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La cittadinanza come spazio di tension

Thomas Casade

1. La cittadinanza come spazio di tension

Il termine “cittadinanza”, è ormai consuetudine rilevarlo, «è evocativo di un universo semantico sommamente complesso e poliforme. Affermare che essere “cittadini” ha a che fare con l’appartenenza a una civitas, ossia a una comunità di individui che condividano diritti e doveri e si riconoscono reciprocamente una medesima identità politica, è sicuramente corretto, e tuttavia non pienamente soddisfacente. Le diverse idee attorno alle ragioni di quell’appartenenza, alle modalità di costituzione di quella comunità e so- prattutto alla giustifi cazione delle regole in base a cui sono fi ssati di volta in volta i termini dell’inclusione e dell’esclusione, producono signifi cati molto diversi tra di loro, profi li identitari estremamente variegati, in defi nitiva “re- gistri del discorso” non sempre comunicanti»1.

Come è stato notato in una delle opere più complete e organiche sul tema, una vera e propria storia del pensiero politico e istituzionale sub spe-

cie civitatis, «cittadinanza è divenuto un crocevia di suggestioni variegate

e complesse che coinvolgono l’identità politico-giuridica del soggetto, le modalità della sua partecipazione politica, l’intero corredo dei suoi diritti e dei suoi doveri»2.

Diverse sono dunque le modalità di ricostruzione, analisi, narrazione di questo concetto, diversifi cate le intenzionalità che fanno da sfondo al suo utilizzo in ambito accademico ma anche nella retorica politica.

1. E. Grosso, Una cittadinanza funzionale. Ma a cosa? Considerazioni sull’acquisto del-

la cittadinanza iure soli, a partire da una suggestione di Patricia Mindus, in «Materiali per

una storia della cultura giuridica», 2, 2015, pp. 477-501, p. 477.

2. P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 4 voll., Laterza, Roma-Bari 1999-2001, vol. I: p. VII.

Rispetto a questo scenario sono venuti a consolidarsi, in generale, due atteggiamenti.

Da un lato, vi è quello che, partendo dalla nozione convenzionale marshal- liana3, anche al fi ne di criticarla, si propone un’actio fi nium regundorum

nel tentativo di fare chiarezza, distinguere piani e, come è stato tentato con grande rigore recentemente da Patricia Mindus, proporre una teorizzazione che possa fare presa sulla realtà attraverso standard e criteri di valutazione4.

Dall’altro lato, quello che mira a cogliere, in una chiave critica, tensioni e antinomie, aporie e asimmetrie5, come ha suggerito, tra gli altri, Étien-

ne Balibar nei suoi scritti; a partire da quest’angolazione c’è chi ha pro- posto di abbandonare l’uso del concetto per una supposta «impossibilità defi nitoria»6, o, d’altro canto, di individuarne nuove possibilità di utilizzo.

In questa categoria si rinviene una forma tipica della modernità, che meglio di altre ne rispecchia le «tensioni»7; ancora, si rileva come dietro alla logica

della cittadinanza ci siano una serie di fatti contingenti e/o mere questioni di opportunità tipiche della Realpolitik. Sotto questo profi lo, «non si può non partire dalla considerazione che le leggi sulla cittadinanza rappresentano la risultante di relazioni di potere e sono l’espressione di un’élite di un dato momento storico». Esse non sarebbero altro che «lo strumento essenziale attraverso cui lo stato […] racconta e rappresenta la sua idea dell’estensione della comunità politica»8.

In entrambi i casi, l’odierna complessifi cazione della cittadinanza, la varietà di «strutture di signifi cato» a essa sottese, le sue molte facce, esi- gono un numero crescente di «competenze»9 per studiarla; di qui l’utilità,

3. Cfr. D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari 1994.

4. P. Mindus, Cittadini e no. Forme e funzioni dell’inclusione e dell’esclusione, Firenze University Press, Firenze 2014 (a cui si rimanda anche per l’ampia letteratura recente in materia di citizenship studies). In un altro scritto, generato da una discussione a più voci del volume, l’autrice precisa ulteriormente il suo intento: «lo standard che propongo […] ci fornisce un metodo per scegliere una regolazione dell’accesso alla cittadinanza che sia

funzionale (o adeguata) al ruolo svolto dalla cittadinanza all’interno dell’ordine costitu-

zionale» (P. Mindus, Ancora sulla teoria funzionale della cittadinanza. Risposta ai criti-

ci, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2, 2015, pp. 521-541, p. 541).

5. É. Balibar, La cittadinanza, Bollati Boringhieri, Torino 2012. 6. Sempre P. Grosso, Una cittadinanza funzionale, cit., p. 477.

7. E. Gargiulo, Leggere la modernità e le sue tensioni: la cittadinanza come chiave di

lettura simmeliana, in C. Corradi, D. Pacelli, A. Santambrogio (a cura di), Simmel e la cul- tura moderna, voll. II: Interpretare i fenomeni sociali, Morlacchi, Perugia 2010, pp. 49-70.

8. P. Grosso, Una cittadinanza funzionale, cit., p. 479.

9. Cfr. P. Raciti, La cittadinanza e le sue strutture di signifi cato, FrancoAngeli, Milano 2004; E. Gargiulo, L’inclusione esclusiva. Sociologia della cittadinanza sociale, FrancoAn-

di recente ribadita con dovizia di argomenti, di uno studio interdiscipli- nare10.

La cittadinanza, sotto questo profi lo, rappresenta un ineludibile «mezzo di costituzione dell’identità»11 ma anche, come emerso in una serie di studi

critici degli ultimi anni, un formidabile «meccanismo di differenziazione»12.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, essa assume un rilievo straordi- nariamente problematico: tramite la sua fi gura si attua una distinzione netta tra chi appartiene a una certa comunità politica e possiede una certa identità ben precisa (mediante la quale rivendicare il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali e umani) e chi, invece, è escluso da tale perimetro e possiede un’identità che risulta, rispetto a essa, del tutto eterogenea, altra; lo attesta- no i recenti fenomeni migratori e, con essi, lo spezzarsi del consenso «sui “valori” costitutivi dello stato democratico»13.

I tratti di questa alterità possono, tuttavia, conoscere confi gurazioni dif- ferenti che è bene distinguere in modo analitico, come ha opportunamente proposto Mindus. Si possono, in prima battuta, individuare tre diverse dico- tomie: quella cittadino/suddito (con riferimento allo spazio politico); quella cittadino/straniero (con riferimento allo spazio giuridico); quella cittadino/ emarginato (con riferimento allo spazio sociale)14.

geli, Milano 2008; Su questi profi li: S. Caruso, Una nuova fi losofi a della cittadinanza, Firen- ze University Press, Firenze 2012, p. 81.

10. E. Gargiulo, G. Tintori, Giuristi e no. L’utilità di un approccio interdisciplinare allo

studio della cittadinanza, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2, 2015, pp.

503-519

11. «La cittadinanza, con tutti i condizionamenti che derivano a livello di libertà di mo- vimento delle persone in Europa, rappresenta la vera “macchina discriminante” contribuendo a determinare non solo i confi ni concettuali tra differenti classi di individui, ma anche l’ap- partenenza degli stessi alle relative classi» (D. Ruggiu, Cittadinanza e processi formalizzati

di costituzione dell’identità in Europa, in «Ragion pratica», 2, 2012, pp. 225-257, p. 233).

12. Si veda, a titolo esemplifi cativo, O. Giolo, Status in trasformazione. Il diritto

alla cittadinanza nell’esperienza europea, in Ead., Diritti e culture. Retoriche pubbliche, rivendicazioni sociali, trasformazioni giuridiche, Aracne, Roma 2012, pp. 23-55.

13. Si vedano, in proposito, i contributi di Clelia Bartoli, Come il diritto inventa le identi-

tà e di P. Mindus, Cittadinanza, identità e il sovrano potere di escludere in «Ragion pratica»,

2, 2012, rispettivamente alle pp. 335-356 e 477-494. Sulle trasformazioni cui è soggetta la categoria della cittadinanza in seguito alle pressioni migratorie e allo svolgersi delle dinami- che della globalizzazione si vedano gli studi condotti da S. Mezzadra: Diritto di fuga: migra-

zioni, cittadinanza, globalizzazione, ombre corte, Verona 2001; S. Mezzadra e A. Petrillo (a

cura di), I confi ni della globalizzazione: lavoro, culture, cittadinanza, Manifestolibri, Roma 2000. Come ulteriore sviluppo di questo approccio, si veda É. Balibar, S. Mezzadra, Ranabir Samaddar (eds.), The Borders of Justice, Temple University Press, Philadelphia 2012.

14. Oltre allo studio monografi co citato in precedenza, si veda P. Mindus, Anatomia del

cittadino. Tre modi di intendere la cittadinanza e alcuni problemi indesiderati, in «Analisi e

A queste tre declinazioni si può però aggiungere una più ampia dico- tomia tra emancipazione/esclusione che rinvia ad uno spazio, lato sensu,

culturale e ideologico (ovvero, entro certi approcci, normativo, nel senso di

‘valoriale’15). Un profi lo, questo, su cui torneremo nelle rifl essioni conclusi-

ve di questo contributo.

Per cogliere le odierne «antinomie» della cittadinanza16, prendendo sul

serio la tripartizione sopra menzionata, può essere certamente fecondo uno scavo di tipo genealogico17, specie se condotto – come sarà in questa sede

mediante il pensiero e l’impegno politico di Paine – nel periodo in cui il concetto di cittadinanza è indissociabile dalla promessa di eguaglianza, per lo meno nella sua formulazione: il lasso di tempo che va dalla Declaration

of Indipendence del 1776 alla Déclaration des Droits de l’Homme e du Ci- toyen del 1789, con la cesura epocale che ne consegue nel discorso sulla

cittadinanza.

Da questo punto di vista risultano interessanti le connessioni tra l’idea di cittadinanza e le ideologie politiche; basti pensare, solo per fare un esempio, ai diversi liberalismi che si delineano tra la seconda metà del Settecento e il corso dell’Ottocento (‘aristocratico’, “moderato”, “umanitario”, “radi- cale”, “progressivo”18) e alle loro forme di giustifi cazione dell’inclusione/

esclusione; ma anche, con riferimento allo stesso lasso di tempo, il sempre problematico legame tra cittadinanza e cosmopolitismo19 o, ancora, quello a

lungo rimosso tra cittadinanza e genere20.

15. Si veda, ad esempio, S. Veca, La cittadinanza. Rifl essioni fi losofi che sull’idea di

emancipazione, Feltrinelli, Milano 1990.

16. É. Balibar, Cittadinanza, cit., in part. p. 80.

17. È questa la via praticata, con grande rigore, nell’opera di Costa come è stato rile- vato in varie recensioni al primo volume (P.P. Portinaro, Genealogia della cittadinanza, in «Teoria politica», 2, 2000, pp. 177-179; L. Scuccimarra, I sentieri della cittadinanza, in «Storica», 16, 2000, pp. 173-189; F. Sofi a, Archeologia della cittadinanza, in «Passato e presente», 53, 2001, p. 165) nonché in una sua discussione complessiva (C. Malandrino,

Sulle retoriche politiche del discorso sulla cittadinanza, in «Il Pensiero Politico», 1, 2004,

pp. 126-132).

18. A titolo esemplifi cativo si vedano, in questo volume, i contributi di Polsi e Breccia sul pensiero di Pierantoni (liberalismo progressivo), quello di Minuto su Meale (liberalismo

umanitario), di Lenci sul liberalismo moderato di Gioberti e, ancora, quello di Calabrò che

compara il liberalismo radicale e progressivo di Mill con quello aristocratico di Bagehot. Ma da tratti aristocratici, come è ormai noto, non era immune il pensiero dello stesso Mill: cfr., sul punto, R. Giannetti, L’utopia di un liberale aristocratico: saggi sul pensiero politico di

John Stuart Mill, ETS, Pisa 2002.

19. Per una visione d’insieme si veda K. Hutchings, R. Dannreuther (eds.), Cosmopolitan

Citizenship, St. Martin’s Press, New York 1999. Cfr. anche il contributo di De Federicis in

questo volume.

Dietro la promessa di eguaglianza si combinava, sotto un velo invisibile, la produzione di status differenti: la condizione di eguaglianza di accesso ai diritti civili e politici, nella pratica, escludeva chiunque non fosse maschio, bianco, proprietario e capofamiglia21.

È questo uno snodo chiave nella storia della cittadinanza ma, per molti versi, anche nel suo stato presente. Come si osserva con forza nell’ambito delle teorie critiche del diritto, infatti, «la razza, la classe, il genere, conti- nuano a funzionare come fattori determinanti di una cittadinanza ineguale, che deprivano le persone dell’opportunità di partecipare a numerose forme di associazione e di lavoro cruciali allo sviluppo dei talenti e delle capaci- tà – talenti e capacità che a loro volta mettono in grado gli esseri umani di contribuire in modo signifi cativo alle (e di trarre benefi cio dalle) possibilità collettive della vita nazionale»22.

Il processo di “naturalizzazione” di certe differenze, sedimentato attra- verso sistematiche giuridiche diverse a seconda dei contesti23, struttura for-

me di cittadinanza che determinano gerarchie e trattamenti, ingiustamente, differenziati (la cittadinanza diseguale, appunto).

La naturalizzazione costituisce, oggi come in passato, l’atto di consa- crazione della visione del gruppo dominante, la sua piena legittimazione: naturalizzandosi, esso fa sì che i suoi dogmi restino impliciti, che i confi ni imposti al pensiero, al linguaggio e all’azione siano invisibili, che abbia più resistenza di un impedimento creato da un corpo fi sico in quanto non riconoscibile.

Sul piano giuridico-istituzionale ne deriva ciò che Balibar defi nisce «cit- tadinanza imposta» (ascriptive citizenship), quella concezione della citta- dinanza che anche i protagonisti della Critical Race Theory (CRT) hanno stigmatizzato, mettendo in evidenza il residuo di imposizione che è proprio di ogni “cittadinanza”, nonché il suo «sovrano potere di escludere»24.

21. Cfr. F. Belvisi, Cittadinanza, in A. Barbera (a cura di), Le basi fi losofi che del

costituzionalismo, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 117-144.

22. Così C.L. Harris e U. Narayan: L’azione affermativa e il mito del trattamento

preferenziale (1994), in Legge, razza e diritti, La Critical Race Theory negli Stati Uniti,

Diabasis, Reggio Emilia 2005, p. 177. Per una disamina di questi aspetti, con particola- re attenzione al dibattito contemporaneo, sia consentito rinviare al mio Il rovescio dei di-

ritti umani. Razza, discriminazioni, schiavitù, DeriveApprodi, Roma 2016, in part. cap. II.

23. Ne costituiscono due interessanti esempi i «processi di naturalizzazione degli stranie- ri» nella Spagna liberale descritti da Aglietti e la «legge del ritorno» che connota la cittadi- nanza in Israele così come descritta da Marzano.

24. Mutuo l’espressione da P. Mindus, Cittadinanza, identità e il sovrano potere di

Se queste linee di demarcazione e di sviluppo dell’ordine politico, socia- le ed economico si sedimentano alle origini della modernità, è anche vero che questi processi legittimavano, in nuce, i membri subalterni della comu- nità politica come agenti di trasformazione dei confi ni del demos e della cittadinanza stessa25; in secondo luogo, tali processi venivano a connotare

quest’ultima non tanto nel segno della dicotomia ma, a ben vedere, della polarità, generando defi nizioni fl uttuanti, scandite per graduum, dalle riven- dicazioni per allargarne gli spazi (e dalle reazioni ad esse); tutte lotte ispirate dalle promessa – e dal potente mito – dell’eguaglianza26.

L’itinerario intellettuale e politico di Tom Paine (1737-1809)27, connesso

a un vero e proprio peregrinare tra Inghilterra, Stati Uniti e Francia, costi- tuisce una signifi cativa via di accesso a queste problematiche e agli spazi di discorso che le connotano.