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3. LA NEGAZIONE SINTATTICA NELLE VARIETÀ ROMANZE

3.2. IL CICLO DI JESPERSEN

3. LA NEGAZIONE SINTATTICA NELLE VARIETÀ ROMANZE

3.1. INTRODUZIONE

Il lavoro di ricerca, che ha come punto di riferimento linguistico i due testi presentati nel capitolo filologico, procede nelle azioni di ricerca e di analisi di tutti quegli elementi che veicolano nella frase il senso di negazione, i quali possono condividere caratteristiche semantiche simili e al contempo allontanarsi nell’aspetto morfologico. Prima di procedere con l’analisi quantitativa e qualitativa, ritengo sia importante presentare alcune proposte teoriche che sono state fondamentali per il procedere dell’indagine sugli elementi scovati. Il capitolo affronta diversi approcci appartenenti al vasto tema della negazione mantenendo un legame stretto con l’ordine in cui i diversi elementi sono stati ricercati. Si può riconoscere quindi una divisione in quattro macro tematiche: la prima sezione è da considerare generale, in quanto è dedicata alla negazione da un punto di vista sintattico, i riferimenti principali per procedere con la discussione sono stati i lavori di Jespersen (1917), Zanuttini (1994, 1997), Zeijlstra (2004), Van Gelderen (2011), Garzonio e Poletto (2012, 2014). Segue un focus sulla presenza di elementi negativi multipli, fondamentali sono state le teorie di Zeijlstra (2004, 2008) e di Déprez (2012). Da questo argomento si delineano altri due punti, dove gli studi che se ne occupano risultano ricchi e vari, pertanto lo sguardo si è fatto più approfondito e diretto verso una serie di elementi noti per il loro status di ambiguità semantica e sintattica, gli elementi a polarità. Di seguito tratterò, dunque, le N-words, presentandole declinate nei diversi paradigmi, proponendo brevemente un punto di vista diacronico, saranno poi esplicitate le diverse interpretazioni osservando sia l’aspetto sintattico sia semantico.

3.2. IL CICLO DI JESPERSEN

Come necessaria premessa alle teorie proposte di seguito sullo status delle negazioni e dei quantificatori negativi, è bene presentare il lavoro tipologico elaborato da Otto Jespersen (1917). Il grammatico e filosofo danese osserva e propone una generale teorizzazione delle modalità di espressione della negazione nelle varie lingue:

(1) The history of negative expressions in various languages makes us witness the following curious fluctuation; the original negative adverb is first weakened, then found insufficient and therefore strengthened, generally through some additional word, and in its turn may

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be felt as the negative proper and may then in course of time be subject to the same development as the original word.9

La teoria che deriva dal suo studio sull’evoluzione in diacronia delle diverse possibilità di espressione della negazione in inglese è tutt’oggi nota come ‘ciclo di Jespersen’. Questo tipo di approccio, nato inizialmente sullo studio di una singola lingua, mostra in realtà un bacino di utilizzo molto ampio e una variazione delle modalità di espressione della negazione che si ripresentano in più lingue. La proposta prevede un cambiamento linguistico che segue un andamento ciclico e suddiviso in diversi passaggi sulla base dello studio sulla negazione in francese. Di seguito riporto gli esempi proposti da Jespersen (1917) e tratti dal francese che evidenziano l’evoluzione suddivisa nei seguenti passaggi:

(2) a. Stadio I

Jeo ne dis. Francese Antico I NEG say.

b. Stadio II

Je ne di pas. Francese Moderno I NEG say NEG.

c. Stadio III

Je dis pas. Francese Colloquiale I say NEG.

Nella seguente presentazione vediamo riportato il primo stadio di registrazione della lingua, dove è presente l’elemento di negazione posto davanti al verbo flesso (2a). Questo marcatore di negazione (Stadio I) subisce un indebolimento progressivo della semantica intrinseca. Nel secondo esempio (2b) la lingua si adopera per introdurre un secondo elemento, posto a destra del verbo, con il compito di soccorrere il primo marcatore al fine di rendere tutta la proposizione negativa. La conseguenza che ne deriva è che il marcatore di negazione preverbale si indebolisce fino a scomparire dalla struttura della frase e rimane solo il termine postverbale in grado di veicolare il senso di negazione (2c).

L’esemplificazione proposta necessita di una cornice che inserisce un’evoluzione precedente e una conseguenza alla fine della terza fase; infatti la negazione preverbale del

9O. JESPERSEN, Negation in English and Other Languages, Copenhagen: A.F. Høst, 1917, p. 4.

Trad. La storia delle espressioni negative nelle diverse lingue ci rende testimoni delle seguente curiosa fluttuazione; l’orinario avverbio negativo prima si indebolisce, poi trovato insufficiente e quindi rafforzato, generalmente attraverso qualche parole aggiuntiva, e a sua volta potrebbe essere sentito come una negazione propria e potrebbe essere soggetto allo stesso sviluppom della parola originaria.

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francese ne è anch’essa l’esito di un precedente indebolimento. In questo caso è il marcatore di negazione del latino ne che, sentito troppo debole, viene aiutato dal rafforzativo oenum ‘uno’; da qui l’unione dei due termini no-oenum crea la forma non che proseguì nel Francese nen, poi ne. Per quanto riguarda la conclusione, invece, una volta raggiunto l’ultimo stadio, il ciclo può ripartire, potrebbe esserci quindi un’altra lingua che può partire da questo punto per tracciare un proprio ciclo. Il ‘ciclo di Jespersen’ assurge ad avere un valore universale, infatti è stato l’oggetto di numerosi studi e aggiornamenti da parte di diversi linguisti, tra tutti questi ricordiamo la proposta di Zeijlstra (2004) e di Van der Auwera (2010). Lo stesso procedimento ciclico di seguito proposto viene ripresentato da Zeijlstra (2004)10, il quale attua una scelta di ampliamento aggiungendo alcune fasi prima assenti. Lo schema qui proposto è tratto dalla riconsiderazione di Zeijlstra (2004) del ciclo di Jespersen scegliendo come punto di riferimento linguistico la lingua inglese.

Tabella 3.1 – Fasi del ‘Ciclo di Jespersen’ secondo Zeijlstra (2004).

10 Per una trattazione esaustiva e completa si rimanda a Zeijlstra (2004), in quanto in questa sede sono riproposte solamente le conclusioni finali.

Fase I La negazione è espressa da un singolo marcatore di negazione che è attaccato al verbo finito.

Fase II La marca di negazione che è unita al verbo finito diventa fonologicamente troppo debole per esprimere la negazione frasale da sola, si presenta un secondo elemento, ovvero un avverbio negativo, che diventa disponibile in modo opzionale.

Fase III Le frasi con valore negativo sono obbligatoriamente espresse dal marcatore di negazione che si trova attaccato al verbo e da una marca avverbiale di negazione.

Fase IV La negazione avverbiale diventa obbligatoria per esprimere la negazione e l’uso del marcatore di negazione attaccato al verbo diventa facoltativo.

Fase V La negazione avverbiale è l’unica forma di negazione ammissibile, mentre la marca di negazione attaccata al verbo non è più disponibile.

Fase VI Il marcatore di negazione è disponibile in due forme: può trovarsi sia come forma avverbiale, sia come marca di negazione unita al verbo; in alcuni casi si possono trovare insieme simultaneamente.

Fase VII-I La negazione è espressa da un singolo elemento negativo che si attacca al verbo flesso.

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Tale evoluzione diacronica della negazione, sottolineata all’interno di un set di lingue appartenenti esclusivamente alla famiglia dell’indo-europeo, ha un ruolo fondamentale nella linguistica moderna. Sono comunque diverse le criticità emerse ed evidenziate dagli studiosi nel corso del tempo, tra queste riportiamo la posizione di Johan Van der Auwera (2010) e di Elly Van Gelderen (2011). Il primo linguista cita tre questioni rimaste aperte dalla situazione descritta in (2), tra le quali emerge il fatto che non viene spiegato il perché dell’inizio del processo. A questo primo momento di disaccordo Van der Auwera conviene che ci sia una sempre più forte ricerca di enfasi sul morfema negativo da parte del parlante, come proposto in (3a) dove al posto del solo not colui che parla decide di inserire un secondo elemento maggiormente enfatico ed espressivo, in (3b)11.

(3) a. John does not like Fred. Inglese b. John does not like Fred at all.

La seconda nota alla proposta di Jespersen riguarda l’assenza di informazioni circa il secondo elemento introdotto, nel caso del francese pas; mentre il terzo problema riscontrato afferma come la divisione in tre possibilità di evoluzione sia ristretta, propone quindi una linea di evoluzione più articolata (4):

(4)

Sono inoltre da considerare alla base del raddoppiamento diversi fattori semantici e pragmatici, mentre per Van Gelderen (2011) il fondamento di tale evoluzione risiede nel principio di economia proposto nel ‘Ciclo della Negazione’. Il principio consiste nel rianalizzare gli elementi negativi complessi in teste, poi in clitici e in morfemi legati, fino a poter essere interamente esclusi dalla frase negativa.

Come si può notare le questioni aperte sono molteplici e diversi sono i linguisti che hanno proposto una nuova lettura dell’evoluzione linguistica della negazione, cercando di osservare uno spettro più ampio di lingue, di considerare la velocità del fenomeno, le modalità di avanzamento e la natura degli elementi stessi che partecipano a questo movimento. Anche in questo studio, seppur in una prospettiva minore, ci si propone di considerare gli elementi

11 Gli esempi sono estratti dal saggio di Van der Auwera (2010), al quale testo si rimanda per una trattazione esaustiva. J. VAN DER AUWERA, “On the diachrony of negation”, The Expresssion of negation. Ed. by L.R. Horn., 2010, Berlin: Mouton, pp. 73-101.

Stage 1 Stage 2 Stage 3 Stage 4 Stage 5

ne ne

ne … pas

ne … pas ne … pas

pas

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schedati in relazione alla loro struttura interna e al loro stadio di evoluzione linguistica per descrivere e proporre un quadro del fenomeno della negazione anche in antico veronese e in antico padovano.