento catulliano che mostrano più evidenti affinità con i frammenti varroniani sono i vv. 12 e 30, il v. 17, il v. 22 e il v. 92, da mettere rispettivamente a confronto con quattro frammenti afferenti a tre diverse menippee: tre galliambi, i frr. 79 (Cycnus), 275 (Marcipor) e 131 B. (Eumenides), e un settenario giambico, il fr. 133 B. (Eumenides). Questi paralleli sono stati spesso rilevati nei commenti alle Menippee o, più raramente, all’Attis, ma non sempre queste rispondenze testuali sono state giudicate significative per stabilire un rapporto di dipendenza tra questi due testi e talora i punti di contatto son stati fatti risalire piuttosto a fonti comuni alle quali entrambi i poeti si sarebbero ispirati256.

Riassumo i punti di contatto precedentemente rilevati tra i galliambi catul- liani e i frammenti menippei che ho sopra indicato. Il fr. 79 B.257 appare per così dire diffranto nei vv. 12 e 30258 del carme 63 che esprimono la stessa idea di eccitazione frenetica: al v. 12 infatti si ha, nella stessa posizione metrica, il mede- simo sintagma ad alta (che, nel frammento varroniano, riterrei allusione alla posizione elevata del tempio palatino di Cibele) e al v. 30 ricorre la stessa unione pleonastica del participio properans (in un caso diverso, ma nella stessa posizione metrica all’interno del verso) e dell’aggettivo citus (che non è però nella stessa posizione metrica, com’è invece in un altro verso dello stesso carme, il v. 42 ibi

Somnus excitam Attin fugiens citus abiit).

Al fr. 131 B.259 e al v. 22 del carme di Catullo si fa riferimento allo stesso strumento musicale, il flauto frigio ricurvo, e ricorre il medesimo verbo cano. Inoltre si può notare che, sebbene la posizione metrica del verbo cano e dell’aggettivo Phryx / Phrygius (presente nei due testi) sia diversa, in altri due 256 Così Cèbe 4, 639. 257 Vedi fr. 79 B. pp. 72-75. 258 Citati a p. 74. 259 Vedi fr. 131 B. pp. 29-32.

galliambi del carme 63 (vv. 2 e 20260) l’aggettivo Phrygius è in posizione incipita- ria, come nel galliambo varroniano.

Il fr. 133 B. (in settenari giambici) sembra invece una riformulazione in metro e linguaggio da commedia del patetico v. 92 di Catullo, poiché l’idea di rifiuto che nell’Attis è espressa attraverso l’avverbio procul (a mea domo) nel frammento varroniano è resa in modo ridondante e viscerale attraverso la combi- nazione dell’interiezione apage e dell’imprecazione in dierectum (a domo nostra). In entrambi i casi poi l’oggetto di repulsione e di rifiuto è lo stesso: la follia (Catull. 63. 92 furor; Varro Men. fr. 133 B. insanitas) e in particolare la follia del fanatico culto cibelico.

Infine, per quanto riguarda il fr. 275 B., si possono indicare quali punti di contatto con il v. 17 di Catullo l’uso del rarissimo verbo evirare e il riferimento a Venere. Si può inoltre notare che l’aggettivo vagus presente nel galliambo di Varrone ricorre ben sei volte nel carme 63, anche se non al v. 17, e che in parti- colare ai vv. 4 e 13261 si presenta nella stessa posizione all’interno del verso.

Infine, lo schema metrico dei frr. 79, 131 e 275 B. coincide con lo schema più frequente dei galliambi catulliani (ˇˇ¯ˇ , ¯ˇ¯¯ || ˇˇ¯ˇ , ˇˇˇx).

A mio avviso queste corrispondenze testuali possono far pensare ad un rapporto di dipendenza tra Varrone e Catullo. È però ovviamente ben difficile sta- bilire quale dei due testi si debba considerare cronologicamente anteriore per l’incerta datazione tanto delle Menippee quanto dell’Attis, né mi sembra che fino ad ora sia stato tentato un confronto sistematico dei passi che ho precedentemente citato per cercare di stabilire attraverso “indizi interni” il rapporto tra i due testi262.

260

Catull. 63. 2 Phrygium ut nemus citato cupide pede tetigit; ibid. 20 Phrygiam ad domum

Cybebes, Phrygia ad nemora deae.

261

Catull. 63. 4 stimulatus ibi furenti rabie, vagus animis; ibid. 13 simul ite, Dindymenae dominae

vaga pecora.

262 Così Alfonsi 1945, 176; Pighi 1968, 430 e Dal Santo 1976, 450 ritengono che Varrone nelle

Menippee risenta in generale dell’influsso della poesia neoterica e citano come una delle prove di

questo il suo interesse per la sperimentazione sul galliambo, che egli avrebbe derivato da Catullo. Von Wilamowitz-Moellendorff 1924, 293 afferma invece con forza, ma senza addurre alcuna

Ritengo che sia più probabile ipotizzare una priorità cronologica di Catullo rispetto a Varrone in relazione alla sperimentazione sul galliambo, poiché mi sembra più verisimile supporre che Varrone, inserendo dei galliambi in alcune sue

Menippee, sia stato ispirato dal carme catulliano, piuttosto che ipotizzare che

Catullo, nel comporre il suo Attis, si sia ricordato di alcuni galliambi varroniani afferenti a satire diverse.

Interpreterei quindi il fr. 79 B. come una synkresis, per così dire, dei vv. 12 e 30 dell’Attis; il fr. 131 B. alluderebbe invece al v. 22 di Catullo, ma giocando a stravolgere ironicamente, secondo il punto di vista dei galli, la communis opinio relativa al suono rauco del flauto frigio, in esso descritto come una liquida anima. Il fr. 133 B. potrebbe essere considerato come una “riproposizione” in termini burleschi ed espressivi della patetica allocuzione finale di Catullo, posta a conclusione di quello che nelle Eumenides chiamerei “l’episodio di Cibele”. In questo caso la scelta varroniana di un metro e di un linguaggio da commedia mi sembrerebbe emblematica delle diverse finalità che i due poeti si proponevano nella trattazione, in definitiva, dello stesso tema. Mentre la chiusa di Catullo esprime infatti un sentimento quasi di sacro orrore verso il culto cibelico ed i suoi cruenti rituali iniziatici, in Varrone la virulenza dell’esclamazione finale manifesta chiaramente il totale disprezzo del poeta dinanzi allo spettacolo “osceno” dei galli in delirio e la sua aperta condanna del culto more Phrygio di Cibele. E infine al fr. 275 B., in una condanna di carattere generale della depravata mollezza delle nuove generazioni dei cives Romani, Varrone avrebbe richiamato con raffinata

argomentazione al riguardo, la priorità cronologica delle Menippee; così Romano 1976, 505 considera le Menippee anteriori al 56 a. C., data del viaggio in Bitinia di Catullo al quale lo studioso ritiene opportuno collegare la genesi del carme 63. Per quanto riguarda la cronologia dell’Attis, non ritengo però necessario pensare a una datazione successiva al viaggio di Catullo in Bitinia. Cibele era infatti una divinità nazionale romana (con il tempio sul Palatino) e, sebbene senza riconoscimento ufficiale, insieme ad essa si era stabilito a Roma anche il suo paredro eunuco Attis con il sanguinoso ciclo dei rituali di marzo a lui legati. Un cittadino romano non doveva dunque necessariamente andare in Bitinia per entrare in contatto con il culto more Phrygio della dea.

tecnica allusiva il v. 17 dell’Attis di Catullo per denunciare come la spatale avesse ridotto ormai tutti i giovani romani a miserevoli gallae inatte a Venere, appunto come i compagni di Attis castratisi Veneris nimio odio.

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