Il fatto che lo HRM accada, a questo punto della trattazione, è palese e concreto. E accade nelle sue sfumature, nelle sfumature dell’organizzazione, nelle dinamiche che muovono le idee e nel contesto nel quale esso stesso è inserito.
Nel 1994, Wright et al. affermarono che le persone interiorizzano facilmente le ipotesi generali dei concetti di valore, rarità, inimitabilità e non sostituzione. Le persone innatamente aderiscono alle resource-based theory of the firm.
In questo senso, Wright et al. hanno applicato tale teoria basata sulle risorse in modo più specifico alla gestione strategica delle risorse umane. Lo stesso Paauwe, ispirato da questo concetto, ha sviluppato la cosiddetta teoria delle risorse umane dell’azienda, lo human resource based theory of the firm. Nel 2003, dopo circa un decennio di discussioni accademiche circa l’estrema generalità che tale appellazione mostrava, il nome di questo costrutto teorico stato cambiato in
Contextyally Based Human Resource Theory (CBHRT), ossia una teoria delle risorse
umane basata sul contesto.
Questo modello incorpora elementi relativi ai concetti di contingenza e di modalità configurazionali (Delery & Doty, 1996), di istituzionalismo (DiMaggio & Powell, 1983) e di visione basata sulle risorse, ed è ispirato all’approccio di Harvard di Beer et al. (1984). In questo modello, sono due le dimensioni nell’ambiente che dominano l’elaborazione della gestione delle risorse umane, a seconda del grado di libertà di azione.
Da un lato, lo HRM è determinato in una certa misura dalle richieste derivanti dalle combinazioni mercato-prodotto e dalla tecnologia appropriata. Queste richieste sono solitamente espresse in termini di criteri quali efficienza, efficacia, flessibilità, qualità e innovazione. Questa dimensione rappresenta la dura razionalità economica della concorrenza nazionale e internazionale. Il dominio somiglia al concetto di isomorfismo competitivo, che, secondo DiMaggio e Powell (1983), si riferisce alla razionalità di un sistema nell’enfatizzare la competizione di mercato, il cambiamento di nicchia e le misure di fit. Nella
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terminologia di Weber (1946), il tipo prominente di razionalità di questa dimensione è la c.d. «zweckrationalität», basato su criteri di efficienza ed efficacia. D’altro canto, è importante sottolineare che il cosiddetto libero mercato è inserito in un contesto socio-politico, culturale e giuridico. Valori e norme prevalenti e la loro istituzionalizzazione canalizzano e correggono i risultati delle forze del mercato. In questa dimensione riconosciamo il concetto di isomorfismo istituzionale. Ad esempio, valori sociali più o meno condivisi come l’equità (un giusto equilibrio nel rapporto di scambio tra organizzazione e individuo) e la legittimità (l’accettazione delle organizzazioni nella società in cui operano) avranno anche un impatto sulla formazione delle politiche e delle pratiche di gestione delle risorse umane. Weber (1946) si riferisce a questo come «wertrationalität».
102 The contextually based human resource theory – Paauwe (1994; 1998)
Fig. 6
Quindi, il modello evidenzia la tensione intrinseca nella definizione delle politiche di gestione delle risorse umane tra razionalità economica e razionalità relazionale. Oltre a queste due dimensioni, la configurazione storica e consolidata che ha formato un’azienda influisce anche sulla definizione e strutturazione delle politiche e delle pratiche di gestione delle risorse umane. Queste configurazioni possono essere considerate come il risultato delle scelte passate di strategia in
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interazione con il modo in cui, originariamente, erano poste le questioni strutturanti e il tipo di cultura organizzativa generata.
Il concetto di patrimonio amministrativo – administrative heritage – è utilizzato per identificare l’influenza delle strutture, metodi, competenze e valori direttamente dal passato. Questo concetto è usato come un importante fattore (influente nel bene e nel male) nella strutturazione organizzativa, compresa nella gestione delle risorse umane. Barney (1991) afferma che una delle ragioni per cui le risorse (incluse le risorse umane) sono imperfettamente imitabili sono condizioni storiche uniche alle quali ogni risorsa si ricollega. In ulteriori studi compiuti, Barney (1995) si riferisce al concetto di path dependency, ossia al concetto che i percorsi costruttivi relativi ad una risorsa si riferiscono innanzitutto al percorso che ha portato alla formazione della risorsa.
In ogni modo, questo filone di letteratura di riferisce e richiama la configurazione unica, o «gestalt», dell’organizzazione. Delery e Doty (1996) distinguono l’approccio configurazionale, sottolineando una corrispondenza unica tra politiche e pratiche di HRM e altre caratteristiche organizzative, come ad esempio la strutturazione organizzativa, il sistema tecnico e la cultura.
Il quadro concettuale relativo al contesto potrebbe dare l’impressione di essere basato sulla modellazione generale di questi sistemi. Tuttavia, questa impressione viene corretta dall’introduzione della cosiddetta dominant coalition21, una sorta di forza dominante, in quanto tale approccio comprende anche la prospettiva dell’inserimento di un attore, nonché un’indicazione del grado di margine di manovra per la definizione delle politiche e delle pratiche di gestione delle risorse umane. Esempi di attori importanti sono il top management, i consiglio di sorveglianza, i team di gestione di livello medio-basso, i consigli, i delegati sindacali e, naturalmente, il dipartimento di gestione delle risorse umane o il responsabile delle risorse umane. Tutti questi attori hanno i propri valori, norme e atteggiamenti condivisi con gli altri in misura più o meno evidenziata. A tale riguardo, è importante notare che l’interazione tra gli attori coinvolti e la loro ideologia condivisa vis-à-vis nei confronti della posizione e del ruolo degli altri è un
21 Questo concetto si riferisce all’insieme influenzante formato, di fatto, dai consigli direttivi, dal
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elemento importante nel creare comprensione e credibilità. Al contrario, una mancanza di ideologia condivisa potrebbe provocare tensioni e conflitti.
Le tre forze che hanno un impatto sulla coalizione dominante non implicano che gli attori si adattino solo alle forze del mercato, al patrimonio amministrativo o al contesto istituzionale. Non v’è, quindi, una mera prospettiva di contingenza deterministica. Esiste uno spazio in cui v’è un grado, uno spazio, di manovra per la coalizione dominante nel prendere le proprie scelte strategiche. Le condizioni che determinano il margine di manovra comprendono il rapporto tra lavoro e capitale, la salute finanziaria dell’azienda (spesso identificata nella solvibilità), il tasso di sindacalizzazione e la strategia di mercato. Nel caso di un’organizzazione con un monopolio di mercato, ad esempio, lo spazio di manovra è ovviamente considerevole. Tuttavia, quando i produttori sono numerosi, la concorrenza appassionata e la resilienza finanziaria bassa, ci sarà poco spazio per le attività strutturate di gestione delle risorse umane (Paauwe, 1991).
La coalizione dominante è coinvolta nella definizione e nella selezione delle politiche e delle pratiche di gestione delle risorse umane per le quali sono disponibili diverse soluzioni. Wood (1999) identifica quattro configurazioni principali:
• la configurazione strategica, ossia la configurazione tra le strategie di gestione delle risorse umane e la strategia competitiva dell’organizzazione.; • la configurazione organizzativa, ossia la configurazione tra un set di
pratiche HRM e altri sistemi all’interno dell’organizzazione;
• la configurazione ambientale, ossia la configurazione tra le strategie HRM ed il contesto ambientale dell’organizzazione;
• la configurazione interna, ossia l’adattamento tra le pratiche di gestione delle risorse umane, intese come insiemi coerenti di azioni.
In questo contesto, alla coalizione dominante è data la sfidata di consentire allo HRM di apportare un reale contributo per generare un vantaggio competitivo sostenibile, escludendo l’importanza di distinguere le diverse configurazioni. Solamente puntando all’unicità questa sfida può essere vinta.
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Le tensioni tra temi individuali e organizzativi dovrebbero essere strutturati in modo tale che si possa parlare di unicità nell’organizzazione coinvolta. In altre parole, l’accordo tra l’individuo e l’organizzazione dovrebbe essere specifico e relativo all’impresa, una sorta di eterogeneità relativa. Questa unicità è preziosa, scarsa, virtualmente inimitabile e difficile da sostituire nel breve periodo (Barney, 1991).
La visione basata sulle risorse si concentra sui fattori chiave di successo del comportamento delle singole imprese nel raggiungimento dei vantaggi specifici, attraverso un portafoglio core di competenze e routine differenti ed attraverso coerenza tra le competenze e know-how proprietario esclusivo. Molte di queste abilità sono incorporate negli atteggiamenti e nei comportamenti delle persone impiegate o collegate all’azienda. Collegare la visione basata sulle risorse alla teoria istituzionale può contribuire a creare la proclamata unicità, combinando in modo ottimale i fattori ambientali (che possono essere sia un’opportunità che un vincolo) con risorse e capacità interne.
L’unicità della forma strategica di gestione delle risorse umane è volta a generare i c.d. outcomes dello HRM, che a loro volta contribuiscono alle prestazioni dell'impresa.
È importante sottolineare che tutti i modelli concettuali relativi alle connessioni tra HRM e performance prendono le strategie, le politiche e le pratiche di HRM come punto di partenza. Pertanto, si occupano solamente delle concettualizzazioni volte a stabilire la connessione ex post.
Ogni risultato raggiunto è inteso nella natura del conseguimento della razionalità economica (ad esempio la produttività, l’aumento del valore degli azionisti) e della razionalità relazionale (ad esempio un corretto equilibrio tra vita professionale e vita professionale), le quali contribuiscono all’equità o alle modalità di produzione volte ad evitare l’esaurimento delle risorse naturali, e quindi contribuire alla legittimità.
Questo approccio allo HRM, nella sua dimensione contestuale, quindi, è vivo e capace di liberare una serie opzioni strategiche d’impresa.
La maggior parte dei modelli strategici propri dello HRM utilizza le scelte strategiche come punto di partenza, quindi si tenta di stabilire il tipo di politiche e
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pratiche HRM che contribuiscono ad un aumento delle prestazioni. Accanto a questi modelli, è possibile – provare ad – enfatizzare sia la razionalità economica che relazionale delle idee gestionali, concentrandosi sulle politiche e le pratiche di gestione delle risorse umane capaci di soddisfare i criteri del valore aggiunto (nel suo significato economico) e i valori morali quali equità, legittimità, sostenibilità. Quali vantaggi è possibile aspettarsi da questo tipo di HRM espresso in termini valoriali o etici? Da un punto di vista strettamente manageriale, soddisfare i criteri della razionalità relazionale implica, in sostanza, garantire trattamenti equi a persone.
Quali potrebbero i benefici rispetto ad un’altra azienda che tratta le persone in modo diverso? È possibile aspettarsi riduzione dell’assenteismo, maggiore soddisfazione, volontà di rimanere nell’azienda e volontà di produrre di più. Questi risultati implicano che si dovrebbe essere in grado di gestire le attività con costi inferiori, rispetto alle aziende che operano con sistemi di gestione delle risorse umane approssimativi. Tuttavia, dei costi di controllo inferiori potrebbero essere ottenuti anche mediante operazioni di esternalizzazione. Quindi i veri vantaggi di un approccio etico allo HRM devono essere cercati in altre direzioni. In particolare, i principali vantaggi dello HRM etico saranno visti nella tendenza dei dipendenti a mostrare una maggiore disponibilità a fidarsi della gestione, una maggiore disponibilità a cambiare, anche a rischio di un pericolo personale, un maggiore sentimento di soddisfazione e un maggiore spazio di manovra per porre in essere attività gestionali.
In un contesto competitivo veloce, tutto ciò produce importanti risultati. Quindi né il minor costo né la maggiore fiducia, presi singolarmente, garantiscono alte prestazioni (e qui il concetto di gestalt è vivo).
Ma il maggior grado di fiducia e volontà di cambiamento implicano un miglior punto di partenza per implementare il cambiamento stesso e per porre in essere una serie di strategie. In questo modo, lo HRM etico, nella sua dimensione contestuale, agisce come un una miccia per una serie di opzioni strategiche. A supportare questa tesi si vi sono i risultati di una ricerca esplorativa di Dyer e Shafer (1999), la quale, in base a una serie di casi studio, sviluppa un modello in cui la strategia HRM supporta l’agilità organizzativa.
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Un’organizzazione agile mira sempre a sviluppare una capacità integrata di cambiare, di flettersi e di adattarsi mentre le circostanze cambiano, facendolo in modo del tutto naturale (Dyer & Shafer, 1999). Allo stesso modo, Boxall e Purcell (2003) includono la flessibilità come uno degli obiettivi principali (insieme alla produttività del lavoro e alla legittimità) dei sistemi strategici di gestione delle risorse umane. In effetti, queste organizzazioni mirano a ottimizzare simultaneamente l’adattabilità e l’efficienza. Nella letteratura di gestione strategica, si parla di incontro simultaneo con le esigenze di exploration e exploitation.
In questo contesto, l’approccio multidimensionale contestuale, il Contextyally Based
Human Resource Theory, con la sua enfasi sul raggiungimento di una combinazione
unica di razionalità economica, relazionale e di valore aggiunto e valori morali, è in grado di generare un’organizzazione agile e ambidestra che genera spazio di manovra per le parti coinvolte e consente di perseguire diverse opzioni strategiche.
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2.5 Le misure dello Human Resource Management nella prospettiva