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Il collegamento tra HRM e performance: gli elementi mancanti

La nozione di collegamento tra gestione delle risorse umane e ottenimento di migliori prestazioni è basata sul concetto degli anni ’90 di organizational imperative (Kamoche, 1994), secondo il quale sono le esigenze organizzative ad influenzare le architetture e a determinare le tecnologie, e – verosimilmente – ha un effetti positivi sulla redditività, sulla produttività e sull’efficienza nella gestione dei costi. Il concetto di imperativo organizzativo applicato alla performance e alla produttività, che trae, appunto, spunto da una visione prettamente industriale dell’impresa ed è fondato su una visione razionale dell’azione umana, si avvicina alla definizione di HRM che dà risalto ai temi dello status, del controllo manageriale a delle spese sostenute per mantenere viva una sorta di umanesimo dello sviluppo delle persone.

Quest’ultima visione razionale, ma pur sempre più viva, dell’azione umana, nel campo dell’organizzazione e nell’idealizzazione dello HRM, è essa stessa un derivato della nozione economica di capitale umano.

Ad opinione dello scrivente, l’influenza sullo HRM è stata quella di incoraggiare, sostenere ed indirizzare la convinzione che le persone costituiscano una forma di capitale fisico.

Pertanto, mentre nello HRM è accettata l’idea di umanità, c’è poca giustificazione per l’emergere concomitante di approcci e metodologie che a tutti gli effetti ignorano la straordinaria natura umana in questo rapporto.

Il significato di «umano» nella disciplina delle risorse umane non è in discussione. In effetti, l’interesse per lo HRM è stato principalmente incentrato sulla consapevolezza che le persone possono fornire valore al processo organizzativo.

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Ed è proprio in questo senso che vengono a mancare una serie di elementi per descrivere appieno la complessità della natura umana delle persone e dello HRM, specialmente in relazione al collegamento con migliori performance. A mancare sono elementi che completerebbero una sorta di umanesimo legato a caratteri di sviluppo e, al pari, con caratteristiche di dinamicità.

Difatti, il predominio del sopramenzionato imperativo organizzativo sembra essere accompagnato dall’abbandono di una serie di elementi che sono anche estremamente rilevanti.

Innanzitutto, come già largamente affermato, una risorsa umana è «semplicemente» un individuo attivo con un passato, valori interiorizzati e norme non necessariamente coincidenti con quelle dell’organizzazione in cui opera. Le persone appartengono a diversi gruppi all’interno e all’esterno dell’organizzazione, gruppi il cui comportamento è governato in parte dalle istituzioni. In questo senso, è paradigmatico il concetto per cui molti modelli utilizzati dagli accademici della gestione delle risorse umane non forniscano un chiarimento sul tipo di visione dell’umanità che le persone mostrano come loro base di partenza emotiva e conoscitiva.

Ulteriore elemento mancante per un pieno utilizzo dello HRM fa riferimento alle funzioni stesse dello HRM. Da funzione gestionale delle persone, allo HRM è assegnata la dinamica insita nella creazione di un senso generalizzato, all’interno dell’organizzazione, di cittadinanza aziendale (Paauwe, 2004).

Osservando più da vicino la funzione di gestione delle risorse umane e le diverse attività in essa coinvolte, è possibile capire che molte delle attività svolte hanno semplicemente a che fare con il concetto di prestazione. Altre attività, invero, non sono affatto strategiche e non riguardano direttamente l’ottenimento di prestazioni. Tuttavia, esse dovranno essere eseguite in modo corretto e integrato, a causa dell’inserimento nel tessuto sociale, legislativo e normativo dell’organizzazione.

In aggiunta a tali questioni, allo HRM tradizionalmente inteso manca quell’approccio globale ed olistico in grado di distaccarsi da un semplice ragionamento in termini di prassi-risultato.

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utilizzano approcci basati sui sistemi, i quali implicano il computo di pratiche e politiche HRM come variabili di input, risultati HRM come variabili intermedie e indicatori di performance costanti come variabili dipendenti, l’output dei sistemi. In quest’ambito, le variabili di contingenza come l’età, le dimensioni e la tecnologia sono utilizzate come indicatori e variabili di controllo. Quindi, c’è un sostanziale allontanamento dalle dinamiche di comprensione dei processi (Tyson, 1996), dei vari attori e parti interessate, del patrimonio amministrativo da alimentare, dei valori e delle istituzioni coinvolte (Brewster, 1993; Paauwe, 1991). Accanto a quest’ordine di problemi, come già largamente affermato, v’è la necessità di distaccare lo HRM dai principi di mera razionalità economica.

Dal punto di vista dell’intera categoria degli stakeholders, ad esempio, è impossibile rifarsi solamente agli imperativi organizzativi volti a porre enfasi sui principi dei efficacia ed efficienza (Kamoche, 1994). È riconosciuta e palesata, oramai, l’importanza dei valori e delle istituzioni nei rapporti di lavoro e ciò dovrebbe spingere ad adottare una prospettiva più ampia dello HRM e delle prestazioni aziendali, potenzialmente basata su un tipo di razionalità di tipo relazionale (Eelens, 1995; Schipper, 1993) e non solamente economica.

Questo concetto riguarda lo sviluppo e il mantenimento di relazioni sostenibili con tutti i soggetti interessati, non solo, di conseguenza, con i clienti e gli azionisti. Concretizzare relazioni stabili non dovrebbe essere intesa come una pratica fine a se stessa. Se le relazione organizzative – ad esempio con dipendenti e sindacati – fossero viste come un mezzo per un fine, significherebbe molto poco per le persone coinvolte. Lo HRM dovrebbe quindi includere la razionalità relazionale come uno dei suoi obiettivi. Inoltre, l’interazione tra queste due forme di razionalità e i processi sottostanti delle varie parti coinvolte potrebbe generare possibilità uniche per ottenere un vantaggio competitivo.

Dal lato dell’operatività, invece lo HRM può essere molto efficace solamente nel momento in cui è impostato su logiche di reazione snella all’imprevedibile.

Non tutto, difatti, può essere pianificato e talvolta la forma più efficace di gestione delle risorse umane è quella che consente un cambiamento delle politiche e delle pratiche in modo abbastanza flessibile e con breve preavviso. L’ottenimento di migliori performance, in quest’ambito, diviene un processo globale, sì, volto ad

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ottenere ottimizzazioni e massimizzazioni, ma non solo.

Non solo perché allo HRM è assegnato il compito di soddisfare i diversi livelli di aspirazione delle parti interessate. A volte sembra che la ricerca nell’area dello HRM e delle prestazioni sia basata solamente sulla produzione di valore aggiunto; ma un aspetto importante della gestione delle risorse umane, specialmente se ci concentriamo sul rapporto di lavoro, non è tanto la «generazione», quanto piuttosto la creazione di un sistema di «giustizia distributiva» rispetto al lavoro, al tempo, ai premi, alle informazioni e alle opportunità per la formazione e per lo sviluppo professionale.

Ripercorrendo e ripensando a questi elementi mancanti è possibile affermare che il sogno disincantato di uno HRM stabile e riconoscibile è, giustappunto, un sogno per la ricerca empirica e per la prassi organizzativa delle persone. Esso, difatti, è fondato su assunzioni limitate o non raffinate, ipotesi che non tengono conto dei processi sommersi, dei meccanismi, dei modelli di interazione tra le parti, con il contesto istituzionale e si basano su una definizione limitante di prestazioni.

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