5. RISULTATI 1 Risposte a trattamenti a dosi crescenti di carbon black
5.3. Co-esposizione carbon black e cloruro di cadmio 1 Comet assay
I dati ottenuti non mostrano una potenziale capacità del carbon black di abbattere la tossicità del cloruro di cadmio, in termini di single strand break (SSB), double strand breaks (DBS) o siti labili agli alcali (Fig. 9).
* * * * % D N A m ig ra to C C+ 0,1 0,5 1 1,5 Curva dose-risposta di CdCl2 dose 0 5 10 15 20 25 30 35 40 * * * *
Figura 9: Percentuale di DNA migrato in cellule branchiali di M. galloprovincialis
a seguito dell'esposizione ai trattamenti con cloruro di cadmio, carbon black e alla loro co-esposizione. * = lettere differenti corrispondono a differenze
statisticamente significative (MANOVA; p<0.05).
5.3.2. Diffusion assay
Nei seguenti grafici (Fig. 10.1-10.6) sono riportati i risultati ottenuti a seguito della co-esposizione di CB e CdCl2 in termini di cellule apoptotiche.
% D N A m ig ra to C C+ CdCl2 CB CB+CdCl2 Co-esposizione CB+CdCl2 dose 0 10 20 30 40 50 60 70 a d bc ab c
Figura 10.1: Percentuale di cellule apoptotiche a seguito del trattamento in vitro di cellule branchiali di mitilo con carbon black (10 μg/ml) e cloruro di
cadmio (1 μg/ml); “C” e “C+” sono rispettivamente il controllo e il controllo positivo (H2O2 100 mM) . * = lettere differenti corrispondono a differenze
statisticamente significative (MANOVA; p<0.05).
Sebbene non risulti statisticamente diverso dal controllo, si puo notare un lieve incremento di cellule apoptotiche a seguito del trattamento con il cloruro di cadmio. Dallo stesso grafico, inoltre, si puo evincere che il livello di apoptosi nel co-trattamento è statisticamente uguale al controllo, quasi ad indicare la capacità del CB di ridurre il numero di cellule apoptotiche indotte dal cadmio.
C C+ CdCl2 CB CB+CdCl2
Apoptosi nella co-esposizione CB+CdCl2
dose -1 0 1 2 3 cl as se 5 a b ab a a
Figura 10.2: Diffusion assay. Distribuzione espressa in percentuale delle varie
classi di danno a seguito del trattamento di controllo in cellule branchiali di M.
galloprovincialis.
Figura 10.3: Diffusion assay. Distribuzione espressa in percentuale delle varie
classi di danno nel trattamento di controllo positivo in cellule branchiali di M.
galloprovincialis. 33,57% 34,71% 23,00% 8,57% 0,14% Controllo Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5 24,71% 32,00% 27,14% 15,00% 1,14% Controllo positivo Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5
Figura 10.4: Diffusion assay. Distribuzione espressa in percentuale delle varie
classi di danno a seguito dell'esposizione di cellule branchiali di M.
galloprovincialis al carbon black.
Figura 10.5: Diffusion assay. Distribuzione espressa in percentuale delle varie
classi di danno a seguito dell'esposizione di cellule branchiali di M.
galloprovincialis al cloruro di cadmio.
19,57% 35,57% 25,85% 18,14% 0,80% Cloruro di cadmio Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5 30,57% 34,57% 22,86% 11,86% 0,14% Carbon black Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5
Figura 10.6: Diffusion assay. Distribuzione espressa in percentuale delle varie
classi di danno in seguito alla co-esposizione di cellule branchiali di M.
galloprovincialis a cloruro di cadmio e carbon black.
5.3.3. Cytome assay
Figura 11.1: Cytome assay. Frequenza di micronuclei in seguito alla co-
esposizione di cellule branchiali di M. galloprovincialis a cloruro di cadmio e carbon black. * = lettere differenti corrispondono a differenze statisticamente significative (MANOVA; p<0.05). 25,14% 32,29% 27,14% 15,14% 0,28% Co-esposizione Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5 C C+ CdCl2 CB CB+CdCl2
Micronuclei nella co-esposizione CB+CdCl2
dose 0 1 2 3 4 5 6 M N a b ab ab a
I dati relativi al Cytome assay (Fig. 11.1) indicano un numero maggiore di cellule micronucleate, seppur non statisticamente significativo, a seguito del trattamento con il cloruro di cadmio; inoltre, nella co-esposizione è presente una minor frequenza di cellule micronucleate, paragonabile ai livelli di controllo (C); trend già osservato in termini di risposta apoptotica.
Figura 11.2: Cytome assay. Frequenza di ponti nucleoplasmatici in seguito alla co-
esposizione di cellule branchiali di M. galloprovincialis a cloruro di cadmio e carbon black. * = lettere differenti corrispondono a differenze statisticamente significative (MANOVA; p<0.05).
La figura relativa ai ponti nucleoplasmatici (Fig 11.2) mostra una differenza statisticamente significativa (p<0.05) nella co-esposizione (CB+CdCl2) rispetto al controllo. Negli altri trattamenti, seppure siano presenti differenze nella presenza di ponti nucleoplasmatici rispetto al controllo, queste non sono statisticamente significative.
Di seguito sono riportate le anomalie nucleari totali (ovvero la somma di notched, lobed, ponti nucleoplasmatici, bleb, bud, ring e vacuoli) (Fig 11.3) trovate in seguito all'esposizione in vitro di cellule branchiali di M. galloprovincialis. Il grafico non mostra differenze statisticamente significative (p<0.05) tra i trattamenti e il controllo.
a ab ab ab b P on ti nu cl eo pl as m at ic i C C+ CdCl2 CB CB+CdCl2
Ponti nucleoplasmatici nella co-esposizione CB+CdCl2
dose 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 a ab ab ab b
Figura 11.3: Cytome assay. Frequenza di anomalie totali in seguito alla co-
esposizione di cellule branchiali di M. galloprovincialis a cloruro di cadmio e carbon black. * p<0.05 A no m al ie to ta li
Anomalie totali nella co-esposizione CB+CdCl2
C C+ CdCl2 CB CB+CdCl2 dose 0 5 10 15 20 25 30
6. DISCUSSIONE
L’uso di nanomateriali offre un ampio potenziale per l’evoluzione e il miglioramento di numerosi campi tecnologici. Sono, infatti, oggi già ampiamente utilizzati in numerose applicazioni, da quelle in campo medico a quelle in campo industriale o cosmetico e molte altre. Dato il loro largo impiego risulta di fondamentale importanza valutarne i loro potenziali effetti, sia benefici che nocivi, per l'uomo e per l'intero ecosistema. In questo lavoro è stata posta l'attenzione sul possibile utilizzo delle nanoparticelle di carbon black nella bonifica delle matrici ambientali (nanoremediation) contaminate, in particolare da parte del metallo pesante cadmio.
Per quanto riguarda il carbon black, occorre sottolineare come i dati della letteratura scientifica risultino molto contrastanti sul loro possibile effetto a seguito dell'esposizione sia dell'uomo che di altre specie. E stata dimostrata, infatti, la capacità delle nanoparticelle di CB di indurre tossicità a livello del sistema respiratorio, sia in vitro che in vivo (Boland et al., 2014) nelle cellule dell'epitelio bronchiale umano, inducendo apoptosi (Hussain et al., 2010) e che l'inalazione a lungo termine (fino a due anni) in alcuni ratti sperimentalmente esposti a concentrazioni elevate, abbia portato a infiammazione cronica, fibrosi polmonare e tumori polmonari (“Carbon Black User’s Guide”, 2016).
Per questo motivo è stato necessario, in primo luogo, determinare una concentrazione adeguata da utilizzare negli studi successivi, tale che non inducesse nessun tipo di danno genetico nelle cellule branchiali della specie sentinella utilizzata in questo studio, Mytilus galloprovincialis.
Tra le varie concentrazioni di CB utilizzate nelle analisi di dose-risposta, è stata scelta la dose di 10 μg/ml da utilizzare nei successivi esperimenti di co-esposizione con il cloruro di cadmio, in quanto è risultata essere la dose piu alta che non mostrasse effetti genotossici e citotossici statisticamente differenti rispetto al controllo e, quindi, in linea con gli obiettivi del presente studio; inoltre, dai dati ottenuti mediante il Diffusion assay, si puo notare che il numero di cellule apoptotiche sia risultato statisticamente paragonabile a quelle del controllo. A dosi superiori (50, 100 e 150 μg/ml), invece, la percentuale di cellule apoptotiche differisce statisticamente dal controllo. Questo è concorde con i dati presenti in letteratura che indicano la capacità del CB di indurre apoptosi, principalmente in seguito alla produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS): l’aumento di ROS genera, infatti, una riduzione del potenziale di membrana mitocondriale a cui segue una cascata di eventi, tra cui l'attivazione delle caspasi e successiva frammentazione del DNA (Hussain et al., 2009; Boland et al., 2014; Gao et al., 2017).
I risultati relativi alla frequenza di micronuclei e di anomalie nucleari totali, valutate attraverso il Cytome assay, non mostrano una differenza statisticamente significativa rispetto al controllo per
tutte le dosi di carbon black utilizzate. In alcuni dati di letteratura viene riportato un danno cromosomico in seguito all'esposizione a concentrazioni crescenti di carbon black su una linea cellulare umana di tumore polmonare (A549); dopo 6 ore di esposizione è stato riscontrato un aumento significativo di cellule micronucleate rispetto al controllo a tutte le dosi a cui le cellule sono state esposte (0.02, 0.2, 2, 20, 200 μg/ml). In particolare, è stato riportato un aumento fino alla dose di 2 μg/ml; inoltre, alle dosi di 20 e 200 μg/ml è stato osservato un plateau (Totsuka et al., 2009). Occorre sottolineare che nel lavoro sopracitato sono state esposte cellule umane, a differenza del presente studio, in cui è stato utilizzato come organismo modello un invertebrato marino (M. galloprovincialis) e in particolare il tessuto branchiale. Inoltre, nel presente lavoro le biopsie branchiali sono state esposte per 2 ore di tempo, a differenza del maggior tempo di trattamento previsto nello studio di Totsuka e collaboratori (2009) (6 ore). Alla luce di queste differenze, possiamo, ipotizzare che ci sia una variabilità specie-specifica e tempo-dipendente nel grado di suscettibilità all'esposizione al carbon black in termini di frequenza di cellule micronucleate. Tuttavia, possiamo osservare che non sia presente un effetto dose-dipendente, trend osservato anche in questo studio.
Il cadmio utilizzato in questo studio è nella forma CdCl2, un sale con un'alta solubilità e che si trova facilmente in forma ionica (Cd2+) in ambiente marino (Garcia-Navarro et al., 2017). A livello cellulare, il cadmio interferisce con la proliferazione, la differenziazione e provoca l'apoptosi. Gli effetti indiretti del cadmio provocano la generazione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e danni al DNA. Il cadmio modula anche l'espressione genica e la trasduzione del segnale, riduce l'attività delle proteine coinvolte nelle difese antiossidanti ed è stato dimostrato che interferisce con la riparazione del DNA (Bertin e Averbeck, 2006). In linea con quanto suddetto, i risultati ottenuti dalla curva dose-risposta hanno mostrato effetti genotossici a tutte le dosi utilizzate, fatta eccezione per la dose di 0,5 μg/ml. Questo conferma i dati presenti in letteratura, che riportano gli effetti cito- e genotossici di questo metallo pesante su cellule branchiali di mitilo o altri bivalvi, anche nella forma clorurata utilizzata in questo lavoro (Pruski e Dixon, 2002; Vincent-Hubert et al., 2011). Nel dettaglio, la dose scelta per i trattamenti di co-esposizione è stata quella di 1 μg/ml, dato che nelle curve dose-risposta ha mostrato una significativa azione genotossica, sebbene a livelli minori rispetto a quelli indotti dal controllo positivo (il perossido di idrogeno).
I risultati relativi alla co-esposizione di CB e CdCl2, in termini di danno genetico valutato attraverso il Comet assay, non hanno indicato differenze statisticamente significative rispetto alla sola esposizione del contaminante; in altri termini, il carbon black non ha mostrato la capacità di abbattere la genotossicità esercitata dal cloruro di cadmio.
Tuttavia, i dati ottenuti con il Diffusion assay mostrano valori statisticamente simili nel co- trattamento e nel controllo; questo potrebbe indicare la capacità del CB di ridurre il numero di cellule apoptotiche indotte dal cloruro di cadmio. Alla luce dei risultati ottenuti in termini di induzione di cellule apoptotiche è stato possibile escludere un potenziale effetto denominato “cavallo di troia”; quest'ultimo si riferisce alla capacità delle nanoparticelle di veicolare altri inquinanti di origine naturale o antropica. La combinazione di NP e composti nocivi puo sia amplificare che diminuire la tossicità degli inquinanti adsorbiti come risultato di due possibili percorsi: le NP possono adsorbire l'inquinante, riducendone la concentrazione libera nell'ambiente, la biodisponibilità e, quindi, la tossicità; al contrario, se le NP, una volta adsorbito l'inquinante, vengono introdotte all'interno degli organismi, si potrà manifestare un effetto tossico causato dalla nanoparticella, dall'inquinante o dalla sinergia dei due (Trojan-horse) . Tuttavia, riguardo alle nanoparticelle di carbonio, non ci sono prove certe sulla capacità di ridurre la biodisponibilità dei contaminanti, oppure rappresentare un veicolo che ne facilita l'assunzione nell'organismo (Trojan- horse) (Binelli et al., 2017). Questo effetto è stato osservato in letteratura, ad esempio, a seguito dell'interazione tra il biossido di titanio nanoparticellato e la 2,3,7,8 – tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), risultando in un aumento nell'accumulo del contaminante nella specie Mytilus galloprovincialis (Canesi et al., 2014). Binelli e collaboratori (2017) hanno mostrato come la co- esposizione di nanopolveri di carbonio e benzo(a)pirene in embrioni di Danio rerio, abbia indotto un aumento nell'accumulo del contaminante, quindi, l'effetto Trojan-horse; in particolare, hanno osservato una differenza nei diversi percorsi biochimici coinvolti nell'azione delle due sostanze quando venivano somministrate singolarmente o in contemporanea. Altri studi hanno, invece, confermato i risultati ottenuti in questo lavoro, quindi l'assenza di tale effetto, a seguito dell'esposizione di nanoparticelle di TiO2 con il CdCl2 (Della Torre et al., 2015; Rocco et al., 2015). A seguito dei risultati ottenuti mediante il Cytome assay, è possibile notare una minor frequenza di cellule micronucleate nella co-esposizione, paragonabile a quella del controllo; trend già osservato in termini di risposta apoptotica. Tuttavia, l'induzione da parte del CdCl2 di micronuclei non è risultata statisticamente significativa. L'assenza di induzione di micronuclei nelle cellule branchiali esposte al solo cloruro di cadmio è concorde con vari studi presenti in letteratura scientifica che non mostrano un aumento significativo di micronuclei a seguito dell'esposizione al cadmio in varie linee cellulari. Ad esempio, l'esposizione in vivo di eritrociti di spigola (Dicentrarchus labrax) (0,1 mg/L per sette giorni) non ha mostrato alterazioni cromosomiche differenti dal controllo (Nigro et al., 2015). In uno studio condotto da Jindal e Verma (2015), a seguito dell'esposizione in vivo a due diverse concentrazioni di cloruro di cadmio (0,37 e 0,62 mg/L) per 100 giorni, è stato osservato un
aumento nella frequenza di micronuclei solo al terzo giorno di esposizione (per la concentrazione piu alta) e al quinto giorno (per la concentrazione di CdCl2 minore) (Jindal e Verma, 2015). Su cinque studi condotti sui linfociti umani di individui esposti al cadmio, in tre di essi non è stato rilevato un aumento significativo di micronuclei; questi studi riguardavano i lavoratori portuali (in Germania), impegnati nel riciclo di rifiuti elettronici (in Cina) o altri lavoratori esposti al cadmio (in Italia) (Nersesyan et al., 2016). E, dunque, possibile che nella scelta della dose da utilizzare negli esperimenti preliminari si sia tenuto poco conto della variabilità interindividuale nella risposta al Cd in termini di danno genetico e cromosomico.
I risultati di numerosi studi su umani e animali hanno dimostrato che i composti del cadmio causano il cancro in una varietà di organi. Sulla base di questi studi, il cadmio e i suoi composti sono classificati come “cancerogeno per l'uomo” (gruppo 1, IARC). Tuttavia, permangono tutt'oggi risultati ancora molto controversi riguardo la frequenza di micronuclei correlata con l'esposizione a questo metallo. Una spiegazione ulteriore puo derivare dai diversi livelli di esposizione in quanto, riferendoci agli studi sui linfociti umani menzionati precedentemente, un'induzione di MN maggiore è stata osservata solo in presenza di un'elevata concentrazione di Cd. Inoltre, l'entità del danno genetico puo dipendere dall'esposizione contemporanea al cadmio e altre sostanze genotossiche; anche questo aspetto potrebbe spiegare i diversi risultati ottenuti nei vari studi. A causa dei risultati piuttosto contrastanti, attualmente non è possibile dire se le proprietà cancerogene del metallo sono una relazione causale all'instabilità del DNA. Nersesyan e collaboratori (2016), a seguito di queste considerazioni, concludono identificando altre metodiche in grado di fornirci informazioni utili come l'inibizione dell'apoptosi, l'interazione con le vie di segnalazione cosi come gli effetti epigenetici.
Le anomalie nucleari totali (ovvero la somma di notched, lobed, ponti nucleoplasmatici, bleb, bud, ring e vacuoli) valutate attraverso il Cytome assay, non evidenziano effetti di danno cromosomico, dal momento che i valori di tutti i trattamenti sono paragonabili a quelli del controllo.
Tuttavia, se consideriamo i risultati relativi a singole anomalie come i ponti nucleoplasmatici, corrispondenti a una mutazione cromosomica strutturale (cromosomi dicentrici), questi mostrano una differenza statisticamente significativa nella co-esposizione rispetto al controllo. I ponti nucleoplasmatici si originano durante l'anafase, quando i centromeri dei cromosomi dicentrici vengono “tirati” verso i poli opposti della cellula e, in assenza della rottura del ponte anafasico, la membrana nucleare circonda i nuclei figli e il ponte, formando i ponti nucleoplasmatici (Fenech et al., 2011). Verosimilmente la co-esposizione di carbon black e cloruro di cadmio si rende responsabile dell'induzione di una particolare anomalia cromosomica.
Alla luce dell'insieme dei risultati possiamo affermare che il CB possa risultare un materiale utile per la bonifica dell'ambiente marino, in quanto nella co-esposizione con il cloruro di cadmio si è osservata una seppur lieve flessione in termini di cellule apoptotiche e di cellule micronucleate rispetto all'esposizione con il solo contaminante, con valori che risultano essere simili a quelli di controllo. Quindi, l'utilizzo di queste nanoparticelle ha permesso, in questi casi, di apprezzare un livello inferiore di danno al DNA rispetto all'esposizione con il solo contaminante.
Da questi dati si possono evincere informazioni importanti per quanto riguarda le nanoparticelle di carbon black e il loro possibile utilizzo; tuttavia, sarà necessario continuare a indagare l'azione di queste nanoparticelle e quindi valutarne la loro potenziale applicazione nella nanoremediation. In particolare, puo essere utile condurre studi per approfondire i meccanismi d'azione attraverso i quali le nanoparticelle di carbon black possono esplicare la loro azione nei confronti del cloruro di cadmio.
7. CONCLUSIONI
Nel presente studio è stato indagato il potenziale genotossico del carbon black nanoparticellato, alla luce del suo possibile utilizzo nella bonifica ambientale, mediante un approccio in vitro. Dai risultati ottenuti si puo concludere che le nanoparticelle di carbon black, relativamente alle dosi prese in esame, non hanno mostrato un potenziale protettivo nei confronti del danno genetico indotto dall’esposizione al cloruro di cadmio e valutato con il Comet assay in M. galloprovincialis. Tuttavia, seppur ai limiti della significatività statistica, a seguito della co-esposizione di carbon black e cloruro di cadmio si è potuta osservare una diminuzione in termini di cellule apoptotiche (valutate con il Diffusion assay) e di cellule micronucleate (valutate con il Cytome assay) a confronto con l'esposizione al solo contaminante, permettendo di apprezzare un livello inferiore di danno al DNA.
In futuro sarà utile e necessario continuare a indagare le potenziali capacità genotossiche del carbon black, ma anche la loro possibile applicazione nell'ambito della nanoremediation, al fine di approfondire le nostre conoscenze su questa sostanza già ampliamente prodotta ed utilizzata su scala globale. In particolare saranno necessari ulteriori studi riguardanti le caratteristiche chimico- fisiche, il comportamento nel mezzo acquoso o l’interazione con cloruro di cadmio, ad esempio impiegando concentrazioni differenti da quelle utilizzate nel presente studio. Si potranno indagare anche le risposte in termini di danno genetico e cromosomico nella co-esposizione del carbon black con altri contaminanti ambientali, quali ad esempio composti organici come gli IPA.