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Clelia, Fabrice e Hölderlin: sulla quiete erotica delle torri

IV. L’amour avant et après l’Amour

IV.6 Clelia, Fabrice e Hölderlin: sulla quiete erotica delle torri

L’intento di questo paragrafo è quello di preparare il terreno per il confronto che verrà accuratamente delineato nelle pagine seguenti e che sarà interamente dedicato all’esplorazione di quelle assonanze implicite ed esplicite che sembrano legare, a nostro avviso, la riflessione di Denis de Rougemont con quella di René Girard, teorico del desiderio mimetico e del meccanismo vittimario.

Abbiamo sottolineato come il nesso tra desiderio e silenzio sia incredibilmente forte e tematizzato a lungo da Denis de Rougemont. Nell’ambito della raccolta Le Paysan du

Danube v’è un brano dal titolo la Torre di Hölderlin in cui l’autore ci narra di alcune

righe che Bettina scrisse sul poeta e di un pianoforte dalle corde tagliate che era solo vibrazione senza nessun suono. Se ci fosse un oggetto a cui poter assomigliare, il desiderio sceglierebbe quel pianoforte.

Gli ho raccontato che abita in un casolare a fianco del ruscello, che dorme con le porte aperte, e che per delle ore recita delle odi greche al mormorio dell’acqua; la principessa di Homburg gli ha fatto il regalo di un piano al quale ha tagliato le corde, ma non tutte, di modo che alcuni tasti suonano ancora, ed è la sotto che improvvisa.. questo piano al quale ha tagliato le corde, è veramente l’immagine della sua anima; ho voluto portare la questione all’attenzione del medico, ma è più difficile essere compresi da uno stolto che da un pazzo.205

204 Ivi, pp. 102,103.

Un piano con le corde tagliate, un uomo che trascorre molti anni della sua esistenza nella piccola torre di Tubinga, in casa di un carpentiere, una vita delicata, inspiegabilmente monotona da vecchio maniacale. Dopo la sua morte, si racconta come venissero lasciate delle quartine in mano a chi, visitando alla torre, avesse voluto sapere. Continua Bettina, parlando di Hölderlin:

L’amore si allontana per primo, quando Hölderlin deve lasciare la casa della signora Gontard, tormento appena percettibile nella sua opera. Perché questo poeta, non può essere altro che il luogo della sua poesia, una poesia, si dirà, che non conosceva il suo autore. Chi parla per bocca sua? Regna nei suoi inni una serenità quasi estrema. 206

Ma non si può parlare di lui in termini d’amore, racconta Bettina, giacché qui a Francoforte, non lo capirebbero. Qui «appena si comincia a raccontare le cose più raccapriccianti sul suo conto, o a dire che semplicemente deve avere amato una donna per scrivere Hyperion»207 non verrebbe compreso. Perché per le persone di Francoforte «amare significa solamente sposarsi».208 Qui si verifica un passo a più rispetto a quello che abbiamo detto circa il rapporto tra desiderio e silenzio. Qui non solo la passione degli amanti deve essere per necessità muta, ma anche il racconto del desiderio deve essere taciuto poiché non verrebbe compreso. Amare significa solamente sposarsi, dice Bettina. Non c’è spazio per il puro desiderio di morte. Rougemont cede poi al lirismo e inizia a descrivere la dimora del poeta: «tre piccole finestre adornate da poverissimi cactus, un tubo che si snoda sopra il supporto; il giardinetto con la sua panca e immerso nei suoi fiori di lilla fioriti. Tutto è familiare,

206

Ibidem

207 Ivi, p. 63.

tranquillo al sole».209 Ma improvvisamente questa sensazione di pace interiore cede il posto all’angoscia, Tubinga nella sua calma apparente è sommersa da una spaventosa malinconia: «non amo i giovani dottori con gli occhiali, in costume da bagno che remano vigorosamente a denti stretti. Amo le barche a fondo piatto che navigano incerte con individui che non sanno remare e leggono delle riviste in stile vacanza».210 Ed infine di nuovo il connubio da cui è partito l’intero discorso, quello tra eros e silenzio che richiama in queste brevi battute i toni lirici della nostalgia mortale degli amanti.

E l’amore, giustamente ci fa comprendere nel tempo anche quando il cielo si apre a metà, che è un bene che ci sia la terra… Ma che questa musica volgare, per caso, accenna l’accordo che apre al vero silenzio: già gli sfuggo – io ti sfuggo o dolce vivere! Tutto intorno a me ritorna insufficiente, transitorio, allusivo. Tutto si rimette a significare l’assenza.211

La torre è il luogo del desiderio silente, dell’amore espresso ma senza suoni. È il luogo di un vecchio piano dalle corde mozzate e di un vibrare invisibile che è la materia della passione stessa. Le diffuse espressioni nel testo che testimoniano la matrice muta di ogni desiderare, frasi come «L’amore ... questa musica volgare… apre al vero silenzio», «serenità quasi estrema» della poesia, «tutto si rimette a significare l’assenza», sono espressioni analoghe a quelle che Girard utilizza in

Menzogna romantica e verità romanzesca, allorché parla tra le altre cose anche di

un’altra Torre, quella Farnese a proposito della Certosa di Parma, e utilizza parole come «pace dell’agonia», «quiete beata» e «serenità delle vette».

209

Ibidem

210 Ivi, p. 64.

La passione si confonde con la serenità delle vette che questi eroi raggiungono nei momenti supremi. La pace dell’agonia... Fabrice e Clelia conoscono una quiete beata, nella Torre Farnese, al di sopra dei desideri e della vanità che sempre li minacciano senza mai ferirli.212

Questa serenità che si respira nelle vette, nelle torri come nel nostro caso, viene associata al languire del desiderio quando esso diviene una tensione mortale. Che la vetta di una torre sia il luogo ideale per il realizzarsi di un tale connubio, un filosofo difficilmente potrebbe spiegarlo con i mezzi della razionalità e dell’indagine critica di cui dispone. Un filosofo non potrebbe dirci perché Fabrice e Clelia conoscono, solo a riparo della loro torre, una quiete beata, non potrebbe spiegarci il suono muto del pianoforte e corde mozze di Hölderlin. Un filosofo non potrebbe, ma forse, un poeta, sì. Ed è proprio al poeta tedesco Hölderlin che Girard dedica alcune delle pagine più belle di Achever Clausewitz, pagine in cui spiccano i temi della separazione, della quiete mistica, del silenzio assoluto come forme di salvezza. Questa volta non si tratta più di dimostrare il nesso di reciproca implicanza tra desiderio erotico e silenzio quanto piuttosto di sottolineare l’efficacia rivoluzionaria che riluce secondo Girard nel gesto di ritiro del poeta nella torre. In una delle sue poesie più belle intitolata

Cadmos egli scrive:

Prossimo

è il Dio e difficile è afferrarlo.

Dove però è il rischio anche ciò che salva cresce.213

Commenta Girard:

212 R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, op. cit. p. 23.

213 Incipit dell’inno Patmos di Friedrich Hölderlin, Liriche, t a cura di E. Mandruzzato, Adelphi, Milano, 1977-1978, p. 667.

La presenza del divino cresce nella misura in cui il divino si ritira: è il ritiro che salva, non la promiscuità. Il ritiro di Dio è allora il passaggio in Gesù Cristo dalla reciprocità alla relazione, dalla prossimità alla distanza. Questa è l’intuizione fondamentale del poeta, la scoperta fatta nel momento preciso in cui allestisce il suo ritiro. Un Dio di cui ci si può appropriare è un Dio che distrugge.214

Imitare il silenzio di Cristo, emularne la distanza, è ciò che l’uomo deve fare per affrancarsi dalla spirale mimetica: questo però significa anche annullarsi dinnanzi all’altro. Tacciare di follia un uomo che decide di separarsi dal mondo e chiudersi volontariamente in una fortezza significa non comprenderne appieno la profondità del gesto né il fulcro della poesia.

In questo esilio interiore c’è una forma di quietismo mistico, che è tutto tranne un desiderio di divinizzarsi o eternizzarsi. Ciò che comprende il poeta, nel momento in cui si distacca dalle vertigini mimetiche dell’esistenza mondana, è che la salvezza consiste nell’imitare Cristo. (…) Il grande silenzio del poeta è così quello di un misterioso rapporto con l’assenza di Dio, un’imitazione di questo ritiro.215

In altri termini: se in Menzogna romantica e verità romanzesca il silenzio degli amanti è concepito come una tensione agonizzante, un’immobilità beata raggiunta nella separazione dal mondo, in Achever Clausewitz il ruolo del ritiro attribuito al poeta è il quieto tentativo di imitare la distanza di Cristo e quindi di sfuggire al meccanismo rivalitario.

214 R. Girard, Portando Clausewitz all’estremo, Adelphi, Milano 2008, pp. 187,188.

V. DESIDERIO, PASSIONE ED OSTACOLO IN RENÉ GIRARD E DENIS DE